Allyson Felix ha iniziato l’anno olimpico con un obiettivo: vincere due ori a Rio nei 200 e nei 400 metri. Per soddisfare la sua pupilla, la federazione americana ha chiesto e ottenuto dalla Iaaf di cambiare l’orario delle gare per permetterle di realizzare quest’impresa. A quel punto, si trattava solo di seguire i programmi di allenamento, arrivare in Brasile e provare a eguagliare ciò che il suo connazionale Michael Johnson e la francese Marie-José Pérec avevano fatto vent’anni fa ad Atlanta. I piani di Allyson sono inciampati in una palla medica, che le ha danneggiato i legamenti della caviglia e l’ha tenuta ferma poco prima dei Trials. Ai campionati americani è arrivata quarta dietro a Jenna Prandini, che per batterla è caduta sul traguardo. Una caduta che è valsa come premonizione: in Brasile, nell’unica gara che ha corso a livello individuale e cioè i 400 metri, si è trovata sulla sua strada la bahamense Shaunae Miller, 22 anni, seconda alle sue spalle ai Mondiali di un anno fa e primatista mondiale del 2016. Miller è partita più forte, ma Felix ha iniziato a recuperarla nel rettilineo finale. Centimetro dopo centimetro si è portata alla pari a pochissimi metri dall’arrivo. Stava per superarla, ma Miller l’ha vista e si è tuffata. Ha chiuso con sette centesimi di vantaggio, 49’’44 contro 49’’51. Il suo gesto ha fatto molto discutere, ma il regolamento non lo vieta e quindi Miller si è messa l’oro al collo.
Felix non ha vinto nessuna delle due gare che voleva vincere, ma è tornata lo stesso a casa con due medaglie d’oro al collo. Quella della 4x100, dove in batteria ha vissuto un incubo: toccata da una brasiliana, ha rischiato l’eliminazione della sua squadra. Ma alle americane è stato concesso di riprovarci da sole e loro hanno conquistato una corsia, la corsia interna, cioè la più brutta. Ma ormai il peggio era passato e hanno vinto facilmente. La sera dopo Felix non era alla premiazione: si stava preparando per la 4x400. L’avevano messa come ultima frazionista, il testimone le è arrivato con leggero anticipo rispetto alle giamaicane. Ha portato con sé la sua rivale diretta Novlene Williams-Mills per 300 metri, poi l’ha staccata e ha vinto a braccia alzate. È stata la sua sesta medaglia d’oro alle Olimpiadi, la quindicesima contando i Mondiali. È l’atleta americana più vincente della storia, con la singolare particolarità che ben dieci successi le sono arrivati dalle staffette. Una vincitrice atipica, perché mai imbattibile nelle sue gare. Quattro vittorie sono arrivate nei 200 metri, una nei 400, dieci nelle staffette. Non è un caso: le staffette sono sempre state il terreno di caccia di chi fa della carica agonistica la sua forza. Soprattutto le 4x400, dove il fatto che gli atleti si spostino alla corda rende questa gara estremamente diversa dal “giro della morte” individuale. E di atlete affamate di vittoria come Allyson Felix, una delle velociste meno sorridenti nel panorama dell’atletica, non ce ne sono molte.
A quasi 31 anni, non è detto che ci sia un’altra Olimpiade nella carriera di Allyson Felix. A Tokyo ne avrebbe 35: tanti per chi corre 200 e 400, tantissimi per chi ha la concorrenza che si ritrova lei in casa. Un’eternità se l’obiettivo è mantenere il livello con cui ha sempre corso in tutta la carriera. Quando iniziò non era ancora maggiorenne e già la additavano come la nuova Marion Jones, il suo idolo totale. Poi esplose il caso Balco, lei rimosse il poster dalla camera e diventò una furia ogni volta che c’era da mettere le chiodate per una finale. Ha passato tredici stagioni a lottare contro tutta la Giamaica e contro le connazionali che via via si succedevano. Le ha battute, più spesso di quanto abbia perso. Per capire come si diventa l’atleta più vincente nella storia dell’atletica, bisogna ripercorrere la sua carriera. Ma non attraverso i trionfi: quelli sono il punto d’arrivo. Le sconfitte, quelle possono spiegare molto di più sul personaggio di Allyson Felix. Quello qui in basso sarà l’unico video dell’articolo in cui la vedrete vincere una gara.
