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Le promesse del Barça
05 feb 2014
05 feb 2014
I destini paralleli e divergenti di Giovani Dos Santos, Bojan Krkić e Thaer Fayed Bawab: le tre ex giovani speranze della cantera catalana. Perché non tutti possono diventare campioni.
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È l’11 Febbraio del 2007 e il Barcellona B, al Mini Estadi, ha appena sconfitto il Lleida per 3-0. Nell’intervista post-partita a Barça TV le dichiarazioni di Enrique Álvarez Costas sono le classiche dichiarazioni che ti aspetteresti da un allenatore del Barcellona B. Nessun accenno alla classifica, nessun proclama di salvezza. A quel punto del campionato la squadra è in piena zona retrocessione, diciassettesima della Segunda B (la nostra Lega Pro). Vincere campionati, per la cantera degli azulgrana, non è la priorità. Ciò che conta è preparare campioncini, allevare talenti. Cantera, in spagnolo, significa cava. In questa sfumatura semantica, secondo me, c’è tutta la differenza coi nostri vivai: in Italia i giocatori si coltivano, e quando la pianta è bella cresciuta la si sradica e trasferisce in un altro vaso. Possibilmente più capiente. In Spagna invece si scavano tunnel, che a volte portano lontanissimi da Parc Güell, in altri continenti addirittura, e si cercano gemme. La terza rete contro il Lleida l’ha messa a segno Thaer, alla sua seconda presenza coi culé. Thaer Fayed Bawab è del 1985. I suoi genitori, palestino-libanesi, si sono trasferiti da Amman in Catalogna quando aveva sette anni. Ha cominciato a giocare a calcio nell’UE Cornellà (la stessa società che ha lanciato Jordi Alba), dove tutti lo paragonavano a Rivaldo—anche per via d’una vaga somiglianza—tanto da soprannominarlo “Rivo”. Poi, a diciassette anni, ha firmato un contratto con il Real Madrid. Coi Blancos ha disputato un campionato Juvenil A (i nostri Juniores Nazionali) segnando tanto—e reti di pregevole fattura, come questa in volée su cross di Granero; o quest’altra, con un tocco d’esterno che è a un tempo elegante e di rapina. Il Real gli ha pagato gli studi e lui si è baccalaureato farmacista. Quique Sánchez, l’ex della quinta del Buitre, lo ha voluto con sé nel Real Madrid C, la terza squadra della cantera, per la stagione 2004-2005. Ormai per tutti, nell’ambiente madridista, era diventato Thaerminator. Mariano García Remón, allenatore ad interim dei Blancos peruna manciata di settimane tra settembre e Natale, lo ha convocato qualche volta per allenarsi con la prima squadra, fianco a fianco con Figo, Zidane, Raúl. A Bawab sembrava un sogno. La sua fama, intanto, cresceva anche in patria. Il 28 Gennaio 2005 il tecnico egiziano El-Gohary lo ha convocato e lo ha fatto esordire con la Nazionale maggiore giordana, i Nashama (significa i coraggiosi gentiluomini), in una gara amichevole contro la Norvegia. È rimasto in campo per 60 minuti. Thaer sembrava pronto a spiccare il volo tra i professionisti. Nella sua seconda stagione con il Real Madrid C, quella 2005-2006, ha segnato dieci reti in 31 presenze. Giocava insieme a giovani altrettanto promettenti, come de la Red, Granero, Mata, Borja Valero. Michel, tecnico del Castilla, lo ha inserito in rosa per la stagione 2006-2007.

La rivalità calcistica tra Madrid e Barcellona cova a tutti i livelli, anche e soprattutto a quelli giovanili. E forse Thaer soffriva il fatto di non essere ancora stato convocato con la prima squadra: «A Barcellona c’è una società migliore, che punta più sui giovani di quanto non facciano a Madrid». Nel gennaio 2007, ventiduenne, firma un contratto che lo lega agli azulgrana. In quel momento è, probabilmente, il calciatore giordano più famoso di tutti i tempi. Uno che ha vestito la maglia di Real e Barcellona, il meglio del meglio. «Chissà che non si riveli un’ottima soluzione in sostituzione, nelle prossime partite, di Giovani che giocherà le qualificazioni ai Mondiali U-20 in Messico», dice il commentatore che sta intervistando Costas, in chiusura di servizio.

I gol di Thaer Bawab con le maglie di Barcellona e Real Madrid.

