
C’è il rigore con la rincorsa lunga e quello da fermo, il rigore di potenza e quello di precisione, il rigore alla Panenka e il rigore alla Pano. Quello alla Panenka - lo sanno in molti - è un pallonetto, quello alla Pano - lo sanno in pochi - è sempre, fatalmente, gol.
Roberto Baggio, Marco Van Basten, i due Ronaldo, Frank Lampard, Robert Lewandowski, Mario Balotelli, finché non ha iniziato a sbagliare (non solo dal dischetto), e per ultimo Jorginho, il cui errore inatteso e indolore nella finale di Euro 2020 contro gli inglesi - dopo averci fatto innamorare col saltello contro la Spagna - non ne ha intaccato la fama. Quando si parla di tiri dal dischetto saltano fuori più o meno sempre gli stessi nomi, con percentuali di realizzazione che ballano tra l’80 e il 90 per cento. Una delle più alte l’ha raggiunta Cuauhtémoc Blanco, il messicano che durante i Mondiali si metteva la palla in mezzo ai piedi e poi saltava. I rigori però li tirava in modo normale, e bene. Settantuno realizzati su 73: 97,26%. Impressionante, eppure c’è di meglio.
Matt Le Tissier, il genio del Southampton anni Novanta che giocava con il 7, è - con 48 rigori segnati su 49 (ma alcuni almanacchi riportano 53 su 54) - il calciatore dei grandi campionati a essersi avvicinato di più alla perfezione con una media del 97,9 per cento. D’altronde, da quelle parti, nel sud dell’Inghilterra, dove è tutto ruggine e nebbia, non sprecherebbero mai un soprannome come “Le God” per qualcosa di meno.
Sbagliò l’unica volta nel 1993, in una partita casalinga contro il Nottingham Forest, poi vinta 2-1 con un suo gol, tanto per rimettere le cose a posto: il portiere era Mark Crossley, un nome per cacciatori di tartufi del calcio inglese con una carriera di medio livello e una media da pararigori tale da far saltare ogni parametro: 57%. Più di un rigore parato su due, per l’esattezza 8 su 14. Per capirci, la media, a seconda delle stagioni, gira intorno al 15-20 per cento. Crossley parò anche un rigore a Gary Lineker in una finale di Fa Cup, ma il suo nome resterà indissolubilmente legato a quella gara del 1993, a tal punto che se si va su Wikipedia in italiano, a parte la data di nascita e un paio di statistiche, c’è scritto solamente “è l’unico portiere ad aver parato un rigore a Matt Le Tissier”. Punto.
Un’altra bandiera del Southampton è Ricky Lambert, il working class hero passato dal confezionare barbabietole in barattolo alla maglia della Nazionale: con i Saints, Lambert ha calciato 34 rigori e li ha segnati tutti. A rovinargli la media, un errore quando giocava nel Bristol Rovers e un altro in coppa d’Inghilterra con il Macclesfield (ma fece notizia anche un suo rigore parato da Christian Abbiati in un’amichevole tra Liverpool e Milan).
Quando l’Uefa decise di mettere ordine tra i migliori rigoristi d’Europa, escludendo tutti quelli che ne avevano calciati un numero troppo basso, Le Tissier e Lambert erano i due nomi da piazzare in cima alla lista. Poi, cercando, di nome ne saltò fuori un altro: Ledio Pano. Era un albanese che aveva giocato negli anni Ottanta e Novanta, conosciuto in Grecia dove aveva dato il meglio nello Xanthi, squadra di metà classifica della Alpha Ethniki - la Serie A locale prima di ribattezzarsi pomposamente Super League - per poi passare nella Serie Beta con il Panelefsiniakos e il Pas Giannina.
