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Giacomo Giubilini
Le mille avventure di Luciano Gaucci
22 set 2016
22 set 2016
La storia dell'ex presidente del Perugia raccontata da un estratto di 91° minuto, libro di Giacomo Giubilini da poco uscito per Minimum Fax.
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Giacomo Giubilini
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Tra Giovannone e lo sceicco, una sintesi perfetta e mirabile che realizzerà concretamente i suoi sogni di megalomania prima di finire latitante è Luciano Gaucci. Un presidente pantagruelico, la cui vita è un’epopea all’insegna dell’impossibile. L’essenza della sua scalata e la sua ideologia sono riassumibili nel verbo «diversificare». Un’enorme stratificazione di follie portate avanti per decenni senza remore o ripensamenti. Gaucci diversifica i suoi affari e la sua esistenza: cavalli, lotterie, ditte di abbigliamento, stranieri senza arte né parte, donne calciatrici, giocatori improponibili, giocatori forti, figli di dittatori, squadre possedute a sua insaputa, piccole e grandi truffe, fughe rocambolesche, paternità senile e figli in carcere. Una storia fatta di rilanci iperbolici in un mondo ancora disposto ad ascoltare qualunque banditore. Un mondo affaristico provinciale con molti soldi ma con una logica da fiera del borgo e mercato di paese. Ecco allora azzardi vertiginosi, contraddizioni stimolate e alimentate per tenere in piedi un universo di confusione in cui è il folle stesso a ridare ordine ai propri appetiti, con atti repentini e insensati, ira funesta e isterie. Poco si conosce sulle sue origini. Sembra che la sua scalata inizi come autista dell’Atac, a Roma, dove si trasferisce per sfuggire ai genitori, piccoli proprietari terrieri. Vinto un concorso interno, che lo porta a fare l’impiegato dietro una scrivania, il giovane scalpita per galoppare in ben altre praterie. Si mette in proprio e fonda una società di pulizie, La Milanese. A chi gli chiede, anni dopo, il senso di quel nome, si giustifica dicendo che al nord non avrebbe mai lavorato se avessero saputo che era romana. Invece lavora, e tanto, aggiudicandosi l’appalto per la pulizia dell’aeroporto milanese di Malpensa. Gaucci viene assalito da una passione per i cavalli. Compra una scuderia e la fortuna lo aiuta. Acquista un quadrupede che sembra un brocco – narra la leggenda – per ben dodici milioni di lire: Tony Bin, nome derivato da quello di un misterioso pittore veneto esiliato a Parigi conosciuto da Gaucci in strada e da cui comprerà un quadro con un forte sconto. Tony Bin nel 1988 conquista a sorpresa il prestigioso Prix de l’Arc de Triomphe e vince il Gran Premio del Jockey Club a San Siro. Ora vale una fortuna. Per la definitiva consacrazione è chiamato a vincere la terza prova dell’anno in tre settimane, il Gran Premio di Roma. Il cavallo fa il suo, schiuma, si batte, arriva secondo e con un tempo meraviglioso. Gaucci non ci sta, vuole saltare al collo del fantino, urla in tribuna con una messinscena mai vista prima in un ippodromo. Una sceneggiata per mascherare che ha già deciso di vendere: il cavallo andrà in Giappone. Un cavallo considerato un brocco e acquistato per dodici milioni di lire gli frutta quasi tre miliardi di premi vinti. Ed ecco il terzo rilancio: per diversificare, oltre alle pulizie e ai cavalli, apre una ditta di abbigliamento, la Galex. Ed è pronto per entrare nel calcio. Lo fa il 7 novembre del 1991. Paga il Perugia due miliardi di lire, ma per diversificare ne mette solo uno in contanti e l’altro «in base alle necessità finanziarie che si andranno a determinare». Si porta a casa 114 giocatori, dai pulcini alle giovanili alla prima squadra (tra questi un giovanissimo Gattuso) per una valutazione a bilancio, quasi sicuramente falsa, di quattro miliardi di lire. Poi due colpi per tacitare la piazza: un nuovo allenatore, Buffoni, al posto di Papadopulo, e un nuovo giocatore simbolo, Beppe Dossena. Inizia lo stile Gaucci. Stile che lo porterà a licenziare quindici allenatori dal 1991 al 1999.

