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Emanuele Mongiardo
L'influenza di Lobotka sul Napoli
08 nov 2022
08 nov 2022
Con Spalletti è diventato uno dei migliori centrocampisti della Serie A.
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Emanuele Mongiardo
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Può un fallimento essere meglio di un successo? È quanto capitato al Napoli: se con Gattuso in panchina la squadra avesse centrato l’obiettivo Champions League, che era a portata di mano, sfuggito solo per un pareggio all’ultima giornata col Verona, forse oggi non sarebbe insieme al Milan la miglior squadra della Serie A, sia dal punto di vista del campo che della progettualità. Il Napoli di oggi, capace di giocare un calcio fresco e pieno di individualità esaltanti, pianta le sue radici nelle amarezze del Napoli di Gattuso e, in generale, del post-Sarri. Quella partita contro il Verona ha spinto la società a cercare un cambio, prima nell’allenatore e poi, più gradualmente negli ultimi due anni, nella rosa. È arrivato Spalletti e hanno lasciato non solo gli ultimi reduci del ciclo di Sarri – Insigne, Mertens e Koulibaly – ma anche Fabian Ruiz. La sua partenza era stata più difficile da accettare per i tifosi: un calciatore che ancora deve raggiungere il suo picco e che con il nuovo allenatore era rinato nella scorsa stagione. Ma Giuntoli e Spalletti sapevano di avere le spalle coperte: con Stanislav Lobotka in rosa, non c’era alcun bisogno di intervenire sul mercato. Dopo essere stato fermo durante i primi mesi della gestione Spalletti a causa di un problema muscolare, Lobotka aveva conquistato la fiducia del tecnico toscano in un Napoli-Lazio del novembre 2021. Il centrocampista slovacco aveva rivoltato contro Sarri la sua stessa idea di calcio, mettendo in mostra tutte le qualità che oggi sembrano scontate e dimostrando ai tifosi, mai troppo convinti, che poteva far parte di un centrocampo di alto livello come quello del Napoli. Dopo quella prestazione, Spalletti ha iniziato ad usarlo sempre più spesso e oggi è un punto fermo inamovibile di una delle squadre che gioca il più bel calcio d'Europa. Rapidamente anche i tifosi si sono innamorati del suo gioco, di tutte quelle volte in cui è sembrato sul punto di perdere il pallone a pochi metri dalla propria porta, per poi uscirne pulito con una piroetta o comunque un movimento inaspettato. All’inizio della sua esperienza al Napoli, i venti milioni spesi per il suo cartellino sembravano uno spreco. Si diceva che fosse sovrappeso, impressione acuita dal fisico tozzo, col collo taurino e le braccia corte, e che fosse per questo che con Gattuso non trovava spazio. «Non avrei giocato neanche se avessi persi dieci chili» ha detto recentemente Lobotka, a sottolineare come il cattivo rapporto con il suo ex allenatore andasse ben oltre la bilancia. Oggi nessuno si azzarda a mettere in dubbio il valore dello slovacco. E, ironia della sorte, molti dei suoi punti di forza risiedono proprio in quel corpo all’apparenza tracagnotto e sgraziato. La resistenza al pressing È impossibile comprendere il calcio di Lobotka senza partire dal suo baricentro basso, dal suo fisico robusto e dal suo dinamismo. I soli 170 centimetri d’altezza, uniti alla preveggenza al momento della ricezione e a un’esplosività ben al di sopra della media nelle rotazioni del busto, sono caratteristiche perfette per agire da regista basso. Lobotka ha le condizioni fisiche ideali per sfuggire dal pressing alto del calcio contemporaneo e in più ci abbina una tecnica di alto livello: è per questo che non perde mai il controllo in spazi ridotti. Il pregio più evidente del suo gioco è senza dubbio la resistenza al pressing. Per Spalletti si tratta di una risorsa indispensabile nello sviluppo della manovra, in modo sia diretto che indiretto. Lobotka, infatti, è talmente a suo agio sotto pressione da potersi incaricare di tutte le ricezioni più scomode per il Napoli. Ricevere spalle alla porta è la situazione più complicata per un regista: di solito, per prevenirla, ci si abbassa tra i difensori o ci si allarga al loro fianco, così da rimanere frontali. Lobotka, invece, non ha paura di affrontare le ricezioni di spalle: per caratteristiche può permettersi di non scendere mai sulla stessa linea dei difensori, ma di rimanere più alto rispetto a loro, da vero perno di centrocampo di un 4-3-3. La sua posizione influenza l’atteggiamento del resto della squadra: se si abbassasse per giocare subito frontale, costringerebbe a sua volta Anguissa a retrocedere da metodista, e Zielinski, di conseguenza, a scendere di qualche metro per non