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L'importante è non prendere un gol, intervista a Mattia Bani
11 set 2019
11 set 2019
Il difensore del Bologna ci ha raccontato il suo percorso da calciatore.
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Foto di Massimo Paolone/LaPresse
(foto) Foto di Massimo Paolone/LaPresse
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Mattia Bani esordisce in Serie A il 5 gennaio 2018 in un Chievo-Udinese finito 1-1. Una partita piuttosto anonima, ma della quale possiedo un ricordo piuttosto nitido. Un passaggio rasoterra diretto a Rodrigo De Paul, centrocampista dell’Udinese, che un paio di metri dentro l’area di rigore, controlla e calcia a botta sicura. Un pallone che sarebbe potuto entrare, non fosse stato per il provvidenziale intervento di Mattia Bani.Forse mi ha colpito perché Bani non è solo un calciatore professionista - dopo due stagioni al Chievo è stato acquistato dal Bologna durante l’estate - ma soprattutto perché è nato e cresciuto nello stesso paesino della campagna toscana (Rufina, 25 chilometri da Firenze) dove sono nato e cresciuto anch’io. Ci conosciamo da anni e adesso che Mattia è anche un calciatore professionista le due realtà, quella mia privata e provinciale e quella patinata del calcio italiano, sono sfumate l’una nell’altra. Te la ricordi la partita con l’Udinese?[reply]Ricordo soprattutto le parole di Përparim Hetemaj, che quel giorno era capitano: “Goditela, perché capita una volta sola nella vita di esordire in Serie A”. Durante la partita fu tutto piuttosto normale, ero concentrato su quello che dovevo fare.[/reply]Hai pensato “ce l’ho fatta” quel giorno? [reply]La mattina l’allenatore mi disse che avrei giocato e ho cercato di pensare solo al campo. È una sensazione che è arrivata più tardi, al secondo anno al Chievo, dove mi è capitato di fermarmi a riflettere su dove fossi arrivato. Forse perché mi sentivo più parte della categoria, che potevo stare a questo livello.[/reply]La tua gavetta parte da lontano, dalla Serie D, poi due anni in Lega Pro, e tre stagioni in Serie B con la Pro Vercelli, prima del salto definitivo col Chievo. Te l’eri immaginata così, la Serie A?[reply]Ad essere sincero non ci pensavo molto, prima; ero concentrato soprattutto sul fare bene nella realtà in cui mi trovavo. Ho avuto tempo per prepararmi al salto, che è effettivamente grande: in Serie A i tempi sono diversi, succede tutto più in fretta, hai bisogno di un periodo di ambientazione più grande.[/reply]

Foto di Marco Alpozzi/LaPresse

Tre anni in Serie B possono essere molto lunghi[reply]È un campionato sui generis, è proprio uno sport diverso. Le squadre forti ci sono, ovviamente, ma i valori sono meno marcati rispetto alla serie A e hai la possibilità di giocartela su ogni campo. Sotto il profilo mentale le partite sono più pesanti, le trasferte sembrano sempre più lunghe. Però per me ogni partita era un’occasione per migliorare, per lavorare sul mio gioco. Tutto mi sembrava sempre nuovo e bello, forse perché l’ho sempre vista con gli occhi del “Mattia bambino” piuttosto che con quelli del calciatore.[/reply]Avresti preferito giocare subito contro Mauro Icardi o Cristiano Ronaldo (O Edin Dzeko, che se non sbaglio mi dicevi essere il giocatore che ti ha impressionato di più)?[reply]Dzeko è una forza della natura. Calcia con entrambi i piedi, fa lavoro di squadra, è intelligente, non lo sposti fisicamente… Comunque sì, forse mi sarebbe piaciuto salire prima, anche perché l’ultima stagione a Vercelli ero già di proprietà del Chievo e pensavo di aver già dimostrato di valere la Serie A. Però i tempi sono stati questi e va bene così: il percorso di crescita è importante.