Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Daniele V. Morrone
L'importanza del tiro
29 apr 2016
29 apr 2016
La gara-6 tra Atlanta e Boston ha mostrato quanto conti segnare da fuori nel basket di oggi.
(di)
Daniele V. Morrone
(foto)
Dark mode
(ON)

 

Il basket può essere uno sport realmente crudele se non si riesce a fare canestro, perché si concede all’avversario l’enorme vantaggio tattico e mentale di avere sempre la prima mossa a disposizione — con tutto quello che significa in termini di tattica, inerzia della partita e psicologia. Nei playoff si può nascondere questa mancanza in una singola partita, magari azzeccando il parziale giusto nel finale di gara. Ma se il problema è strutturale e non è presente anche negli avversari, riuscire a vincere le quattro partite necessarie a passare il turno diventa praticamente impossibile. Questo è il tema principale della serie tra Boston e Atlanta, in cui l’infortunio ad Avery Bradley in gara-1 e la forma fisica precaria per Jae Crowder e Kelly Olynyk hanno portato i Celtics a perdere la necessaria pericolosità al tiro dalla distanza per aprire la seconda miglior difesa della lega. Non riuscire a fare canestro da tre punti è significato dare un vantaggio tale ad Atlanta da permettere agli Hawks di dettare il contesto tattico della partita fin dalla palla a due di gara-6 al TD Garden.

 



Gli Hawks partono sfidando i Celtics a tirare da fuori, quasi a volerli mettere alla berlina e mostrargli puntualmente la loro mancanza in questo fondamentale. Atlanta ha giustamente impostato una difesa concentrata nel difendere il pitturato e aggressiva su Isaiah Thomas, l’unico realizzatore affidabile del roster per Boston. Reduce dall’infortunio alla caviglia in gara-5, l’All-Star dei Celtics inizia la partita in modo cauto, volendo forse testare prima di tutto le sue condizioni atletiche e non provando a forzare il pick and roll con Amir Johnson che tanto successo aveva avuto nelle gare precedenti — e questo avvantaggia ulteriormente gli ospiti. Con Jeff Tegue costretto ad uscire per una storta alla caviglia e le palle perse che non aiutano l’attacco a entrare in ritmo, Boston non riesce comunque a trovare il parziale giusto, tirando con un misero 4/12 dal campo. Un’occasione iniziale non sfruttata di cui si sarebbe pentita, perché dal primo giro di cambi e dall’entrata di Mike Scott, Atlanta inizia ad ingranare e dal vantaggio acquisito con il tabellone che segna 11 a 9, la partita non avrebbe più cambiato proprietario.

 


Senza l’entusiasmo che la sua stella riesce a trasmettere quando in ritmo neanche il Garden riesce ad entrare in partita



 

L’apporto della panchina nel primo quarto è fondamentale per capire il diverso potenziale delle due squadre in questo momento: coach Budenholzer può contare su Dennis Schröder per prendere il posto che Teague è costretto a lasciare per una caviglia che non gli dà pace, mentre per coach Stevens dalla panchina arrivano un Marcus Smart tatticamente utile in difesa ma dal poco impatto iniziale in attacco, e gli impresentabili — quantomeno in questa serie — Olynyk e Sullinger. Il fatto che il primo quarto porti ad un parziale di 9-0 di punti dalla panchina rende l’idea di quanto per Stevens le mani siano realmente legate: non è un caso se nel timeout coach Bud si preoccupa solo di ricordare di rimanere concentrati in difesa, mentre durante ogni piccolo stop Stevens parla solo di attacco — con un’espressione che vuole essere rassicurante, ma che sembra tremendamente consapevole della disparità in campo.

 

Con Atlanta che tiene benissimo sotto canestro, gli 0 punti da palle recuperate e il 3/13 da tre di Boston con cui chiude il primo quarto fotografa bene perché in campo non c’è storia. Il problema per Boston è che oltre a non trovare il canestro, gli avversari con l’andare dei minuti trovano finalmente quelle conclusioni-dopo-aver-mosso-la-difesa che per lunga parte della serie sono arrivate solo a singhiozzo, e che alla lunga riescono a coprire le palle perse non forzate di inizio gara. La scelta di Boston di pareggiare la taglia di Atlanta in campo e di rimanere sui duelli individuali, evitando di cercare aiuti rischiosi, inizialmente la premia perché evita canestri semplici, ma ha il difetto di caricare di falli il miglior difensore, Crowder, che si ritrova con quattro falli prima ancora dell’intervallo.

 

Praticamente Boston finisce per reggersi sulle spalle di Jonas Jerebko, che è l’unico a tirare sopra il 50% contro una difesa di Atlanta che è in grado di contestare praticamente ogni tiro all’interno dell’arco, avendo il lusso di poter cambiare su chiunque nei pick and roll e non doversi preoccupare delle spaziature di Boston. Per quanto si spenda anche in difesa, provando a contestare sempre il tiro e a buttarsi sulle palle vaganti, se la tua chiave tattica nella serie è lo svedese — che in stagione ha avuto solo 15 minuti di media e in queste sei partite ne ha giocati 27 — non può essere un buon segno.