Londra 2012: Allyson Felix vince il primo e unico oro olimpico individuale della sua carriera.
Atene 2004
Quando arriva in Grecia, Allyson Felix non è una sconosciuta. Viene da anni di dominazione nelle categorie giovanili, dove dovrebbe ancora stare (non ha ancora 19 anni, è coetanea di Andrew Howe). Ha stracciato tutti i record di categoria dell'atleta di cui in patria è considerata l’erede: Marion Jones. Nell’atletica americana del 2004, quello di Marion Jones è un nome pesante. Non manca molto all’esplosione del caso Balco e l’atleta capace di vincere cinque medaglie (tre d’oro e due di bronzo) a Sydney 2000 è una delle donne più famose e venerate negli Stati Uniti. È anche l’idolo della giovane Felix, che si qualifica alle Olimpiadi vincendo i 200 metri ai Trials 2004 contro il meglio della velocità americana. La chiamano «Chicken legs» perché ha gambe sottili, ma forti e lunghissime. È legata da una profonda amicizia con l’astro nascente della velocità maschile americana e futuro campione olimpico sui 100 metri, Justin Gatlin, tre anni più anziano di lei. Figlia di un pastore americano e di un’insegnante elementare, profondamente religiosa, talentuosa ed educata: la ragazza perfetta per chi vuole dimenticare i sospetti su Flo-Jo Griffith e, di lì a qualche mese, vorrà scordare i sogni su Marion Jones. Insomma, ad Atene Allyson Felix ha responsabilità pesanti, per una ragazza che, oltre ai campionati mondiali under 18 e under 20, ha solo un’apparizione ai Mondiali dei grandi (Parigi 2003) corsi da comparsa. Lei reagisce vincendo batterie e semifinali senza forzare. In finale ha la terza corsia al fianco della giamaicana Veronica Campbell, che ha 22 anni ma, al suo confronto, è già una campionessa di lungo corso. La sfida annunciata è tra loro due, che al termine della curva sono già in testa. Campbell è troppo avanti, Felix stacca tutte le altre e le recupera qualche centimetro, ma la sua rimonta resta un’illusione. Vince la giamaicana, la giovane americana si ferma all’argento. È la sua prima medaglia olimpica ed è record del mondo juniores, 22’’18. Ce ne sarebbe abbastanza per perdere la testa dalla gioia, ma lei dopo la gara ha un’espressione indecifrabile. Qualunque cosa le giri per la testa in quel momento, Atene sancisce l’inizio della sua cavalcata.
Pechino 2008
Dentro al Nido d’Uccello cinese, Allyson Felix non è più solo l’astro nascente ma uno dei nomi più noti nel circo dell’atletica leggera. Un anno dopo Atene è andata a Helsinki e ha vinto i Mondiali, prima ancora di festeggiare il ventesimo compleanno. Ai Mondiali di Osaka 2007 ha fatto tripletta: 200, 4x100 e 4x400. Nella gara individuale si è presa la sua vendetta contro Veronica Campbell: ha chiuso in 21’’81, infliggendo alla giamaicana 53 centesimi di ritardo. È il distacco più pesante da Londra 1948 e lei è la vincitrice più giovane di sempre ai campionati del mondo fino a quel momento. Ha avuto una relazione con Justin Gatlin, che non è sopravvissuta alla squalifica di lui per doping. A quello del suo ex, che diventerà l’orco dell’atletica fischiato in ogni stadio da chi vuole far finta che i mali della regina inizino e finiscano con lui, Allyson cerca di opporre un destino opposto: quello della campionessa che cerca di riportare credibilità nella velocità americana, ferita dalle vicende di Gatlin e, prima ancora, di Marion Jones e Tim Montgomery. Entra a far parte del Project Believe, una campagna dell’agenzia antidoping americana che ha l’obiettivo di tenere sotto un maggior controllo gli atleti di punta per riportare credibilità sullo sprint statunitense. E pazienza se il suo allenatore, Bob Kersee, è lo stesso che vent’anni prima aveva vinto tutto con la discussa Florence Griffith, e se tra i partecipanti al Project Believe c’è anche il campione del mondo Tyson Gay, destinato a essere squalificato per doping cinque anni dopo: le chiacchiere non la sfiorano. Ormai è celebre in tutto il mondo, non solo per le vittorie. Diventa famosa anche per lo stile di corsa, fatto di falcate lunghissime e leggere che non lasciano nemmeno intuire lo sforzo di chi le controlla per mantenerle in moto.
