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Le domande fondamentali della stagione NBA 2019/20
21 ott 2019
21 ott 2019
Dieci questioni aperte che verranno risolte nella stagione che sta per cominciare.
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Domani notte inizia finalmente una delle stagioni più incerte degli ultimi anni, talmente indecifrabile che lanciarsi in previsioni significa esporsi a colossali figuracce. Ma la redazione non si tira indietro.

1) Siamo finalmente davanti a una stagione in cui non sappiamo chi arriverà fino in fondo o le contender serie sono meno di quelle che ci aspettiamo?

Niccolò Scarpelli: La risposta facile vede Milwaukee, Philadelphia e le due squadre di Los Angeles un gradino sopra le altre. Ma la NBA non è una lega facile e, con la fine della Dinastia Warriors, gli ingredienti sembrano giusti per una stagione equilibrata e incerta. Sulla carta non c’è una squadra invulnerabile, mentre tante hanno voglia di rivincita (Houston, Boston), consacrazione (Utah, Portland) o di esplodere definitivamente (in quanti si stupirebbero di vedere Denver prendersi il primo posto a Ovest?). Miami, Brooklyn, Dallas o San Antonio sono “matte” perfette per far saltare il banco, in caso di stagione positiva, così come gli stessi Warriors, il cui valore potenziale oscilla tra la lottery e le Finals. Personalmente, sarei stupito se almeno una delle quattro “grandi” favorite non uscisse prima delle finali di conference.

Dario Costa: Tutto sta nel capire con che forma (e roster) arriveranno le squadre attualmente posizionate in seconda fascia dietro alle due di L.A., Phila e Milwaukee. La tenuta fisica, il rientro degli infortunati, l’adattamento dei nuovi arrivati e l’utilizzo dei margini di manovra negli scambi ci diranno per allora di che pasta sono fatte Houston, Golden State, Denver, Utah e Boston. La storia recente della lega ci dice che solo una di queste potrebbe trovare la combinazione giusta tra i quattro fattori di cui sopra e trasformarsi in contender a tutti gli effetti.

Lorenzo Bottini: È vero, ci sono quattro squadre che sulla carta sono testa e spalle davanti al resto della competizione, ma tre di queste sono praticamente state montate in fretta e furia in estate e l’altra, Milwaukee, viene da una discreta ridimensionata dagli scorsi playoff. E in una NBA nel crepuscolo dell’Impero Romano di Curry & Co., non mi stupirei che prima di una nuova restaurazione si possa infilare qualche squadra compatta, rodata e che non ha nulla da perdere come Houston o Utah.

Dario Vismara: Ha ragione Mike Prada di SB Nation quando scrive che lo scorso anno la NBA ha perso la sua trama nella scorsa stagione, facendo diventare il contorno più importante del gioco in sé. Con una classe di free agent nel 2020 meno ricca rispetto alle ultime stagioni - almeno a livello di grandi nomi -, il focus di tutti dovrebbe finalmente tornare sul campo, su chi va bene e chi va male sul parquet, senza cercare di andare a leggere ossessivamente che tipo di ripercussioni possono avere sul futuro delle stelle in free agency. Perciò, bentornata competizione: la prossima squadra che si laureerà campione NBA probabilmente non sarà forte quanto i Golden State Warriors degli ultimi tre anni a pieno regime, ma se non altro vedremo molte più squadre - a torto o a ragione - pensare di poter vincere tutto quanto.

Nicolò Ciuppani: Al di là di quante saranno effettivamente le contender serie alla vittoria finale, io non ho sinceramente ricordo di una stagione dove 10-11 squadre siano tutte convinte di poter vincere l’anello. Ad ovest ci sono i Clippers della nuova super-coppia, i Lakers i cui tifosi si aspettano un anello ogni singolo anno, gli Warriors di un eventuale rientrante Klay Thompson, Houston con l’ennesimo all-in, Denver che è andata a tre vittorie dal prendersi l’Ovest l’anno passato. A est ci sono i Bucks di Giannis, i Sixers che si sognano ancora i rimbalzi sul ferro, i Celtics che si aspettano un anello ogni volta che se lo aspettano i Lakers. Oltre a queste ci sono le varie squadre non proprio contender ma che sono convinte ai playoff di giocarsela alla pari con tutte. Sarà immancabilmente una stagione di cocenti delusioni per tante/troppe squadre, e quindi imperdibile.


