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Foto di Jefferson Bernardes / Getty
Calcio Fabrizio Gabrielli e Stefano Borghi 30 novembre 2017 15'

Iconica Libertadores

Tutto quello che dovreste sapere su una delle edizioni più spettacolari degli ultimi anni.

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Quest’anno la Copa Libertadores prevedeva la partecipazione di 47 squadre invece delle solite 38 e, per la prima volta, è stata pensata su un anno solare e non più lungo un semestre. In questo modo in mezzo è arrivato il mercato estivo europeo, che poteva scombinare i piani delle squadre. Un cambio di formato che sulla carta aveva i contorni di una rivoluzione negativa. Al contrario, è stata una delle edizioni più spettacolari degli ultimi anni, con un finale che ha incoronato con merito il ritorno del Gremio sul trono d’America. Due vittorie, nette e giuste sul Lanus di Jorge Almiron.

 

Il Gremio ha vinto superando innanzitutto la tensione. Nel primo tempo della finale di andata le gambe dei ragazzi di Renato Portaluppi – il primo brasiliano a conquistare la Copa sia da giocatore che da allenatore – sembravano molli per la pressione di un’Arena vestita a festa, non però le mani del portiere Marcelo Grohe (come vedremo tra poco). Anzi, “MilaGrohe”.

 

È stata un’incertezza durata poco, giusto il tempo di illudere il Lanus. Poi è stato un vero e proprio show gaùcho. Coronato all’andata dal gol simbolico di Cicero – uno che ha firmato un trimestrale solo per giocare la Libertadores e vendicarsi della finale persa nel 2008 con la maglia del Flu – e al ritorno dalle due abbacinanti folate di Fernandinho e Luan. Simbolico, e giusto, anche il rigore di Sand che permette a Pepe di consolarsi con il premio di capocannoniere dopo una grande avventura. Ma al simbolo “granate” resta solo questo: il Gremio è Tricampeão, il Sudamerica è Tricolor.

 

Un Grêmio molto brasiliano (e quindi molto poco sudamericano)

 

Il Grêmio è una bella squadra. Sembra una definizione banale, in realtà è la più semplice e completa per inquadrare il blocco costruito da Renato Portaluppi, noto a Roma solo  per le prodezze extra-campo e immortale a Rio de Janeiro per aver deciso uno storico Fla-Flu di pancia. A Porto Alegre ha dimostrato che la dimensione dell’allenatore è quella che gli calza meglio. È una bella squadra perché sa fare spettacolo e sa essere pratica, ha concetti moderni ma anche il gusto per le cose antiche. Organizzazione e talento, intelligenza e spavalderia.

 

La traccia è quella di un 4-2-3-1 piuttosto schematico, molto offensivo nella sua essenza brasiliana ma anche solido e reattivo nelle letture, sia delle situazioni che dei momenti della partita. L’epicentro di tutto è anche il giocatore dalle prospettive più grandi incoronato da questa Copa: il ventiquattrenne Luan, che da Rio 2016 – dove è stato il perfetto cavo elettrico per far brillare d’oro le luci di Neymar e Gabriel Jesus – alla Libertadores 2017 è cresciuto molto: con otto gol, compreso quello delizioso della finale, è diventato il principale protagonista dei “gauchos” in questa campagna.

 

 

Luan parte alle spalle di un centravanti veloce e furbo come l’esperto paraguayano Lucas Barrios, in realtà poi va a prendersi il pallone in qualunque zona della trequarti determinando tutto il gioco offensivo del Tricolor, associandosi alla perfezione con l’esterno sinistro Fernandinho, proponendosi come assistente di qualità e definendo in prima persona.

 

Nella sala macchine della squadra lavorano insieme cinque giocatori estremamente dinamici: l’esterno destro Remiro – arrivato al culmine di un 2017 di grandissima maturazione, dopo essere passato da tanti ruoli e tante partite –; la giovane cerniera mediana che abbina la continuità del piccolo Arthur, ventunenne che impressiona per la sua capacità di governare i tempi e gli spazi, all’intelligente reattività di Jailson; una coppia di laterali estremamente equilibrata, che bilancia l’istinto offensivo di Bruno Cortes con l’attenzione di Edilson, che oltre a dare una mano a due centrali molto fisici ma poco rapidi come Geromel e Kanneman ha anche destro prezioso e potente.