[/reply]Questa mi sembra una risposta un po’ “da calciatore”. Essere professionisti al top della propria professione credo richieda anche una grossa dose di faccia tosta, un’autostima molto alta, di cui si parla poco. [reply]Io credo che un calciatore debba sempre cercare di essere umile. Per un motivo molto semplice: sa quanto è difficile lavorare al più alto livello possibile, giorno dopo giorno. È chiaro che uno vorrebbe sempre salire, ma il percorso di crescita è fondamentale, perché ti dà la possibilità di calarti al meglio nella situazione. Io quando sono arrivato al Chievo dovevo giocarmi il posto con Dario Dainelli, Alessandro Gamberini e Nenad Tomovic, gente che conta 250 e passa presenze in A a testa. I primi sei mesi non giocavo mai, ho fatto tanta tribuna, mi allenavo da terzino perché c’era grande abbondanza nel mio ruolo naturale. Eppure non ho mollato e mi son fatto trovare pronto, essere un professionista è soprattutto questo: capire, migliorare e andare avanti.[/reply]Ma non diventa dura quando, dopo aver iniziato a salire, ci si ferma, ci si deve “accontentare”?[reply]Credo davvero che nel calcio non si finisca mai di imparare. Anche grazie agli allenatori, che possono darti grandi stimoli: ricordo di aver letto un’intervista a Barzagli nella quale diceva come negli anni in cui era al Wolfsburg, Felix Magath (l’allenatore, ndr) gli avesse cambiato la carriera. Eppure era professionista al massimo livello da anni, aveva vinto un mondiale… [/reply]E quando vedi altri che salgono prima di te, non pensi di non essere inferiore a loro?[reply]Ogni carriera è diversa, se fai paragoni sei morto. A questi livelli basta un anno fatto male e sei fuori, devi conquistarti tutto e devi essere orgoglioso di quello che ottieni. È un mondo ultra competitivo, devi essere sempre determinato al massimo.[/reply]Bologna lo consideri un ulteriore “salto” per la tua carriera?[reply]Certamente. Al Chievo ho avuto la possibilità di realizzare il mio sogno, hanno creduto in me e per questo sarò per sempre riconoscente. Adesso ho un’altra grande occasione, quella di misurarmi in una società storica del nostro calcio, con grande entusiasmo da parte della gente. È un ulteriore passo nella direzione giusta e spero mi possa migliorare ulteriormente come calciatore e come uomo, magari aiutandomi a togliere molte altre soddisfazioni - anche perché la squadra viene da un decimo posto conquistato con grande entusiasmo e c’è voglia di essere competitivi. [/reply]

Foto di Foto Massimo Paolone/LaPresse

Anche se non stai giocando, in questo avvio di stagione? [reply]Giocare piace a tutti, sarebbe ipocrita ti dicessi il contrario. Però cerco di mettermi sempre a disposizione dei compagni e del mister, secondo me è il modo migliore per affermarsi, perché è un’opportunità di crescita personale molto grande. Devi avere tanti stimoli, questo sicuro, però quando poi riesci a prenderti la maglia da titolare la soddisfazione è doppia, perché significa che hai lavorato al massimo possibile. [/reply]Immagino non sia sempre facile gestire la pressione...[reply]Lo stress è alto, per undici mesi non puoi permetterti di staccare un secondo, anche se magari attraversi un periodo difficile oppure sei frustrato perché non giochi. Poi dipende da persona a persona, non siamo tutti uguali. Io credo che i pregiudizi, nel bene o nel male, derivino dal fatto che spesso la gente ci vede prima come calciatori e poi come esseri umani, e a volte la parte “umana” non viene nemmeno presa in considerazione. [/reply]Però è anche per questo che vi pagano tanto, no?[reply]La formula “calciatore uguale soldi uguale divertimento” è sbagliata. Siamo persone, ognuna con i propri problemi, con le proprie vite personali e tutto quello che può passarci in mezzo.[/reply]Secondo me il problema è che giocare a calcio da una parte è il sogno di tutti i bambini, e che anche se in pochissimi riescono a realizzare resta pur sempre un gioco; ma dall’altra si fonde con i soldi, la fama, il business e grandi responsabilità che non è facile gestire da giovani.