2) Con così tante squadre competitive, chi rimarrà fuori dai playoff a Ovest?

Dario Ronzulli: Aver firmato gente che ne ha viste mille in carriera potrebbe non bastare ai Sacramento Kings per essere in grado di finire tra le prime otto nella tentacolare Western Conference. Ariza, Barnes, Dedmon, Joseph è tutta gente che certamente permetterà a coach Luke Walton di coprire le spalle ai giovani rampanti, ma dubito che alzino il livello della squadra tanto da scalzare Denver o Portland o i soliti Spurs. Mettiamoci anche che Hield e Bogdanovic, per motivi diversi, devono trovare gli accordi economici per continuare la loro carriera al Golden 1 Center a lungo ed ecco che al momento il quadro non sembra ispirare particolare fiducia per un posto tra le prime otto.

Lorenzo Bottini: Per la terza volta nella sua giovane storia molto probabilmente Oklahoma resterà fuori dai playoff, certificando la conclusione della gloriosa generazione dorata ora che anche Russell Westbrook ha cambiato aria. Nonostante i contrattoni (e la qualità) di gente come Chris Paul, Danilo Gallinari e Steven Adams potrebbero fino ad inizio primavera suggerire altro, il vero obiettivo stagionale della franchigia con i fulmini sarà una scelta più alta possibile al prossimo Draft, magari sfruttando la solita magia di Presti quando si tratta di scoprire talenti nascosti.

New Orleans e Dallas faranno salti in avanti notevoli nel loro percorso di ricostruzione, ma almeno per questa stagione rimarranno spettatori in post-season - forse per l’ultima volta.

Dario Costa: Fuori i Thunder e dentro i Lakers. Per il resto poco dovrebbe cambiare, anche se San Antonio e Portland dovranno difendersi come Jon Snow e compari dall’assalto degli Estranei di New Orleans guidati da Zion Williamson.

Nicolò Ciuppani: La risposta più probabile è mantenere le stesse squadre dell’anno scorso, facendo fuori i Thunder e mettendo dentro i Lakers. Però l’Ovest è pieno di squadre convinte di essere meglio (o peggio) del loro attuale valore. I Warriors, esclusi i loro migliori 4 giocatori (di cui Klay infortunato almeno fino all’All Star Game), sono una squadra di G League o poco più. I migliori tre giocatori dei Lakers sono tutti nello stesso ruolo. Portland ha messo a roster dei giocatori tutti da testare e fortemente destabilizzanti come Hassan Whiteside e Kent Bazemore. Di contro ci sono squadre ancora troppo acerbe per essere considerate credibili, ma molto più profonde di quelle già conclamate (come i Kings e i Pelicans), o i Mavericks convinti di aver già assemblato la coppia del futuro. Potremmo vedere una corsa estremamente prevedibile o un paio di sorprese davvero inaspettate.

Basteranno i nuovi Splash Brothers per tenere a galla i Golden State Warriors?




3) Quale squadra può essere una contender a sorpresa ad Est?

Niccolò Scarpelli: In un Est dove i valori dopo la prima fila della griglia di partenza sembrano essersi livellati parecchio rispetto a un anno fa, gli Orlando Magic mi sembrano la squadra con il potenziale esprimibile più alto. Celtics e Heat sono più attrezzate, i Raptors più rodati, ma Steve Clifford è un maestro nel disciplinare e massimizzare il talento a disposizione e già nella seconda parte della scorsa stagione si sono intravisti i frutti del suo lavoro. I Magic hanno chiuso con l’ottava miglior difesa (quinta dopo l’All-Star Game), non concedono seconde chance a rimbalzo neanche a pregare e perdono pochissimi palloni – oltre a dare 19.6 assist per cento possessi da febbraio in poi, secondi solo a Warriors e Raptors. Tutto passerà dall’evoluzione di Jonathan Isaac e dalla consacrazione definitiva di Aaron Gordon, ma il roster è stato allungato in estate con Al-Farouq Aminu. E se Fultz e Bamba dovessero anche solo mostrare sprazzi del loro talento…

