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Stefano Borghi
Le migliori partite da commentare del 2016
28 dic 2016
28 dic 2016
Stefano Borghi ha scelto le partite che ha vissuto con maggiore intensità.
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Stefano Borghi
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Il 2016 è stato un anno calcistico meravigliosamente pazzo: il Leicester campione d'Inghilterra, un allenatore esordiente vittorioso in Champions League, l'Europeo conquistato dal Portogallo e il Cile che si laurea per il secondo anno consecutivo padrone della Copa América, ancora contro l'Argentina. Ma anche molte, moltissime epifanie in qualche senso “minori”.

 

Ho scelto, per quanto fosse difficile, le cinque partite più divertenti o emozionanti che ho avuto la fortuna di commentare nell’anno appena trascorso: emozionanti per me, ovvio, ma anche, spero, per il pubblico al quale ho provato a raccontarle.

 

 



 

Dovrei credere di più al detto “Il buongiorno si vede dal mattino”: una delle prime designazioni dell’anno è stata di quelle che ti aprono un sorriso largo fino alle orecchie. FA Cup, Oxford United contro Swansea City.

 

Il “Third Round Proper” di Coppa d'Inghilterra è il più bello di tutti: entrano i colossi e ci sono ancora in giro squadre che arrivano dalle serie inferiori, con il loro carico di storie, entusiasmo e immaginario. In più, c'è ancora l'atmosfera della maratona natalizia. Soprattutto, tira sempre aria di

: lì, nella splendida ma calcisticamente decaduta Oxford, si sentiva chiaramente. Le tre tribune del Kassam Stadium (la quarta non esiste, c'è il parcheggio...) sono piene come ai tempi dello storico concerto di Elton John nel Luglio del 2006.

 


Come al drive-in.


 

C'è fiducia attorno allo United di Michael Appleton, uno che in cinque anni di carriera da manager ha vissuto il fallimento del Portsmouth, poi si è preso il primato di allenatore meno longevo nella storia del Blackpool (undici partite di campionato in carica), infine è riuscito con il Blackburn a vincere all'Emirates un quinto turno di Fa Cup, salvo poi ritrovarsi licenziato a poco più di due mesi dal suo insediamento. Non propriamente un tipo fortunato, così come non è mai stato fortunato l'Oxford United, che nel 1986 vinse la Coppa di Lega senza poter però debuttare in Europa a causa della squalifica dei club inglesi seguita ai fatti dell'Heysel, e che nei diciotto anni fra il 1988 e il 2006 si è ritrovato a piombare dalla prima divisione alla quinta. Eppure, per la partita con lo Swansea ci sono grandi speranze, nonostante i gallesi stiano cinquantatré posti più in alto nella piramide del calcio inglese.

 

A metà del primo tempo lo Swansea va in vantaggio con l'ecuadoriano Montero, in gol di tacco su assist sempre di tacco di Bafetimbi Gomis. Ma è solo l'inizio dello spettacolo, perché l'Oxford United pareggia su rigore appena prima dell'intervallo e nel primo quarto d'ora materializza il sogno con la doppietta di Roofe, un ventitreenne arrivato in prestito dal West Brom.

 

Alla fine segna anche Gomis ma non serve a nulla: 3-2 per gli U's, giant-killing servito e pomeriggio fantastico, anche per me in cabina di commento.

 

Un anno dopo, Roofe gioca nel Leeds in Championship, l'Oxford United è stato promosso in League One dove non metteva piede da quindici anni mentre lo Swansea, che nel frattempo ha cambiato due allenatori, è messo sempre peggio. Ma come avete capito bene, in quel pomeriggio il campo poteva anche passare in secondo piano. Contava tutto quello che c'era attorno, l'aria che spirava e le immagini che arrivavano nei televisori.

 

Il modo migliore possibile per iniziare un anno fantastico.