Il tutto davanti a un portiere come Marcelo Grohe, che è da tempo idolo e da qualche settimana anche storia di questo calcio con la parata leggendaria di Guayaquil.

 

La giocata più bella

Il fatto che la giocata più memorabile di questa Libertadores sia una parata mi sembra, da una parte, il meraviglioso suggello dell’imprevedibilità della competizione regina del Sudamerica. Dall’altra, però, è anche un primato estremamente pragmatico, che smonta ogni cliché che vuole il continente patria del genio.

 

Per capire la straordinarietà della parata di Grohe, portiere del Grêmio, ci vuole un po’ di contesto: siamo in Ecuador, a Guayaquil, e si sta giocando la semifinale di andata tra i brasiliani e il Barcelona SC. A inizio secondo tempo, con l’Imortal Tricolor in vantaggio per 2-0, Damian Diaz sfiora una palla spiovente dalla fascia destra. Non tanto quanto serve per indirizzarla verso la porta, ma quel tanto che basta per servire ad Ariel Nahuelpan l’assist più goloso della sua (peraltro assurda e piena di nonsense) carriera. Come ha sintetizzato l’allenatore del Grêmio Renato Portaluppi, una di quelle palle che «Toccala ed è gol. Semplice», che detto da lui, poi. Sarebbe potuta essere la rete che avrebbe riaperto i destini del doppio confronto, con un tempo (e una partita intera, quella del ritorno) ancora da giocare. E invece.

 

How did he save that? 😱 pic.twitter.com/AILc33KHqe

— Goal (@goal) 26 ottobre 2017

 

Interpellato su cosa abbia combinato, Grohe ha la confusione sfasata di chi è uscito illeso da un frontale con un tir. «È difficile spiegarlo a parole. È successo tutto così velocemente». La prima forza che lo muove, ovviamente, è l’istinto: quando Diaz sfiora con la testa Grohe è ancora sul palo di destra, opposto al posizionamento di Nahuelpan. Però poi subentrano la reattività, l’atletismo e la forza fisica: in un secondo, letteralmente, Grohe si lancia con il braccio destro teso. Qualcuno contesterà che Nahuelpan sia riuscito a colpire esattamente il braccio. In parte è vero. Ma quanta potenza fisica deve avere, quel polso, per respingere un tiro a) così ravvicinato b) di volée, di collo pieno c) con il piede preferito di Nahuelpan?  

 

Joao Leite, il portiere del Brasile ai Mondiali messicani del ‘70, l’ha paragonata alla parata di Banks sul colpo di testa di Pelè. «Lì per lì non ho realizzato di aver fatto quella parata. Me ne sono reso conto negli spogliatoi, quando sono venuti tutti a congratularsi, a farmi vedere i video di che avevo combinato».

Mandate a loop i due secondi in cui Nahuelpan osserva Grohe dopo il rinvio. E auguratevi che nessuno vi guardi mai così in vita vostra.

 

La semifinale che il Club Lanús non dimenticherà mai. E neppure il River Plate

 

Da tempo aspettavamo l’introduzione della “video assistenza arbitrale”, convintissimi che avrebbe risolto molte polemiche e fraintendimenti. E, per quanto visto finora, sta andando esattamente così: con l’ausilio del VAR, si eliminano tantissimi errori. Però Lanús-River Plate, semifinale di ritorno della Copa Libertadores 2017 nonché la prima partita nella storia del calcio sudamericano decisa dalla cosiddetta moviola in campo, ci ha mandato in crisi. Non tanto perché l’equipe arbitrale ha utilizzato malissimo lo strumento, di fatto penalizzando in modo probabilmente decisivo il River. Quanto perché, se la tecnologia fosse stata utilizzata correttamente e fosse stato concesso alla squadra di Gallardo il rigore del potenziale 0-3 (0-4 contando anche il risultato dell’andata), ci saremmo persi una delle rimonte più belle, esaltanti ed epiche nella storia della Libertadores.