Dario Ronzulli: Io dico Toronto Raptors. Sì, è vero: la perdita di Kawhi Leonard - e in secondo piano anche quella di Danny Green - ha tolto quasi tutto il potenziale da titolo dei campioni in carica. Dal mercato non è arrivato nessuno che sia minimamente in grado di prendere il posto da leader di Leonard. Messa così raggiungere i playoff sembra il massimo degli obiettivi. Però Nick Nurse è un signor coach, Lowry e Siakam hanno la possibilità di alzare il loro livello di gioco e la panchina è più profonda dell’anno scorso. Potrebbe essere più che sufficiente per rompere le uova nel paniere a chi sulla carta è più attrezzato.

Con un nuovo contratto da 130 milioni per quattro anni appena firmato, Siakam riuscirà a fare un altro salto di qualità?

Dario Costa: L’attenzione riservata ai Boston Celtics quest’anno è inversamente proporzionale alle potenziali qualità della squadra. La balbettante, contraddittoria stagione precedente rischia di farci dimenticare la bravura di Brad Stevens nell’insegnare pallacanestro, così come ci siamo dimenticati forse un pò troppo in fretta dei lampi di talento purissimo mostrati da Jayson Tatum nel suo anno da rookie. Kemba Walker probabilmente non vale Kyrie Irving, ma le sue caratteristiche sembrano ben accordarsi con la concezione del gioco di Stevens e ancor di più con il resto del roster (per non parlare della compatibilità con lo spogliatoio e la stampa locale). Le incognite sono il pieno recupero di Gordon Hayward e un reparto lunghi tra i più precari dell’intera lega, ma la dirigenza dispone di buone carte da giocarsi al mercato degli scambi (Jaylen Brown in primis). E Danny Ainge e mercato degli scambi nella stessa frase di solito significano bel tempo all’orizzonte per Boston.


4) Chi tankerà la stagione tra le squadre che non ci aspettiamo?

Daniele V. Morrone: Minnesota penso sia tra le squadre che dicono di avere ambizioni superiori al tanking, ma che potrebbero decidere di finire per farlo nella seconda parte di stagione. Con il proprio giocatore franchigia Towns che entra nel primo anno di un contratto di cinque stagioni, uno degli staff più giovani della Lega al comando e una squadra di buon livello medio ma lontana dalle corazzate ad Ovest, tutto fa pensare che alla squadra farebbe sì piacere provare a raggiungere l’ottavo posto e voltare finalmente pagina dopo l’esperienza con Thibodeau e Butler, ma non sarebbe neanche una così brutta idea nel caso in cui la stagione si rivelasse più difficile del previsto. Tirare i remi in barca e provare a pescare un giocatore da affiancare a Towns nel lungo periodo - visto l’ormai chiaro flop di Wiggins per il ruolo designato - può essere un buon piano B, cercando di capire cosa può essere Jarrett Culver in NBA.

Dario Vismara: Nella NBA esistono due tipi di tanking: quelli che platealmente vogliono le migliori scelte al Draft e quelli che a un certo punto della stagione depotenziano il roster per non fare i playoff. Quando si fa un discorso del genere, è sempre bene andare a vedere qual è la situazione delle scelte al Draft in uscita nei prossimi anni. E tra le squadre che hanno incentivi a tankare nella seconda parte della stagione se le cose dovessero andare male ce ne sono almeno tre di quelle che più o meno da tutti vengono pronosticate ai playoff: Golden State, Indiana e Brooklyn. Gli Warriors dovranno cedere la loro scelta a Brooklyn (complice la vanità di Kevin Durant che non voleva essere scambiato alla pari con D’Angelo Russell) a meno che non finiscano nelle prime 20 posizioni del primo giro: non impossibile vista la concorrenza a Ovest, l’infortunio di Klay Thompson e un roster davvero corto, anche se potrebbero comunque fare i playoff con un seed basso e prendere due piccioni con una fava. I Pacers invece cederanno a Milwaukee la loro scelta se andranno ai playoff, ma con Oladipo fuori a tempo indeterminato potrebbero ritrovarsi con un record peggiore di quello che si aspettano e a quel punto, piuttosto che spingere per essere eliminati al primo turno, meglio tenersi la scelta in Lottery; discorso simile per Brooklyn, che ha una scelta protetta 1-14 in uscita verso Atlanta: se le cose non dovessero girare per il verso giusto, perché perdere un asset prezioso in una stagione che comunque è di transizione in attesa del ritorno di KD?