 

 



 

A proposito di quel che succede attorno a una partita di calcio: vivere un Clásico dal vivo è un'esperienza senza eguali. La più grande rivalità calcistica di Spagna, un dualismo che va ben oltre lo sport, vissuto con l'intensità e la civiltà che si deve al confronto fra i due club più titolati del mondo: una cornice che vale quanto quello che succede sul campo. E il Clásico del 2 Aprile è stato un Clásico al quale si arrivava sapendo già che sarebbe entrato nella storia.

 

Il Barcellona ci arrivava imbattuto da trentanove partite (record nel calcio spagnolo), e si apprestava a ricevere un Real che Zidane aveva sì registrato, ma non ancora raddrizzato. L'occasione di chiudere definitivamente la Liga era reale, visto che i “Blancos” si presentavano staccati di dieci punti. Ma soprattutto, era la serata in cui Barcellona ha celebrato il suo più grande idolo: Johan Crujiff, scomparso solo una decina di giorni prima.

 



 

Potrei raccontarvi anche solo questo: il momento dell'ingresso in campo delle squadre, il mosaico dei centomila catalani che dicono semplicemente “grazie” all'olandese che li ha capiti più di tutti e li ha piazzati al centro del mappamondo calcistico. Era impossibile non sentire il brivido che stava attraversando ogni schiena culé, non avvertire il senso di comunione: non è retorica, o almeno non lo è sempre.

 



 

La partita invece è stata bella ma non indimenticabile. Il Barça che giochicchia, va avanti con il simbolo Piqué, che sente di aver preparato tutte le tessere giuste per il mosaico e che si specchia, subendo il ritorno dei Blancos, incassando le reti di Benzema e Ronaldo, perdendo per la prima volta dopo sei mesi e sperimentando sulla propria pelle l'immortalità di questo Real Madrid.

 

 



 

Adesso però vi racconto la partita che mi ha esaltato di più quest'anno. Parliamo di un turno di qualificazione agli ottavi di finale di Copa Sudamericana, una Sudamericana che verrà ricordata in eterno per un altro motivo ma che il 13 Settembre propone, al Nuevo Gasometro nel Bajo Flores in Buenos Aires, la gara di ritorno fra San Lorenzo e Banfield.

 

Derby argentino, non fra i più sentiti ma con una bella pressione attorno, soprattutto per i locali perché l'andata è finita 2-0 per il “Taladro”: due gol su palla inattiva e già diverse critiche per il nuovo San Lorenzo di Diego Aguirre.

 

Il San Lorenzo però si presenta come una squadra molto accattivante: il comparto di creazione è pieno di veterani che sanno perfettamente sia cosa voglia dire giocar bene che vincere (Ortigoza, Blanco, il divino Belluschi), e davanti c'è un Blandi in decollo verticale accompagnato dal sempre piccante Cauteruccio.

 

Le polveri del Cuervo, tutt’altro che bagnate, aspettano solo l’innesco. Che arriva, di botto, al Nuevo Gasometro. All'undicesimo il risultato è già sul 3-0: il primo e il terzo gol, rispettivamente di Caruzzo e Blandi, arrivano su corner (restituito il favore delle palle inattive...). Il secondo, anche questo di Nico Blandi, è invece frutto di un'azione che, forse per la suggestione dei colori azulgrana mischiata all'ora notturna, ricorda gli attacchi turbinanti del Barcellona.

 

https://youtu.be/gUFB1D061xY?t=72

 

Una delle rimonte più veloci della storia della competizione, e già questo basterebbe. Invece è, letteralmente, solo l'inizio. Il Banfield rientra in partita al venticinquesimo, con il primo gol in carriera di Alexis Soto, 23enne terzino mancino reduce dalla disastrosa Olimpiade dell'Argentina.