rimanere lontano dalla zona di costruzione. Invece, grazie alla sicurezza con cui Lobotka rimane più alto rispetto ai difensori centrali, Anguissa e Zielinski possono stazionare in zone più avanzate. Un vantaggio soprattutto per il polacco, che può mantenere da inizio manovra una posizione ibrida tra mezzala e trequartista, altra funzione che richiede ricezioni scomode, dove Zielinski ammalia il pubblico e inganna gli avversari col primo controllo - e per il Napoli fa tutta la differenza del mondo avere su altezze del campo diverse i due centrocampisti forse migliori del calcio italiano nel gioco spalle alla porta, Lobotka in zona di costruzione, con le virate del suo baricentro basso, Zielinski trenta metri più avanti, con la classe delle sue scrollate di spalle e dei suoi controlli orientati di tacco. La posizione avanzata di Zielinski e Anguissa è utile al Napoli non solo per costruire in maniera ragionata, ma anche per attaccare grazie alle seconde palle. Non c’è nessuna squadra italiana migliore degli azzurri, infatti, ad alternare gioco lungo e gioco corto in questa prima fase di stagione. È una conseguenza del maggior tasso atletico della squadra. Se gli avversari marcano stretto Lobotka da inizio azione – negandogli a priori la possibilità di ricevere, spesso l’unico modo per evitare da farsi saltare da lui in pressing – allora il Napoli può decidere di costruire in maniera più diretta: ci si fa aggredire, i giocatori più avanzati rimangono alti per allungare gli avversari, si gioca lungo e si conquista la seconda palla alle spalle degli avversari saliti in pressione. Spesso tocca proprio a Zielinski e Anguissa, già alti grazie a Lobotka, ripulire le seconde palle risputate dai duelli aerei di Osimhen o Simeone.

Il repertorio di Lobotka e la sua maturazione Nella visione ideale del calcio di Spalletti, Lobotka attrae il pressing, lo batte e schiude spazi in cui correre al Napoli, una squadra piena di singoli in grado di divorare il campo con la palla e senza. Per la consapevolezza di come arriverà la pressione, per la pulizia nel controllo orientato e per la rapidità con cui ruota, è come se lo slovacco, in realtà, non ricevesse davvero di spalle. Quando gli arriva palla, non resta mai piatto, sia che si tratti di controllarla, sia che si tratti di farla scorrere o di eseguire un semplice appoggio. Sa sempre da che lato arriva il marcatore, e allora ruota verso l’angolo che gli consenta di giocare in maniera più pulita la sfera. La rapidità delle virate, poi, gli regala sempre, rispetto a chi pressa, preziosi istanti di vantaggio, che fanno sembrare così semplice, per lui, interpretare la funzione di regista pur rimanendo in una zona calda. «Lobotka è bravissimo a fare queste rotazioni. Ha girato su se stesso, portando la squadra ad avere la possibilità di attaccare gli spazi. Si è fatto attaccare, è uscito sul lato debole, e ha dato il là a ripartenze incredibili», ha detto qualche settimana fa Spalletti dopo la vittoria per 2-5 sul Verona. Lobotka condiziona in maniera radicale il gioco del Napoli, perché la sua abilità in costruzione, nello stretto, è impareggiabile – in Serie A solo Bennacer restituisce sensazioni simili sotto pressione. Non è un caso che abbia iniziato la carriera da trequartista, dove occorre grande controllo in mezzo agli avversari. Lobotka ha esordito 17 anni nel Trencin, la squadra della sua città, allora affiliata all’Ajax grazie al presidente Tschen La Ling, ex attaccante degli olandesi a fine anni ‘70. Il talento dello slovacco non era passato inosservato e i lanceri l'avevano preso in prestito per la squadra riserve nella stagione 2013/14. Non sarebbe strano se quell’anno ad Amsterdam avesse inciso sul suo modo di giocare. Alfons Groenendijk, l’allenatore del Jong Ajax per il suo controllo nello stretto lo aveva paragonato a Wesley Sneijder e persino Dennis Bergkamp, vice di de Boer all’epoca, ne aveva lodato la tecnica: «Ciò che colpisce subito è la sua confidenza col pallone: non lo perde quasi mai». Non sono gli unici complimenti che Lobotka ha ricevuto da leggende del passato. Ad ottobre 2019, dopo una partita di qualificazione agli Europei tra Slovacchia e Galles, Ryan Giggs, allora CT dei dragoni, aveva sottolineato quanto fosse difficile da mettere sotto scacco: «Guardate Lobotka: prima prende palla, la conduce, rallenta e poi si ferma. Non è facile giocare contro un calciatore come lui». È da inizio carriera che lo slovacco stupisce per il modo in cui protegge e porta palla. Si intuiva all’Europeo Under 21 del 2017, dove per la prima volta si era messo in mostra grazie a grandi esibizioni contro