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Emanuele Atturo
Lettera d'amore a Charles De Ketelaere
21 ago 2023
21 ago 2023
Perché tifare per lui e per quello che rappresenta.
(di)
Emanuele Atturo
(foto)
IMAGO / ABACAPRESS
(foto) IMAGO / ABACAPRESS
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GRRRRRR fa Charles De Ketelaere verso la telecamera, la bocca piccola come una nocciolina da cui spuntano un paio di denti perfetti, di chi non ha mai sofferto nella vita. Chissà a chi è venuto in mente, di chiedere una faccia cattiva a questo cucciolo di centrocampista. A questo giocatore sembrato umanamente troppo fragile per il darwinismo del calcio contemporaneo. L’effetto, però, è comico; il manifesto dell’inadeguatezza un po’ sveviana di Charles De Ketelaere, arrivato in Italia per dipingere calcio con la gloriosa maglia rossonera, e un anno dopo cacciato via insieme ai dirigenti che lo avevano acquistato. Ora viene presentato come nuovo acquisto dell’Atalanta, da qualcuno che non ha capito il suo mood. Qualcuno che sta provando a presentare questo poeta tisico dell’800 come un lottatore di MMA.

Che brutto anno deve aver passato Charles De Ketelaere, spesso a testa bassa, sbatacchiato sulla trequarti offensiva come una bambolina di pezza, a terra alle prime spintarelle dei difensori, confuso, disorientato come un labrador abbandonato in autostrada. «Ci aspettavamo di più da Charles, anche lui si aspettava di più da sé stesso» ha detto severo Stefano Pioli, che all’inizio ci ha provato con l’empatia, poi con la durezza, poi ha lasciato perdere e ha gettato CDK nello sgabuzzino insieme al ventilatore vecchio, alle racchette da tennis, agli sci e agli scarponi. Non ha messo De Ketelaere nelle partite importanti, e nemmeno in quelle meno importanti. Chissà cosa ha fatto, Charles De Ketelaere, la scorsa primavera, mentre il Milan si giocava la sua stagione senza contemplare l’esistenza del suo acquisto più oneroso. Il suo talento è sembrato così nascosto da farci pensare che c’eravamo sbagliati. Lo avevamo ricoperto di speranza, di un’attesa un po’ onirica, persino delirante. Abbiamo cercato di sovrapporre la sua faccia a quella di Kakà, guardavamo l’immagine stringendo gli occhi, e poi tornavamo a ubriacarci con le compilation delle sue giocate. Abbiamo puntellato un’immagine quasi del tutto fantastica di CDK, e quando è finalmente arrivato lo abbiamo stretto così forte nel nostro abbraccio che quello si è sbriciolato come un fiore secco. Eppure di fronte a quel video goffo di lui che digrigna i denti, che prova a essere ciò che non è, è impossibile non provare empatia per Charles De Ketelaere. È impossibile non sentire dentro il cuore il rinascere di una speranza, una fiammella che si alza di intensità piano piano, per questo flebile numero dieci. Non esiste racconto eroico che non passi per delle difficoltà e ci piace pensare che il suo primo anno al Milan sia stato un semplice problema di incomprensione. O meglio, un problema di traduzione, fra il calcio soffice di CDK e la brutalità anti-estetica della Serie A. I più grandi geni hanno bisogno di tempo. Abbiamo esultato al suo gol contro il Sassuolo, all’esordio ufficiale con la maglia dell’Atalanta. Abbiamo esultato di certo più di lui, che sembrava come sempre troppo triste per godersi una gioia. Il suo primo gol in Serie A, arrivato con un colpo di testa rattrappito. Dopo che ne aveva già sbagliato uno appena entrato, perché è alto ma troppo floscio per colpire bene la palla di testa; e dopo aver preso una traversa con un tiro che invece sarebbe stato forse più adeguato come suo primo gol in Serie A. Una gioia strozzata visto che non è chiaro che la palla sia entrata fino al ‘bip’ della goal line technology - nessuna enfasi della rete gonfia, nessuna esplosione, una piccola felicità diluita.Nella foto che celebra il suo gol sui social dell’Atalanta la bocca gli si piega in una smorfia schifata. De Ketelaere non sembra poter essere felice o leggero, ma nemmeno possiede quella rabbia agonistica necessaria a sopravvivere nel calcio. Ha una specie di grazia vegetale nella sua apatia, muta e incomprensibile per chi fa parte del mondo del calcio. Charles De Ketelaere è un alieno.