Giovani dos Santos, nel 2007, è la stella incontrastata del Barcellona B. Figlio del calciatore brasiliano Zizinho, al secolo Geraldo Francisco Dos Santos, una carriera tutta spesa in Messico, è nato a Monterrey nel 1989. In Spagna è arrivato a dodici anni, dopo esser stato notato alla Danone Nations Cup, una competizione mondiale riservata a ragazzini dai dieci ai tredici anni, della quale era stato capocannoniere. Giovani somiglia, nel fisico e nel gioco, a Ronaldo Gaucho: sprazzi di gran classe, incisivo sotto porta. Con le “Tri”(così viene chiamata la selecciòn messicana) minori, delle quali è líder supremo, ha già fatto incetta di titoli e riconoscimenti. Nel 2005 ha condotto i suoi alla vittoria del Mondiale U-17 ed è stato nominato secondo miglior giocatore del torneo alle spalle del brasiliano Anderson, il neoacquisto della Fiorentina. Nel 2006 Rijkaard lo ha già convocato per il precampionato con la prima squadra, gettandolo più volte nella mischia. Con i grandi ha segnato in una partita amichevole contro i danesi dell’Aarhus, e nel mese di novembre si è aggregato alla spedizione in Giappone per il mundialito per club. Giovani è forse eccessivamente dribblomane, sempre protagonista di numeri a effetto, però sembra avere una marcia in più dei pari categoria. Magari un tantino indisciplinato tatticamente, ma per quello ci sarà tempo. I diamanti grezzi sono quelli che brillano di più. Nella stagione 2006-2007, con il Barcellona B, crea e disfa a suo piacimento accompagnandosi a un compagno di reparto altrettanto talentuoso: Bojan Krkić.

Bojan è nato a Linyola, nella provincia di Lleida, nel 1990. Il papà, Bojan Krkić Senior, è stato calciatore di livello discreto, passato per le fila della terza squadra (in ordine d’importanza) di Belgrado, l’OFK. Bojan è per molti “Il Predestinato”, con la P maiuscola. In cinque anni di cantera culé, dagli undici ai sedici anni, ha segnato qualcosa come 500 reti. Nel frattempo, imparava a suonare il violino. Basta vederlo giocare da ragazzino per capire qual è lo specimen di un campione. L’idea diffusa nell’ambiente era che Bojan fosse un po’ la versione catalana di Leo Messi, il giovane argentino che aveva preso le redini della prima squadra dopo aver disputato, nel 2004-2005, una stagione col Barça B (22 presenze e 6 reti) abbastanza in linea con la stagione dell’esplosione di Bojan tra le riserve (che a fine 2006-2007 collezionerà 22 presenze e 10 gol). Nel 2006, mentre Giovani esordiva con la prima squadra, Bojan veniva convocato per gli Europei U-17 da Juan Santisteban, che su di lui aveva le idee molto chiare: «Sarà uno dei migliori calciatori d’Europa; c’è da aspettarsi molto da lui». Segnando 5 reti condurrà la Spagna al terzo posto. La maglia rossa non sembra pesargli sulle spalle. Anche se dopotutto ha solo sedici anni.

Bojan è quel ragazzino che nell’intervista dopo la partita con il Lleida s’incespica, sembra avere qualche problema nel pronunciare la parola «tranquilidad», tranquillità. Qualche settimana dopo la gara contro il Lleida, Rijkaard lo convoca per un’amichevole contro gli egiziani dell’Al-Alhy, il 24 Aprile. «Avevo sedici anni giocavamo al Cairo. Sono entrato e ho fatto gol, non pensavo a cosa sarebbe successo di lì in poi [...] La gente per strada mi osservava, sentivo che dicevano guarda, quello è Bojan».

Al termine della stagione 2006-2007, il Barcellona B deve fare a meno per qualche partita di Bojan e Giovani, impegnati con le rispettive Nazionali giovanili. Incassa quattro sconfitte consecutive e retrocede in Tercera División. Non è tradizione della squadra riserve lottare per vincere i campionati, ma retrocedere non è mai piaciuto a nessuno. In particolare, retrocedere quell’anno è doppiamente amaro perché comporta, automaticamente, l’impossibilità di iscrivere al campionato 2007-2008 la squadra C, piazzatasi a metà classifica di Tercera. Non possono coesistere due società satellite nella stessa serie. Il Barcellona C viene tenuto in stand-by per un anno. In realtà dopo quello stop non verrà mai più iscritto ad alcun campionato minore: scomparirà. Costas lascia la panchina del Barça B. L’intero sistema canterano viene messo in discussione. La società decide di affidare la direzione tecnica del club riserve, per la stagione a venire, all’ex gloria blaugrana Pep Guardiola con l’incarico di ristrutturare il settore giovanile a partire dalle fondamenta.

