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Foto di Kevin Winter/Getty Images
NBA Ennio Terrasi Borghesan 15 luglio 2016 7'

Life in technicolor

La vita e l’ispirazione di Craig Sager nel mondo dello sport americano.

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Era il 1993 quando Jim Valvano, passato alla storia per essere il coach della North Carolina State campione NCAA dieci anni prima, commosse la platea dal palco dei primi ESPY Awards parlando a cuore aperto e con estrema franchezza del cancro che di lì a poco l’avrebbe ucciso. Da quel palco annunciò la nascita della “V Foundation for Cancer Research”, che negli ultimi 23 anni ha raccolto milioni di dollari per finanziare la ricerca sul cancro.

 

Per ricordare Valvano, nel 2007 ESPN annunciò la creazione del Jim Valvano Award for Perseverance, attribuito a un personaggio, prevalentemente sportivo o appartenente alla sfera d’influenza dello sport, distintosi alla luce del motto Don’t Give Up, Don’t Ever Give Up.

 

In 9 anni il premio si è succeduto nelle mani, tra le altre, di allenatori come George Karl o anchorman come Stuart Scott. Quando si è trattato di scegliere il Jimmy V Award 2016 probabilmente ci sono stati pochi dubbi sul nome di Craig Graham Sager.

 

 

“I like to wear a sunny, shiny day“

 

Un sogno è generalmente composto di colori. Ci viene spiegato, quando siamo nel pieno dell’infanzia prima e dell’adolescenza poi, che più i colori sono vividi più un sogno è potente, inseguito, “sognato”. Nel sogno viene spesso naturale ispirarsi agli esempi più luminosi, più colorati, a chi fa la storia del settore cui ci si riferisce e si aspira, a chi è in grado di lasciare una “legacy” che vada oltre la singola persona.

 

La rivoluzione digitale e la conseguente creazione di nuove forme di comunicazione hanno portato, tra gli effetti, a una rinnovata attenzione per i particolari, per il dettaglio. In un’immagine a noi comune siamo spesso portati a notare, prima di tutto, il diverso, l’inusuale.

 

È convenzione comune che chi comunica un messaggio attraverso il potentissimo mezzo del video debba assumere una postura che riesca a concentrare lo sguardo e la visione dello spettatore su di lui, per fare in modo che il messaggio arrivi in maniera più diretta e immediata. Pensate ai classici reportage degli inviati in zona di guerra piuttosto che da grandi eventi: l’outfit di questi è, da un lato, sempre direttamente legato al contesto, mentre dall’altro tende ad essere “neutro”. Sin dall’infanzia i nostri genitori ci insegnano che si comunica con tutto, anche col nostro abbigliamento. È grazie a tutto questo che notiamo il diverso, l’inusuale.

 

Bisogna fare attenzione, però: non sono solo gli inusuali colori dei suoi suit a rendere speciale Craig Sager.

 

 

Willy the Wildcat

 

“Time is something that cannot be bought, is not an endless supply, is how you live your life. I’m a kid from the small Illinois town of Batavia who has climbed the Great Wall of China, ran with the bulls in Pamplona and have interviewed Gregg Popovich, mid-game, Spurs down 7” – Craig Sager

 

Leggendo della vita del più riconoscibile Sideline Reporter dello sport americano, nato 65 anni fa a Batavia (Illinois), ci si rende conto di come i colori abbiano sempre rappresentato un elemento rilevante del suo lungo viaggio. Colori come quelli di Willy the Wildcat, la mascotte della Northwestern University da lui frequentata: Willy diventò l’alter-ego di Craig anche grazie a un infortunio che precluse al giovane Sager una possibile carriera nel football universitario.

 

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I colori della Florida – dove Sager si trasferì dopo la Northwestern dividendosi tra fare il reporter per una radio locale, il cameriere in un ristorante e le previsioni del tempo a Tampa Bay – rappresentano l’ispirazione per i vestiti colorati che lo hanno reso noto al grande pubblico. Nonostante si fosse presentato al provino con un vestito blu, bianco e giallo – un accostamento di colori che mise in difficoltà i cameraman – venne assunto dall’emittente di Tampa, a patto di non indossare quei colori in diretta.

 

I colori ritornano anche in occasione del 5 aprile del 1974, quando all’Atlanta Stadium Hank Aaron mise a segno il suo fuoricampo numero 715, quello valido a battere lo storico record di Babe Ruth. Tra i reporter sul diamante c’era anche un giovanissimo Craig, che viaggiò per la Georgia a sue spese rischiando di perdere il lavoro; non successe, ed ebbe pure l’intuizione di azzeccare la “zona giusta” del campo dove Aaron fece la camminata trionfale, regalando al giovane reporter dallo sgargiante abito bianco il primo scoop della sua carriera.

 

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La vita multicolore di Sager continuò, tra notti passate in stalle di cavalli da corsa e disavventure con invasori di campo. Fino al 1981, quando la sua vita si colorò essenzialmente di biancorosso, i colori del logo della CNN, della quale Craig fu l’impiegato numero 343 in ordine cronologico, assunto dopo aver rielaborato una sua trasmissione, fatta per un’altra emittente, e averla spedita a Ted Turner in persona. Ma c’è un colore che Craig, per sua stessa ammissione, spesso si rifiuta di indossare: il nero. Il colore della tristezza, il colore del lutto.

 

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#SagerStrong

 

“Sports are supposed to be fun, and so I have fun with the way I dress” – Craig Sager

 

Non c’è bisogno di una laurea in matematica per capire che il 2% è una percentuale ridotta. Specialmente quando questa corrisponde alle probabilità che tuo figlio sia un perfect match per il trapianto di midollo osseo di cui hai assoluto bisogno per poter sopravvivere.

