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L'ecosistema del Genk
27 feb 2018
27 feb 2018
Su cosa è costruito il modello del club belga che ha sfornato tantissimi talenti negli ultimi anni.
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12 min
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Negli anni ’80 il Belgio è un paese con un passato calcistico povero da raccontare e un presente oscurato dall’Olanda del calcio totale. I nomi di Waterschei's Sport Vereeniging THOR e KFC Winterslag diranno poco anche agli appassionati dei più approfonditi almanacchi. Lo scarno palmarès dei primi conta una semifinale di Coppa delle Coppe nel 1983 persa contro il sorprendente Aberdeen di un giovane Alex Ferguson. La storia dei secondi, invece, racconta che dopo qualche modesto successo in patria negli anni 70 riuscirono ad imporsi sull’Arsenal nel sedicesimi di finale della Coppa UEFA 1981-82.

Le sempre più grandi difficoltà a sostenere le spese necessarie per portare avanti una società sportiva professionistica spinsero i due club alla fusione nel 1988, dando vita al KRC Genk. La neonata società, nel giro di qualche anno ha messo in bacheca tre campionati, quattro coppe di lega e una supercoppa, qualificandosi con regolarità alle competizioni europee. Risultati non trascurabili per un progetto nato quasi dal nulla, ma che non sono il principale motivo per cui i biancoblù possono essere considerati uno dei club più interessanti dell’ultimo decennio.

Quello del Genk è un modello societario che si ispira all’autosostenibilità, come ribadito dal CEO del club, Patrick Janssens. Non un’azienda, ma un club che resta legato alla comunità che lo circonda e che vuole continuare a nuotare controcorrente. «Non vogliamo essere considerati come una squadra costretta a vendere i propri giocatori, ma come un’eccellenza nel panorama europeo nello sviluppo di calciatori di qualità». Le parole dell’Amministratore Delegato della squadra nata appena trent’anni fa nella provincia del Limburgo, non sono dette a caso: la filosofia del Genk è totalmente incentrata sullo sviluppo dei calciatori sin dai loro primi passi sul manto erboso.

La Jos Vaessen Talent Academy, centro di allenamento per i giovani del club, è stata inaugurata nel 2013 con un progetto incredibilmente all’avanguardia: nei quasi 2500 metri quadri a disposizione, i giocatori delle giovanili del Genk hanno a disposizione sale studio, una sala per l'analisi video, sale di consultazione per medici e fisioterapisti e una piscina per la riabilitazione. Fortemente voluto da Jos Vaessen, deus ex machina dell’Academy e attualmente Presidente onorario del club, l’avveniristico hub sorge nei pressi della Luminus Arena, gioiellino da 24mila posti dove gioca la prima squadra. È qui che inizia lo sviluppo e la crescita di un giovane calciatore ed è sempre qui che arriva all’apice della sua esperienza con la maglia del Genk. Dalla categoria U-7 fino all’U-12, i bambini giocano in campi ridotti, da 5 contro 5, poi da 8 contro 8. Solo una volta entrati nell’U-13 iniziano a giocare undici contro undici, compiendo tutta la trafila che li porterà, con alte probabilità, alla prima squadra.

La linea verde adottata dal club corre in parallelo a quella messa in pratica a partire dal 2000 dalla Federcalcio belga, fortemente voluta dall’allora numero uno Michel Sablon. A seguito del fallimentare Europeo del 2000 organizzato insieme all’Olanda, la principale preoccupazione dei vertici della URBSFA (Union Royale Belge des Sociétés de Football Association in francese, una delle due lingue ufficiali parlate in Belgio) era quella di rivoluzionare il proprio sistema-calcio partendo dalle sue basi, vale a dire dalle accademie giovanili. Dopo la mancata partecipazione a cinque tra Europei e Mondiali disputatisi tra il 2002 (quella nippocoreana è stata l’ultima edizione di un Mondiale che ha visto protagonista il Belgio prima del Mondiale in Brasile) e il 2014, i “Diavoli Rossi” oggi vivono un periodo d’oro: negli ultimi anni hanno primeggiato nel ranking FIFA e sono autorevoli candidati ad un buon piazzamento nel prossimo Mondiale in Russia.

Lavorando a braccetto, Federazione e club hanno stravolto l’immagine del Belgio dal punto di vista calcistico: se la nazionale maggiore ha tra le proprie fila protagonisti di campionati di primo piano come Eden Hazard, Dries Mertens e Kevin De Bruyne, anche a livello giovanile i belgi stanno iniziando a raccogliere discreti risultati (il 3° posto al Mondiale U-17 in Cile del 2015 ne è un esempio), mentre i club storici come Anderlecht, Club Bruges e Standard Liegi e le nuove realtà come il Genk, continuano la loro produzione di talenti da svezzare prima di esportarli nei maggiori campionati europei.

Eurofoto / Stringer.

Coltivare i frutti del talento locale

L’accademia del Genk, in termini di produttività, è una delle migliori a livello europeo. Da quasi due decenni, il numero medio dei ragazzi che ogni anno viene promosso nella prima squadra del blauw-wit si aggira tra gli 8 e i 10. «Questa è la prova del successo della nostra filosofia», spiega Roland Breugelmans, da oltre vent’anni tra i responsabili del centro giovanile che nel corso degli ultimi tempi ha forgiato talenti locali come Kevin De Bruyne, Thibaut Courtois, Yannick Ferreira Carrasco, Divock Origi, Timothy Castagne, Steven Defour e Christian Benteke. Fino a quando non hanno raggiunto i 12 anni, i ragazzini tesserati dal Genk si allenano massimo tre volte settimana, cui vanno aggiunte una serie di attività non strettamente collegate al calcio, come i corsi di boxe, judo e ginnastica. Dopo i 12 anni, nell’età dello sviluppo, i ragazzi cominciano a conoscersi meglio come atleti e maturano dal punto di vista tattico e tecnico. È in questa fase che si inizia a prestare maggiore attenzione alle caratteristiche tecniche di un futuro calciatore, pronto a compiere il salto nel calcio professionistico già intorno ai 16 anni.

A scopo motivazionale, il Genk ha deciso di allestire come una hall of fame un’intera ala del Jos Vaessen Talent Academy. Anche così si nota quanto i concetti di Sviluppo e Valorizzazione siano al centro della filosofia del club: non potendo contare su una storia lunga e gloriosa, sui muri dei corridoi scorrono le immagini di tutti i giocatori che sono stati allevati in questa città delle Fiandre, prima di spiccare il volo verso campionati più competitivi.

A differenza di Bailey, la recente storia del Genk racconta anche di grandi calciatori che hanno scelto di rimanere più a lungo. Thibaut Courtois, entrato in Accademia nel 1999, ha iniziato a giocare come terzino sinistro, salvo scoprire di avere un talento nel difendere i pali della propria squadra pochi mesi dopo. Franky Vercauteren, allora allenatore del club belga, lo ha promosso titolare giovanissimo, autorizzando la sua cessione dopo due stagioni e per poco meno di 10 Milioni di Euro. Oggi, a 25 anni, Courtois ha già quasi raccolto 300 presenze con il Chelsea e l’Atletico Madrid ed è tra gli interpreti del suo ruolo più forti e contesi sul mercato.

Anche l’evoluzione della carriera di Kevin De Bruyne deve molto al completamento dell’intero percorso di sviluppo nell’Accademia giovanile del Genk: arrivato a 14 anni alla Jos Vaessen Talent Academy dopo che i genitori avevano preferito allontanarlo dalla sua vecchia squadra, il Gent, dove c’erano stati problemi di ambientamento, De Bruyne ha impiegato poco tempo a mostrare ai tecnici tutto il suo potenziale. «Quello che è stato fatto con De Bruyne», spiega Peter Reynders, allenatore delle giovanili del Genk, «è lo stesso lavoro che viene fatto sui ragazzi del settore giovanile: abbiamo cercato di migliorarlo sotto tutti gli aspetti. Si vedeva che il ragazzo era già dotato di un’intelligenza calcistica fuori dal normale, ma anche con lui è stato necessario svolgere un lavoro tecnico, tattico, fisico e mentale. Il suo entusiasmo e la sua voglia di raggiungere gli obiettivi hanno fatto il resto». Ceduto al Chelsea nel giugno 2012 per 8 milioni di Euro, oggi De Bruyne è uno dei più forti centrocampisti del mondo e ne vale almeno 10 volte tanti.