 

Con l'1-3 i biancoverdi del “Emperador” Julio Cesar Falcioni sarebbero qualificati, ma passa meno di un quarto d'ora e tutto cambia di nuovo, in modo incredibile. Cauteruccio, appena fuori area e leggermente decentrato verso sinistra, scarica il pallone indietro per l'arrivo di capitan Ortigoza, che semplicemente si impossessa del tempo e degli spazi. Sembra congelare la scena quando controlla con il destro e con un tocco immediatamente successivo fa uno scavetto che supera la linea difensiva del Banfield, chiudendo il triangolo. Lì, come un attore navigata che abbandona la scena, il paraguayano si defila, il tempo riprende a scorrere e Cauteruccio decide di sublimare tutto con una rovesciata in movimento che non lascia scampo né a Navarro né allo corde vocali di chiunque abbia vissuto quell'istante.

 

https://youtu.be/gUFB1D061xY?t=372

 

Con un gol del genere - e con un 4-1 in tasca al trentottesimo minuto - il San Lorenzo pensa di aver avuto abbastanza segnali dalla “mano santa” che da un triennio veglia sul club dal Vaticano, e si rilassa.

 

Ma non è la serata adatta al relax, specie nel secondo tempo, perché nell'intervallo si alza una tempesta di vento biblica che spazza il campo del Nuevo Gasometro e condiziona qualsiasi traiettoria. Anche quella di un cross disperato di Sperdutti dalla sinistra, che cambia completamente giro ingannando tutta la difesa sanlorencista. Sarmiento riesce nel suo intento principale: frasi trattenere da Mas e procurarsi un calcio di rigore all'ottantasettesimo minuto, quello della potenziale qualificazione per il Banfield.

 

Il rigore giusto affinché il “Tanque” Silva, dopo la solita serata di lotta, possa ergersi a eroe della serata.

 



 

L'eroe, alla fine, sarà ancora una volta il “Condor” Torrico, la mano de Dios, come contro il Velez per il titolo di Clausura 2013, come nei rigori contro il Gremio negli ottavi di finale della storica Libertadores 2014. Sebastian Torrico diventando il salvatore del San Lorenzo spegne l'ultima luce di una partita fantastica.

 

Esco dalla cabina di commento, in piena notte e in una redazione completamente vuota, con quella bellissima sensazione di aver vissuto uno di quei momenti che il calcio regala lontano dai riflettori principali. Sai che ne sei stato testimone, ti rimarranno dentro per sempre, e ti basta.

 

Il calcio sudamericano ha dato un'altra lezione di cosa sa essere.

 

 



 

A proposito di calcio sudamericano, verso la fine di questo stranissimo 2016

sono stato diretto testimone anche di una sorta di miracolo, un sogno utopico per gli innamorati di un certo tipo di calcio e di una certa filosofia.

 

L'11 Dicembre, in Galizia, la quindicesima giornata della Liga spagnola ci ha regalato “Bielsa contro Bielsa”. I due più importanti seguaci del

si sono affrontati sul campo di Balaídos: il “Toto” Berizzo contro Jorge Sampaoli, Celta Vigo contro Siviglia.

 

È stata una partita che ha avuto esattamente tutto quello che doveva avere per rendere omaggio al bielsismo: estetica, forme surreali e avanguardistiche, personaggi che non ti aspetti, e una decisione strategica, tanto imprevedibile quanto forzata dagli eventi, a decidere il tutto.

 

Risultato alla fine dei primi quarantacinque: 0-0. Un equilibrio rimasto tale quasi per caso, perché il campo ha continuato ad inclinarsi da una parte all'altra, prima per la partenza folgorante del Celta guidato da un Iago Aspas sempre più in versione

e poi per la risposta di un Siviglia che sull'asse N'Zonzi-Nasri costruisce un gioco che cambia ad ogni azione, ma arriva sempre fino in fondo. Uno scambio di colpi alternato e continuo. Ma niente gol.

 

Poi, però, c'è stato un infortunio, quello del leader difensivo del Siviglia Nicolas Pareja (cervello finissimo, piedi non da meno, muscoli di cristallo).