[reply]Sicuramente devi responsabilizzarti prima. Il calcio invecchia, ti cambia il modo di pensare. Hai bisogno di una vita personale di una determinata maniera per poter gestire tutto al meglio. [/reply]Ti dà fastidio essere un personaggio pubblico?[reply]No, anzi, mi piace. Alla fine è uno dei motivi per cui da bambino sognavo di diventare calciatore. Quando incontri persone che vogliono una foto con te o vogliono un autografo sono sempre momenti belli, che mi danno forza.[/reply]Anche quando vivi stagioni fallimentari dal punto di vista dei risultati di squadra, tipo la retrocessione dello scorso anno? [reply]Purtroppo nel calcio tutto è visto in base ai risultati, il che da una parte lo capisco, ma da un’altra non è sempre facile. La scorsa stagione è stata dura, abbiamo avuto tanti problemi. Personalmente è stata davvero difficile perché per me perdere è sempre una cosa difficile da accettare: mi logora dentro, mi porta a cambiare l’atteggiamento che ho nei confronti delle persone che ho attorno. [/reply]A proposito di questo, non so se hai visto All or Nothing, il documentario sul Manchester City prodotto da Amazon Prime. Mi ha colpito molto Sergio Agüero che dice di passare molto tempo in casa da solo, lontano dalla famiglia e dai figli, di uscire poco. I calciatori soffrono di solitudine?[reply]Le persone spesso si dimenticano la vita che abbiamo al di fuori del calcio. Quando vai in ritiro, o inizi la preparazione estiva, per esempio, passi tanto tempo lontano dalla tua ragazza, dalla famiglia o i tuoi amici. Quella di Aguero è una situazione che comprendo bene perché vivo da solo da quando ho sedici anni, da quando mi prese il Genoa e abitavo in un Convitto con tanti altri ragazzi (tra cui Perin e Sturaro, ndr). Non sapevo se ce l’avrei fatta o meno, nessuno di noi lo sapeva, non avevamo certezze e a quell’età le certezze sono la cosa più importante. È un investimento che fai su te stesso senza sapere come andrà a finire, che comporta dei sacrifici, perché devi rinunciare a tante cose.[/reply]Nonostante tanti dei tuoi amici o coetanei avrebbero preferito essere al tuo posto.[reply]Certo, ma infatti non mi fraintendere: ho avuto una grande opportunità. Però è anche per questo che mi piace tornare a casa ogni volta che posso, per uscire con gli amici del paese. Anche quando non facciamo niente di particolare o passiamo la serata tra di noi, per me è sempre una cosa speciale, perché quando ero più giovane non lo potevo fare quasi mai.[/reply]

Foto di Paolo Bruno/Getty Images

E della depressione che ne pensi? In Italia è ancora un tabù, ma nel calcio internazionale se ne parla sempre di più. [reply]La testa è tanto, l’85% di quello che fai. Come ti ho detto prima, associare il calcio ai soldi e al divertimento è un errore, perché ci sono tanti che invece non sono felici.[/reply]Eppure non se ne parla quasi mai. Dalla prossima stagione in NBA ogni squadra dovrà avere nel proprio staff medico almeno uno psicologo…[reply]Credo ci sia una comunicatività diversa, anche in Inghilterra ci sono giocatori che hanno confessato di aver avuto problemi. In Italia a volte si ha paura di venire giudicati nel modo sbagliato. Sicuramente è un argomento importante, di cui bisognerebbe parlare più apertamente.[/reply]Come per l’omosessualità? [reply]Certamente, anche se qui ci sono stati ancora pochissimi coming out e magari c’è ancora la paura di essere i primi a farlo, con tutto quello che potrebbe conseguirne. Ma la mia risposta non cambia: bisognerebbe parlarne e soprattutto accettare la realtà senza problemi, perché, di fatto, non ce ne sono. [/reply]Ti sembra che gli sportivi di alto livello vivano all’interno di una realtà più facile, come dire, più immacolata?All’interno di una bolla?