 

Buffoni dura poco, Gaucci chiama Novellino. Novellino riesce nell’impresa: la squadra arriva miracolosamente allo spareggio per la Serie B giocando anche bene. Ma Novellino va cacciato. Si è opposto, infatti, alla presenza dei politici sul volo charter del Perugia dopo una trasferta. Il tecnico è esonerato nonostante la squadra sia allo spareggio per la promozione. Al suo posto Castagner: promozione raggiunta.  Vittoria? Non proprio. Un arbitro con un cognome che evoca aridità molto irrigabili, Senzacqua, ha arbitrato quell’anno due partite del Perugia. Suo suocero ha «acquistato» un cavallo da Gaucci e dalla sua scuderia, la All White Star. Anche Senzacqua è amante dell’equitazione e il cavallo è in realtà per lui.

 

Gaucci si difende dicendo che i cavalli lui li regala a tutti, anche a Matarrese. Senzacqua, intanto, rinvigorito dal quadrupede Hatith che nel frattempo muore, confessa durante l’interrogatorio di essere stato comprato. Secondo il presidente del collegio giudicante «nitrisce».

 

Il Perugia, da squadra neopromossa, resta in C1. Fallimento. Gaucci è condannato a tre anni. Ma non rispetterà mai la condanna, pagando ogni sua presenza allo stadio con dieci milioni di multa. È convinto che dietro la mancata promozione ci sia l’odiato Matarrese e, indomito, rilancia promettendo dossier contro il presidente federale e un rapido ritorno in Serie B. E incredibilmente ci riesce.

 

Appena arrivato in B fronteggia la rivolta dei giocatori, stufi dei continui ritiri punitivi dopo le sconfitte, reclusi in hotel scadenti a pane e acqua. Il presidente esonera Castagner e al suo posto mette Viviani. Ma il nuovo allenatore non è un allenatore. Non ha il tesserino e dopo due mesi di proroga è sospeso dalla Lega. Gaucci non ha più allenatori. Dopo l’intervallo della partita con l’Udinese nella panchina del Perugia campeggia, infatti, una figura arcaica, non proprio longilinea, che si sbraccia e dà indicazioni tattiche e di gioco. È Gaucci in persona, diventato allenatore per un giorno, nonostante una squalifica di tre anni e nonostante sia il presidente di quella stessa squadra.

 

Memorabili sono gli scontri con Galeone, arrivato nel 1995. Liti talmente intense che Galeone ha uno sconquasso, un malore per il troppo stress, un mezzo infarto. Novellino va a trovarlo in ospedale e all’uscita dichiara ai giornalisti che il motivo dello stress è Gaucci. Intanto la squadra, neopromossa in Serie A contro ogni previsione, a metà campionato è quarta in classifica. La situazione precipita e Galeone è esonerato. Gaucci adotta dieci calciatori della nazionale etiope che avevano chiesto asilo politico. Non sia mai che tra questi ci sia un campione. Per questo è insignito del premio Cavaliere della Pace, che gli viene consegnato ad Assisi alla presenza dei dieci, speranzosi ma poi spariti nel nulla.

 

Rino Gattuso, ormai stufo delle follie dell’ambiente, ad aprile del 1997, approfittando della sentenza Bosman, scappa ai Glasgow Rangers. La squadra retrocede. Gaucci cambia allenatore, chiama Bigon, compra Melli. Bigon dura due mesi. Gaucci imbufalito dichiara: «Questi qui in Serie A ce li posso portare solo prendendoli con il cappio». Perotti, il nuovo allenatore, si scusa e dice alla stampa che la squadra vive nel terrore continuo del ritiro e delle sanzioni del furibondo presidente. Via Perotti e ritorno di Castagner. La squadra incredibilmente sale in classifica e alla fine dell’anno torna in Serie A. Castagner si rompe il tendine nei festeggiamenti mentre Gaucci è malmenato dai tifosi avversari che lo incrociano fermo a un semaforo. Rubicondo e felice rimane impassibile: «Certo mi hanno menato, ma le botte passano e la Serie A resta».