A Pechino, Felix vuole vincere tutto: 100, 200, 4x100 e 4x400. Ma ai Trials qualcosa va storto e arriva quarta: è fuori dalla finale olimpica, ancora prima di partire. «Per correre i 100 bisogna essere preparati, se una non ce la fa, è meglio che torni a studiare», commenta la vincitrice Muna Lee. A Pechino, a questo punto, arriva per vincere “solo” i 200 metri. Ma il suo sogno si infrange all’ingresso del rettilineo, quando davanti a lei sbuca un fantasma: Veronica Campbell-Brown, la stessa donna che l’aveva battuta quattro anni prima. Ha un cognome in più, ma è sempre lei. Anzi, è anche più veloce. Incassata la sconfitta del 2007, è tornata ad allenarsi duramente e, nel Nido d’Uccello, stampa un 21’’74 che non si vedeva da anni. Uno dei crono migliori della storia, che distanzia di 19 centesimi l’americana. Per gli Stati Uniti, quella cinese è l’Olimpiade della disfatta: la Giamaica , nell’anno dell’esplosione di Bolt, domina lo sprint sia a livello maschile che femminile. Tra le donne, su sei medaglie disponibili nei 100 e 200, l'unica è al collo di Allyson Felix. Magra consolazione. Ad alleviare la delusione arriva la staffetta 4x400: è la seconda frazionista, riceve il testimone con gli Usa leggermente in ritardo rispetto alle prime due. Fa i primi cento metri in corsia, va alla corda che ha solo un’avversaria davanti: la giamaicana Shereefa Lloyd. Le bastano altri 150 metri per liquidarla, gli ultimi 150 li usa per aumentare il vantaggio. Una vittoria di Pirro, se paragonata alla sconfitta nei 200. Ma è la sua prima alle Olimpiadi.
Daegu 2011
Alle Olimpiadi di Londra, Allyson Felix ci si avvicina con i Mondiali di Corea, quelli che verranno ricordati per la falsa partenza di Usain Bolt. Per la prima volta decide di non limitarsi al mezzo giro di pista. La distanza inizia ad andarle stretta, due anni prima a Berlino ha vinto il terzo mondiale consecutivo (prima di compiere 24 anni) davanti alla solita Campbell-Brown: «Scambierei volentieri i miei tre titoli mondiali con il tuo oro», dice alla rivale di sempre in conferenza stampa dopo quella gara. Decide di puntare anche sui 400: è già scesa più volte sotto i 50 secondi, ma le sovrapposizioni di calendario le hanno sempre impedito di provarci in un’occasione importante. Tutto sembra andare per il meglio ai Trials, dove vince sul mezzo giro e diventa la prima atleta della storia Usa a conquistare, nel corso della carriera, i titoli nazionali di 100, 200 e 400 metri.