5) Quale sarà la squadra più divertente della lega, aka quella da non perdere su League Pass?

Daniele V. Morrone: Nonostante il fisiologico ridimensionamento con l’addio di Durant e l’infortunio a Thompson, per gli Warriors con una nuova mega arena a San Francisco appena inaugurata l’idea di non arrivare ai playoffs è vista come inaccettabile. Con un roster formato da poche certezze e tanti progetti di giocatori NBA o talenti da rilanciare, questo forzerà Kerr a mostrarsi proattivo alla lavagnetta e nelle rotazione e soprattutto le due stelle della squadra Steph Curry e Draymond Green a fare una stagione da ricordare. Steph Curry sarà chiamato ad assumersi nuovamente responsabilità offensive da MVP senza poter delegare troppo e Green dovrà fare gli straordinari in difesa per tenere in piedi la baracca. Due tra i giocatori più influenti e polarizzanti della storia della NBA dovranno dirigere lo show ogni sera senza poter mai togliere il piede dall’acceleratore.

Niccolò Scarpelli: Per quanto i Pelicans e i loro quintetti pieni di playmaker e freak atletici che corrono come il vento saranno piuttosto intriganti, vado con Atlanta. Proprietari del ritmo più frenetico della lega nella scorsa stagione (104.5 possessi a partita, proprio davanti a New Orleans), gli Hawks hanno già dimostrato come tenervi svegli nelle fredde notti d’inverno, riempiendo le proprie partite di triple, palle perse e giocate esaltanti. Il pick and roll tra Young e Collins è già uno dei più divertenti della NBA (anche solo per vedere Trae saltare dopo ogni lob ricevuto dal compagno), Kevin Huerter non ha problemi a sparare da ogni distanza (stessa cosa per Young), ci sono talenti da svezzare come Cam Reddish o Bruno Fernando e, per gli amanti dell’Old Fashioned, l’ultima stagione di Vince Carter. Forse.

Dario Ronzulli: Ci sarebbero gli L.A. Clippers, ma temo che Leonard e George non vengano spompati durante l’annata facendo perdere un po’ di appeal (ma giusto un po’, restano pur sempre Harrell e Williams). Vado allora con i Denver Nuggets, che non hanno cambiato granché rispetto alla scorsa stagione: Nikola Jokic è sempre uno spettacolo che vale la pena gustare, specie se Jamal Murray continuerà il proprio percorso di crescita. E prima o poi Michael Porter Jr. la smetterà di litigare con la sfiga e scenderà in campo a dare una mano.

Dario Costa: Dallas per la versione balcanico-baltica, rivista e ammodernata del pick and roll Nash-Nowitzki: Doncic e Porzingis hanno poco attorno a loro, ma nel breve termine questo potrebbe rappresentare un vantaggio, lasciandoli liberi di sperimentare, segnare, sbagliare e farci divertire.

L'hype per questa coppia europea in NBA è già sopra i livelli di guardia.

Nicolò Ciuppani: Denver, e non se ne dovrebbe nemmeno discutere. Jokic che porta palla con gente che corre come se la propria casa andasse a fuoco è sempre la miglior cosa possibile da guardare.


6) Quale squadra è a uno scambio di distanza dal giocarsi il titolo?

