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Valentino Tola
Le nozze di Simeone
18 mar 2015
18 mar 2015
L'Atlético la spunta in una partita tra squadre più reattive che propositive.
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Valentino Tola
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Che l’Atlético Madrid abbia raggiunto il suo limite pare chiaro, ora si tratta di vedere se di volta in volta riuscirà a prolungare il suo miracolo, costringendo anche i suoi avversari ad abbassarsi su quel limite. Pur avendo fatto il massimo possibile, i "colchoneros" non sono mai stati così vicini all’eliminazione. L’Atlético gioca da tre anni al massimo della concentrazione e su scarti di punteggio minimi: naturale che vedesse questa rimonta al ritorno col Leverkusen come la rogna più grande affrontata in tutta l’era del "Cholo", altro che ingabbiare Messi o mettere la museruola a Cristiano Ronaldo.

 

Sul limite fissato dall’Atlético si è adagiato senza troppi problemi il Bayer Leverkusen, che dopo aver dominato l’andata forse avrebbe meritato di uscire prima dei rigori (almeno sommando le occasioni fra andata e ritorno) e che ha tradito carenze di personalità abbastanza chiare, prima non riuscendo mai a fare la partita, anche nei momenti di maggiore incertezza dei padroni di casa; poi adeguandosi, senza mostrare molta saldezza mentale, alla partita voluta dall’Atlético, soprattutto nel secondo tempo.

 

Gli interrogativi dopo il turno d’andata erano: riuscirà il Leverkusen a imporre nuovamente il suo pressing fanatico? Riuscirà l’Atlético a installarsi nella metà campo avversaria senza perdere equilibrio?

 

La prima domanda dopo un paio di minuti trova già una risposta negativa, perché stavolta è l’Atlético a tenere l’iniziativa del pressing, che nei primi minuti sembra avere uno scopo quasi intimidatorio. Il Bayer Leverkusen non ha la giocata pulita che gli permetta di portare più effettivi nella metà campo avversaria e poi far scattare la tenaglia, e tantomeno l’Atlético pensa di rischiare qualcosa a inizio manovra. Se però i padroni di casa hanno la meglio in fase di non possesso, col pallone denunciano una certa mancanza di tranquillità e ordine.

 

Non estranea al problema la composizione del centrocampo, che non aiuta a risolvere un problema oggettivo ereditato dal mercato estivo, e cioè la carenza di qualità in fase di costruzione lasciata dalla partenza di Filipe Luís. Il brasiliano era l’elemento chiave per portare su palla e coinvolgere poi, in combinazioni anche gradevoli, Koke e Arda Turan quando bisognava attaccare difese schierate. I rimpiazzi di Filipe Luís si sono rivelati del tutto insufficienti: in panchina e comunque dalle caratteristiche diverse Ansaldi, sopravvalutato (e anche io mi cospargo il capo di cenere) il tecnico ma irrazionale Siqueira, alla fine viene adattato il terzino destro di ruolo Jesús Gámez. Dati questi problemi, l’unico modo di portare su palla quando l’avversario ti lascia l’onere del possesso diventa spesso il lancio lungo.

 

Non aiutava ieri nemmeno la squalifica dell’ottimo Tiago (assente di peso come Godín), al posto del quale Simeone ha scelto Koke e non Gabi per affiancare Mario Suárez. Koke davanti alla difesa rischia di diventare un equivoco, quello di un giocatore dotatissimo nel passaggio ma che non ha la testa per giocare in quella posizione. Talvolta, e ieri è uno di questi casi, la sua iperattività nel chiedere sempre palla o attaccare l’avversario, fruttuosa sulla trequarti in fase di accelerazione, rifinitura e primo pressing, rende più confusa la manovra o finisce per esporre la squadra in transizione difensiva. Durante il primo tempo Koke ha perso delle palle che hanno rischiato di avviare contropiedi molto pericolosi del Leverkusen.

 

La fortuna dell’Atlético è stata quella di trovare il gol del vantaggio casuale (deviazione di Toprak su tiro da fuori di Mario Suárez, anche se non casuale è il fatto di essere arrivati prima sulla respinta dopo calcio piazzato) quando il disordine e la propensione ad allungarsi non avevano smosso un timido Bayer Leverkusen. Il vantaggio ha permesso di prendere tempo e procedere nella ripresa ai dovuti aggiustamenti.