In quella difficile estate di transizione, i destini dei tre giovani si dividono. Tra maggio e giugno Giovani dos Santos e Thaer vengono convocati da Rijkaard per la Copa Catalunya. Il messicano segna 2 reti in semifinale al Terragona, e nella finale contro i cugini dell’Espanyol insacca uno dei rigori vincenti. Thaer colleziona una mezz’ora totale di gioco (subentra sempre a Sylvinho e sempre intorno al 75esimo). In quell’edizione della Copa Catalunya fa il suo esordio con la squadra maggiore anche un promettente centrocampista, Sergio Busquets. Bojan nel mese di maggio conquista, con l’U-17 Spagnola, il campionato europeo di categoria. Poi al termine di tredici mesi giocati ininterrottamente, senza tirare il fiato praticamente mai, guida le Furie Rosse al secondo posto del Mondiale U-17 disputatosi in Corea.

Nell’agosto 2007 Giovani acquisisce il passaporto spagnolo; svincolato dallo status di extracomunitario gli si spalancano le porte della prima squadra. Rijkaard lo integra alla rosa che disputerà la stagione 2007-2008, e qualche settimana dopo Hugo Sánchez, ex gloria del Real Madrid ed ora direttore tecnico della “Tri”, lo convoca per le due partite amichevoli che il Messico disputa contro Panama e Brasile. Anche per Bojan, reduce dai successi con le Nazionali giovanili, quella 2007-2008 sembra essere la stagione del salto di qualità. Rijkaard ripone molta fiducia nel giovane serbo-catalano, che lo ripaga con una prestazione superba già dall’esordio contro l’Osasuna, a Pamplona, dove ha l’ardire di inscenare una bicicleta. In assoluta tranquillità. E pensare che ha appena diciassette anni e diciannove giorni, il più giovane giocatore del Barcellona a esordire nella Liga, più precoce pure di Messi. Tre giorni dopo infrange un altro record, quello del più giovane barcellonista di sempre in Champions League. A fine dicembre, nella tradizionale partita che si gioca al Camp Nou a fini umanitari, Bojan veste la divisa della selezione catalana contro la rappresentativa Euskadi.Thaer Fayed Bawab, invece, sembra essere stato abbandonato dalla fortuna. Un anno dopo gli allenamenti con Zidane, e solo qualche settimana dopo aver scherzato con Ronaldinho ed Henry, per il ventiduenne Thaer non sembra esistere alternativa a un altro anno nel Purgatorio di Tercera División. Viene ceduto in prestito all’Hospitalet, dove disputerà un campionato anonimo: soltanto 2 reti in 26 presenze, che non serviranno ad evitare alla squadra la retrocessione.Giovani e Bojan, invece, nella loro prima stagione tra i culé tutto sommato non sfigurano. Il messicano segna 5 reti complessive, di cui una in Champions League, a fronte di 34 presenze. A fine stagione Bojan raccoglierà un bottino di quasi 50 presenze tra Liga, Copa del Rey e Champions League, condite da 12 reti complessive. 10 in campionato. Più di Raùl nella sua stagione d’esordio. Tutto giocando, in media, 42 minuti a partita.

Le 10 reti più belle di Giovani dos Santos.

Se la Serbia si fosse qualificata per gli Europei del 2008, Bojan Krkić avrebbe accettato la chiamata di Radomir Antic? Sarebbe partito titolare? Avrebbe fatto gol? Basta una risposta negativa alla prima domanda per invalidare tutte le altre. Bojan ha sempre giocato, anche nelle selezioni giovanili, per la Spagna. Per quale ragione avrebbe dovuto cambiare casacca, allora? Per opportunismo? Nell’estate del 2008 ha diciotto anni appena. E per dirla tutta, un posto nei ventitré per la spedizione Austro-Svizzera glielo garantisce anche Luis Aragonés. Perché allora rifiutare? O meglio: perché—dopo essersi confrontato col padre e con la società—ha chiesto espressamente al tecnico iberico di non convocarlo? L’ipotesi più in voga, in quel periodo, era che si trattasse di un rifiuto politico, di un niet irrorato d’indipendentismo catalano (anche se la catalanità non ha mai impedito a nessuno di giocare per la Spagna). Più probabilmente Bojan aveva bisogno di riposo, dato che dall’agosto del 2006 non si era fermato neppure per una settimana. Guardiola, intanto, viene promosso sulla panchina del Barça. Pep ha intenzione di effettuare un repulisti, importare una nuova mentalità e un nuovo stile di gioco. Gerard Piqué, in un’intervista, ha dichiarato «Pep non ti dà semplicemente un ordine: ti spiega anche il perché». Pep è convinto che Bojan abbia bruciato le tappe, e per il suo bene gli suggerisce di fare un passo indietro, ricominciare da capo, magari dal Barça B. Bojan invece resta. Verrà utilizzato 23 volte, durante la stagione. Soltanto una da titolare. Per una media di 20 minuti a partita. Il Barcellona vince ogni cosa. Bojan pure, ma non del tutto, non davvero.