 

E infatti Brad Stevens si ritrova a non sapere chi affiancargli, avendo tutti i lunghi che sanno fare bene solo una cosa, e finisce addirittura per provare per la prima volta in modo serio nella serie sia Johnson e Olynyk insieme. Il parziale di 10-0 che Atlanta porta avanti nel frattempo — e il fatto che la musica sia più alta dei cori dei tifosi del Garden — credo fotografino benissimo cosa questo abbia portato alla partita.

 



 



Il terzo quarto è un vero bagno di sangue per Boston, con Atlanta che si costruisce un vantaggio tale da non essere minimamente impensierita da un possibile contro-parziale visto che gli avversari hanno la stella che tira sotto il 40% e mostra segni di frustrazione, prendendosi un fallo tecnico totalmente gratuito. L’unico giocatore in grado di rompere la situazione si dimostra smart sfruttando la sua dirompente fisicità per attaccare il canestro, ma neanche i suoi 9 punti praticamente consecutivi riescono a togliere dal tabellone una distanza che è più vicina ai 20 punti che ai 10. Il fatto che Atlanta abbia sempre vinto quando il rapporto tra assist e tiri segnati è sopra il 60% e che sia sopra quella percentuale anche in questa partita è la controprova che c’è veramente poco da fare per Boston. Le sconfitte di Atlanta in stagione sono arrivate più che altro quando i tiri non sono entrati anche se l’attacco era in grado di produrre conclusioni ad alta percentuale, e il tiro da fuori che funziona. Il quarto finisce con ben 39 punti a referto. Questo attacco, quando riesce a ingranare, ha veramente pochi rivali nella Eastern Conference, con i giocatori che non ci pensano due volte a servire un compagno posizionato, mostrando enorme fiducia l’uno nell’altro. Atlanta è una squadra che ottiene risultati ad ondate, ma quando queste ondate arrivano è quasi impossibile da fermare.

 


 

Se c’è una cosa però che a Boston non è mai mancata, nonostante tutto, è la voglia di provarci fino in fondo, di giocare duro in difesa e non mollare di un centimetro anche quando sembra in arrivo un vero

. La mentalità che Stevens in questi due anni ha portato a un gruppo di buoni giocatori è veramente da lodare, e non va quindi neanche sottovalutato un ultimo quarto in cui comunque Boston ha evitato di concludere la stagione in

. Come motivo d’orgoglio per i tifosi c’è il fatto di aver terminato la gara a testa alta: con la tripla di Thomas per il 95-83 anche il Garden si è risvegliato dal tepore dell’accettazione di una sconfitta, e probabilmente Boston avrebbe lottato anche di più se Crowder non fosse dovuto uscire per falli. Con una tripla sul contropiede di Millsap che segna il +13 si conclude la gara che da quel momento diventa una parata di falli intenzionali di Atlanta per far pagare mancanze al tiro libero dei Celtics. Una gara, e una serie, finita esattamente come è iniziata: con il problema dell’attacco dei Celtics di mettere la palla nel canestro.

 



Questa serie ha dimostrato che il gruppo guidato da Stevens stava giocando ben oltre i propri limiti ed è quindi prevedibile un intervento sostanzioso da parte del GM Ainge in estate per portare la tanto sospirata superstar da affidare a un allenatore che superstar già lo è. Gli asset ci sono e sono tanti, le superstar disponibili sul mercato molto meno: si farà sicuramente un tentativo per Jimmy Butler (sfruttando l’incertezza attorno ai Bulls), per DeMarcus Cousins (perché vai a capire cosa vogliono fare i Kings), magari anche per Blake Griffin (i Clippers manterranno lo stesso nucleo?) — ma senza alcuna certezza di poterli portare a Bean Town, a meno che il pick in arrivo dai Brooklyn Nets non regali la prima o la seconda scelta assoluta (ma a quel punto anche i Celtics dovrebbero pensare se vale la pena cederla).

 

Per Atlanta il passaggio del turno significa affrontare i Cavs di LeBron in quella che lo scorso anno è stata una finale di conference poco equilibrata e finita 4-0. Purtroppo per loro i Cavs non permetteranno alla difesa di concentrarsi solo sul proteggere il pitturato dalle penetrazioni di LeBron e Kyrie, e soprattutto non perdoneranno all’attacco degli Hawks le pause tra un’ondata e l’altra. Sarà quindi una serie complicatissima per Budenholzer, ma certamente un anno in più — e una situazione fisica migliore — potrebbe aver portato l’esperienza necessaria ad evitare lo stesso finale della scorsa stagione.

 

 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura