L’azione, aimé, ce l’avrete presente. E ce l’avrete presente a lungo, forse per il resto della carriera di Rafael Leao. È una di quelle azioni che rischiano di definirti nel bene o nel male, fissando con una puntina nel nostro immaginario le ambizioni legate al talento del calciatore che la compie, o al contrario perseguitando lui e noi negli anni a venire come un brutto ricordo, una cosa che preferiremmo tutti dimenticare ma che proprio non ci riusciamo.
Succede al 33esimo di Milan-Newcastle, metà settembre 2023 e già una delle partite più importanti in stagione, con tutta la pressione addosso di chi viene dalla quinta sconfitta consecutiva in un derby nell’arco di nemmeno un anno, una sconfitta larga, 1-5, e indiscutibile. L’azione, in realtà, è per trequarti o forse anche di più, il 90%, il 99%, una splendida azione di Rafa Leao.
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Che inizialmente si trova al centro dell’attacco: Olivier Giroud era andato a saltare in area, su una punizione avversaria da metà campo. Il cross lungo di Trippier è respinto coi pugni da Maignan, Chukwueze controlla nella propria trequarti e scarica all’indietro su Calabria che, pressato, vedendo e non vedendo, lancia lungo verso il dischetto del centrocampo. Leao, marcato alle spalle da Tonali, controlla di petto e poi, al volo, serve con la parte esterna del piede Pobega, sul centro sinistra. Pobega fa prendere alla palla il treno di Theo Hernandez che anziché puntare l’uomo e arrivare fino in fondo vede il taglio di Leao, un taglio da vero centravanti, leggermente in diagonale e lo serve rasoterra di prima intenzione.
Leao si infila tra Longstaff e Botman e appena entrato in area, leggermente decentrato a sinistra, sterza verso l’interno con un doppio passo a cui fa seguire un tocco di esterno: Longstaff gli scivola davanti come se in area ci fosse del sapone, anche Botman fatica a frenare e quando riprende l’equilibrio Leao si è già creato lo spazio per il tiro. Si allunga un po’ la palla, però, e anche per il rientro di Bruno Guimaraes e Tonali preferisce non calciare subito in porta. Con un tocco di interno destro evita la scivolata di Botman ma finisce contro Tonali che riesce a sporcargli la palla. Così Leao se la trova leggermente dietro e provare a calciare di tacco. Ma, invece di colpire il pallone, prende per terra. Il tacco gli si incastra nel manto erboso di San Siro.
BUT WHY DIDN’T LEÃO JUST TAKE A NORMAL SHOT?!?!? ♂️pic.twitter.com/GitYjhBJKh
— Football Report (@FootballReprt) September 19, 2023
Leao inciampa, cade a terra sul pallone e ci resta a lungo. Prima sdraiato, poi seduto, infine in ginocchio. Guardando il resto dell’azione – il tiro di Pobega respinto sulla riga di porta da Murphy, la mischia conclusa dal tiro di Loftus-Chick contrastato in angolo – come uno spettatore caduto dagli spalti e troppo preso dall’azione per alzarsi e uscire. Volete sapere quanto tempo resta in terra esattamente? Quattordici secondi. Cade che il cronometro segna 33:08, si rialza solo a 33:22. E sono questi quattordici secondi quelli in cui ho voluto più bene a Rafael Leao da quando gioca in Italia. A che avrà pensato? Come si sarà sentito Rafael Leao dopo aver quasi segnato il suo gol più bello in carriera, in Champions League, per giunta con una squadra inglese? Dopo aver quasi dribblato mezza squadra avversaria e aver quasi messo dentro la palla di tacco?
Io sono un grande ammiratore del quasi. Dell’incompiuto. Di quelle opere che sono meglio nell’immaginazione che nella realtà. Quest’estate camminavo distratto nel Maxii di Roma che aveva messo fuori tutte, o quasi, le opere della propria collezione. A un certo punto tra una sala e l’altra mi sono imbattuto su una replica, un calco dall’originale, della Pietà Rondanini. Illuminata dall’alto aveva i volti di Gesù e della Madonna in ombra, resi quindi ancora più enigmatici. Mi sono trovato a fissare gli occhi della Madonna chiedendomi se fossero aperti o chiusi, se stessero guardando fuori o dentro di sé, se fossero sgranati in segno di disperazione o sigillati dal dolore in una eterna riflessione. Questo, e poi il marmo ruvido, non ancora levigato, se non in un braccio e nelle gambe di Cristo che tengono in piedi tutto il complesso, invertendo come per magia la scena in cui in realtà sarebbe dovuta essere la madre a sostenerlo. Tutta questa ambiguità l’avrebbe voluta il Michelangelo ottantenne che ci stava lavorando? O potendo scegliere avrebbe preferito distruggerla?