Con l’arrivo di Guardiola in molti hanno fatto le valigie. La prima partenza eccellente è quella di Ronaldinho, ceduto al Milan. A stretto giro di ruota parte anche Giovani, che di Ronaldinho è amico e sodale nonché clone—sotto tutti i punti di vista, numeri e frequentazioni sbarazzine—dieci anni più giovane. All’esilio nello spogliatoio, che subodora latente, Gio preferisce il richiamo delle sirene del Tottenham del nuovo allenatore Juande Ramos. Con gli Spurs racimola 15 presenze, abbastanza per entusiasmare i tifosi, non abbastanza per convincere tecnico e proprietà. Juande Ramos paga lo scotto di un avvio incerto e viene esonerato a metà ottobre; gli subentra Harry Redknapp. Il difficile rapporto col nuovo tecnico porta Gio a trasferirsi, nel marzo successivo, all’Ipswich Town in Championship, la seconda serie inglese, dove in 8 presenze va a segno 4 volte. Dalle immagini del match contro il Norwich City si capisce l’importanza di Gio per i blues: gioca a ridosso delle punte, è il perno della manovra e ogni volta che la palla è tra i suoi piedi, come maledizione di Montezuma, cala sul gioco un’aura di pericolo latente. Oltre a imporsi finalmente come trascinatore, a Ipswich, Gio ritrova il ritmo partita per essere pronto per per la Gold Cup 2009, che il Messico vince sconfiggendo 5-0 gli Usa in finale (sua la seconda rete, con una zampata dopo aver seguito a rimorchio un’azione travolgente sulla fascia di Vela). Dos Santos viene insignito del premio di MVP della competizione (e contro Panama fa una cosa che non t’aspetteresti: se ne va tambureggiante sulla sinistra, s’accentra, sei lì che conti i secondi prima del bolide a incrociare e invece la mette al centro per il compagno che deve solo poggiarla in fondo alla rete). Con la maglia della “Tri” è come se Giovani ritrovasse lo smalto e la leadership che le aspettative malriposte, i cambi di direzione, le scelte di carriera sbagliate sembrano avergli un po’ lavato via. Anche Thaer ha provato a cambiare aria, nell’estate del 2008. Ha sostenuto un provino con gli olandesi del Go Ahead Eagles, ma non ha avuto successo. «È un giocatore eccellente sulla fascia o dietro le punte, ma a noi serve un bomber.» Thaer ha ancora un anno di contratto con il Barcellona, ma decide di recederlo e accasarsi ancora una volta in un club di Tercera, il CD Alfaro, per il quale scende in campo 14 volte segnando 3 reti. Che non saranno sufficienti a salvare la squadra dalla retrocessione. La terza consecutiva, per lui.

Giovani Dos Santos MVP.

Il calcio a volte può sembrare una messinscena del complesso d’Edipo. La rivalità tra coach e calciatore come parricidio, o continuazione delle problematiche dell’adolescenza. Soprattutto quando un calciatore è poco-più-che-adolescente. Harry Redknapp non chiede molto a Giovani: solo di farsi vedere meno in giro per night e d’arrivare in orario all’allenamento del lunedì. Niente di più. Ma Giovani è indisciplinato, anche calcisticamente. Redknapp lo schiera solo tre volte prima che sia gennaio; poi viene ceduto in prestito al Galatasaray, in Turchia. Giovani è felicissimo della nuova destinazione, perché sulla panchina dei turchi siede Rijkaard, e perché giocare è la priorità. A fine anno ci sono i Mondiali in Sudafrica, e la “Tri” lo reclama in grande forma. Coi giallorossi di Istanbul gioca 18 partite. Non segna neppure un gol.

«Ho dovuto sempre segnare molte reti per dimostrare che meritavo di stare dove stavo», ha dichiarato un giorno Bojan. Le reti si segnano giocando. Anche poco. Ma giocando. Bojan, nella stagione 2009-2010, è la quarta scelta per l’attacco. Pedro, canterano che gli faceva da riserva, ora lo ha sorpassato nelle preferenze di Guardiola. In squadra è stato promosso anche Jonathan Dos Santos, il fratello di Gio. Nello spogliatoio Bojan è isolato, i compagni lo trattano con freddezza. Il rapporto con Pep è di soggezione: «Ogni volta che provavo a parlargli non mi uscivano fuori le parole». Neppure con Messi riesce a stabilire un legame. Si chiede: perché non arriva mai il momento del grande salto? «Qualsiasi cosa facessi, Guardiola non mi vedeva»

Istanbul, Londra e persino Barcellona sono realtà lontanissime, se le si osserva dal paesino di Moratalla, comunità autonoma di Murcia, settecento metri sopra il livello del mare. Nessuno può notarti finché giochi in quella specie di appendice di mondo, dove il profilo delle montagne, a volte, ricorda quelle di Jerash, in Giordania. Thaer Bawab, con il Moratalla CF, gioca quasi tutte le partite del campionato, segna 3 reti, ma è poco, non basta, non basta mai, a evitare la retrocessione. Il club, poi, è in crisi, chi lo sa quanto reggerà. A Giugno del 2010 gli fanno capire che la società è in dismissione. Di lì a poco dichiarerà fallimento. Il sito web è ancora cristallizzato a quella stagione.