Un’altra volta, però, le speranze e la realtà vanno in due direzioni opposte. Nei 400 metri corre in corsia 3, al suo fianco trova la botswana Amantle Montsho. Sembra raggiungerla già verso la fine della prima curva, quando Monthso apre il gas. Quella che sembrava dover essere una marcia trionfale si trasforma in un inseguimento infinito, con la botswana a fare da lepre e l’americana ad alitarle sul collo. All’imbocco dell’ultimo rettilineo, Montsho è davanti. Felix la recupera centimetro dopo centimetro, ma Montsho non crolla. Arrivano quasi appaiate dopo uno spalla a spalla drammatico, ma Montsho tiene con le unghie l’ultimo centesimo di vantaggio che aveva accumulato: 49’’58 contro 49’’59. Felix cerca consolazione nei suoi 200, ma i tre turni sul giro della morte a cui si aggiungono batterie e semifinali del mezzo giro si fanno sentire. Stavolta, tra lei e Campbell-Brown (perché neanche a dirlo la vincitrice è lei) si inserisce l’americana Carmelita Jeter, fortissima centista (la seconda più veloce di sempre dietro a Florence Griffith) che non disdegna i 200. A risollevare il morale arrivano due vittorie nelle staffette, ma l’assalto alla doppietta individuale è fallito. E di lì a un anno ci sono le Olimpiadi di Londra.
La finale dei 400 donne di Daegu 2011, corsa quasi alla pari con Amantle Montsho. Quasi.
Mosca 2013
Ai Mondiali russi, Felix ci arriva da campionessa olimpica in carica. Un anno prima, a Londra, non ha lasciato nulla al caso: nel 2012 si è preparata solo sui 100 e sui 200, accantonando il giro della morte. Ai Trials, sul mezzo giro, ha ottenuto un 21’’69 clamoroso, tra i migliori tempi mai ottenuti nella storia dell’atletica femminile. Ma si è qualificata anche sui 100. Su questa distanza non aveva speranze di vittoria a Londra (è arrivata quinta con il personale di 10’’89), ma in questo modo ha conquistato la certezza di essere schierata in staffetta. Nei 200 ha corso una gara perfetta: Campbell-Brown è sprofondata nel rettilineo, mentre lei è scappata via. A tentare di inseguirla solo la giamaicana Shelly-Ann Fraser-Pryce. Ma lei correva, mentre Felix quel giorno sembrava non toccare terra con i piedi. Pochi giorni dopo è stata seconda frazionista della 4x100 che, in 40’’82, ha battuto con 55 centesimi di margine un record mondiale vecchio di 27 anni. La tripletta è arrivata con la 4x400, di cui è stata ancora seconda frazionista e con cui ha stravinto.
Quando arriva a Mosca, la sua nemica di sempre Veronica Campbell-Brown è stata squalificata da pochi mesi per doping. Verrà assolta dal Tas nel 2014 e tornerà alle gare. Senza la sua nemesi, Felix è libera di fare a pezzi i 200. In finale parte con quell’intenzione, ma la sua corsa dura cinquanta metri. A metà della curva, l’americana si accascia al suolo. A vincere ci va Shelly-Ann Fraser-Pryce, mentre lei viene soccorsa. La porta via in braccio il fratello Wes, resta ferma quattro mesi. Per la prima volta dopo dieci anni, abbandona i Mondiali senza aver vinto almeno un oro. L’ultima volta era stata a Parigi 2003, quando era ancora un’esordiente alla prima esperienza. Da quel momento qualcosa si rompe nel rapporto tra Allyson Felix e i 200: continua a correrli, ma non li domina più come faceva prima. Ormai, il suo orizzonte sono i 400.
Mosca 2013: Allyson Felix si fa male, Shelly-All Fraser-Pryce vola verso la vittoria.
