Nel 1993, quando avevo dodici anni, ho fatto il raccattapalle all'Europeo femminile che si giocava in Italia, dalle parti di Cesena. Gli adolescenti italiani degli anni '90 erano un concentrato ingenuo di maschilismo e omofobia e io non facevo eccezione, per cui è stato traumatico rendermi conto non solo che le donne potevano giocare a calcio, ma che molte di loro erano nettamente migliori di tutti i maschi alfa con cui ero cresciuto. Di mio padre, di mio zio, ma anche dei miei allenatori che dicevano di aver giocato a un buon livello.
Mio padre, che mi aveva accompagnato, mi disse di farmi fare l'autografo da Carolina Morace e conosceva molte giocatrici della Nazionale italiana, anche se preferiva quelle più carine. Una posizione contraddittoria che per certi versi può essere considerata progressista ancora oggi, tanto ci vuole poco. Da gli anni '90 il calcio femminile si è evoluto quanto se non più di quello maschile, ma la percezione che ne ha la società non è poi così diversa da allora. Oggi abbiamo calciatrici con mezzi tecnici impressionanti, capaci di interessarci, appassionarci, intrattenerci, ma il calcio femminile continua ad essere considerato come una brutta copia di quello maschile. Non è un problema solo italiano, ma se si confrontano gli indici di uguaglianza tra i sessi e il ranking FIFA sembra che dove c'è meno disparità il movimento calcistico femminile ottiene risultati migliori.
Quest'estate ho guardato il Mondiale con interesse (la finale tra USA e Giappone ha avuto più spettatori televisivi americani delle finals Nba) ho preso appunti e ne ho discusso su Twitter. Avevo le mie calciatrici preferite, ma poi ho scoperto quanto è difficile continuare a seguirle con una copertura mediatica praticamente nulla. Anche per questa lista delle dieci migliori al mondo ancora in attività (che abbiamo stilato usando il nostro gusto personale ma anche consultandoci con persone che conoscono il calcio femminile meglio di noi) non è stato facile trovare video che ci permettessero di farci un'idea abbastanza approfondita, e non è stato facile neanche trovare le informazioni (ad esempio, anche la pagina Wikipedia in inglese di Homare Sawa – che ha giocato 6 Mondiali con il Giappone e inizialmente era in lista – non riporta che ha dato l'addio al calcio).
È ora di parlare di calcio femminile senza confrontarlo con quello maschile, e di parlare delle calciatrici come si fa con i calciatori. (DM)
Dzsenifer Maroszan –Germania, FFC Francoforte – 1992
In uno sport in cui una delle sue migliori interpreti – ovvero Carli Lloyd – può migliorare tecnicamente a 30 anni, fa impressione pensare che Dzenifer Maroszan abbia fatto il proprio esordio in un Bundesliga a 14 anni.
Maroszan ha origini ungheresi, suo padre giocava a calcio a livello professionistico per la Nazionale Magiara. “Maro” è stata Campione d’Europa U-17 (2008), Campione del Mondo U-20 (2010) e Campione d’Europa con la Nazionale maggiore nel 2013. Dopo il ritiro di Sasic, è la giocatrice più rappresentativa del movimento calcistico tedesco, il più importante d’Europa. Maroszan nelle interviste dice di ispirarsi a Cristiano Ronaldo «perché ha il coraggio di fare in partita cose fuori dagli schemi». I suoi video sono un concentrato di colpi di tacco, pettinate con la suola, veroniche; elementi che, come per i colleghi maschi, dicono poco di che giocatrice è Maroszan. Nonostante indossi il numero 10, gioca più da numero 6, forse a dimostrazione che tra le donne il centro creativo del gioco è arretrato di qualche metro.
Nel calcio femminile gli spazi sono più ampi e le calciatrici che sanno organizzarne la gestione mi pare facciano la differenza. Maroszan gioca da regista del centrocampo a cinque della Nazionale tedesca, ne è il cervello pensante. Guardando i suoi video mi pare che in questo sia facilitata dalla scarsa pressione che la maggior parte delle squadre opera sul portatore, ma anche quando è pressata “Maro” riesce a ricavare lo spazio per la giocata utile, anche grazie al suo baricentro basso e un controllo palla mai sciatto.
Guardandola giocare non colpisce solo la sensibilità con cui tocca il pallone (può improvvisare un sombrero dopo un rinvio sbagliato), ma anche la tendenza a fare scelte rischiose, a pensare giocate quasi sempre in verticale.