Se abbracciassimo la teoria delle sliding doors nelle carriere calcistiche di Bojan e Giovani Dos Santos e Thaer il punto di svolta si chiama “Anno Duemiladieci”.Quando il CT messicano Aguirre dirama la lista dei ventitré che lo seguiranno in Sudafrica, una rivelazione shock irrompe nel ritiro. Ha la voce di Zizinho dos Santos, un tono deluso e minaccioso a un tempo. «Gio è molto addolorato e vuole stare a casa con noi. Ora è qua e non sta per niente bene. Non sappiamo se giocherà al Mondiale o meno. Non sappiamo niente.» È successo che Jonathan, incluso nella lista dei ventisette preconvocati, all’ultimo sia stato tagliato fuori (anche se è un ragazzino ancora, e ne avrà di occasioni per rifarsi). Zizinho minaccia di non far vestire mai più la “Tri” ai suoi figli. La prende come una mancanza di rispetto. Ma a Gio, cosa resterebbe se gli togliessero la maglia verde? Quale carriera lo aspetterebbe? Un continuo girovagare dentro e fuori White Hart Lane, poco di più. Mentre con la “Tri”, si potrebbe azzardare solo con la “Tri”, è un calciatore importante. Alla fine ai Mondiali ci va, con grandi aspettative. Nella partita inaugurale contro i padroni di casa del Sudafrica, sotto di un gol estrae dal paniere delle sue giocate una tra le più caratteristiche: riceve palla sull’estremo out di destra, salta l’avversario, si accentra e scaglia una sassata di collo pieno che il portiere devia con difficoltà. Si aggira tra le linee, crea spazi per Vela e Franco sul fronte d’attacco. Sono movimenti coi quali, ad esempio, apre una prateria per Chicharito Hernández contro la Francia (alla quale l’inattesa sconfitta per 2-0 vale l’eliminazione). Il Messico passa come seconda classificata e agli ottavi si trova davanti l’Argentina. Dopo pochi minuti di gioco c’è un’azione in cui il pallone arriva sulla trequarti difensiva del Messico, in direzione di Messi. Giovani è a pochi passi, lo rincorre ma senza troppa convinzione. Messi cerca un passaggio filtrante per Tévez, la difesa respinge ma a quel punto Giovani è rimasto troppo indietro per contrastare Messi, che ha tutta la libertà di ribadire verso Tévez, che stavolta di testa insacca. Non importa che fosse in fuorigioco, che la rete fosse da annullare. In quell’inafferrabilità di Messi per Giovani, in quello scarto breve ma fondamentale, c’è la cifra delle loro carriere messe l’una di fronte all’altra. Alle fine del torneo, alle spalle del semifinalista Müller, Giovani è votato secondo MVP tra i giovani del torneo.

A quella rassegna iridata, vinta dalla Spagna, Bojan ovviamente non ha partecipato. Ma se avesse fatto vincere al Barcellona la Champions League? Del Bosque lo avrebbe chiamato? E lui: si sarebbe tirato nuovamente indietro? Bojan ha avuto non una, ma due occasioni per trascinare i culé alla finale di Champions League. Una a distanza di dieci minuti dall’altra. Nella semifinale di ritorno contro l’Inter al Camp Nou il Barça deve segnare 2 reti senza subirne alcuna dopo esser stato sconfitto 3-1 a San Siro. Bojan entra in campo dopo un’ora di gioco in sostituzione di Ibrahimović. All’81esimo, sul risultato di zero a zero, Messi pennella un cross al centro dell’area; Bojan, a sei metri scarsi dalla linea di porta, colpisce male e la palla sfila a lato. Due minuti più tardi Gerard Piqué, che ormai funge da centravanti di sfondamento, perché la fretta disattende strategie e smonta il tiki taka, fa esplodere lo stadio segnando la rete della speranza. Mancano sette minuti regolamentari, più il recupero. Al 92esimo, a metà del recupero, Bojan raccoglie una palla rocambolescamente scodellata al limite dell’area da un rimpallo tra Yaya Touré e la difesa interista. Si vedono quattro giocatori nerazzurri, quella sera in maglia bianca, serrarsi su Bojan come una pianta carnivora. Bojan, che è più veloce di tutti scaglia un destro che s’insacca all’angolino. Si alzano mani. È un gesto di protesta, ma in pochi secondi può trasformarsi, chiuso sulla testa, in disperazione. L’arbitro annulla per un fallo di mano di Yaya Touré, privando il Barcellona della finale, e Bojan del ruolo d’eroe. Qualche giorno dopo, nel mese di giugno, Thaer Fayed Bawab atterra in Romania. Sostiene un provino con il club di serie A Gloria Bistriƫa, l’allenatore Reghecampf non sembra molto convinto, ma gli viene comunque fatto firmare un contratto. Giocherà solo 10 partite prima di essere spedito alla squadra riserve.

https://www.dailymotion.com/video/xd483z_barcelona-v-inter-milan-champions-l_sport&start=25

Barcellona - Inter.