Dario Ronzulli: L’anno scorso il piano A ha funzionato alla grandissima per 4/5 della stagione, salvo poi mostrare tutti i suoi limiti nella finale di Conference senza che ci fosse un reale piano B. A Milwaukee allora hanno alzato il tasso d’esperienza (Kyle Korver, Wes Matthews e Robin Lopez) nella speranza che questi sappiano cosa fare e che chi c’era l’anno scorso abbia imparato dagli errori commessi. Però la sensazione è che manchi un pezzo, qualcuno che tolga pressione a Giannis nei momenti clou. Middleton può esserlo? Certo. Ma il punto interrogativo permane e allora servirà inventarsi qualcosa per portare in Wisconsin quello più utile alla causa. Non è detto che debba essere un Big: può essere anche un giocatore di fascia medio-alta che però ti dà un’impronta diversa (ogni riferimento a Marc Gasol ai Raptors è puramente voluto).

Daniele V. Morrone: Da da tutto il gruppone che a Est sotto Sixers e Bucks sgomita per un posto al secondo turno difficilmente anche con uno scambio ne potrà uscire una contender (i Nets sono da escludere dal discorso perché probabilmente lo saranno dalla prossima stagione). Se c’è però una squadra che è messa meglio delle altre per fare uno scambio che li faccia infilare come terza forza della conference sono probabilmente gli Heat. Non è un caso se si è parlato di Miami come destinazione per Chris Paul in estate, perché tolti Butler e i due giovani intoccabili Herro e Adebayo, gli Heat possono scegliere la giusta combinazioni tra giocatore in rampa di lancio in Justise Winslow e giocatori esperti (come Dragic, Olynyk e James Johnson) per fare un’offerta abbastanza interessante per arrivare ad una seconda stella da affiancare a Butler e riconsegnare finalmente a Spoelstra un gruppo competitivo.

Dario Vismara: I Portland Trail Blazers devono decidere cosa vogliono fare da grandi: continuare a rimanere in quel gradino appena sotto le contender oppure fare un movimento sul mercato per aggiungere quel giocatore in grado di far fare loro il salto di qualità? In teoria avrebbero sia gli asset giovani (Zach Collins, Anfernee Simons, Nassir Little e tutte le loro scelte al Draft) che il need (un 4 con punti nelle mani che possa aprire il campo a Lillard e McCollum senza togliere loro palloni) per muoversi in ogni direzione. I nomi sul mercato non mancano nemmeno: Kevin Love, Marcus Morris, volendo anche Danilo Gallinari.

Nicolò Ciuppani: Di nuovo: i Denver Nuggets. Non solo hanno già vinto a sufficienza in regular season l’anno scorso, ma hanno anche un numero esorbitante di giocatori giovani di ottima prospettiva, denominati simpaticamente asset in sede di mercato, da poter spendere non appena la prima stella esprimerà il proprio malumore.


7) Chi ha il miglior nucleo giovane della lega?

Niccolò Scarpelli: Non so se i Grizzlies abbiano i migliori giovani per valore assoluto, ma di sicuro sono il progetto che mi intriga di più – come i Nets di tre anni fa o gli Hawks l’anno scorso. Complici due colpi fortunati alla roulette del Draft, Memphis ha potuto dare il via a un nuovo ciclo, scegliendo Jaren Jackson Jr. e Ja Morant come materiale pregiato sul quale ricostruire il telaio della franchigia. Il #GreenNewDeal dei Grizzlies, però, non si è fermato qui: il roster è stato riempito di giovani intriganti o da rilanciare come Brandon Clarke (23 anni), Tyus Jones (23), Marko Guduric (25 anni), De’Anthony Melton (21) e Bruno Caboclo (24) e come capo allenatore è stato scelto il trentacinquenne Taylor Jenkins, che dopo dieci anni di apprendistato si accinge a diventare il terzo discepolo della Chiesa Ibrida di Mike Budenholzer (dopo Quin Snyder e Kenny Atkinson, non male). Se siete degli amanti dei progetti “ci rivediamo tra 3-5 anni”, Memphis è il luogo ideale dove sintonizzare i vostri League Pass in questa stagione.