 

E qui bisogna dire che Simeone se l’è giocata come meglio non poteva: un vero trattato di nozze coi fichi secchi. Fuori l’acquisto invernale Cani, un artista ancora completamente spaesato nella filosofia cholista, dentro al suo posto sulla fascia Raúl García. Poche idee ma finalmente chiare. Simeone ricorre alla cosiddetta “kryptonite dei nani blaugrana”: piazzare sulla fascia destra, come riferimento elementare da cercare nei rinvii, lo spilungone navarro, e da lì riorganizzare tutta la squadra. Funzionava con Raúl García o Diego Costa messi a praticare puro bullismo sulle palle alte contro Jordi Alba, può funzionare anche contro un terzino tanto carino come Wendell, e anche contro il centrale sinistro Spahic, non così imponente.

 


Il secondo tempo dell’Atlético è tutto giocato alla ricerca di queste situazioni. I duelli con gli incerti difensori del Bayer Leverkusen sono quasi sempre vinti, e le palle ferme procurate con questo gioco (in questo caso una rimessa laterale) permettono ai reparti di accorciare meglio che nel primo tempo (notare qui Mario e Koke).



 

Il giochino è ripetuto in maniera così ossessiva e sfacciata da generare quasi ammirazione. È come se Simeone sfruttasse la pochezza tecnica palla a terra di uno dei suoi giocatori come la chiave a partire da cui controllare il gioco.

 

A quel punto la manovra non passa più da Koke, che sembra trovarsi più a suo agio in un contesto che gli chiede solo di spezzare e rilanciare. Raúl García conquista quasi tutte le palle lanciate da Oblak (subentrato a Moyá infortunato) o dai difensori, e se non le vince direttamente comunque disordina la linea difensiva del Bayer Leverkusen e dà il tempo ai suoi compagni di salire a braccare la respinta. O, ancora, guadagna una punizione o una rimessa laterale (giocata come mini-corner), che come tutti i calci da fermo dà l’occasione a tutta la squadra di riprendere le posizioni corrette.

 

Simeone è riuscito a piegare l’imprevedibilità del campo ai desideri della sua lavagnetta, e ora l’Atlético non soffre praticamente mai in transizione difensiva, impedendo le tanto temute combinazioni a un tocco del Leverkusen. Una volta messa sotto stress la difesa del Bayer (ammoniti i due centrali), giocato al meglio anche l’ultimo cambio (la frenesia di Torres per un Mandzukic quasi commovente per impegno), il resto deve farlo il talento dei giocatori in campo, che negli ultimi 20 minuti avvicina l’Atlético più che nel resto della partita alla rimonta.

 


Scegliamo un’istantanea ma ce ne sarebbero un’altra decina uguali. Stavolta su rinvio del portiere, sempre alla ricerca di Raúl García sul lato destro e del disordine che questi, vincendo quasi sempre il duello aereo, crea nella linea difensiva del Leverkusen (qui esce Spahic, e si aprono spazi che possono attaccare sia Griezmann che Arda). Alla fine, non a caso, tre dei quattro difensori tedeschi risulteranno ammoniti.



 

Scampato il pericolo e subentrata la stanchezza, nei supplementari la gara si normalizza abbastanza, e Schmidt, spericolato ma non pazzo, registra un po’ il centrocampo con Rolfes per Son Heung-Min (deludente) e spostando l’universale Castro dal centro alla fascia sinistra.

 

Per le “Aspirine” vale sicuramente un problema di poca esperienza, ma in futuro occorrerà forse anche elevare ulteriormente il livello del gioco. Col pallone, in sostanza, il Bayer Leverkusen non ha proposto nulla.

 

In fondo, il limite emerso in queste due partite è che entrambe le squadre sono reattive più che propositive, e il problema non cambia sia che giochi appeso alla traversa della tua porta, sia che ti concentri a spostare i tuoi 10 giocatori di movimento nella metà campo avversaria a pressare (non

, grazie) come disperati. A parte quando gioca burle incredibili come il Chelsea campione del 2012, la Champions League è una competizione molto esigente e di bocca buona. Per andare avanti non bastano concentrazione, equilibrio e solidità, ma si ha bisogno anche di molta qualità.

 
 

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