 

Tornato in A compra con un colpo di fortuna il primo giapponese del campionato italiano, il poco noto Nakata. Il giapponese, che fa impazzire i tifosi con una doppietta contro la Juventus dimostrando di non essere il brocco pronosticato, diventa un business inimmaginabile. Nakata crea una vera e propria economia: l’Umbria diventa molto famosa in Giappone e viene inserita negli itinerari dei tour operator. La maglietta del Perugia va a ruba e per la ditta di abbigliamento di Gaucci è un affare d’oro. È questo uno dei migliori esempi di co-marketing nel mondo del calcio italiano, ma del tutto casuale. Il giocatore, simbolo nipponico, diventa risorsa per un territorio. Nakata è il nuovo cavallo d’oro di Gaucci, la squadra di calcio è la sua nuova scuderia. Il trionfo è celebrato dalla politica nel migliore dei modi, con un pranzo a Villa Madama con il premier giapponese Keizō Obuchi voluto dal Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, che inserisce negli invitati Gaucci e il giocatore. Nella foto di rito i due giapponesi sono maschere di cera, Gaucci è satollo, D’Alema trama.

 

Chi se lo aspettava? Visto il successo con il giapponese, che si scoprirà poi essere stato tesserato illegalmente e fatto giocare senza transfer, Gaucci si mette in testa di comprare giocatori da mezzo mondo per spalancare Perugia al pianeta. Bisogna comprare a caso sperando di pescare un altro jolly. Gaucci punta forte su un ecuadoriano, Iván Kaviedes, mascella quadrata, sguardo che evoca spietatezza, grugno che preannuncia sfracelli. Il presidente si convince delle sue qualità grazie a internet ed effettivamente il giocatore sembra avere numeri stupefacenti: è il miglior attaccante del campionato, 43 reti in 34 partite. Ma in Ecuador. In Italia è un brocco paradigmatico, che terminerà la stagione con un bottino finale di quattro reti in quattordici presenze. Nella sua carriera l’unico motivo per cui rimarrà nella memoria è l’esultanza dopo il suo gol in nazionale contro il Costarica. Iván estrae dalle mutande una maschera di Spiderman, se la mette in testa e corre verso la curva. L’uomo ragno. Nessuno capisce il senso del gesto. Le altre notizie che lo riguardano sono le sue capacità amatorie e la vasta prole sparsa in giro per il mondo che gli varranno il nomignolo di



 

Archiviato lo Spiderman spermante, Gaucci non si ferma. Compra il portoghese nato in Corsica, Hilário. Castagner commenta: «Si chiama come me, speriamo che sia grosso ma io non ne so niente». Di Hilário non si saprà mai nulla, sparirà sin da subito. Per rendere il Perugia calcio un brand nel mondo, il presidente – dopo le tante delusioni latine – compra il finlandese Lehkosuo. Algido e sconosciuto, rimane tale. Durante il campionato, intanto, visto che anche i risultati della squadra dovrebbero servire a qualcosa, non perde il vizio di fare l’allenatore: entra negli spogliatoi e impone a Castagner di togliere dal campo Rapaić. Castagner, persona seria e preparata, si dimette.

