Mattia Bani esordisce in Serie A il 5 gennaio 2018 in un Chievo-Udinese finito 1-1. Una partita piuttosto anonima, ma della quale possiedo un ricordo piuttosto nitido. Un passaggio rasoterra diretto a Rodrigo De Paul, centrocampista dell’Udinese, che un paio di metri dentro l’area di rigore, controlla e calcia a botta sicura. Un pallone che sarebbe potuto entrare, non fosse stato per il provvidenziale intervento di Mattia Bani.
Forse mi ha colpito perché Bani non è solo un calciatore professionista – dopo due stagioni al Chievo è stato acquistato dal Bologna durante l’estate – ma soprattutto perché è nato e cresciuto nello stesso paesino della campagna toscana (Rufina, 25 chilometri da Firenze) dove sono nato e cresciuto anch’io. Ci conosciamo da anni e adesso che Mattia è anche un calciatore professionista le due realtà, quella mia privata e provinciale e quella patinata del calcio italiano, sono sfumate l’una nell’altra.
Te la ricordi la partita con l’Udinese?
Hai pensato “ce l’ho fatta” quel giorno?
La tua gavetta parte da lontano, dalla Serie D, poi due anni in Lega Pro, e tre stagioni in Serie B con la Pro Vercelli, prima del salto definitivo col Chievo. Te l’eri immaginata così, la Serie A?
Foto di Marco Alpozzi/LaPresse
Tre anni in Serie B possono essere molto lunghi
Avresti preferito giocare subito contro Mauro Icardi o Cristiano Ronaldo (O Edin Dzeko, che se non sbaglio mi dicevi essere il giocatore che ti ha impressionato di più)?
Questa mi sembra una risposta un po’ “da calciatore”. Essere professionisti al top della propria professione credo richieda anche una grossa dose di faccia tosta, un’autostima molto alta, di cui si parla poco.
Ma non diventa dura quando, dopo aver iniziato a salire, ci si ferma, ci si deve “accontentare”?
E quando vedi altri che salgono prima di te, non pensi di non essere inferiore a loro?
Bologna lo consideri un ulteriore “salto” per la tua carriera?
Foto di Foto Massimo Paolone/LaPresse
Anche se non stai giocando, in questo avvio di stagione?
Immagino non sia sempre facile gestire la pressione…
Però è anche per questo che vi pagano tanto, no?
Secondo me il problema è che giocare a calcio da una parte è il sogno di tutti i bambini, e che anche se in pochissimi riescono a realizzare resta pur sempre un gioco; ma dall’altra si fonde con i soldi, la fama, il business e grandi responsabilità che non è facile gestire da giovani.
Ti dà fastidio essere un personaggio pubblico?
Anche quando vivi stagioni fallimentari dal punto di vista dei risultati di squadra, tipo la retrocessione dello scorso anno?
A proposito di questo, non so se hai visto All or Nothing, il documentario sul Manchester City prodotto da Amazon Prime. Mi ha colpito molto Sergio Agüero che dice di passare molto tempo in casa da solo, lontano dalla famiglia e dai figli, di uscire poco. I calciatori soffrono di solitudine?
Nonostante tanti dei tuoi amici o coetanei avrebbero preferito essere al tuo posto.
Foto di Paolo Bruno/Getty Images
E della depressione che ne pensi? In Italia è ancora un tabù, ma nel calcio internazionale se ne parla sempre di più.
Eppure non se ne parla quasi mai. Dalla prossima stagione in NBA ogni squadra dovrà avere nel proprio staff medico almeno uno psicologo…
Come per l’omosessualità?
Ti sembra che gli sportivi di alto livello vivano all’interno di una realtà più facile, come dire, più immacolata?All’interno di una bolla?
Andando in vacanza a Formentera o a Miami?
Quando torni in paese senti che c’è un po’ di invidia? Magari tra te e tuo fratello, visto che anche lui è calciatore ma a un livello diverso dal tuo?
Ti è capitato di vedere altri giocatori che consideri più forti di te che però, per un motivo o un altro, si sono persi o non hanno saputo esprimere il loro potenziale?
Mi chiedo spesso se ci sono differenze tra come viene visto il calcio dal di fuori rispetto a chi ne ha fatto una carriera lavorativa. Quanta comprensione c’è del calcio, nelle cose cose che si leggono?
Quindi è davvero un “gioco semplice” come lo ha definito più volte Massimiliano Allegri?
Io e te ci siamo scontrati spesso su questo argomento. Credi che il calciatore medio abbia davvero qualcosa in più che gli permette di capire meglio quello che succede del tifoso informato?
Quindi è solo una questione di esperienza? Davide Nicola in un’intervista rilasciata ad Alfredo Giacobbe qui a Ultimo Uomo diceva che per allenare ad alto livello “Non è fondamentale essere stato un calciatore professionista… Fa parte del tuo bagaglio, può essere utile per riconoscere delle dinamiche di gruppo e delle situazioni che hai vissuto. Ma non è necessario”.
Allora forse manca qualcosa nella comunicazione? Può essere una questione di editoria?
Da calciatore cosa vorresti cambiasse nella comunicazione sportiva?
Di tattica leggi mai?
Quanto più importante è divenuta, nel corso del tempo, l’analisi statistica?
Secondo te se gli spettatori venissero informati meglio su questi aspetti tecnici, tattici, interpretativi, non migliorerebbe il modo in cui viviamo questo che in fondo è pur sempre un gioco?
Poi è una questione culturale, il calcio in Italia viene esasperato troppo. A me sembra assurdo che le famiglie non possono andare allo stadio perché hanno paura degli scontri tra tifosi, o che alcune trasferte siano vietate ad alcune tifoserie. Dovremmo riuscire a creare infrastrutture migliori che invece invoglino la gente a venire allo stadio, a godersi la partita. Il calcio deve essere una festa, un punto di ritrovo per famiglie e amici. Bisogna voler venire allo stadio perché si vogliono vedere gesti tecnici che poche persone al mondo sanno fare, per goderne dell’estetica. Spero che col tempo si possa riuscirci.
Lo spero anch’io. A proposito, è meglio marcare a zona o la marcatura a uomo?