Sono cresciuto nel mito dell’Horcynus Orca, romanzo di più di mille pagine di Stefano d’Arrigo, che ha scritto nell’arco di 25 anni, tra il 1950 e il 1975, e che si dice alla fine gli sia stato tolto di mano (tant’è che D’Arrigo ha continuato a modificarlo per il resto della sua vita). Un romanzo che aveva creato grandissime aspettative a cui però è seguita l’indifferenza di critica e pubblico e che anche io, pur avendo acquistato e più volte provato a leggere, non ho mai letto per intero. Magari lo farò, un giorno, o magari è meglio così, è meglio immaginarlo l’Horcynus Orca piuttosto che leggerlo veramente. Come se il vero Horcynus Orca fosse quello ancora incompiuto, ancora nelle mani di D’Arrigo.
Anche l’azione di Leao riesco molto facilmente a immaginarla con un finale diverso, all’altezza delle aspettative create. Leao salta Botman. Tonali provando ad evitare il fallo da rigore gli tocca comunque la palla, Leao si pianta sul sinistro e con il tacco incrocia sul primo palo. Questo gol esisteva solo nella testa di Leao e, dato che sono riuscito ad immaginarlo, dato che ci ho pensato così tanto, adesso esiste anche nel mio. E non posso cancellarlo, non importa quanto pesi la realtà del fatto che no, quella palla non è entrata e anzi Leao si è incartato su se stesso come una foglia secca nel fuoco del caminetto. In un certo senso Leao lo ha sia sbagliato che segnato. Tornando indietro che farebbe Leao, ci riproverebbe a rischio di fallire o, potendo scegliere, lascerebbe perdere?
Quanto sarebbe stato bello?
La distanza che separa i grandi gesti pazzi – la puntata di Ronaldinho contro il Chelsea, uno dei tanti di Zlatan, uno degli slalom più assurdi e prolungati di Messi, anche di questi ce ne sono tanti, la rovesciata di Ronaldo a due metri di altezza – confinano sempre con una stronzata tipo Balotelli che da solo davanti al portiere decide di calciare di veronica mandando il pallone sul fondo (forse pensando di essere in fuorigioco, forse no, forse semplicemente essendo Balotelli). Anche Balotelli confina con se stesso: poco più di un anno fa in Turchia ha segnato un gol di rabona dopo una serie così insistita di doppi-passi che se riguardate l’azione mentre la esegue troverete impossibile non pensare che si tratti di una cattiva idea.
Leao aveva avuto l’idea giusta. Tonali, con la sua esplosività, gli si sarebbe avventato addosso se solo avesse provato a girarsi per calciare con la fronte alla porta. Trippier era già sul primo palo e Murphy si stava giusto giusto piazzando tra Pope e il secondo palo. Leao ha provato a cogliere l’unica finestra, l’unico spazio e l’unico momento, in cui avrebbe effettivamente potuto fare gol. Aveva anche caricato bene il tiro, a giudicare dalla violenza con cui pianta il tallone in terra.
Solo, non ha preso la palla. È un dettaglio, anche se decisivo, in un’azione piena di dettagli, in cui Leao aveva fatto bene quasi tutto. È un libro bellissimo a cui manca l’ultima pagina. Cosa che mi è davvero accaduta con un libro di John Fante, La Confraternita del Chianti. In quegli anni lavoravo in biblioteca e lo presi in prestito, e solo arrivato alla fine scoprii che qualcuno aveva strappato l’ultima pagina. Ormai non ricordo più neanche di cosa parla, cosa restava da sapere della trama, che discorso era stato interrotto (immagino) sul più bello; ma ricordo lo stupore e l’indignazione quando ho scoperto che qualcuno aveva mutilato quel libro. Ricordo di essere andato in libreria, di aver preso una copia nuova del libro tra le mani e di essere andato all’ultima pagina. Ma non l’ho letta. Ho preferito rimanere lì, sulla soglia tra quasi e finito. Di tutti i libri che ho letto in vita mia, ancora oggi è uno di quelli a cui sono più affezionato.
So già che questo quasi gol di Leao rimarrà, per me, uno dei suoi più bei ricordi. Quel tacco fermato sul più bello come se una mano zombie fosse sbucata da sotto terra e gli avesse preso la caviglia, quei quattordici secondi seduto a terra contemplare il proprio fallimento e la proprio solitudine. Indipendentemente da quanti splendidi gol farà in futuro, e gliene auguro molti. Certo, se fosse entrato, sarebbe stato meglio per lui, per convincere del suo valore il pubblico italiano, quello inglese (Zlatan ha dovuto segnargli da centrocampo in rovesciata per fargli cambiare idea sul suo valore).
Ma insomma questa è un’altra storia, meno intima e più banale.