 

Se – giustamente – fosse stato punito con il penalty il fallo di mano di Marcone, non avremmo visto il Lanús segnare quattro reti in venticinque minuti alla squadra che ha fatto il più lungo e importante ciclo vincente nell’ultimo decennio di calcio latinoamericano. Non avremmo mai visto l’ennesima impresa di Pepe Sand, un entusiasta ragazzino di trentasette anni che quando mette la “9 granate” sa ribaltare il mondo con i piedi, che ha mandato in rete l’ultimo pallone del primo tempo e il primo del secondo, arrivando a quota 235 timbri con la maglia a cui ha dato tutto e che gli ha restituito tantissimo. Non avremmo mai assistito all’esplosione dell’amore filiale del “Laucha” Acosta nei confronti di un club che per lui conta più di qualsiasi cosa: a Gennaio ha rifiutato un’offerta multimilionaria dal calcio cinese dicendo letteralmente «il Lanús vale più di qualsiasi cifra», questo perché quando lui era un bambino e la tremenda crisi del 2001 aveva messo in ginocchio la sua famiglia, fu il “granate” a dare un lavoro a suo padre come addetto alle pulizie e a permettere al suo nucleo familiare di sopravvivere. Debito, a questo punto, totalmente saldato.

 

Ci sarebbe anche rimasta in testa un’immagine sbagliata della squadra costruita da Jorge Almirón, il più “menottista” degli attuali tecnici d’Argentina: non è quella speculativa e forse troppo attendista della gara di andata, ma proprio quella che ha scatenato una tempesta tecnica al ritorno, sotterrando il grande River Plate di Gallardo con una montagna di triangoli veloci e codificati, con meccanismi perfetti che partono dal vertice basso di centrocampo Ivan Marcone e si sviluppano su catene diagonali costruite fra l’intermedio e l’ala, che vedono a destra l’esperto Martínez e l’elettrico uruguagio Silva fondere educazione tattica e imprevedibilità tecnica, mentre a sinistra Pasquini e Acosta trasudano DNA granate, fornendo quel surplus di energia motivazionale che permette di evocare la mistica. Il tutto al servizio di un bomber che ha fermato le lancette.

 

¡¡¡GSHSJSKSBABAJAHAJSBFJWJSBSBSJB!!!

— Club Atlético Lanús (@clublanus) 1 novembre 2017

 

Sarebbe stato un vero peccato perdersi tutto questo, anche se i tifosi del River ne avrebbero fatto volentieri a meno.

 

I migliori tre gol del vicecapocannoniere di Libertadores, cioè Alejandro Chumacero aka Chumasteiger

 

Il nome di Alejandro Chumacero è talmente girato negli ultimi tempi (e diventato oggetto di un culto molto di nicchia) da arrivare fino in Italia. “Chumasteiger”, soprannominato così per una somiglianza bella e surreale con Schweinsteiger, si è laureato vicecapocannoniere insieme a Nacho Scocco (che però ne ha fatti 5 in una partita sola e quindi vale un po’ meno) solo un gol dietro Pepe Sand, con 8 gol. Solo che Scocco e Sand sono due centravanti, Chumacero no. Il ventiseienne, che ci sembra sia sui campi boliviani da sempre, o almeno dai tempi di Árevalo Ríos (per quanto le due accezioni di tempo si somiglino), quest’anno si è un po’ evoluto: da box-to-box aggressivo, molto fisico e principalmente interditore si è trasformato in un accentratore di gioco, con momenti da incursore.

Ho scelto le sue tre reti più belle in questa Libertadores, ognuna delle quali potrebbe ispirare un titolo che lega il suo nome a un top club europeo senza suscitare vergogna (in chi scrive e nei club coinvolti).  

 

  1. Vs Santos – fase a gironi

Bellezza: 7+

Somiglianza con Schweinsteiger: 7

Voce di mercato ispirata: “Chumacero vicino al Betis Siviglia”

 

Come “Basti” ci ha insegnato, non serve essere un trequartista per poterti concedere la squisitezza di una giocata a sensazione, che la tua anima da incrociatore rende solo un po’ più goffa e coatta di quanto apparirebbe se indossassi un dieci.

 

Quando il pallone arriva sul suo destro sembra voglia far saltare in aria la porta avversaria con una stecca, che è poi l’idea di calcio che abbiamo di Chumacero; invece, con un dribbling leggero come l’aria che si respira a La Paz, manda al vento i piani del portiere (che aveva deciso di immolarsi) e del centrale con il 2 (che viene falciato dal suo portiere). A questo punto Chumasteiger, al quale la palla è rimasta inchiodata per l’incredulità di un movimento del genere, sembra andare nel panico, ondeggia sul bacino, muove le braccia come stesse cadendo. Poi ritrova la freddezza che alberga nei suoi occhi, e chiude con un sinistro violento.