Era famoso in patria, dove aveva giocato con il Partizani Tirana e il Luftëtari Argirocastro, ma più bravi e famosi di lui erano altri. Il più famoso di tutti era Panajot Pano, suo padre, una specie di divinità calcistica locale la cui prima foto che si trova andando su Google, rigorosamente in bianco e nero, alimenta un che di mitologico: corpo robusto e tozzo, collo taurino, taglio di capelli da manuale del barbiere comunista; sembra un lanciatore del peso di qualche Olimpiade degli albori, un Maciste immortalato in una maglia troppo stretta durante le riprese di un vecchio film senza sonoro. La versione più povera e minimalista del Red Son di Mark Millar, il Superman alternativo falce e martello il cui razzo, ai tempi della Guerra Fredda, veniva fatto cadere in Unione Sovietica anziché in Kansas, come accadeva invece nella versione originale.

Panajot Pano, 1964.
Ecco, Panajot Pano, per tutti - ancora oggi che non c’è più - “Joti”, era Superman caduto a Durazzo (dov’era nato, nel 1939), ma al posto di volare e incenerire con lo sguardo, giocava a calcio: prima come portiere, dov’era solamente bravo, poi come attaccante, dov’era - a quanto pare - fenomenale. Votato, con un plebiscito, miglior giocatore della storia dell’Albania per il cinquantennale dell’Uefa, Pano era riuscito, nei tempi in cui l’Albania del dittatore Enver Hoxha era il Paese più chiuso e oscuro d’Europa (talmente ortodosso nel suo comunismo da rompere il patto con mamma Urss) a mettere il suo Paese sulla mappa del calcio europeo. Poche cose, va detto, ma significative, come la vittoria per 1-0 del suo Partizani Tirana - la squadra di una vita - nel 1968, in Coppa delle Coppe, contro il Torino, che poi ribaltò comunque il risultato al ritorno con un gol decisivo di quello che, anni dopo, diventerà il suo allenatore simbolo, Emiliano Mondonico.
Pano riuscirà a portare il piccolo Partizani a vincere anche la Coppa dei Balcani, torneo allora prestigioso che riuniva club greci, turchi, jugoslavi, bulgari, romeni e - appunto - albanesi. Il Partizani di Pano rimarrà l’unica squadra del suo Paese a portare a casa il trofeo, poi cancellato nel 1994.
Alto solo 1,70, a dispetto delle foto da body builder d’antan, Pano aveva il baricentro basso, un controllo di palla sopraffino e un gran tiro. Celebre, almeno in patria, è rimasta la frase di Franz Beckenbauer dopo il tiratissimo 0-0 del 17 dicembre 1967 a Tirana che - di fatto - tenne la Germania, per la prima e unica volta, fuori dalla fase finale di un Europeo (a qualificarsi in quel girone fu la Jugoslavia), quello poi vinto l’anno dopo dall’Italia. Il Kaiser arrivò a dire «forse Pano non si ricorderà di me, ma io mi ricorderò di lui». L’uomo che lo marcò in quella sciagurata partita, Willi Schulz, ci tenne a far sapere che in «tutta la Germania e forse anche nel resto d’Europa» non ci fosse nessuno capace di accarezzare la palla come lui.
Il presidente del Fenerbahçe, Myslim Bey, albanese d’origine, si spinse a dire che Eusebio e Pelé erano i migliori, ma Pano era senza dubbio il più forte ad aver mai calcato il campo della sua squadra. Vista la somiglianza fisica qualcuno lo chiamava Il Piccolo Puskas, ma a differenza del talento ungherese, che riuscì dopo l’epopea Honved a giocare in Occidente, con il Real Madrid, Pano, per via delle regole rigide imposte da Hoxha non poté mai lasciare il suo Paese: lo cercò a più riprese il Fenerbahçe del suo grande fan Myslim Bey, ma anche e soprattutto i tedeschi del Colonia, con cui a un certo punto l’affare sembrava fatto. E invece no.