Inghilterra e Polonia, ed è diventato evidente durante la prima stagione al Celta Vigo. https://www.youtube.com/watch?v=ai7SrYQO_Zw&t=214s Lobotka ha mantenuto le sue qualità principali ma, rispetto agli esordi, ha saputo smussare alcuni aspetti un po’ estremi del suo calcio. Per il suo dinamismo, ad esempio, adorava muoversi in avanti dopo aver scaricato palla per triangolare. Si tratta di un modo per sorprendere gli avversari. Tuttavia, per un regista basso è rischioso abusarne: se mentre ci si sgancia in avanti l’avversario ruba palla, si lascia la difesa esposta alla transizione e tutta la squadra è costretta a correre all’indietro. Non era insolito vedere Lobotka perdere palla in questo modo, abituato ad aspettare sempre l’ultimo istante prima di scaricare, proprio per tirare fuori posizione un uomo. Con il tempo, e il lavoro di Spalletti, il metodista del Napoli ha capito quando può sganciarsi in avanti senza palla e quando invece rimanere a presidio del centrocampo per dare equilibrio alla squadra. Inoltre, ha un tempismo migliore quando deve liberarsi del pallone dopo aver attratto un avversario con la conduzione. In generale, anche la gestione dei passaggi è diventata più matura. Il primo Lobotka cercava con insistenza eccessiva di tagliare le linee avversarie con verticalizzazioni rasoterra, spesso affrettate rispetto a come si stava muovendo la squadra. Oggi, invece, fa circolare il possesso in modo più paziente, permettendo ai compagni di posizionarsi meglio sul campo e scegliendo con più cura quando accelerare. Erano miglioramenti necessari per crescere e diventare un regista affidabile ad un livello più alto. Lobotka doveva solo capire come utilizzare meglio le qualità del suo repertorio, quasi inusuali per un regista: quanti metodisti portano palla e battono linee in conduzione col suo ritmo e la sua precisione? «È cinghialotto nel modo di fare, prende campo e poi non riesci più a recuperare», ha detto Spalletti sempre dopo la vittoria di Verona: un modo simpatico per riassumere le qualità tecniche e la singolare conformazione fisica dell’ex Celta, che quando parte palla al piede prende controtempo gli avversari e ribalta il campo con una rapidità, anche sul lungo, che nessuno assocerebbe ad un giocatore con il suo corpo. Un discorso analogo potrebbe valere per il suo contributo in fase difensiva: di solito i registi della taglia di Lobotka preferiscono difendere in avanti e, comunque, in spazi ridotti. Lo slovacco, invece, grazie ad un atletismo insospettabile non soffre le distanze lunghe e non si fa problemi se c’è da correre all’indietro. In caso di transizione negativa, ripiega ad alta velocità non solo per rientrare sotto la linea della palla, ma anche per aiutare i compagni. Se, per esempio, gli avversari ripartono sulla fascia, ha motore e letture adeguate per spostarsi verso la corsia e affrontare in prima persona il portatore di palla, o comunque per aiutare il terzino in raddoppio.

La velocità e la resistenza sono tra i motivi per cui, nelle fasi di pressing, spesso Spalletti decide di alzarlo direttamente sul regista avversario: sa che se l’aggressione va a vuoto, allora il suo centrocampista può recuperare velocemente la posizione. Per il resto, Lobotka eccelle anche nelle mansioni tradizionali di un regista in fase difensiva. Rimanendo più indietro rispetto ai compagni in rifinitura, intuisce dove si potrebbe perdere la palla, sceglie bene il posizionamento preventivo ed è sempre pronto a tamponare in avanti per spegnere sul nascere la transizione. Insomma, lo slovacco non è solo il fulcro della manovra del Napoli, ma è anche il suo equilibratore in fase di non possesso. È da sei stagioni, ormai, che Lobotka gioca in uno dei cinque principali campionati europei. Dopo i primi mesi a Vigo, le sue prospettive sembravano quelle di un centrocampista destinato a giocare nelle migliori squadre. La sua ascesa, però, non è stata lineare. Ci sono stati diversi punti morti nella sua carriera, anche prima delle incomprensioni con Gattuso, dove Lobotka non sembrava trovare un senso alle sue indiscutibili qualità. C’è voluto più tempo del previsto, ma alla fine lo slovacco è arrivato dove si aspettava chi lo aveva visto nei primi anni di carriera, ovvero a essere uno dei migliori registi di un campionato come la Serie A, probabilmente il migliore in assoluto del torneo in questi primi mesi. La sua carriera, finalmente, ha imboccato la strada giusta. Resta la curiosità, con doti così spiccate e utili nel calcio moderno, di capire se possa migliorare ulteriormente il suo status.

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