 

  1. Vs Unión Española – terza fase preliminare

Bellezza: 5

Somiglianza con Schweinsteiger: 6

Voce di mercato ispirata: “Il Manchester United su Chumacero”

 

#LibertadoresxFOX – Chumacero y Escobar armaron una contra letal para The Strongest. pic.twitter.com/6YjgMxXhYN

— FOX Sports Argentina (@FOXSportsArg) 24 febbraio 2017

 

Questo gol è il bignami dello stile di gioco di Chumasteiger, perfetto per prepararsi al monografico da 2CFU intitolato Tendenze dei mediani moderni in Bolivia. Chumacero non è uno che se ne sta solo a presidiare la sua metà campo: quando il pallone arriva all’enganche (cioè da quello con indosso una delle maglie più belle di questa Libertadores, la 10 del The Strongest con il nome P. Escobar) sente l’obbligo morale di partecipare alla manovra inventandosi un’accelerazione in progressione per 70 metri. Nello stesso momento in cui la corsa si intensifica, e Chumacero aumenta il numero dei passi dando l’impressione di correre sulle punte, è come se qualcuno settasse in slow-motion i movimenti dei centrali cileni, che diventano due semplici gole dentro le quali Chumasteiger si incunea come un treno della Ferroviaria Andina.

 

  1. Vs Montevideo Wanderers – seconda fase preliminare

Bellezza: 9

Somiglianza con Schweinsteiger: 9

Voce di mercato ispirata: “Cristiano chiama Chumacero”

 

La Libertadores è iniziata il 23 Gennaio, praticamente un anno fa. In un anno si giocano un sacco di partite, si segnano caterve di gol in montagne di modi, eppure c’è sempre il rischio che una delle reti messe a segno nelle prime fasi possa cucirsi attorno un’aura che riesce a resistere fino all’epilogo, consentendole di laurearsi la più bella dell’edizione.

 

 

Questo gol di Chumacero è esattamente quel tipo di gol: contro i Wanderers di Montevideo, a metà febbraio, in una partita che finirà 4-0, sembra quasi voler semplicemente calciare di prima, e di sinistro che è il suo piede prediletto, la palla che arriva da un cross dalla sinistra. All’ultimo secondo, però, deve cambiare idea: non credo tanto per questioni pratiche (senza “sforbiciare” avrebbe comunque impattato il pallone in orario), quanto per un puro atto di bullismo e di affermazione del suo stato di grazia.

Dovrebbe ormai essere chiaro che Chumacero non è solo il miglior calciatore di Bolivia, ma evidentemente una specie di Verratti truccato da Schweinsteiger.   

 

Nacho Scocco, l’uomo dei record

 

«Ci sono notti dove devo decidere in quale notte stare», cantano gli Africa Unite. Quella notte, il River Plate ha deciso. E a prendere la decisione è stato Nacho Scocco, ma solo nella forma, che lo ha immortalato come il primo giocatore a calare un pokerissimo in una partita della fase ad eliminazione diretta di Copa Libertadores. Ribaltare uno 0-3 contro i boliviani non è di per sé una cosa epica, ma farlo segnando otto gol e dando l’impressione che avresti potuto farne ancora altrettanti vuol dire lasciare in chi c’era un sentimento netto di gratitudine per esserci stato. Figuriamoci se sei l’uomo copertina.

 

 

A trentadue anni, dopo una carriera in cui ha trovato l’altare solo nella Rosario rossonera e la polvere quando ha cercato fortuna altrove, è arrivato al River e a Gallardo: se sei un attaccante e il Muñeco punta il dito verso di te, devi solo essere pronto. Scocco è sbarcato al Monumental in un momento in cui i Millonarios avevano perso Driussi e Alario, praticamente quelli che nel precedente anno avevano segnato oltre la metà dei gol di squadra. Ma era pronto. Ha segnato al debutto, in Copa Libertadores, in casa del Guaranì, instradando l’ottavo di finale. Poi nel quarto contro il Jorge Wilstermann ha calato cinque reti in cinquanta minuti. E avrebbe anche deciso la semifinale, con il gol di stile segnato all’andata e il rigore freddissimo che ha aperto il ritorno, fissando un altro record, quello di essere il giocatore ad aver segnato più gol con la maglia riverplatense in una singola fase ad eliminazione diretta di Libertadores. Il tutto in quattro mesi. I suoi primi quattro mesi. Niente male. Peccato per lui che gli rimarrà soltanto questo della Libertadores 2017. Perché non proprio tutte le volte puoi essere tu a decidere in quale notte stare.