Dario Ronzulli: Sarebbe troppo facile dire i Pelicans, e infatti dico i Pelicans. Zion Williamson basta e avanza per indicare nel loro core giovane quello più interessante e anche il migliore, ma c’è di più. Ci sono i baldi giovanotti provenienti da L.A. sponda Lakers sui quali New Orleans punta molto già nell’immediato. Ball, Hart, Ingram, Williamson e Jaxson Hayes, senza dimenticare l’intrigantissimo Nickeil Alexander-Walker: non sarà un quintetto da playoff oggi, ma c’è abbondante materiale umano e tecnico su cui lavorare. Certo, se gli infortuni la smettessero di complicare il lavoro Alvin Gentry sarebbe più contento…

Michele Pettene: Se qualcuno riesce a tirarmi fuori una coppia giovane più forte di quella composta da Luka Doncic e Kristaps Porzingis sono pronto ad ascoltarlo. Difficile però scovare alternative più pronte del duo international di Dallas, pronto a rilevare l’enorme testimone sia culturale che tecnico dello “straniero” più influente di sempre per la franchigia e la lega, Dirk Nowitzki. Luka a 20 anni è già uno dei primi 30 giocatori dell’NBA e, con i riflettori tutti su Zion, avrà modo di migliorare con serenità l’efficienza del proprio gioco dopo un’estate passata ad allenarsi e “asciugarsi” fisicamente, complice una Slovenia rimasta a casa durante il mondiale cinese. Kristaps, partito in pre-season con il freno a mano tirato dopo l’infortunio a New York del 2018, in una stagione transitoria per i Mavs potrà sviluppare la sua intesa con il compagno di squadra con cui parla in spagnolo e in inglese, preparando il terreno per la stagione 2020-21, quella dove i texani inizieranno a fare sul serio. Ma non finisce qui: Jalen Brunson (23), brillante point guard ex Villanova, può candidarsi in un paio di stagioni a giocatore più migliorato dell’anno; l’atletica ala tedesca Maxi Kleber (27) non potrà che arricchire il proprio bagaglio tecnico con l’idolo Dirk nei paraggi e Dorian Finney-Smith (26) ha tutte le skills per diventare un 3&D di livello. Con Doncic e KP blindati a lungo termine, il futuro è (anche) di Dallas.

Lorenzo Bottini: Lo so, lo so che definire sexy qualcosa anche lontanamente associabile con Jim Boylen è passabile di denuncia, ma se per caso l’Head Coach di Chicago scoprisse come Walter White la bellezza delle droghe sintetiche dopo i cinquant’anni i Bulls hanno tutto il potenziale per diventare una presenza fissa nel vostro League Pass. O forse proprio il suo ruolo da sergente di ferro potrebbe creare una chimica particolare con un gruppo di giovani talentuosi e divertenti da vedere in campo, specialmente nella metà campo d’attacco. La pulizia finnica dei gesti di Lauri, la selezione di tiri di LaVine, la concretezza di Otto Porter, le rotazioni difensive di Wendell Carter Jr, i capelli di Coby. Chicago è in risalita dopo anni di profondo rosso.

Coby White è già un meme ma ha tutte le carte in regola per diventare un Cult Hero di questa lega.

Dario Costa: Molto fuori dai radar, in teoria il trio Malik Monk-Miles Bridges-PJ Washington potrebbe rappresentare una combinazione particolarmente adatta alla NBA contemporanea e anche piuttosto divertente, due caratteristiche che non vengono spesso associate agli Hornets. Purtroppo giocheranno nella stessa squadra in cui Terry Rozier si prenderà lo stesso numero di tiri di Harden e James Borrego si troverà a gestire il roster forse più scarso a livello di talento e peggio assemblato della lega. Se esiste un motivo per guardare almeno una partita di Charlotte - eventualità che rimane tutta da dimostrare - è nelle potenzialità di quei tre.

Nicolò Ciuppani: Io vado a spolverare la canotta di Steve Nash per questa risposta, perché i Suns hanno un nucleo di giovani che farebbero sbrodolare qualsiasi franchigia non fosse posseduta da Sarver. Il problema è che la franchigia sia un bordello sulle ruote (come dichiarato da Marcin Gortat in un podcast, fornendo una descrizione sorprendentemente perfetta della situazione attuale). Però Booker è la giovane guardia più promettente della lega, Ayton è stato oscurato dalla stagione di Doncic e Young, ma ha comunque messo su dei numeri da record per qualunque centro rookie della storia del gioco e gli altri giocatori con meno potenziale puro hanno comunque meno di 23 anni (Kelly Oubre, Mikal Bridges, e i rookie Cam Johnson e Ty Jerome). Lo stesso Dario Saric ha comunque 25 anni e non lo considererei un veterano. Magari (MAGARI!) questo è l’anno in cui di tante promesse se ne comincia a mantenere qualcuna.