Essendo riconosciuta come una delle più talentuose calciatrici in circolazione, “Maro” ha il privilegio di avere su YouTube diversi video di highlights individuali (questo o questo, per esempio). Guardandoli ci potete trovare dentro una buona definizione di “intelligenza calcistica”. (EA)
Aya Miyama - Giappone, Okayama Younogo Belle, 1985
Miyama è stata eletta da pochi giorni miglior calciatrice asiatica del 2015 (come già nel 2011, anno del Mondiale vinto, e 2012) ma il Giappone di cui è capitano non è riuscito a qualificarsi per le prossime Olimpiadi. Ed è un peccato perché quest'estate era forse la giocatrice più interessante da guardare. Senz'altro la più originale. Giocava a sinistra in quello che nelle fasi di possesso più prolungato del Giappone diventava un 2-4-4, rientrava quasi sempre per poi verticalizzare con un filtrante o crossare in area. Miyama è imprevedibile non grazie alla superiorità nel dribbling o a un vantaggio fisico, ma con una visione di gioco e una sensibilità sul pallone che le permette di scegliere ogni volta tra 3 o 4 opzioni di passaggio possibili, scegliendo quella più difficile.
Miyama ha una qualità sopra la media anche rispetto alle altre giapponesi, tutte molto tecniche (credo sia ambidestra, i rigori li calcia di destro ma colpisce benissimo anche di sinistro) ma sopratutto sa mettere “pausa” al gioco quando vuole, mentre le sue compagne continuano a correre per creare spazi e opportunità, sapendo che in ogni caso Miyama potrà fargli arrivare la palla tra i piedi. Figlia di un ex calciatore, ha esordito da professionista a 14 anni e pare che le sue uniche passioni siano giocare a calcio, dormire, bere caffè e Coca Cola. Incarna alla perfezione il gioco di passaggi giapponese, palla a terra e organizzazione, a cui – come tutti i campioni – aggiunge anche qualcosa di suo. (DM)
Lotta Schelin - Svezia, Bordeaux - 1984
Le ragazze dell'Olympique Lyonnais vincono il campionato francese da 7 anni consecutivamente, negli ultimi 4 hanno raddoppiato con la Coppa di Francia e nel 2011 e 2012 si sono prese anche la Champions League (quest'anno sono ai quarti con lo Slavia Praga e dovrebbero avere vita facile). Eppure qualche anno fa Bernard Lacombe, ex-calciatore e dirigente del Lione, si è irritato in diretta radio con un'ascoltatrice che chiedeva notizie di Benzema: “Non parlo di calcio con le donne... che pensassero alle loro pentole”. Interrogata sull'accaduto Lotta Schelin, centravanti svedese che con il Lione ha segnato più di 221 gol in 216 presenze (e ha il record di gol con la maglia della Svezia: 73), ha risposto: “In Svezia ci insegnano l'uguaglianza con un'enfasi nel fare spazio alle donne su base quotidiana. In Francia magari non è proprio così ma pensavo che frasi del genere fosse impossibile sentirle”. Questo come esempio dell'intelligenza e del carisma di Lotta Schelin fuori dal campo.
Schelin è quasi un metro e ottanta, che nel calcio femminile inizia a garantirti un discreto vantaggio sulle palle alte, ma è tecnica e veloce, da vera centravanti sa giocare tra le linee e correre alle spalle della difesa, situazione in cui mostra ancora un'intelligenza raffinatissima. Segna anche in situazioni di disequilibrio, in scivolata, con la punta dopo un controllo di petto difficile in area, e per questo in Svezia viene paragonata a Ibrahimovic.
Ed è un paradosso che a infastidirsi del paragone sia stato Ibrahimovic (perché invece di paragonarlo a Messi e Cristiano lo paragonano a una donna che guadagna un centesimo – se è fortunata – di quello che guadagna lui); come è un paradosso il fatto che calciatrici come Schelin vengano usate come argomento per screditare il calcio femminile, come prova di quanto sia facile fare la differenza, anziché realizzare che con più soldi, con uno sviluppo maggiore di tutto il movimento, sempre più calciatrici potrebbero raggiungere il livello di Schelin e delle altre migliori. In Svezia Schelin è una star, quanto Alex Morgan o Hope Solo negli USA. (DM)
Lena Goeßling – Germania, VfL Wolfsburg – 1986
L’amico che mi ha consigliato di inserire Lena Goeßling in questa classifica me l’ha venduta come “la miglior calciatrice di corner e punizioni” e me l’ha paragonata a Wesley Snejder. Il fatto allora che non si trovino su YouTube suoi calci di punizione – NEMMENO UNO – è un buon esempio dell’arretratezza mediatica del calcio femminile.