Con un bilancio che, anche grazie ad operazioni minori, fa registrare una costante crescita, è interessante notare come la fortuna del Genk arrivi “dal basso”. Le continue plusvalenze fatte registrare negli anni hanno permesso di poter investire ancora di più sul vivaio, che di anno in anno continua a sfornare calciatori di livello assoluto.

AFP / Getty Images.

Lo scouting

Se non li produce direttamente in casa, il Genk è anche abile a lavorare con lo scouting per scovare futuri campioni. Quello messo in piedi dal Genk è un sistema rodato, che può prescindere dai singoli perché frutto di una straordinaria organizzazione che coinvolge preparatori, scout e data analyists. La partnership con l’azienda olandese SciSports si spiega proprio in questo senso: il Genk usufruisce di un database che conta oltre 300mila nomi di calciatori diversi e relativi dati utili a capire quali possono esserne i margini di crescita, il potenziale e l’impatto in prima squadra. La ricerca dei De Bruyne del futuro, insomma, passa da uno studio attento, quasi ossessivo, dei numeri e dai rapporti di una fitta rete di scout disseminati in ogni angolo del globo.

Quest’anno la rosa della prima squadra conta calciatori provenienti da venti nazioni diverse: Finlandia, Tanzania, Grecia, Gambia e Ucraina, solo per citarne alcune. L’ultimo affare, in ordine di tempo, il Genk lo ha fatto ponendosi come punto intermedio su di un’asse immaginario che va dalla Giamaica alla Germania: Leon Bailey, scoperto nella Phoenix Academy di Kingston, è stato acquistato dal Genk nel 2013 e dopo alcune beghe con la giustizia (il suo padre adottivo, nonché manager, Craig Butler, è stato indagato dall’Ispettorato del Lavoro belga per il traffico di alcuni minorenni e il giovane Leon, privo del permesso di soggiorno, una volta arrivato in Europa è stato costretto a girare tra Olanda, Austria e Slovacchia prima di raggiungere la maggiore età) in un anno e mezzo è riuscito a raccogliere 77 presenze con la maglia bianco blu, condite da 15 goal e 21 assist. Le ottime prestazioni di Bailey, ala veloce ed elegante, gli sono valse il trasferimento al Bayer Leverkusen per una cifra di poco inferiore ai 15 Milioni di Euro. Linfa vitale per il Genk, un club che non ha grandi investitori alle spalle e non può godere di grossi introiti derivanti dallo stadio o dalla cessione dei diritti TV, considerata la modestia dell’utenza del campionato belga.

Altri giocatori d’alto livello passati dal Genk di recente sono Sergej Milinkovic-Savic e Kalidou Koulibaly. Acquistati per modiche cifre rispettivamente dal Vojvidina e dal Metz e rivenduti con grosse plusvalenze alla Lazio e al Napoli, oggi i loro valori di mercato sono schizzati alle stelle. Negli ultimi anni ci si è divertiti a compilare l’undici potenziale del Genk degli ultimi anni se non avesse messo nessuno: Courtois, Koulibaly, Kara, Kabasele, Bailey, Ndidi, De Bruyne, Milinkovic-Savic, Carrasco, Origi, Benteke.

Naturalmente non c’è modo per trattenere giocatori di questo tipo in Belgio. «Quando arriva un’offerta dalla Premier League, noi non possiamo fare niente», ha dichiarato in una recente intervista Breugelmans. «Cerchiamo di far capire ai nostri ragazzi che è importante rimanere qui almeno fino alla fine della scuola o al raggiungimento della maggiore età. Ma oggi i grandi club approcciano i calciatori già a 16 anni e molte famiglie, di fronte alle ricche proposte di contratto, tentennano. Se noi offriamo 10mila euro all’anno, loro ne offrono 100mila ed è chiaro che non possiamo competere». È quanto successo, ad esempio, a Yannick Ferreira Carrasco, arrivato al Genk ad 11 anni, che non ha fatto in tempo a raggiungere la prima squadra, preferendo firmare con il Monaco nel 2010, oppure a Divock Origi, tesserato dai Blauw-wit a soli 6 anni e che ha scelto di aggregarsi alle giovanili del Lille quando di anni ne aveva 16.