È aliena la sua personalità, ma è alieno anche il suo gioco, così minuto, poco appariscente, legato a piccoli dettagli. De Ketelaere è uno di quei capi quiet luxury - tipo Zegna - che sembrano anonimi, finché non ci si concentra sulla loro qualità e sui dettagli. Una protezione palla ben fatta, un tocco di prima che libera una linea di passaggio. In un calcio in cui bisogna provare a confermare il proprio valore in ogni azione - nel calcio degli attaccanti onnivori di palloni e che sbrodolano statistiche come latte in eccesso - De Ketelaere è controculturale. Per questo abbiamo tifato per lui dal suo arrivo in Serie A, abbiamo provato a sostenerlo alle prime difficoltà, e anche a quelle che sono arrivate dopo. È per questo che non vogliamo arrenderci: non vogliamo vederlo fallire, perché sembra un ragazzo simpatico, perché è un giocatore delizioso, perché rappresenta un calcio in via d’estinzione fuori da ogni retorica. Un calcio elegante, anti-agonistico, dove la tecnica e l’inventiva hanno un ruolo ancora importante. Un calcio in cui essere più furbi, o avere l’idea migliore, o fare il tocco più preciso, è più importante di correre più veloci o avere le spalle più grosse. Un calcio in cui non si esulta dopo un tackle in rimessa laterale, non si celebra polemicamente un gol su rigore. Un calcio in cui non si grida. Un calcio indie, lo-fi, da cameretta, quasi.Il calcio contemporaneo è già andato in una certa direzione, di intensità, ritmo, agonismo. Sta andando in quella direzione perché è espressione di una certa cultura, e di un gusto d'intrattenimento. Il calcio, oggi, va detto: è molto divertente. Lo è anche perché in mezzo a partite molto veloci, fra tempi compressi, ci sono giocatori che aggirano i problemi di questa velocità attraverso dei picchi creativi. Giocatori che sanno creare un tempo diverso rallentando e non solo accelerando. Oppure giocatori che surfano su questa velocità con improvvisi guizzi, come la favolosa rabona di Bruno Fernandes qualche giorno fa, nel calcio centrifugato di Tottenham-Manchester United. Charles De Ketelaere fa parte di quella categoria di giocatori che cerca di sopravvivere usando l’intelligenza, nella definizione concisa che ne dà Stefano Mancuso: saper risolvere problemi.Mi rendo conto di fare un pensiero stupido e ingenuo, ma è emozionante pensare che Charles De Ketelaere potrebbe raccogliere l’eredità di Ilicic come grande genio sulla trequarti dell’Atalanta. Ilicic che come CDK sembrava antropologicamente inadeguato al calcio di oggi, troppo fragile ed estemporaneo. Ilicic che però proprio passando attraverso questa fragilità, dando fondo alla sua classe, era riuscito a esprimere un calcio fatto di luce. De Ketelaere è un giocatore diverso e bisogna star attenti a non forzare troppo questi paragoni impressionistici. Magari non raggiungerà mai i picchi fenomenali di Ilicic, ma fa parte di quella stessa categoria di giocatori. Ed è anche bello che un allenatore come Giampiero Gasperini abbia deciso di puntare su di lui, di scommettere sulla sua riuscita. Da qualche anno ormai l’Atalanta cerca infruttuosamente dei sostituti di Gomez e Ilicic; Gasperini sa che il suo gioco si è inaridito e banalizzato senza quei due giganteschi cervelli calcistici. La Dea ha saputo reinventarsi in un gioco diverso due anni fa - esasperando l’importanza degli esterni e di Zapata - e anche l’anno scorso - con un gioco più difensivo e di transizioni. Gasperini sa che però ha bisogno di giocatori diversi per rendere il suo gioco più complesso, più vario, profondo. Per ritrovare quella splendida armonia tra spada e fioretto che aveva l’Atalanta qualche anno fa. È bello che non si sia arreso e che per ritrovarla stia puntando proprio su Charles De Ketealere, stupidamente innamorato forse come tutti noi.

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