 

Arriva Boškov ma è presto licenziato e sostituito da Mazzone, mentre quasi tutti i dirigenti del Perugia vengono deferiti per i tesseramenti illegali. Nell’ultima giornata di campionato, il Perugia si salva. Gaucci non si dà pace: sono anni ormai che non pesca il coniglio dal cilindro. Per un affare simile a quello che l’aveva fatto mangiare con D’Alema, decide di ingaggiare la prima mister in gonnella della storia del calcio italiano: Carolina Morace. Le affida la panchina della sua Viterbese, una società satellite in cui mandare a svernare gli scarti del Perugia. La Morace vince la prima partita e perde la seconda: si dimette dopo due per incompatibilità con il padrone. Gaucci, sempre furente, continua a diversificare: alla fine dell’anno vende la Viterbese e compra il Catania e si convince definitivamente che bisogna tornare a cercare in Oriente. Compra così il primo giocatore cinese della storia del campionato italiano: Ma Mingyu, e il primo coreano, Ahn Jung-hwan. Il cinese – subito ribattezzato Mah, un’avversativa al calcio – ha il fisico di un dopolavorista, la testa enorme e anche se arriva a Perugia con un’età presunta di ventisette anni, ha un volto scavato da una vita di duro lavoro, e forse non in ambito calcistico. Dimostra cinquant’anni. In società si sparge la voce che quello non sia lo stesso giocatore che hanno selezionato con le videocassette. Gaucci non viene avvertito ma il figlio intuisce che hanno comprato il giocatore sbagliato, non quello che cercavano. L’uomo è un criptico moloch immobile e muto, spaesato e silente perché forse intuisce di essere lì per sbaglio. Viene spedito ad allenarsi nella squadra B, tra i ragazzi, che però cominciano a sfotterlo e chiamarlo «Nonno». Lui non proferisce parola e il suo nome non favorisce richiami all’ordine. Il traduttore serve solo per affibbiargli un nome vero in modo che si possa almeno chiamare: viene battezzato Luca. In tutto il campionato Luca gioca un’amichevole e cinque minuti in Coppa Italia. Uscirà di scena con un colpo a sorpresa che lo renderà ancora più oggetto misterioso. Durante un’amichevole a Roma tra la Lazio e la nazionale cinese, il 9 gennaio 2001, nonostante la sua stasi da monumento equestre, ha un’idea folle: s’inarca e tira al volo da una distanza abissale, 25 metri. Gol. Si sparge la voce che il gesto fosse preparato a tavolino. Torna in Cina. Ma allora perché comprarlo? Appunto: per sbaglio. Alessandro Gaucci alla Gazzetta: «Vidi, in Giappone-Cina, un centrocampista cinese forte, maglia 8, Li Tie. Mandai i miei osservatori a vedere Cina-Jugoslavia, ma debuttava con i cinesi il c.t. Milutinović, che cambiò ruoli e numeri. I difensori divennero centrocampisti, numeri a caso». Il Perugia di quella stagione vende Nakata alla Roma, arriva undicesimo e tutti si scordano dei due acquisti. Soprattutto è superato lo scetticismo verso il nuovo allenatore di fatto sconosciuto: Serse Cosmi, altro capolavoro di Gaucci, che lo scova nelle serie minori. Cosmi è bravo, anche se ha alcuni metodi anomali e basati sul porno. Scrive nella sua biografia, L’uomo del fiume: «In più occasioni ho cercato di creare un gruppo. Ho sempre cercato di lavorare prima sulla testa e poi sui muscoli. La formula osé nelle squadre allenate negli anni passati era diventata una scaramanzia vincente. Ai giocatori del Pontevecchio, per esempio, durante ogni trasferta ho fatto vedere film porno; ho portato i calciatori dell’Arezzo in discoteca, dove tre ragazze si sono spogliate per noi. Tutto questo per amalgamare il gruppo. Ha funzionato».

 

Gaucci imperterrito vuole l’internazionalizzazione della squadra: compra un iraniano, Ali Samereh, capocannoniere dell’Esteghlal di Teheran, zero gol e ritorno in Iran. Un altro iraniano acquistato nel pacchetto, Rahman Rezaei, avrà più fortuna: due stagioni nel Perugia, poi il Messina e il Livorno. Ashemian, il venditore di tappeti di famiglia e amico di Alessandro Gaucci, consigliò il giocatore alla società portando al figlio del presidente una videocassetta con registrate sopra alcune partite del difensore. Il coreano Ahn subirà invece una sorte peggiore: cacciato da Gaucci dopo che si è permesso di segnare contro l’Italia buttandola fuori dai Mondiali. Gaucci, molto attento ai conti, non volendo rivalutargli il contratto dopo la prestazione nella vetrina Mondiale, per sbolognarlo sfoggia uno spirito patriottico fino ad allora sconosciuto: «Quel signore non deve più accostarsi alla nostra squadra. Sono indignato! Lui si è messo a fare il fenomeno soltanto quando si è trattato di giocare contro l’Italia».

