L’equivoco Fognini
Per anni abbiamo sperato e creduto che Fognini fosse più forte di quello visto fin qui. Sarà vero?
Cosa intendiamo per testa?
Il gioco “Se avesse la testa di…” è capzioso per qualsiasi sport, ma in particolare in uno individuale e così ricco di pause e di momenti di logoramento come il tennis. Si è in campo e si fa affidamento alle proprie capacità, e fra queste c’è sicuramente l’attitudine mentale. Avere la “testa” nel tennis significa per molti stare in campo e giocare dal primo all’ultimo punto con l’attitudine di giocarli come se ognuno di questi fosse un match point. Oppure alzare la concentrazione nei momenti topici del match, perché in questo sport giocare un punto sul 40 a 0 non equivale a giocarlo sul 40 pari. Avere la capacità di rimontare match che sembrano persi, magari fronteggiando match point e annullandoli con la tranquillità del punto qualsiasi, anche questo è “avere la testa”. Ma anche trovare una motivazione, far scattare nella propria mente quel “click” che spesso decide il match, magari in seguito a una lite o a una racchetta rotta: anche questo fa parte dell’”avere la testa”.
Fognini, sotto questo punto di vista, sembra uno che “non ha la testa”. Eppure non necessariamente le cose possono essere viste da una sola prospettiva. Se accettiamo che in campo ogni giocatore è un unicum dal punto di vista mentale – anche se certe situazioni possono essere allenate e, non a caso, negli angoli dei tennisti più forti ci sono spesso dei mental coach – allora dobbiamo accettare che il miglior tennis di Fognini deriva anche da questi atteggiamenti. Da un certo punto di vista, insultare gli arbitri e far volare racchette fa parte del suo modo di stare in campo, forse persino di essere concentrato.
Molte volte sembra che Fognini perda partite perché “distratto” da sé stesso. Ma, al netto di qualche partita letteralmente persa per mancanza di voglia, tipo quando gioca su superfici che non ama come Wimbledon, o come a Shanghai nel 2014, quando perse contro il cinese Chuhan classificato al numero 533 ATP, è raro che Fognini non riesca a giocarsi le sue partite. Giornate storte, match in cui non si è al meglio fisicamente, oppure giocati in maniera distratta per via di un avvenimento esterno, sono cose che capitano a tutti i giocatori, anche ai primi della classe. E perché quindi non dovrebbero succedere a Fognini?
Se Fabio ha bisogno di cinque set per battere l’argentino Pella, la quarta o quinta scelta dell’Argentina in Coppa Davis, è forse perché è distratto da qualcosa? Non può essere che, in quelle circostanze, giocando fuori casa e contro un tennista che rende meglio se gioca per il suo Paese, Fabio valga Pella? Perché Fognini avrebbe dovuto battere Paire al quinto set degli Australian Open, vista anche la classifica praticamente identica? E perché Ramos-Vinolas, un onesto terraiolo che sta vivendo ora il suo momento migliore della carriera con il ranking di n.25 ATP, avrebbe dovuto perdere contro l’italiano al secondo turno del torneo di Rio de Janeiro? Torneo dove, peraltro, Fognini ha battuto in due set Tommy Robredo, giocatore spagnolo ultra trentenne al rientro dopo un lungo infortunio contro il quale Fabio aveva perso in due set al primo turno del torneo di Buenos Aires.
L’ultimo incredibile set tra Fognini e Pella a Buenos Aires.
In questo senso anche le critiche nei confronti di Fognini sono state forse ingiuste ed eccessive nel corso degli anni. Forse alimentati dalle illusioni che è riuscito a generare con alcune partite. Ma è sempre nella dimensione della normalità che bisognerebbe leggere le vittorie di maggior prestigio che Fabio è riuscito a cogliere in carriera. Battere Murray non è mai banale, ma batterlo nel 2014 in Coppa Davis, sulla lenta terra battuta di Napoli è, se non altro, un’impresa più alla portata. Anche considerato che Murray ha ottenuto i propri migliori risultati nel 2016. Nel 2015 Fognini batte Nadal per ben tre volte: due volte, di fila addirittura, sulla terra battuta, nei tornei di Rio de Janeiro e Barcellona; la terza volta nella famosa partita degli US Open, rimontando due set di svantaggio allo spagnolo.
Non sarebbe giusto sminuire queste vittorie, ma neanche prenderle come la certificazione del livello assoluto del giocatore. Provando a costruire un po’ di contesto: in carriera, Fognini ha giocato un totale di 51 partite contro avversari classificati nella top 10 e ha vinto per 7 volte (3 Nadal, 1 Murray, 1 Verdasco, 1 Berdych, 1 Gasquet), a fronte di 44 sconfitte. Numeri che lasciano davvero poca ambiguità.
La vitttoria su Nadal agli US Open del 2015.
Non avrebbe senso ripercorrere le annate di Fognini, o anche i quarti di stagione, magari per superficie, alla ricerca di un pattern. Nell’estate 2013, mentre i migliori tennisti riposano o giocano sul cemento in vista degli imminenti US Open, Fabio vince i tornei di Stoccarda (ATP 250) e Amburgo (ATP 500), perdendo poi contro Robredo la finale del torneo di Umago. Tutto in tre settimane. Questo è il Fognini migliore dal punto di vista della classifica – sarà numero 13 ATP – e il più vincente. Lo stesso, però, che perde contro l’indiano Ram al primo turno degli US Open, qualche settimana dopo, vincendo solamente 5 game. Percorsi del genere, si ripetono nel corso degli anni, e non solo per Fognini.