Bojan, dopo la partenza di Ibrahimović, a inizio stagione 2010-2011 rileva la maglia numero 9. Nessun canterano l’aveva mai più indossata dai tempi di Jordi Cruyff. È una maglia scomoda, è stata di Eto’o, di Ronaldo. Il rapporto con Pep non migliora. Prima dell’inizio della stagione Guardiola lo convoca per un incontro in un ristorante di Barcellona. Bojan va coi genitori, che rimangono colpiti dalla veemenza con cui Pep lo tratta. In soldoni, lo invita a tirar fuori le palle. Gli rimprovera di essere troppo timido e poco combattivo (Bojan lo racconta nella sua autobiografia, El meu Barça, uscita a dicembre del 2011). Per caricarlo ulteriormente di responsabilità, come se non fosse già abbastanza, a fine ottobre, in una gara di Copa del Rey contro il Ceuta, gli assegna la fascia di capitano. Ma Bojan non è felice, ormai; non più.Neppure Giovani, a questo punto, pensa di poter mai più vedere la luce, a Londra. Redknapp si ostina a schierarlo col contagocce. Lui per la testa ha altro. In Messico da anni è più d’un calciatore: è una popstar. Ha un flirt tribolato, che dura da due anni e che appassiona e fa sognare le ragazzine, con la cantante Belinda, alla quale dedica dopo ogni rete il gesto d’esultanza che lo rende famoso, il braccio portato alla fronte («simbolo della mano che trova nel contatto con il cervello il suo equilibro spirituale»), subito ribattezzato Beliseñal (un portmanteau tra Belinda e segno, gesto). Comincia a sviluppare un interesse particolare per il cybersex e per il culto del corpo. Si scatta selfie completamente nudo allo specchio. Nel gennaio del 2011 si trasferisce in prestito al Racing Santander.Negli stessi giorni in cui Gio torna in Spagna Thaer decide di fare le valigie e provare in un altro team rumeno di prima divisione, il Tȃrgu Mureș allenato da una vecchia conoscenza del calcio italiano, Ioan Ovidiu Sabau. Viene bocciato dopo una prova di una settimana. «Troppo tecnico per noi», dichiara l’allenatore. Per Thaer Fayed Bawab, ex Real Madrid e Barcellona, Rivo, Thaerminator, sembra non esserci posto da nessuna parte. Troppo tecnico per il campionato rumeno. Troppo poco tecnico per qualcosa di superiore alla terza serie spagnola. Il ct della Nazionale giordana, l’iracheno Adnan Hamad, sembra ignorarne l’esistenza. Pochi giorni dopo lo sfortunato provino con Sabau firma un contratto con il Gaz Metan. È felice di guadagnarsi i titoli, una volta tanto, per essere l’ennesimo giocatore diplomato a giocare in una squadra di studiosi, allenata da un ex professore di matematica, anziché per il suo passato illustre, che gli pesa addosso come una lettera scarlatta. Con 2 reti in 14 partite contribuirà al raggiungimento del settimo posto che, per via di una serie di surreali questioni di licenze che costerà al Politehnica Timisoara la radiazione, varrà al GMM un posto in Europa League.

A fine stagione 2010-2011 Bojan convoca una conferenza stampa. Seduto in prima fila c’è capitan Puyol. Dice che per lui è arrivato il momento di andarsene via da Barcellona. Dice che vuole ritrovare la gioia di giocare al pallone. Sono tutti un po’ tristi. Bojan in primis, che ha la voce tremula dal pianto e gli occhi lucidi. Il Getafe lo cerca, lui sceglie Roma e la Roma, sulla cui panchina si è appena seduto Luis Enrique. A Roma c’è un progetto, una nuova proprietà, non si fa altro che assurgere il Barça a modello. Magari, deve aver pensato Bojan, il cambio d’aria non sarà poi così traumatico. Magari, deve aver sempre pensato Bojan, nella Città Eterna troverò una dimensione più adatta alle mie caratteristiche. Sceglie di indossare la maglia numero 14. Quella resa celebre da Cruyff.