 

In questa incredibile sequela di brocchi, Gaucci scova o si fa prestare anche dei giovani campioni: Rapaić, Miccoli, Gattuso, Materazzi, Grosso, Obodo, Zé Maria, Nakata. Suo figlio ha allestito una specie di sala di regia: otto schermi con la possibilità di registrare sedici partite contemporaneamente in ogni angolo della Terra attraverso cinque parabole sul tetto. In realtà il reclutamento avviene anche in maniera più casereccia. Come l’acquisto di Vryzas: «Successe tutto in un’amichevole a Salonicco: partì dalla panchina, boicottato dal suo allenatore, ma piacque da morire a Cosmi. Quando un tifoso, che parlava italiano, si mise a discutere dagli spalti con Cosmi e svelò che era fuori solo per l’antipatia dell’allenatore e che era in realtà il beniamino dei tifosi, presero subito accordi».

 

Il presidente è onnipresente. La cosa che ama di più, oltre cacciare gli allenatori, è punire i giocatori con ritiri monacali o lasciarsi andare a manie e scaramanzie tipiche di una cultura arcaica. A farne le spese Baronio, il cui stipendio era peraltro per tre quarti pagato dalla Lazio. Il giocatore, imbrocchito dopo i fasti di un ingaggio milionario, fu girato al Perugia. Giocava con la maglia numero tredici, un gesto sentimentale e umano, numero voluto da lui stesso perché era la data di nascita del figlio. Per Gaucci lui e la sua maglia sono invece la causa dei disastri della squadra nel 2002: «“Gli brucio la maglia e non giocherà più [...] Ha giocato due minuti con la Juve e abbiamo perso, ha giocato un tempo contro la Lazio e abbiamo preso due gol”. Per punizione, il biondo centrocampista sarà escluso dalla prima squadra». A prendere le difese di Baronio interviene Campana: «Qualcuno fermi i presidenti che alimentano la violenza contro i giocatori» e il Codacons, che gli promette tutela legale in caso di licenziamento e invoca una sanzione per il patron: «In un qualunque rapporto di lavoro, nessuno può permettersi di umiliare davanti agli altri un proprio dipendente». Baronio, che mai avrebbe immaginato la vera iella di essere difeso dal Codacons, è subito messo fuori squadra. I due si riconciliano ma il giocatore è costretto a scendere in campo con una maglia speciale in cui campeggiano due numeri, ma divisi dal segno di addizione: non più tredici ma 1+3.

 

Il presidente sembra aver ormai perso ogni limite e la capacità di gestione razionale della situazione. La sua discesa agli inferi subisce un’accelerazione. Una farsa talmente iperbolica da garantirgli comunque una risonanza internazionale. Nella stagione 2003-2004, tessera come giocatore Saadi Gheddafi, figlio del colonnello libico. Il ragazzo è il padrone della Tamoil, azienda di famiglia, ma ha anche il 7% della Juventus e il 33% della Triestina. La sua carriera calcistica è favorita dalla parentela dittatoriale: in Libia infatti è stimato davvero anche perché chi lo contesta rischia la pelle. Ma finora non ha fatto sfracelli giocando settantaquattro partite e segnando venti gol.