 

Sampaoli, che ha in panchina il solo Kolo come opzione difensiva e ha dimostrato chiaramente di non fidarsi troppo di lui, decide durante l'intervallo di rimpiazzarlo con Vicente Iborra. Un giocatore stranissimo: gigantesco, con le fattezze di Golia, carismatico, di ruolo mediano ma con una mentalità da centravanti. Sampaoli ridisegna la squadra e Iborra cala una tripletta, diventando il primo “non attaccante” a segnare tre gol da subentrato nella storia della Liga. Finisce 0-3, perché il Siviglia la sblocca su calcio d'angolo e la fa fuori in contropiede.

 



 

Puro stile Bielsa? Di sicuro le aspettative non sono state deluse

 

 



 

Se sfogliate attentamente le biografie dei più grandi campioni della storia dello sport, trovate sempre questo concetto: “date al pubblico quel che il pubblico vuole”. Jesse Owens, Muhamad Ali, Maradona. Più molti altri. Lo spettacolo l’hanno cercato per tanti motivi, per ognuno diversi, ma sempre e soprattutto guardando, e pensando, alla gente.

 

Certo, è un discorso che rischia facilmente di scadere nella retorica: però l'ultima mezz'ora della mia ultima telecronaca del 2016 è stata davvero un regalo di quel tipo. E quando te lo vedi recapitare non è che pensi alla retorica, ma a quanto sia fortunato a esserci. Nel derby di Barcellona del 18 Dicembre, Lionel Messi si è messo il cappello da Santa Claus e ha affondato le mani nel suo sacco alla ricerca di qualcosa che lasciasse esterrefatti gli spettatori.

 

Una partita presentata con squilli di tromba, tanto che entrambi i quotidiani sportivi di Barcellona,

e

, la domenica mattina sono usciti con il medesimo titolo: “Super Derbi”. Questo perché l'Espanyol ci è arrivato un pochino meglio rispetto agli ultimi anni e al Barça si chiedeva una prova di guarigione dopo i tormenti di Novembre, culminati col colpo di Ramos nel Clásico che chissà quanto risulterà pesante nei calcoli di questa Liga. In ogni caso, nonostante il tentativo di dare lustro ai rivali, si respirava chiaramente aria di serata blaugrana. In realtà, è venuta fuori una partita piatta. Per un'ora si è visto un Espanyol sì ordinato nella propria metà campo, però pure ai limiti della passività, con un Barcellona talmente sonnacchioso da limitarsi a spaccare la squadra avversaria con i lanci lunghi dell'architetto della luce Andrés Iniesta, uno dei quali – controllato e sfruttato fiabescamente da Suàrez – è valso l'1-0 al diciottesimo e di conseguenza un instradamento piuttosto netto della contesa.

 

Però, anche se già decisa, una partita di calcio può essere comunque un'opera d'arte. Specialmente se la metti in mano al più grande artista che ci sia in circolazione. Leo Messi, che qualche giorno prima aveva visto Ronaldo posare in uno shooting fotografico con il Pallone d'Oro e la mattina stessa segnare tre gol valsi il titolo mondiale a lui e al Real Madrid, ha deciso di ritagliare per sé l’ultimo saluto di classe al 2016. Un 2016 in cui ha segnato più di tutti (59 gol fra club e nazionale), ma in cui ha perso un'altra finale con l'Argentina – facendosi persino biondo dallo shock – e ha visto il suo più diretto rivale vincere qualsiasi cosa. Messi ha disegnato (con Iniesta) il gol perfetto e ha accettato che lo segnasse un altro.

 



 


Le parole risultano sempre un po’ limitate, davanti a robe del genere.


 

In quest’ultima partita dell’anno Messi ha fatto una serie di cose che ti fanno venire in mente una sola parola, peraltro abusata: genio.

 

Chiaramente ha anche segnato, il gol del definitivo 4-1 al novantesimo, con un tocchetto al volo passato fra le gambe del portiere. Tanto per rimanere in testa alla classifica dei cannonieri.

 

È stato un anno calcistico stranissimo, io mi sono divertito. Voi no?

 

 

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