8) Ci dobbiamo aspettare qualcosa di diverso sotto il profilo tattico rispetto agli ultimi anni?

Niccolò Scarpelli: Gli addii di Durant e Iguodala hanno posto fine al Paradigma Warriors – quello che impediva alle altre 29 franchigie di avere una chance senza giocatori in grado di reggere la girandola di cambi difensivi senza perdere lo zenith – e nonostante le idee di Steve Kerr restino ben marcate (vedi Clippers), mi aspetto che molti provino a sondare terreni alternativi in cerca di nuove vie percorribili. Il quintetto gargantuesco assemblato dai Sixers è un buon inizio, così come la struttura “atipica” dei Nuggets, dove da anni Jokic è il sole al quale ruota attorno tutto il sistema tattico di Malone. Entrambe sono andate a una partita dalle finali di conference. I Bucks ci sono già arrivati, e oltre a mettere Giannis al centro del progetto, hanno combinato slanci futuristici (linea da 4 punti e Brook Lopez usato da decoy a nove metri dal canestro in attacco) a concetti ultra conservatori, come una difesa che non cambia su un singolo blocco e si arrocca nel pitturato. L’esempio migliore, forse, sono i Raptors campioni in carica, bravi nell’aggiustarsi sulla “via maestra” degli Warriors senza perdere la propria identità tattica: tranne pochissimi minuti di gara-1, Toronto ha sempre giocato con almeno uno tra Marc Gasol e Ibaka da centro, a definitiva riprova di come quello che conta realmente, alla fine, non sono tanto i ruoli ma le funzioni (e i compiti) che si assegnano ai giocatori.

David Breschi: Negli scorsi playoff i Toronto Raptors hanno usato per larghi tratti principi di difesa a zona contro i Bucks per riempire l’area a fronte delle penetrazioni di Giannis Antetokounmpo, e alle Finals hanno ingabbiato Steph Curry e quel che rimaneva degli Warriors tirando fuori dagli archivi storici addirittura la box and one. Per non dire cosa è successo ai Mondiali di Cina, in cui Team USA ha affrontato ogni sera squadre che si piazzavano a zona per evidenziare i limiti strutturali e tattici degli americani. Difesa a zona è la parola chiave da usare per la stagione che apre i battenti: lo scorso anno i Celtics di Brad Stevens, gli Heat di Erik Spoelstra, i Mavericks di Carlisle e i Nets di Kenny Atkinson hanno fatto largo uso dalla difesa a zona in regular season per proteggere il ferro e per mettere un granello di sabbia negli ingranaggi negli attacchi, altrimenti perfettamente oliati, degli avversari. Da quando è stato consentito l’uso della difesa a zona in NBA, sono state poche le squadre a usarla in modo continuativo, molto spesso azzardando più i principi che le canoniche difese a zona, ma negli ultimi anni la tendenza è cambiata: la difesa a zona è tornata in auge e ha messo in crisi anche i migliori attacchi NBA, quello dei Bucks e dei Warriors. Un trend destinato a continuare.

Michele Pettene: Più che qualcosa di diverso, forse qualcosa di più estremo sta già bollendo in pentola da qualche tempo. Più di una squadra ha svolto il training camp e gli allenamenti in preparazione alla stagione - notoriamente i più importanti prima del tour de force da novembre ad aprile - implementando una o più linee “da 4 punti” ben dietro il tradizionale arco delle triple posto a 7,24 metri dal canestro. Dallas ad esempio sui suoi campi d’allenamento ha impostato una linea dagli 8,5 metri circa e una dai 9 metri. Perché? Molti ritengono che i concetti di “spacing” - spaziature - diventati da tempo fondamentali per i nuovi attacchi concentrati su tiri da 3 e layup possano ancora essere ampliati, costringendo le difese a spazi di campo più ampi da coprire, creando nuove linee di penetrazione, tagli e uno-contro-uno meno arginabili dalle rotazioni difensive. Non stupiamoci quindi di vedere molta più gente tirare “dai nove metri” con maggior frequenza quest’anno (Doncic per dire l’ha fatto spesso in pre-season): segnare da lì anche solo col 30% potrebbe portare all’ennesima rivoluzione basata sulle analytics.