 

Gaucci, che spera di scucirgli qualche soldo, lo accoglie con tutti gli onori e lo ospita a Torre Alfina, il castello di famiglia in Umbria. Della sua vita precedente si sapeva poco. Emerse tutto dopo la caduta del regime con il mandato di cattura internazionale dell’Interpol. A settembre 2013 il figlio del dittatore fu ritrovato in Niger. Prima di venire in Italia, in patria si distinse per essere stato il numero dieci, il regista, l’allenatore e il presidente nelle due squadre in cui giocava: la nazionale del padre dittatore e la sua squadra di club, il AlIttihād. In Libia fu protagonista della condanna a morte di tre tifosi, pena poi commutata nell’ergastolo proprio il giorno stabilito per l’esecuzione dei tre, nel frattempo torturati, e colpevoli di aver commesso un’invasione di campo per protestare contro le vittorie truccate dell’Al-Alhy («nazionale») di Tripoli, la squadra di Gheddafi junior. Gheddafi junior si occupava anche di reclutare in altre nazioni alcuni giocatori per rendere più forte la nazionale. Così adotta un suo compagno di sbronze, un uruguaiano conosciuto a Miami, tale Luis Alejandro de Agustini Varela. Lo piazza in porta nella sua squadra libica dandogli la cittadinanza onoraria. Capisce fin da subito che è importante nel calcio moderno e nello sport in genere la preparazione fisica, e per completarsi come atleta nel 1999 assolda Ben Johnson. Manzo bolso e farcito di anabolizzanti, esempio opinabile di sportività dal momento che è stato radiato da tutte le federazioni di atletica del mondo ma si è riciclato come istruttore, ad annunciare la novità del dopato personal trainer, un attonito Bersellini, finito nel 2001 in Libia, come poi Scoglio, a dirigere la nazionale. Una nazionale in cui il figlio del dittatore doveva giocare sempre. Gaucci parla di Gheddafi junior, appena arrivato e mai sceso in campo, come di un esempio di dedizione al duro lavoro di calciatore molto meglio dei suoi pigri giocatori veri: «Questi quando vedono i soldi perdono la testa. Prendano esempio da Gheddafi [...] un uomo eccezionale per i sacrifici che fa, malgrado una statistica lo collochi fra i cinque uomini più ricchi del mondo. Eppure si sacrifica e lavora come un matto. Lo facessero gli altri che vogliono diventare signori, quando lui signore già è».

 

Il calciatore esemplare gioca una sola partita proprio contro la Juventus, quindici minuti di corsetta in campo. Pochi mesi prima però, grazie anche alle cure meticolose di Ben Johnson, viene trovato positivo al primo controllo che gli fanno e viene squalificato per tre mesi: nandrolone. Dopato senza aver mai giocato. Seguirà Cosmi all’Udinese e poi, per merito della sinergia tra la Tamoil e la erg di Garrone, alla Sampdoria. Zero presenze in entrambi i casi.



Gaucci diventa sempre più ingestibile, forse consapevole del tracollo imminente e ormai esaltato dal suo nuovo ruolo di inventore di situazioni azzardate e inaspettate per mantenere se stesso al centro di un bulimico sistema dei media in cui è un rimasuglio di un mondo andato. Tutto ha un prezzo maggiore di prima, bisogna avere soldi da sperperare e un gigantismo che Gaucci può solo imitare. Siamo ormai nei primi anni Duemila e il presidente è una figura improponibile nell’universo valoriale berlusconiano, in cui decisiva è una narrazione basata su assiomi aziendali: i progetti industriali, i margini di crescita, le plusvalenze, gli sgravi fiscali, le sinergie. Le squadre stanno diventando entertainment company e Gaucci è rimasto per il Perugia l’intrattenitore unico: presidente, esperto di mercato, paternalista che punisce, iracondo che perdona. Non è il distaccato spettatore delle proprie ricchezze e il moltiplicatore delle stesse attraverso una rete di banche compiacenti. È invece sempre più isolato. La sua strategia è domestica, è fatta di colpi di mercato, sceneggiate, un tripudio di assurdità, una cortina di fumo di scelte che almeno gli hanno consentito una visibilità. Decide, dopo che il figlio del dittatore l’ha deluso lasciandolo a bocca asciutta, di assoldare due donne. Per una squadra femminile della sua galassia di proprietà? No, per il Perugia. Prima ci prova con la svedeseHanna Ljungberg e una sua compagna di squadra, poi fa un’offerta che ritiene irrinunciabile di un milione di euro per diciotto mesi di contratto a Birgit Prinz, numero uno della classifica Fifa e migliore giocatrice al mondo. «Nemmeno la Fifa potrà impedire di far giocare una donna in una squadra di uomini, visto che non esiste alcun espresso divieto e in questo caso dovrebbe esserci una legge chiara a impedirlo, che però non esiste da nessuna parte».