Pechino 2015
Una delle più grandi settimane della sua vita, Allyson Felix l’ha vissuta l’anno scorso ai Mondiali in Cina. Ha riprovato la via dei 400 e stavolta, con Amantle Montsho squalificata per doping, non ha avuto rivali. Il suo show nella gara individuale è durato 49’’26, il giro di pista più veloce della sua vita in una gara individuale. È diventata la prima donna in grado di vincere il titolo mondiale sia sui 200 sia sui 400, per quanto in edizioni diverse. Ha ottenuto un inevitabile secondo posto nella 4x100, alle spalle della Giamaica che, con l’eccezione dei 200 donne (vinti dall’olandese Dafne Schippers), ha completamente annullato gli Stati Uniti nello sprint come era accaduto, nello stesso stadio, sette anni prima. Poi è arrivata la 4x400. E mentre le giamaicane presentavano un quartetto composto da quattro finaliste della gara individuale (terza, quarta, quinta e sesta), lei aveva tre compagne in condizioni fisiche pessime. Soprattutto Sanya Richard-Ross, una delle più grandi interpreti della disciplina negli ultimi anni. Quando Allyson Felix ha preso il testimone in mano, in terza frazione, la Giamaica aveva un vantaggio di due secondi. E in pista c’era Stephenie Ann McPherson, quinta nella gara individuale. Si è lanciata all’inseguimento e, in 340 metri, è riuscita a colmare il divario. L’ha superata nel corso del rettilineo, poi ha passato il testimone a Francena McCorory. Ha corso la sua frazione in 47’’72. Non esistono classifiche ufficiali, ma è quasi impossibile trovare nella storia un tempo simile in staffetta. Tutto inutile, però. In ultima frazione, Mc Corory è stata superata nel rettilineo d’arrivo da Novlene William-Mills. La Giamaica ha vinto, gli Stati Uniti hanno perso. Lei ha perso, nonostante una delle migliori prestazioni della sua carriera.
La rincorsa inutile di Allyson Felix.
Indomabile
Nel corso della sua carriera Allyson Felix non è stata imbattibile come Bolt o altre leggende dello sport, nonostante tredici anni fa il suo destino fosse quello: doveva essere l’erede di Marion Jones, ma poi l’eroina è caduta in disgrazia. Jones era capace di vincere tutto, dai 100 al salto in lungo passando per le staffette. Felix ci ha provato almeno tre volte, le è sempre andata male. Perché se Jones partiva da una superiorità schiacciante, Felix non è mai stata l’unica favorita. Ha sempre avuto avversarie alla pari e, quando il contesto è equilibrato, le sconfitte sono più frequenti. È il motivo per cui Mo Farah domina 5.000 e 10.000 da un lustro, mentre Haile Gebrselassie, quando in gioco c’erano le medaglie, lasciava perdere una delle due gare: uno aveva avversari alla sua altezza e doveva concentrare le energie, l’altro no.
Felix ha sempre costruito le sue vittorie partendo da un pronostico aperto. Le sue avversarie non hanno mai avuto timori reverenziali nei suoi confronti e lei si è trovata a battagliare con diverse sprinter di livello pari al suo. Veronica Campbell-Brown su tutte, ma anche Shelly-Ann Fraser-Pryce e tante altre. Molte volte ha vinto, altre ha perso. Non ha mai avuto nemmeno una fase da inavvicinabile. Eppure, un tassello dopo l’altro, è diventata una delle donne più vincenti nella storia dell’atletica. Ha puntato sulla costanza: quattro edizioni delle Olimpiadi e sette dei Mondiali da protagonista sono tantissime. Ha conquistato milioni di fan nel mondo, ha incantato non solo per le vittorie ma per quella corsa unica e inimitabile che è diventata un marchio di fabbrica al di là del tempo o della posizione finale. Ha incantato anche per quell’espressione truce, concentrata, ai limiti dell’aggressività con cui sembra urlare, prima e durante ogni gara, un bisogno fisico di finire davanti a tutte le altre.
Ma soprattutto, è diventata l’esempio di come un campione non sia semplicemente un essere invincibile da valutare in base alla somma numerica dei titoli conquistati. Un campione è soprattutto il risultato del percorso che fa per arrivare a quelle vittorie. Un percorso che passa sempre attraverso le sconfitte più cocenti.