Il Genk 2017/18

Nonostante le difficoltà nel gestire i propri ragazzi e cercare di isolarli dalle sirene del mercato, l’Academy del Genk migliora di anno in anno, avendo oramai forgiato uno stile di gioco e una metodologia di insegnamento (basato sulla tecnica e non solo sulle doti fisiche) diventati un marchio di fabbrica. Le recenti esperienze di successo hanno aumentato la reputazione all’estero del club e ora tantissimi giovani vogliono entrare a far parte delle giovanili. Il Genk è stato una delle rivelazioni della scorsa Europa League, quando con un 4-3-3 a trazione anteriore la squadra allora allenata dall’olandese Albert Stuivenberg si era qualificata come prima nel girone, davanti ad Athletic Bilbao, Sassuolo e Rapid Vienna, fermandosi solo ai quarti di finale contro il Celta Vigo (3-2 per gli spagnoli all’andata, 1-1 al ritorno) dopo aver venduto Bailey e Ndidi, due dei suoi giocatori più forti, durante il mercato invernale.

La panchina di Stuivenberg, ex collaboratore di van Gaal arrivato solo a dicembre del 2016 per sostituire Peter Maes, è saltata dopo un anno esatto dal suo arrivo. L’ottavo posto finale in Jupiler Pro League non ha soddisfatto la dirigenza, che ha sperato di vedere segnali di ripresa dalla squadra fino a qualche mese fa, quando ha deciso di ingaggiare, al posto di Stuivenberg, il quarantatreenne Philippe Clement, che bene aveva fatto alla guida del Waasland-Beveren dopo aver allenato le giovanili del Club Bruges: una scelta ponderata, dovuta all’attitudine di Clement a lavorare con i giovani calciatori. Il Genk è il club che ha impiegato più ragazzi U-20 nella scorsa stagione, ottenendo risultati non trascurabili e dimostrando che è possibile far bene senza fare esclusivamente ragionamenti a breve termine. «Quando riusciamo a portare i calciatori delle nostre giovanili in prima squadra sappiamo che stiamo facendo il bene del club», chiosa Breugelmans in un’intervista al sito ufficiale dell’Accademia giovanile.

L’ultimo della nidiata del Genk si chiama Siebe Schrijvers, esterno offensivo belga che a 21 anni ha già giocato 159 partite (di cui 36 in prestito al Waasland Beveren) in prima squadra. Aspirano al grande salto anche Bryan Heynen (1997) e Sander Berge (1998), due centrocampisti centrali dal futuro assicurato. Insieme a loro, occhi puntati su trequartista Paolo Sabak (1999) e sull’ala destra Dante Vanzeir (1998). Il primo, calciatore tecnico e brevilineo, ha all’attivo 2 presenze in campionato e Europa League lo scorso anno, ma quest’anno non ha ancora debuttato con la prima squadra pur essendo presenza fissa in tutte le selezioni giovanili della nazionale belga. Vanzeir, invece, è un calciatore rapido e molto abile nel dribbling: quest’anno ha già raccolto 6 presenze e 1 goal tra campionato e Coppa di Belgio.

Nelle giovanili del Genk c’è anche spazio per un pizzico di Italia: Pierre Zebli, centrocampista nato in Costa d’Avorio nel 1997, ha il passaporto italiano ed è arrivato lo scorso gennaio dal Perugia dopo essere cresciuto nelle giovanili dell’Inter ed aver fatto esperienza in Serie B con gli umbri.

Se dovessero ripetere il percorso di alcuni dei loro predecessori, tra i nomi di questi ragazzi potrebbe esserci quello di qualche futura stella del calcio europeo. Se non dovesse succedere, invece, non sarà certo un dramma. Alla Jos Vaessen Talent Academy hanno capito che i concetti di schemi e calciatori sono effimeri, mentre quello che rimane centrale è il metodo su cui si basa l’intero progetto.

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