 

Birgit Prinz rifiuta il trasferimento. La stagione va sempre peggio e Gaucci cerca la soluzione finale: ritirare la squadra dal campionato per presunti torti arbitrali. Il sindaco di Perugia e Cosmi cercano di farlo ragionare. Il Perugia ha in sospeso con il fisco italiano trentotto milioni di euro di Irpef non pagata. Come il Perugia si trovavano nella stessa situazione almeno altre venti squadre. Il calcio è al tracollo strutturale. Da qui l’esigenza di fare una legge ad hoc per gli evasori fiscali ma dispensatori di circo e permettere loro di rateizzare tutto. Ma Gaucci non ha i soldi nemmeno per le rate. La squadra intanto rialza la testa e incredibilmente conquista nove punti in tre partite e va a giocarsi lo spareggio salvezza. La gara di andata con i viola al Curi finisce in una sconfitta e il ritorno in un pareggio. Il Perugia è di nuovo in B. Gaucci dà fiato alle sue ultime macumbe: «Per quanto mi riguarda la squadra deve andare a morire in qualche postaccio, diciamo che sceglieremo un ritiro per farli sudare tutta l’estate». Poi prova a far ripescare la squadra perché nel frattempo il Parma è fallito e infine, in preda al delirio pokeristico, si gioca tutto e prova a comprare il Napoli. È stato Cirino Pomicino, racconta, a promettergli che quella squadra sarà sua, ma nessuno gli dà i soldi per comprarla.

 

Lascia il Perugia ai figli Alessandro e Riccardo e parte per una lunga vacanza a Santo Domingo. Sarebbe costretto a tornare perché convocato in un processo: i giudici lo accusano di essere stato negli anni 1996-97 il presidente occulto dell’Ancona Calcio che, infatti, era affidata al direttore sportivo del suo Perugia. Dopo essere stato vicepresidente della Roma, aver avuto la Viterbese, il Catania e il Perugia, forse si era dimenticato l’Ancona. Suo fratello e i due figli firmano la sanatoria con lo Stato ma non hanno i soldi per pagare e sono condannati e arrestati per bancarotta fraudolenta, associazione per delinquere e reati finanziari. Gaucci da Santo Domingo si vuole vendicare e scrive un dossier in cui svela i retroscena del potere del calcio italiano. L’unica cosa in comune tra lui e i veri padroni del vapore sono i figli. Il familismo criminale di vittime e carnefici. Da una parte Geronzi e gli altri, che creano per i figli gea, la società monopolistica formata dai figli di Geronzi, Moggi, Tanzi, Cragnotti e Lippi che gestisce il 90% dei trasferimenti di giocatori e allenatori in Serie A. Dall’altra Gaucci, che i figli li ritrova invece in carcere al posto suo.

 

Nel dossier, che è una requisitoria senza speranza per chiedere una cifra di cento milioni di euro per danni, ci sono verità assodate. Ma è l’ingenuità paesana delle richieste di Gaucci che lo rende innocuo. Nella requisitoria c’è anche l’elenco dei regali fatti a Geronzi, alla moglie e alla figlia, che Gaucci rivorrebbe indietro: buoni benzina, cesti natalizi, rifornimenti di pesce, olio, tartufi, caviale, champagne e piante. Intanto a Santo Domingo, per rispettare la sacra istituzione della famiglia, dopo che in Italia si era sposato anni prima con una compagna di scuola del figlio e dopo aver mandato i figli in carcere al posto suo, non rinuncia a una nuova paternità. Un altro figlio a settantun’anni.

 



 



 

 

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