Giovani, nell’estate del 2011, ha trascinato il Messico alla seconda vittoria consecutiva in Gold Cup, sempre contro gli States, segnando peraltro in finale una rete pazzesca: Torrado gli serve un assist profondo in area, lui riceve palla spalle alla porta, sembra chiuso. Il portiere Howard disorientato scivola, è in terra, ma ancora gli chiude lo specchio della porta. Nel frattempo quattro difensori in area cercano di arginare i movimenti di Gio, che invece controlla, accelera verso l’esterno dell’area con un movimento simile all’elastico di Ronaldinho per rapidità e letalità, prima di pennellare col sinistro un cucchiaio che scavalca la difesa intera e accarezza la rete. Eppure al Tottenham nell'intera stagione successiva, quella 2011-2012, gioca poco più di quanto non abbia fatto, complessivamente, in tutti gli spezzoni di stagioni precedenti. Il pubblico lo ama, l’allenatore meno. Ma a Londra, nell’estate del 2012, si giocherà la XXX Olimpiade. E Giovani vuole prendersi la sua rivincita inglese.

«Tutti vogliamo far bene per il Paese, per il bene del calcio messicano: siamo un’ottima generazione, per questo sogniamo e siamo convinti di poter conseguire una medaglia: c’è qualità e talento». Giovani, quasi da solo, demolisce il Gabon nella seconda giornata della fase a gironi, a Coventry, con 2 reti. Ai quarti stende il Senegal segnando il 3-2 ai tempi supplementari, impossessandosi di una palla giocata male da un difensore africano, con la superbia e il senso del mito degli eroi classici, togliendola di fatto al compagno sulla corsa. In semifinale contribuisce a riequilibrare il match contro il Giappone. Si infortuna, esce a metà primo tempo. Il Messico vince 3-1 e si qualifica per la finale. L’infortunio muscolare che ha costretto Gio a uscire contro il Giappone non sembra serio. Invece è tale da non permettergli di giocare la finale. «È triste, sognava di giocare questa partita. Ci dispiace tantissimo, è un brutto colpo la perdita di Dos Santos. Ma siamo una squadra forte, e possiamo facilmente superare le avversità», dichiara l’allenatore Tena. Il Messico vince la medaglia d’oro, battendo il Brasile di Neymar. Oribe Peralta, dopo aver segnato la rete del vantaggio, corre verso la panchina portandosi il braccio alla fronte. Lo attorniano altri due, cinque compagni, tutta la squadra, ognuno col suo personalissimo tributo per Gio rimasto fuori dai giochi, ognuno con la “Beliseñal” stampigliata sulla fronte. Per Dos Santos è l’ennesimo successo con la “Tri”. Ad agosto decide di tornare definitivamente in Spagna e firma per il Mallorca.

Giovani stende il Senegal ai supplementari.

Chi ha decisamente trovato la dimensione a lui più congeniale è Thaer al Gaz Metan. Indossa la 10, e nelle interviste c’è ancora chi ogni tanto gli fa delle domande sulla situazione del calcio giovanile in Spagna. Lui è sempre molto convinto della scelta che ha fatto, anni prima, mollando il Real. «Vedo quanto è difficile per i giovani della cantera affermarsi in prima squadra. Gli danno una piccola possibilità e gli chiedono di giocare come Cristiano Ronaldo. Ma è impossibile». Nessuno dei suoi compagni nel Castilla, in effetti, si è realizzato con le merengues. Nei turni preliminari di Europa League segna 2 reti, una all’andata e una al ritorno, più uno dei rigori decisivi grazie ai quali la sua squadra elimina il Mainz. Qualche settimana dopo cadrà contro l’Austria Vienna nell’ultima gara prima della fase a gironi.

Intanto la parentesi romana di Bojan non ha soddisfatto i suoi tentativi di rivalsa. Segna 7 reti, mai decisive per la vittoria. I tifosi sono insofferenti: «A fenomeno der cazzo, bella pippa che sei» lo apostrofano a Trigoria. Si fa togliere la patente. Due volte. A Firenze, in una delle partite più brutte della Roma di Luis Enrique, si fa espellere per un—inutile—fallo di mano sulla linea di porta (la Roma finirà il match in otto) e mentre esce dal rettangolo di gioco getta la maglia in terra. Gabriele Romagnoli, giornalista di Repubblica, l’indomani scrive un pezzo molto critico, lo intitola: “Dalla manita alla manata, il barcellonismo sgasato del bimbo confuso Bojan”. L’affondo più doloroso per Bojan secondo me è questo: «Bojan sta a Messi come Luis Enrique a Pep: cioè, stan messi male». Doppia bocca di fuoco: colpito e affondato. Il fendente di Romagnoli non gli va giù, e allora risponde con una lettera aperta: “Io, Bojan, chiedo il tempo di sbagliare”. Cerca di giustificarsi: «Ho 21 anni [...], guadagno bene, ed essere famoso, purtroppo o per fortuna, non mi ha fatto diventare improvvisamente adulto e responsabile [...] sono sempre un ragazzo di 21 anni [...] datemi il tempo di crescere [...] ci sarà tempo per massacrarci». Di Messi aveva già detto: «Da quando sono andato via non mi ha mai chiamato». O ancora, su Guardiola: «È lui l’unico pupillo di Guardiola». Per finire: «Quando sono andato via non ho salutato Pep, ma solo chi si è comportato bene con me».