Andando su Twitter si può risalire a qualche sua giocata tramite qualche profilo specializzato. È comunque difficile farsi un’idea su di lei e c’è bisogno di guardare qualche partita completa (tipo questa contro il Brasile, dove da un suo calcio d’angolo nasce il vantaggio della Germania), ma quello che si trova è sufficiente per farsi un’idea della varietà di soluzioni con cui tira in porta.
Nel suo repertorio: conclusioni di potenza con le tre dita, tiri d’interno sul secondo palo da posizione defilata, gol da casa sua.
Se qualcuno ha registrato dei VHS casalinghi con i suoi calci di punizione li carichi su YouTube, per favore. (EA)
Ramona Bachmann - Svizzera, Wolfsburg - 1990
Che mondo è quello in cui c'è gente che si emoziona per Zarate e ha il coraggio di snobbare giocatrici come Ramona Bachmann (capaci di cose di questo tipo)? Ingiusto. Un mondo ingiusto.
Aggiungo solo che Bachmann non solo ha dichiarato la propria omosessualità ma ha anche specificato che nel calcio femminile non esiste il tabù (e infatti è un calcio dove Abby Wambach può baciare la moglie dopo un gol). (DM)
Vivianne Miedema - Olanda, Bayern Monaco - 1996
Miedema ha dei numeri impressionanti: 78 gol in 69 presenze nel campionato tedesco, tutti segnati tra i 15 e i 18 anni. Ha vinto l'Europeo Under 19, segnando il gol decisivo in finale contro la Spagna con un cucchiaio dal limite dell'area.
Forse di lei ne avete sentito parlare perché ha eliminato l'Italia ai playoff qualificatori dello scorso Mondiale, segnando 3 gol in 2 partite. È una prima punta tecnica, forte fisicamente e con grande confidenza sulla palla: nel Bayern di Monaco gioca con la numero 10, nell'Olanda con la 9. Tira spesso da fuori ma sa dribblare. Ha un equilibrio e un dinamismo che le permettono di andarsi a prendere palla su tutta la trequarti avversaria, e poi portarla cambiando direzione quando riceve spalle alla porta, o di trequarti, si gira quasi senza soluzione di continuità. Probabilmente ci saranno giovani calciatrici altrettanto talentuose in giro – in squadre meno importanti, magari, sia a livello di club che di Nazionale, o con numeri meno clamorosi – ma Miedema ha le carte in regola per diventare una delle calciatrici più popolari e di successo. (DM)
Carli Lloyd – USA, Houston Dash – 1982
A quanto pare negli ultimi anni la Nazionale statunitense ha cambiato modo di giocare: da uno stile che enfatizzava il possesso palla e la costruzione ragionata della manovra, è passata a uno più diretto e verticale. Per assecondare questa tendenza il reparto offensivo è composto da Alex Morgan e Sidney Leroux, due giocatrici atleticamente formidabili, in grado di raccogliere in velocità i lanci lunghi dal centrocampo. Nelle situazioni in cui gli avversari si organizzano con una difesa bassa, allora diventano importanti le doti tecniche e la visione di gioco di Carli Lloyd, che in molti indicano come perfetto simbolo della nuova era del calcio femminile statunitense.
Nel calcio USA si insiste molto sull’etica del lavoro. In un articolo sul Wall Strett Journal si legge: «In Brasile anche le giocatrici mediocri riescono a giocare a pallavolo con i piedi. Invece negli Stati Uniti raramente si ha la tendenza a giocare fuori dall’allenamento strutturato. E allora il miglioramento passa per la ripetizione continua dei gesti». E i miglioramenti di Carli Lloyd sono stati impressionanti negli ultimi anni, in cui ha cambiato posizione da attaccante a centrocampista offensivo, con il ruolo di legare centrocampo e attacco. Dovendo ovviamente migliorare delle capacità tecniche che prima non erano sopra la media.
Contro il Giappone, nella finale dei Mondiali, ha segnato una tripletta nei primi 16 minuti. La terza rete è un pallonetto di destro da centrocampo dopo un “drible de vaca” sul marcatore. Nel gol tutti i limiti dei portieri del calcio femminile.
