Le Zemanlandie possibili
5 scenari per il nuovo Pescara del Boemo.
Scenario #3 – La verrattizzazione di Cubas
Di fronte al dilemma di come sostituire Bruno squalificato, Zeman si trova a dover scegliere tra due alternative e prende una decisione cavalcando una suggestione.
Il Verratti-di-Zeman aveva 19 anni: Adrián Andrés Cubas ne ha soltanto uno in più.
Fisicamente si somigliano molto, entrambi minuti ma compatti e con il baricentro basso, anche se Cubas dalla sua ha una compattezza diversa da quella del collega, e un temperamento che non c’è in Verratti: se Verratti è più vicino a Pirlo, Cubas è più un Mascherano compattato nell’involucro di Tévez.
Il boemo, che sarebbe un soprannome perfetto anche per un tecnico visionario della Primera Argentina, sceglie l’ex Boca, e i due finiranno per costruire un connubio perfetto: Cubas diventa il Jefecito del Cornacchia.
Cubas non è un metronomo, ma ha i piedi per diventarlo nelle idee di Zeman. Cubas non è un centrocampista box-to-box, ma ha le capacità tecniche – e l’intelligenza tattica – per provare a capire com’è che si diventa quel tipo di calciatore, specie se a insegnarglielo è Zeman.
Cubas non ha l’orecchio assoluto ma un occhio allenato a capire quand’è che il compagno sta tagliando verso l’area e bisogna servirlo, quello sì: l’urgenza verticale di Zeman non sembra aver bisogno d’altro.
Zeman farà di Cubas il nuovo Verratti: quando il giovane argentino, da Buenos Aires, si commuove parlando del tecnico che lo ha fatto esplodere in Italia e dell’emozione di giocare, nella prossima stagione, alla Juventus con Dybala e Higuain, Zeman che lo osserva seduto in poltrona non riesce ad essere del tutto triste.
Scenario #4 – Vincere la Juventus
Non è forse un caso che la sfida emotivamente più forte per Zeman sia quella prevista a una settimana perfetta dall’occasione di aggancio all’Empoli. Il sabato di Pasqua il Pescara ospita in casa la Juventus: con tutto quello che vuol dire la parola Juventus quando di mezzo c’è il Boemo.
Andrea Agnelli, lungi dal dissotterrare antiche asce di guerra, spende parole di grande sarcasmo per Zeman e la rimonta strepitosa del suo Pescara, per il fatto di essere «un monumento della Serie A… anche se non è detto che tutti i monumenti siano anche belli, però». Tra il serio e il faceto preconizza addirittura una successione di Zeman sulla panchina che Allegri lascerà a fine stagione. Il boemo, da Pescara, risponde con un sibillino «i monumenti sono brutti solo se ci sono cacche di piccione o immondizia di gente»; però poi clamorosamente lascia intendere che l’ipotesi di poter un giorno allenare la Juventus non solo non lo ripugna, ma addirittura lo affascina. «Magari faccio diventare un po’ simpatici anche loro», dice. Dopotutto c’è sempre stata così tanta Juventus in ogni discorso di Zeman che l’unica maniera per superarsi sarebbe soltanto essere la Juventus.
Il sabato di Pasqua del 2017 non è un giorno qualsiasi: è l’esatta intercapedine tra la Passione e la Resurrezione, tra il vituperio e il prodigio, tra la sofferenza e la liberazione.
La polaroid del guanto di sfida, del fatto che stia per andare in scena una battaglia delle Termopili dagli esiti tutt’altro che scontati, è la presenza di sei giocatori abruzzesi sulla linea del centrocampo quando la palla è al centro, ed è un nuovo inizio.
Un minuto di Zeman Kick-Off senza squadre di Zeman, ma in presenza di Kick-Off.
Travolta dalle folate di un ritrovato entusiasmo, surfando sull’onda emotiva delle rinnovate possibilità, Pescara-Juventus è come l’ultimo quadro di Wonder Boy, la resa dei conti, l’ultima mossa sulla scacchiera del Settimo Sigillo.
Quando dopo tre minuti viene concesso un rigore alla Juventus, le telecamere che indugiano sul volto tirato di Zeman sembrano essersi cristallizzate al momento della prima inquadratura. Bizzarri para il rigore di Higuain e il boemo è ancora imperturbabile, come nulla fosse successo, mentre il pubblico dell’Adriatico tira un sospiro di sollievo che è come se tutte le sigarette d’Abruzzo venissero espulse in una folata.
A fine partita Bauza, in tribuna per Cubas, dirà di essere rimasto impressionato da Bizzarri e di non escludere una sua potenziale convocazione (mentre Higuain si rifiuterà, stizzito, di scambiare la maglia con quella del portiere connazionale).
In ogni caso Zeman che corre verso la curva Nord, a braccia levate, è l’immagine della giustizia che in qualche modo, navigando su rivoli karmici sotterranei, torna a baciarti in fronte: ma a questo punto non ci interessa troppo sapere se i festeggiamenti siano per l’ennesimo successo che autorizza a sognare la salvezza o la semplice esternazione di uno dei pochi sparuti momenti di gioia della stagione pescarese, tipo un gol di Memushaj in sforbiciata.
Quando di fronte alle telecamere nelle interviste di rito Zeman si incrocia con Buffon dice al portiere «avvisa tuo presidente che l’anno prossimo ci vediamo sicuro più spesso».
Scenario #5- E se invece Zemanlandia non esistesse?
Nonostante i proclami shoot big, e per forza di cose verrebbe da dire, equiparati all’immanità della sfida che lo attendeva, e gli anatemi contro i nemici che sembrano più sintomatici di una mania di persecuzione che di un delirio di onnipotenza, il Pescara finisce il campionato come peggiore squadra di tutti i massimi campionati d’Europa.
La vittoria contro il Genoa è solo un miraggio: i biancoazzurri riescono a peggiorare il record di sconfitte (28, che peraltro detenevano sempre loro dal campionato 2012/13), di reti subite (sfondando il tetto delle 90, peggio pure di un Venezia degli anni ‘50), di vittorie (come il Treviso 2005/6, e di cui soltanto due sul campo).
Peggio del Pescara post-Zeman, insomma, c’è solo il Pescara di Zeman.
Svanito l’entusiasmo già dopo il sonoro 4-0 sul campo del Chievo, Zeman comincia ad affidarsi alla cabala, a rimedi scaramantici, alle gioie spicciole dell’invettiva: «Smetterei di fumare pur di salvare il Pescara», dice dopo la sconfitta casalinga contro l’Udinese; «Rimarrò solo se sconfiggerò la Juventus», afferma dopo l’umiliazione contro il Milan; «È triste come vedere un treno con a bordo la tua fidanzata che se ne va», dice dopo la sconfitta 6-0 contro la Juventus; o ancora, a fine stagione: «È brutto retrocedere ma è brutto anche vedere la Juventus vincere un altro Scudetto che non merita».
«Inutilmente mi sono messo in viaggio per visitare la città», recita nell’ultima riga il racconto di Calvino che parla di Zora: «obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve».
Zemanlandia, settimana dopo settimana, si sgretola fino a farsi maceria e polvere, per scomparire in quel tipo di pulviscolo sottile che il vento tramanda alla posterità come leggenda.
Una leggenda venerabile, della quale ridere non si può, che non sta bene.