Nel 1968, quando la carriera di Panajot era ancora a metà strada, nasce il figlio Ledio, un centrocampista offensivo che si mostrerà non all’altezza del talento del padre, ma comunque in grado di ritagliarsi uno spazio tra i professionisti e indirizzare tutto il suo meglio in un’abilità specifica: i calci da fermo, in particolare i rigori. Quanti ne abbia tirati davvero non è dato saperlo per via delle statistiche non proprio precise della federazione albanese. Quel che è certo è che - se aggiungiamo quelli calciati in Grecia - sono più di cinquanta. “Le God” Le Tissier, di tutti i palloni che si è trovato a calciare dal dischetto, ne sbagliò soltanto uno, Pano nessuno.
A carriera finita, con un microfono sotto al naso, ha descritto in quel modo naïf che hanno a volte certi sportivi e artisti quando li si costringe a descrivere il loro stesso talento a chi ne è sprovvisto. Gente che, semplicemente, fa le cose meglio degli altri, per di più senza apparente fatica, mettendo in fila gesti che ad altri costano dedizione, tempo e sudore: «Il portiere non lo guardavo mai. Decidevo l’angolo in cui calciare e la palla andava lì dove doveva andare». Semplice, se sei Ledio Pano.
Qualcuno storcerà il naso e dirà che i portieri del campionato greco e albanese non sono quelli del campionato italiano o inglese. Tant’è, l’Uefa ha fatto il giro d’Europa e un altro che ne ha tirati così tanti senza sbagliarne uno non l’ha trovato.
Certo, la relativa mancanza di filmati crea un’aura mitologica intorno a Pano, così come la crea intorno a suo padre, di cui negli archivi resta ancora meno. Ma le leggende sono tutte così, aiutate dalla foschia dei ricordi e dei nastri invecchiati delle Vhs: è così per El Trinche Carlovich, il re dei potreros di Rosario, l’argentino misconosciuto che Diego Maradona omaggiò come se fosse lui il vero Maradona; fu così per Eduard Streltsov, il russo sregolato che doveva portare l’Urss sul tetto del mondo e che invece fu spedito nei gulag.
I pochi filmati su Ledio Pano mostrano un centrocampista un po’ caracollante, dal taglio ribelle, capelli lunghi e lisci vagamente spettinati, un po’ Marius Lacatus, un po’ Ariel Ortega. Anche lui, come papà Joti, vive uno dei momenti cult contro la Germania, il 16 novembre 1994: con il numero 14 sulla schiena e coi capelli più ribelli del solito, Pano - nei minuti finali, sul 2-1 per i tedeschi - calcia una punizione da quasi 30 metri con una traiettoria alla Mihajlovic, potente, effettata e precisa, ma non così precisa, che si schianta sul palo alla destra di Andreas Köpke, tuffatosi in leggero ritardo.
Per vedere qualcosa di Ledio Pano, compresi i suo leggendari rigori, bisogna avere un po’ di pazienza e dimestichezza con il greco: qua e là spuntano partite dello Xanthi anni ’90, dove Pano, rigorosamente col piede destro, porta palla in avanti e calcia punizioni - con alterne fortune - sia sul primo che sul secondo palo.
I due rigori ancora reperibili sono molto simili, entrambi a incrociare: uno è potente e angolatissimo a mezz’altezza, l’altro meno forte e più basso: in un caso il portiere sbaglia lato, nell’altro resta fermo. Tutti gli altri 50 e più sono da immaginare, come è da immaginare il rigorista più forte del mondo, o forse, meglio ancora, il rigorista sconosciuto più forte del mondo. Un nome che riprende la storia - per certi versi simile - di Roy Buchanan, chitarrista di immenso talento degli anni Sessanta e Settanta idolatrato da una nicchia e rimasto sempre ai margini dei giri che contavano fino all’uscita di un documentario sulla tv pubblica americana intitolato, appunto, «Il miglior chitarrista sconosciuto del mondo», che in inglese - bisogna ammetterlo - suona decisamente meglio: «The Best unknown guitarist in the world».
Di lì a poco in America, nell’Nba, spopoleranno George “Iceman” Gervin e una domanda che aveva proprio lui, l’Uomo di ghiaccio, come risposta: se la tua vita dipendesse da un tiro a canestro, a chi daresti la palla? George Gervin.
E se dipendesse da un calcio di rigore?