[reply]Per tante cose è vero. Non a caso, parlando con tanti giocatori più anziani di me, tutti mi dicono che quando smetti è sempre dura. Per un anno, un anno e mezzo, è difficile tornare a fare una vita “normale”, perché perdi la routine che ti eri costruito fin da quando avevi sedici, diciassette anni. Forse anche per questo cerco di tenere la mia vita il più semplice possibile.[/reply]Andando in vacanza a Formentera o a Miami?[reply]Non posso parlare per gli altri però per me è una questione molto semplice: per undici mesi l’anno devo sempre dare il massimo, quindi quando vado in vacanza ho bisogno di staccare. E se andare a Miami mi permette di farlo ben venga. Alla fine questo discorso si può ricollegare al discorso dei soldi: se puoi permetterlo, non vedo cosa ci sia di male nell’andare in un posto piuttosto che un altro. Sicuramente non credo che il modo in cui scegli di passare le vacanze ti qualifichi come persona, questo no. Ma lo stesso vale per le belle macchine o le borse di Louis Vuitton…[/reply]Quando torni in paese senti che c’è un po’ di invidia? Magari tra te e tuo fratello, visto che anche lui è calciatore ma a un livello diverso dal tuo?[reply]A volte sì, ma negli anni ho imparato a circondarmi di persone che mi vogliono bene e che cercano di vedermi semplicemente come Mattia. E anche con mio fratello, non ci sono assolutamente problemi: anche se non lo ammetterebbe mai, so che è il mio più grande tifoso ed è orgoglioso di me così come io lo sono di lui. Poi, a dirla tutta, da piccoli ero io quello geloso di lui, perché era più bravo di me.[/reply]Ti è capitato di vedere altri giocatori che consideri più forti di te che però, per un motivo o un altro, si sono persi o non hanno saputo esprimere il loro potenziale?[reply]Sicuramente. Purtroppo, anzi, per fortuna (ride, ndr) la testa e la voglia di migliorarsi sono fondamentali. In tanti fanno una grande annata e poi si perdono, oppure non hanno la stamina per tenere il ritmo. Il talento puro ti può portare fino a un certo livello, poi deve subentrare la parte matura di te stesso, quella che lo vuole davvero, per arrivare fino in vetta. [/reply]Mi chiedo spesso se ci sono differenze tra come viene visto il calcio dal di fuori rispetto a chi ne ha fatto una carriera lavorativa. Quanta comprensione c’è del calcio, nelle cose cose che si leggono?[reply]Non troppa, onestamente. In Italia siamo tutti allenatori, anzi, intenditori; e non solo di calcio. Però spesso si tendono a complicare le cose più di quanto non lo siano realmente.[/reply]Quindi è davvero un “gioco semplice” come lo ha definito più volte Massimiliano Allegri?[reply]Non è un gioco semplice, ma non è neanche complicato come a volte lo si fa passare. Il calciatore è pratico, vuole che i concetti gli siano spiegati nel miglior modo possibile per poter fare il suo lavoro al meglio.[/reply]Io e te ci siamo scontrati spesso su questo argomento. Credi che il calciatore medio abbia davvero qualcosa in più che gli permette di capire meglio quello che succede del tifoso informato?[reply]Penso di sì. Più che altro perché vive in prima persona tante dinamiche che dall’esterno è difficile capire e che soprattutto rischi di non saper interpretare nella giusta maniera.[/reply]Quindi è solo una questione di esperienza? Davide Nicola in un’intervista rilasciata ad Alfredo Giacobbe qui a Ultimo Uomodiceva che per allenare ad alto livello “Non è fondamentale essere stato un calciatore professionista… Fa parte del tuo bagaglio, può essere utile per riconoscere delle dinamiche di gruppo e delle situazioni che hai vissuto. Ma non è necessario”.[reply]Vedi, però, anche lui parla di dinamiche. La dinamiche le fanno le persone e ogni persona ha un proprio carattere e quindi tutto può cambiare da situazione a situazione. È una questione di sfumature e se le hai vissute parti sicuramente avvantaggiato. Poi al giorno d’oggi di calcio se ne vede tanto, di ogni tipo. Anch’io ne guardo tanto, perché mi appassiona, quindi sicuramente c’è una comprensione migliore, ma ancora non basta.