Dopo una serie consecutiva di vittorie si può provare appagamento: anche di fronte a uno Slam da giocare ci si può accontentare dell’idea della vittoria al torneo di Amburgo. Così come vincere una partita dopo averne perse svariate di fila è una cosa che può manifestarsi abbastanza estemporaneamente, più probabilmente se si gioca su superfici che piacciono al giocatore.
Il Fognini che rende meglio è quello che gioca i tornei sudamericani a febbraio, dove non ci sono i migliori, oppure quelli subito dopo Wimbledon e prima degli US Open, che si giocano su terra battuta e che sono terra di conquista per i tennisti a ridosso delle prime dieci posizioni ATP. Questo è il “regno” di Fognini e dei giocatori come lui, gente che può arrivare al best ranking a seguito di buone annate, periodi in cui tutto gira bene, e che poi calano inesorabilmente.
L’alternativa a questo tipo di giocatori sono i cosiddetti “tennisti operai”, che fondano il loro successo sulla costanza di risultati. I tennisti che nell’opinione comune stanno ottenendo più successi di quelli che dovrebbe ottenere Fognini. Roberto Bautista-Agut è l’emblema di questa categoria, un tennista che ha migliorato la sua classifica e il suo rendimento anno dopo anno. Lo spagnolo, tennisticamente, è bravo a fare un po’ di tutto senza eccellere in niente di particolare: è solido da fondo campo, non sbaglia le volée che deve chiudere, serve discretamente e corre il giusto. La sapienza tattica è la sua qualità migliore, e grazie a questa riesce ad adattarsi come un camaleonte agli avversari e alle varie situazioni gioco. Bautista-Agut è attualmente numero 15 ATP e non ha mai raggiunto i quarti di finale in uno qualsiasi dei quattro tornei dello Slam. Fognini, per dire, c’è riuscito in quell’oramai lontano Roland Garros 2011, quando batté Istomin, Robert, Garcia-Lopez e Montanes (negli ottavi di finale in un epico 11-9 al quinto set), non esattamente quattro fenomeni.
Ma come Bautista-Agut ce ne sono tanti altri di tennisti che riescono a essere costanti nel tempo e che migliorano la classifica anno dopo anno.
Tennisti come Troicki (best ranking 12 ATP e tre tornei vinti), Cuevas (19 ATP e 5 titoli) e Kohlschreiber (16 ATP e 7 titoli), giusto per citarne tre, hanno ottenuto una classifica di tutto rispetto facendo attenzione a una programmazione dei tornei intelligente e mirata, approfittando dei momenti in cui i migliori si riposano. Sono tennisti bravi a eccellere nella sorta di circuito parallelo che sono i tornei ATP 250 e (delle volte) i tornei ATP 500. Non sono tennisti peggiori di Fognini, ma a differenza di Fognini, non gli si chiede di fare di più. Sono tutti tennisti che hanno risultati simili o migliori di quelli dell’italiano e in grado di batterlo ripetutamente. Ma anche loro, come Fabio, semplicemente non hanno tutte le carte in regola per fare quel salto di qualità in grado di trascinarli fino alla top10 o, meglio, a una vittoria in un “Master 1000” o nei primi quattro di uno Slam in singolare, perché poi in doppio Cuevas ha vinto il Roland Garros e Fognini gli Australian Open. Goffin è forse il migliore di questa categoria: senza eccellere particolarmente, e con solo due titoli vinti in carriera in tornei minori, Metz e Kitzhbuel nel 2014, è riuscito con tanti piazzamenti a diventare il numero 10 del ranking. Goffin, negli Slam, vanta come massimo risultato i quarti di finali raggiunti agli Australian Open 2017 e al Roland Garros 2016. Goffin compirà 27 anni quest’anno.
L’equivoco è aver pensato che Fabio Fognini fosse molto più forte del Fognini visto fin qui o dei giocatori citati. Il suo bullismo tennistico, quello che si manifesta sul campo da tennis contro pubblico, arbitri, supervisor e giudici di linea, ma anche in sala stampa contro giornalisti che cercano di fargli qualche domanda che non risulti timida e compiacente, ha alimentato l’equivoco. Ha formato l’idea di un giocatore tormentato, incapace di controllare un talento fuori dal comune, quando invece l’aspetto mentale è una prerogativa di ogni singolo tennista: il giocare ogni punto affrontandolo come se fosse un matchpoint da annullare nel tennis è una caratteristica che può valere quanto il dritto di Nadal.
Quando si parla di Fognini spesso si scinde il valore tecnico dai suoi problemi di gestione mentale pensando, quindi, che il tennis di Fognini gli avrebbe dovuto permettere dei risultati leggermente migliori. Ma anche questa considerazione nasce da un’idea sbagliata di tennista: che non lo considera come un insieme di qualità, tecniche, fisiche e mentali, ma come una somma aritmetica di questi fattori. Come se a Fognini basterebbe aggiustarne uno per trovare l’altro. È una bella illusione, ma il più delle volte destinata a rimanere tale.