 

Tre buoni motivi per cui l’Jorge Wilstermann, nonostante tutto, dovrebbe essere la vostra nuova squadra preferita

 

  1. Fondata nel 1949 da un gruppo di dipendenti dell’allora compagnia aerea di bandiera boliviana, la Lloyd Aero Boliviano Flights, è una delle poche squadre al mondo che porta il nome di una persona che non era un missionario, un re o un militare: Jorge Wilstermann è stato il primo aviatore civile boliviano, morto giustappunto in un incidente aereo. Al massimo, se vi appassionate al genere, potreste simpatizzare pure per i salvadoregni del Luis Angel Firpo, che tanto fanno parte della CONCACAF.

 

  1. Cochabamba è conosciuta col nome di Città dell’Eterna Primavera. Durante l’anno difficilmente le temperature scendono sotto i 20°C, quindi sono perfette per andare allo stadio solo con la maglietta a mezze maniche degli Aviatores. In Libertadores, quest’anno, in casa il Wilster (altro bel soprannome) le ha vinte tutte: ha sfracellato il Peñarol 6-2 e sconfitto anche Atlético Tucumán, Palmeiras e River Plate, quest’ultimi per 3-0. Poco importa che fuori casa, invece, non abbia vinto mai, e che sia uscito malamente annichilito da un 8-0 al Monumental Vespucio Liberti, ai quarti di finale. Ma che ci andate a fare, tanto, in trasferta, dove non è sempre primavera?

 

  1. Per essere orgogliosi di una società che chiede, di fronte alle accuse di combine, rispetto per una squadra che ha l’unica colpa di aver fatto, semplicemente, schifo.  

 

Stemmi fantastici e dove trovarli

 

Perché l’Jorge Wilstermann era in ottima compagnia, dopotutto

  1. Club de Deportes Iquique

 

UPLOAD_19817-2-2015

 

Sudamericanità: 3

Timore incusso: 7

 

I campioni del Grêmio, durante tutto il percorso di questa Libertadores, sono stati sconfitti soltanto 2 volte: in semifinale, in casa, contro il Barcelona SC e poi a Iquique, una specie di Acapulco meridionale, con le sue casette variopinte e uno stadio dal nome pretenzioso come Terra dei Campioni. Il Club Deportes Iquique ha nel suo stemma un dragone celeste, un rimando medievale così fuori posto da incutere un timore due volte più grande, perché esotico (in Sudamerica il Medio Evo europeo è esotico, ovviamente). Anche se il dragone non è che la personalizzazione del Cerro Dragón, l’enorme duna di sabbia che si staglia alle spalle di Iquique.

 

  1. Zamora FC

 

Escudo_Zamora

 

Sudamericanità: 10

Timore incusso: 7

 

I venezuelani dello Zamora FC sono tornati a vincere la Primera División nel 2016, la terza della loro storia. Per una squadra fondata solo quarant’anni fa è un bel risultato. Per celebrare, hanno deciso di cambiare lo stemma societario aggiungendo una stella (in Venezuela è più facile farlo) e cambiando radicalmente la geometria dell’escudo. Da un ovale francamente anonimo è passata a un complesso scudetto in cui spicca sempre il profilo baffuto del Generalísimo Zamora, uno dei líder della revolución bolivariana e punto di riferimento del chavismo. In attesa di un Giuseppe Garibaldi FC col profilo barbuto dell’Eroe dei Due Mondi sullo stemma, per ora Zamora FC miglior stemma rivoluzionario del Sudamerica.  

 

  1. Barcelona Sporting Club

 

1200px-Barcelona_SC.svg

 

Sudamericanità: 3

Timore incusso: 10

 

Fin troppo facile, però.

 

L’unica squadra argentina in cui tutta la rosa ha indossato la maglia della Selección

Nella sua pagina Wikipedia Fernando Zampedri è ritratto nell’istante preciso in cui, con la maglia numero 9 dell’Albiceleste, ha appena dettato un passaggio in attesa di una triangolazione che lo porti al gol. Molto probabilmente la foto è stata scattata il 7 Febbraio, cioè il giorno in cui Zampedri ha indossato per l’unica volta (non conta il calcetto del mercoledì) la maglia dell’Albiceleste. Fernando Zampedri non ha mai giocato per l’Argentina, però.