[/reply]Allora forse manca qualcosa nella comunicazione? Può essere una questione di editoria?[reply]È un argomento sul quale non credo di avere tutti gli strumenti giusti per potermi esprimere come vorrei. Posso dirti cosa leggo e cosa invece evito. Le pagelle o i commenti alle partite, la cronaca: tutte cose che non leggo mai. Non solo delle mie partite, ma proprio in generale, così come il calciomercato. Mi interessano di più le interviste a calciatori o allenatori, leggere di situazioni di campo, approfondimenti. Oppure storie di grandi sportivi.[/reply]Da calciatore cosa vorresti cambiasse nella comunicazione sportiva?[reply]Diciamo che vorrei venisse fatto un servizio diverso, più variegato. Però comprendo anche le dinamiche aziendali e se la gente vuole leggere delle vacanze dei calciatori penso sia giusto accontentare anche loro. Credo che la vita privata dei calciatori andrebbe lasciata più in secondo piano, però è anche vero che se pubblichi qualcosa di tua iniziativa poi non puoi lamentarti se questa viene ripresa dai giornali.[/reply]Di tattica leggi mai?[reply]Quando capita. Quando è scritta bene, perché no. Voi (riferito a Ultimo Uomo, ndr) fate un bel servizio, e anche le lavagne tattiche di Sky Sport sono molto valide. Però a volte, anche qui, si tende a complicare un po’ troppo le cose. Il calcio non è una serie di momenti, non tutto viene schematizzato. Tutto succede in pochi secondi, in frazioni di secondo devi prendere decisioni complesse o compiere gesti tecnici e spesso capita di sbagliare. Spesso le cose non vanno come le avevi preparate.[/reply]Quanto più importante è divenuta, nel corso del tempo, l’analisi statistica?[reply]Molto, oggi abbiamo tutti i dati che ci servono sempre a nostra disposizione. Li usiamo. Però tutto deve essere fatto nella giusta misura e bisogna essere bravi a interpretare le cose: se io ti dico che una squadra ha fatto il 70% di possesso palla ma ha perso non significa per forza che l’altra ha avuto fortuna. Magari avevano preparato la partita propria così, con un assetto più reattivo. Ogni strumento è utile per capire, però non si deve soltanto focalizzarsi su una cosa. Il calcio è fatto di sfumature.[/reply]Secondo te se gli spettatori venissero informati meglio su questi aspetti tecnici, tattici, interpretativi, non migliorerebbe il modo in cui viviamo questo che in fondo è pur sempre un gioco? [reply]Secondo me se ne parla già in maniera più intelligente rispetto a prima. Ma permettimi di rigirarti la questione: siamo sicuri che certe dinamiche cambierebbero davvero? Perché possiamo stare una serata a discutere di cosa sia meglio, se marcare a uomo o a zona, però poi alla domenica vado in campo e se prendiamo gol al tifoso non interessa cosa stavi marcando. Poi è una questione culturale, il calcio in Italia viene esasperato troppo. A me sembra assurdo che le famiglie non possono andare allo stadio perché hanno paura degli scontri tra tifosi, o che alcune trasferte siano vietate ad alcune tifoserie. Dovremmo riuscire a creare infrastrutture migliori che invece invoglino la gente a venire allo stadio, a godersi la partita. Il calcio deve essere una festa, un punto di ritrovo per famiglie e amici. Bisogna voler venire allo stadio perché si vogliono vedere gesti tecnici che poche persone al mondo sanno fare, per goderne dell’estetica. Spero che col tempo si possa riuscirci.[/reply]Lo spero anch’io. A proposito, è meglio marcare a zona o la marcatura a uomo?[reply]Nella mia esperienza da difensore, te lo dico sinceramente: è meglio non prendere gol. [/reply]

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