In campo funge quasi da “enganche”: facendosi sempre trovare nella zona del pallone e cercando la verticalizzazione appena possibile, spesso in modo visionario. «Ha tutto a che fare con la ripetizione, vedendomi in partita puoi capire quanto lavoro c’è stato dietro».(EA)
Louisa Nécib - Francia, Olympique Lione - 1987
Come idee e realizzazione tecnica Louisa Nécib è geniale. Però è pigra (oltre che poco atletica) e gioca spesso da ferma, tanto con il piede mette la palla dove vuole. E mentre pensa, o guarda cosa fanno le altre, fa venire il mal di mare alle sue marcatrici con le finte. Nécib è la mia preferita in assoluto ed è stata una delusione durante il Mondiale - dove invece ha fatto bene Claire Lavogez, che per alcuni è la più forte calciatrice francese. Lo stereotipo del giocatore francese di origini nordafricano ipertecnico e un po' pazzo si adatta benissimo a Louisa (il suo soprannome è “Ziza”, femminile di “Zizou”), e se uno stereotipo ne può indebolire un altro, allora perché non usarlo?
Anche Nécib (come Myiama e come molte altre) è cresciuta giocando con i “maschi”, a Marsiglia. Ha frequentato il centro di formazione statale di Clairefontaine, un anno a Montpellier e poi il passaggio al Lione con cui ha vinto tutto quello che poteva vincere. Nel 2013 è entrata tra le nomination per il Puskas Award, purtroppo per lei lo stesso anno della rovesciata da centrocampo di Ibrahimovic.
Quando Nécib è in giornata ha un controllo sul pallone che fa di lei uno splendido playmaker offensivo. Si potrebbe fare un video solo con le sue sterzate, rallentamenti, cambi di direzione con l'uomo (pardon, la donna) addosso, filtranti che mettono in porta una compagna o cross precisi a centro area. I momenti che preferisco sono quelli in cui corre quasi su una gamba sola, con la destra sospesa a mezz'aria pronta per un passaggio o una sterzata verso l'interno o l'esterno, quei momenti in cui Nécib sembra che porti palla in equilibrio su una fune.
Ovviamente calcia benissimo angoli e punizioni, e prenderebbe la porta anche da quaranta metri. Non so se è la migliore di tutte, ma mi piacerebbe che la conoscesse più gente, quanto meno mi piacerebbe poterne parlare con gli stessi amici di cui parlo di Payet e Ben Arfa.
Hope Solo – USA, Seattle Reign – 1981
Se Alex Morgan è la donna immagine per una fascia di pubblico giovane, dove non si vuole rinunciare all’esibizione di un lato più femminile, Hope Solo è stata per tanti anni la portabandiera di un movimento che porta la retorica del “lavoro duro”, della “pressione che ci dà stimoli” a un livello davvero inedito.
Se nei video di Morgan è difficile guardare le sue giocate senza passare per immagini di lei in costume che gioca con l’acqua, o di lei che si trucca, i video di Hope Solo sono pieni di esercizi fisici, sguardi di fuoco e grida carismatiche.
Nel 2014 è stata arrestata per violenza domestica ai danni della sorella e del nipote diciassettenne, e poco dopo rilasciata perché i fatti, a quanto pare, non sussistevano. Questo ha in parte incrinato la sua immagine di donna simbolo, ma ne ha accresciuto la complessità narrativa. Potete leggere suoi bellissimi profili un po’ ovunque, anche sul New Yorker.
Quello che il lato più letterario del suo personaggio potrebbe far passare in secondo piano è il fatto che Hope Solo è il migliore portiere al mondo (assieme a Nadine Angerer che però adesso si è ritirata). Guardando il calcio femminile è difficile non rimanere delusi dai limiti dei portieri, che finiscono per intaccare anche la credibilità di alcuni gesti tecnici. Sembrano avere una reattività muscolare e una presenza fisica troppo limitate per difendere porte così grandi. Tanto che verrebbe quasi da chiederne una riduzione.
Guardando giocare Hope Solo, invece, viene da pensare che il problema non sia tanto genetico quanto tecnico.