 

El plantel de @ATOficial después de la hazaña conseguida en Quito. pic.twitter.com/DsH356jHcZ

— Atlético Tucumán Of. (@ATOficial) 8 febbraio 2017

Ecuador, decime que se siente.

 

La trasferta dell’Atlético Tucumán a Quito per sfidare El Nacional è stata probabilmente la trasferta più assurda della storia non solo della Libertadores, ma del calcio. E il fatto che fosse la prima trasferta internazionale degli argentini non fa che alimentare il mito del buongiorno che si vede dal mattino.

 

La dirigenza del Decano aveva programmato di arrivare a Quito, per smorzare gli effetti dell’altitudine, a ridosso della gara. Ma il volo da Guayaquil ha fatto un ritardo pazzesco ed è atterrato a Quito a un quarto d’ora dall’orario previsto per l’inizio della partita. L’aeroporto dista dallo stadio 5km, ci vuole un quarto d’ora normalmente: non se trovi di fronte a te un traffico probabilmente architettato ad arte. El Nacional con signorilità – e grazie all’intervento dell’ambasciatore argentino a Quito – non s’è appellato al regolamento ed ha aspettato un’ora e mezza che i rivali arrivassero. Problema ulteriore, però: le divise, le scarpe, i palloni erano rimasti a Guayaquil. Fortunantamente la Sub-20 Albiceleste era in zona per disputare il Sudamericano. Ed è sostanzialmente per questo che tutta la rosa dell’Atlético Tucumán ha indossato la maglia dell’Argentina. E i pantaloncini, e le scarpe. Peccato solo che i nomi non combaciassero. Ma tanto i nomi sono sulle spalle, mica si vedono nelle foto che finiscono sulle pagine Wikipedia.

 

Poi lo chiamano Nuovo Continente

 

Undici anni dopo averla alzata, Juan Sebastián Verón e la Copa Libertadores, come una coppia che fatica a perdersi di vista, si sono ritrovati: in casa contro il Barcelona SC de Guayaquil, a praticamente 6 anni di distanza dall’ultima presenza, la Bruja è tornato a indossare una maglia con la toppa della competizione sulla manica. Nel mezzo c’è stato un ritiro, la nomina a presidente, un ritorno, un altro ritiro, un altro ritorno, poi un ritiro. E infine il ritorno, definitivo ma a tempo, nell’attesa che qualcuno venga a spegnere la radio che passa “I got you” a ripetizione, come in The Groundhog Day.

 

Zé Roberto, invece, per ritirarsi non s’è mai ritirato: eppure l’ala ex Bayern Monaco, che è al Palmeiras ormai da due stagioni, sbalorditivamente solo in questa edizione per la prima volta in carriera è riuscito a giocare in Libertadores.

 

A 43 anni ha trovato anche il primo gol, che è di fatto il gol segnato dal giocatore più anziano nella storia della competizione, e che è comunque molto bello. Una volée simile alla sciabolata che si dà allo champagne, con tanto di piroetta conclusiva, senza rottura del femore. Wow.

 

Anche l’esultanza, in cui si chiede un supporto al VAR in collegamento dall’ufficio anagrafe di San Paolo è discretamente iconica. Perché riesce a essere al contempo sbarazzina e premonitrice. Un ponte tra passato, presente e futuro: proprio come ci aspettiamo sia Zé Roberto che gioca col Palmeiras, proprio come vorremmo fosse sempre la Copa Libertadores.

 

Tags : copa libertadoresgremiolanusrenato portaluppi

Fabrizio Gabrielli scrive e traduce dei libri. Ha tradotto Lugones e collaborato con i blog di Finzioni, Edizioni Sur e Fútbologia occupandosi di Sudamerica, calcio e letteratura, anche in combine. Il suo ultimo libro si intitola "Sforbiciate. Storie di pallone ma anche no" (Piano B, 2012). È vice-direttore de l'Ultimo Uomo.

Stefano Borghi è da anni una delle principali voci del calcio sudamericano in Italia. Ex telecronista di Sportitalia, è ora a Fox Sports dove commenta le partite di calcio internazionale, e della Liga spagnola in particolare.

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