 

Il 10 aprile 2014, poco dopo il classico briefing pre-partita con i suoi colleghi della TNT, Craig decise di andare a correre, una consuetudine che tendeva a fare sempre più spesso in quel periodo. Quella volta, però, successe qualcosa di diverso: l’inusuale stanchezza – che comunque non gli impedì di svolgere il suo lavoro quella sera – lo portò a svolgere una serie di controlli medici che oscurarono all’improvviso i colori che avevano sempre circondato la sua vita.

 

Gli era stata appena diagnosticata la leucemia.

 

Fu a quel punto che, nelle settimane successive, quel 2% divenne 100: il 26enne figlio Craig jr., dopo averlo sostituito per l’inizio dei playoff, era un donatore compatibile. Più che uno, Il Donatore: oltre a lui vi era soltanto un’altra possibilità, in Europa.

 

Il trapianto ebbe successo e la lunga riabilitazione, accompagnata da centinaia di messaggi di sostegno provenienti dall’intero mondo NBA, si concluse il 5 marzo 2015 allo United Center di Chicago.

 

 

Il peggio sembra messo alle spalle, con Sager che inizia la stagione 2015-16 sognando anche le Olimpiadi di Rio de Janeiro (il nativo di Batavia è stato inviato per la NBC per le ultime due Olimpiadi, sempre a seguire da bordocampista Team USA) e riprendendo i suoi ruoli al 100% con TNT e NBA TV.

 

Il ritorno di Craig a bordocampo aveva significato anche il ritorno dei siparietti con Gregg Popovich: con il cancro in remissione, sembrava che la storia di Sager dovesse andarsi ad aggiungere a quelle di tanti altri Cancer Survivor. Sembrava, fino allo scorso 21 marzo.

 

 

It’s not over yet. L’anima combattiva di Craig ha generato, da subito, una reazione forte nel mondo NBA: da un lato i suoi colleghi delle TV, locali e non, ne hanno emulato gli outfit creativi; dall’altro l’intero mondo del basket americano ha colto l’occasione per ribadire ulteriormente l’importanza di Sager per il loro mondo, tra un ricordo e l’altro.

 

Una settimana dopo l’annuncio sulle sue condizioni di salute Craig era già al lavoro, e nonostante una diagnosi che tende a non dargli più di 3-6 mesi di vita, ha coperto anche le ultime Final Four NCAA di Houston e gli ultimi playoff NBA. Nonostante tutto.

 

Perché, come ha tenuto a far sapere, non ha assolutamente intenzione di fermarsi.

 

 

 

A colorful legacy

 

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“He’s just been such a genuine person who does really just love the NBA, who loves the Game” – Gregg Popovich

 

Questa frase del leggendario coach dei San Antonio Spurs è forse la migliore in assoluto per descrivere l’effetto che Sager sta avendo e avrà a prescindere da come andrà a finire la sua storia, sul mondo del sport americano. Ne è perfetta dimostrazione l’ondata di affetto e “positività” che si è sprigionata nel mondo NBA dopo l’accordo tra ESPN e Turner Sports che ha permesso, per una sera, al Sideline Reporter di Batavia di poter coprire Gara-6 delle recenti Finali NBA: la prima Finale NBA coperta da Sager in carriera.

 

Il sorriso contagioso, come a voler essere direttamente collegato con il colore dei suoi vestiti, ispira e sensibilizza campagne di raccolta fondi contro la leucemia e, più semplicemente, l’umanità che può rappresentare l’approcciarsi ad un male che non ti regala certezze sul tuo futuro. L’insegnamento di Craig Sager, in questa fase della sua vita, è quello di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Ma la potenziale banalità di questo concetto, spesso abusato quando parliamo di qualcuno che fronteggia un “male incurabile”, viene meno quando guardiamo all’insieme, all’intera tavolozza di colore che è stata la vita del  Sideline Reporter per eccellenza.

 

La passione, che lo portò a conciliare tre lavori nella speranza di catch the break o a rischiare il primo lavoro dopo il college per inseguire lo scoop di una vita, ci mostra semplicemente come Craig Sager stia vivendo la leucemia esattamente come ha vissuto la sua intera esistenza: affrontandola come un pittore estroverso approccia una tela bianca. Con voglia di creare, di dipingere, di colorare il mondo. Non solo con i suoi vestiti, ma soprattutto con il modo unico, divertente e sagace di approcciarsi allo sport che ama, nel provare a raccontarlo in poco più dei 30 secondi che gli sono concessi ad ogni intervista.

 

Nel mondo mediatico di oggi, dove la proliferazione di piattaforme digitali e la moltiplicazione dei modi in cui comunicare un messaggio, per chi vuole comunicare e raccontare per lavoro è fondamentale la passione. Passione che, spesso, è quella che trasporta un sogno verso l’effettiva realizzazione. Che ti spinge oltre ogni ostacolo, oltre ogni limite (anche fisico). La storia dello sport è stata spesso dipinta di “passione”, di esempi ne abbiamo tanti e ne continueremo ad avere altrettanti.

 

Una passione che, alla domanda “Why you do this?”, porta alla risposta “Because I can”.

 

“The way you feel determines how you act: I will never give up and I will never give in.”

 

Craig Sager feels la vita, lo sport, l’amore. Questa è la sua passione.

 

 

 

Tags : final nbagiornalistinbausa

Ennio Terrasi Borghesan è nato a Palermo nel 1992. Nel suo cuore ci sono l'Uruguay, Londra, le Serie TV e qualsiasi livello di Pallacanestro. Ha diretto Bocconi TV e realizzato il format Sport Frame. Manu Ginobili è il suo eroe.

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