Non è più alta della media degli altri portieri, 1,75, ma la sua reattività e la scelta dei tempi dell’intervento sono quasi imparagonabili al contesto del calcio femminile. Soprattutto nelle uscite basse si getta ai piedi dell'avversario con una deteriminazione che finisce quasi sempre per sorprendere gli attaccanti, forse non abituati a quel tipo di reattività. Servirebbe un'intera generazione di Hope Solo. (EA)
Alex Morgan – USA, Portland Thorns - 1989
Sulla sua pagina Wikipedia, Alex Morgan è presentata come “calciatrice e scrittrice statunitense”. Nel 2012 ha scritto due romanzi per ragazzi che presto diventeranno una Serie TV. Nelle interviste ci tiene a presentarsi come un modello interamente positivo e poco tempo fa Disney Channel le ha dedicato un documentario che rappresenta una specie di manifesto ispirazionale sull’importanza del “lavoro duro”, del “talento non basta” e dell’ “inseguire i propri sogni”. La sua comparsa sulla copertina di FIFA16, prima donna in assoluto, è quindi solo l’effetto più evidente del suo ruolo di donna immagine del movimento calcistico statunitense. Soprattutto per una fascia di pubblico più giovane, su cui il soccer evidentemente punta molto.
Morgan è stata la prima scelta del draft 2011 per i Western New York Flash e a 21 anni è stata la più giovane a debuttare con la Nazionale statunitense, con cui ha una media gol interessante: 63 in 102 partite, molti dei quali segnati in competizioni di alto livello.
La sua capacità di finalizzazione mi sembra dipendere in parte dalla completezza del repertorio e in parte dalla sua rapidità d’esecuzione (in questa azione ci sono entrambe le cose, per esempio). Ma al suo arco ci sono anche tiri di interno a incrociare, finte sul portiere e conclusioni di pura potenza. Morgan riesce ad abbinare una grande sensibilità nel piede sinistro con una impressionante velocità nell’organizzare la conclusione, sia di destro che di sinistro.
Un colpo d’esterno con la gamba che spinge quasi solo lateralmente. Una conclusione che Morgan ripete spesso, anche a pallonetto, e che rappresenta bene il suo istinto per le finalizzazioni improvvisate.
Quasi sempre nel calcio femminile la costruzione dei gol parte da lontano. In questo contesto le doti atletiche di Morgan fanno la differenza: quando accelera palla al piede diventa difficilmente arginabile. Controlla quasi sempre tenendo la palla sul piede forte, defilandosi leggermente sulla sinistra: ha un fisico asciutto, compatto, che le permette di resistere anche ai contrasti più energici, ed è più veloce di quasi tutte le sue avversarie.
I suoi gol mettono in mostra quasi sempre uno strapotere atletico a tratti inspiegabile: difensori enormi cadono nel tentativo di fermarla, gol di testa in elevazione su marcatori più alti di lei. Anche dopo scatti profondi Morgan riesce a rimanere fredda, e a non perdere precisione nell’esecuzione dei gesti.
A 26 anni è già medaglia d’oro Olimpica (gol vittoria in semifinale) e campionessa del Mondo. È conscia del fatto che da ora in avanti potrà permettersi il lusso di giocare al di là delle contingenze: «Quello che ora mi interessa è diventare la calciatrice migliore del mondo». (EA)
Post Scriptum
Questa lista non ha alcuna pretesa di assolutezza e sarebbe bello se ci segnalaste quali calciatrici secondo voi sarebbero potute rientrare nelle dieci. Personalmente mi dispiaccio che siano rimaste fuori Patrizia Panico , la trequartista giapponese Mana Iwabuchi (classe '93 che al Mondiale entrava come cambio offensivo e in quanto a controllo del pallone e dribbling non ha niente da invidiare a nessuno), Fara Wlliams che comanda il centrocampo dell'Inghilterra con una visione di gioco e una forza notevole e che ha anche una storia pazzesca (è stata senzatetto per anni e andava lo stesso ad allenarsi). Ma anche Daniela Montoya, colombiana, che mi aveva impressionato per quanti palloni recuperava a metà campo, ma di cui abbiamo davvero trovato troppo poco.
Sopratutto mi dispiace per Célia Sasic, capocannoniere all'ultimo Mondiale che ha dato l'addio al calcio a 27 anni per concentrarsi (se ho capito bene) sugli studi, sulla carriera futura e sulla famiglia (e tra le ritirate ce ne sarebbero altre). Invece Marta e Melania Gabbiadini sono rimaste fuori perché abbiamo dedicato a entrambe un profilo a parte. (DM)