A Roma nessuno ha voglia di aspettare, di certo non fino alla fine della stagione, peraltro deludentissima in confronto alle aspettative suscitate—anche—dall’arrivo di Bojan. È richiesto dal Milan sul filo di lana. Il 28 Agosto, non trovando un taxi, due tifosi della Roma si offrono di accompagnarlo personalmente all’aeroporto per imbarcarsi per Milano. Si rifiutano di prendere soldi per il disturbo. A Milano gioca poco, segna meno, a fine stagione ottiene il benservito. Lo cerca il Betis, ma lui—forse consigliato da Cruyff, o da Overmars, o da Rijkaard, chi può dirlo—sceglie l’Ajax. «Roma e Milan? Decisioni sbagliate, sarei dovuto venire subito in Eredivisie nel 2011», scrive il De Telegraaf in un’intervista fattagli appena sbarcato ad Amsterdam. Poche ore dopo sul suo twitter Bojan smentisce. Ma pure l’avesse davvero detto, molti sostenitori di Roma e Milan non avrebbero comunque saputo che ragioni arrancare per dargli torto.

Epilogo

Bojan Krkić ha segnato la prima rete con la maglia dell’Ajax soltanto il primo dicembre dell’anno appena passato, complice anche un infortunio che lo ha tenuto lontano dal campo per otto settimane. Durante le festività natalizie in tutta la Catalogna è tradizione allestire un presepe vivente. I membri della comunità, per rinsaldare legami e senso di appartenenza, si riuniscono per raccogliere fondi e giocattoli. A Linyola, il Natale scorso, i visitatori erano increduli, spiazzati: a partecipare c’era anche Bojan, nei panni di un San Giuseppe con gli occhi insolitamente cerulei, e la faccia del ragazzino impertinente che sognava di diventare un idolo del Barcellona. Sembrava una metafora della sua carriera: Bojan era là, nei posti che sente suoi, tra la sua gente, con un ruolo importantissimo eppure marginale, come quello di San Giuseppe nella Sacra Famiglia.Giovani dos Santos, dopo la retrocessione del Mallorca, si è trasferito al Villareal neopromosso. Con il submarino amarillo, in questa stagione, ha già marcato il cartellino otto volte su 16 presenze. La squadra è quinta in classifica, lotta per un posto in Champions League. In una delle ultime gare, vinta per 5-1 contro la Real Sociedad, ha segnato una doppietta, fornito due assist al compagno di reparto Uche, brillato come non gli capitava da tempo. Mostra d’aver raggiunto una nuova maturità, d’essere più sereno. Una vena che dovrà confermare fino al termine della stagione se vorrà giocarsi i Mondiali in Brasile—che il Messico ha raggiunto giocando male e con un Gio non propriamente in forma, accusato dall’establishment giornalistico d’essere tronfio e presuntuoso—da protagonista.

In quanto a Thaer, grazie alle brillanti prestazioni in Romania (e a gol spettacolari come questo contro la Dinamo Bucarest) ha riguadagnato un posto in Nazionale, con la quale ha giocato un buon numero di partite nelle qualificazioni mondiali. La Giordania, vincendo lo spareggio contro l’Uzbekistan, s’è guadagnata addirittura una storica finale ai playoff intercontinentali. Secondo il regolamento, in quanto quinta classificata per l’Asia avrebbe dovuto affrontare la quinta classificata al girone di qualificazione sudamericano.

Il caso ha voluto che l’avversario fosse la temibile Celeste uruguagia, detentrice della Copa America in carica, crollata nella penultima gara di qualificazioni contro l’Ecuador, che ha messo la freccia e l’ha sorpassata strappando un ticket per il Brasile con una settimana d’anticipo. «La città è in tumulto», ha dichiarato Thaer prima della gara d’andata. «E noi non abbiamo nulla da perdere.» Poi l’Uruguay ha vinto, ad Amman, per 5 reti a zero. Prima del match di ritorno, a Montevideo, i giornalisti uruguaiani non hanno occhi e orecchie che per Thaer Fayed Bawab. Fa quasi strano sentire un giordano parlare uno spagnolo così limpido, con tutta la serenità di questo mondo, dire «non siamo venuti in vacanza. Certo, siamo realisti, coi piedi per terra. Non c’è molto spazio per sognare. Siamo qua per fare il nostro». Nessuno come lui ha coscienza della misura che separa i sogni dalla realtà.

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