9) Peserà l’esempio della gestione di Kawhi Leonard da parte dei Raptors la scorsa stagione nel load management di altre contender?

Dario Vismara: Si dice sempre che la NBA è una “copycat league”, una lega in cui si copia quello che funziona e lo si incolla per la propria situazione. Il calendario con 82 partite e i continui spostamenti impongono uno sforzo ai giocatori di cui ci si rende sempre maggiore conto con il passare del tempo (a proposito consiglio questo pezzo di ESPN sulla mancanza di sonno dei giocatori), e il trend non è destinato a diminuire troppo presto. Con buona pace delle nostre squadre di fantabasket, sempre più spesso vedremo stelle saltare alcune partite particolarmente a rischio per il loro fisico, e quando bisognerà giustificarlo a stampa e tifosi (o anche alla lega stessa) si potrà portare l’esempio di Leonard nella scorsa stagione, culminato con il titolo NBA e di MVP delle Finals. Almeno fino a quando non verrà scalfito il totem delle 82 partite.

Daniele V. Morrone: È pacifico che il trend in corso sia quello descritto da Dario e che sembra inarrestabile anche perché razionale. Potrebbe però esserci in questa stagione un leggero rallentamento nei riposi non forzati e nei minuti diminuiti, dato dalla nuova geografia della Lega: con la situazione nelle due conference che abbiamo già descritto che potrebbe portare le squadre a non potersi permettere tanta gestione delle energie per non rischiare di essere risucchiata verso il basso. Un esempio sono i Clippers, squadra che ambisce al fattore campo ai playoff e in cui lo stesso Kawhi Leonard ha detto che non replicherà la gestione della scorsa stagione regolare. Ma anche gli Warriors semplicemente non si possono permettere di non avere Steph Curry in campo per meno di 36 minuti a partita, visto che senza di lui in campo difficilmente possono essere considerata una squadra anche solo competitiva. Così vale ad Ovest per un po’ tutte le squadre, dai Lakers con LeBron a Houston con Harden. E un discorso simile può essere fatto ad Est per tutte le squadre che non si chiamano Sixers.

Lorenzo Bottini: Load Management vs. General Soreness sarà il match-up che deciderà una delle Finali di Conference, va ancora decisa la costa.


10) Di quale giocatore stiamo per vedere l’ultima stagione in NBA, anche se non lo sappiamo? (Tipo Carmelo Anthony lo scorso anno, per capirci)

Daniele V. Morrone: Tra i tantissimi cambi di casacca estivi vi sarà probabilmente sfuggito quello di Pau Gasol, che dopo pochi mesi e soltanto tre partite giocate ai Bucks ha scelto Portland per il suo 19° anno nella NBA - quello che potrebbe essere l’ultimo. Uno dei migliori giocatori europei della storia, a 39 anni purtroppo ormai è solo lo scheletro dell’elegante e intelligente giocatore che è stato almeno fino a che il fisico ha retto. Ora giustifica la sua presenza in squadra con un paio di grandi canestri a partita e poco più, e la sua prospettiva sarà probabilmente quella di passare indenne la stagione così da arrivare al suo obiettivo dichiarato di giocare le Olimpiadi di Tokyo 2020. E magari chiudere la carriera con l’ultima medaglia al collo.

Michele Pettene: Se di spagnoli parliamo, la “gara” a chi si ritira prima potrebbe purtroppo aggiudicarsela un altro dei simboli degli ultimi vent’anni della Roja, il playmaker José Manuel Calderon, rimasto senza squadra NBA all’apertura dei training camp. A 38 anni, considerata la sua riluttanza a tornare in Europa per finire con tutti gli onori di casa la grandissima carriera (nonché lunghissima: il debutto col Baskonia risale al 1998), Calderon rimarrà in attesa nei prossimi mesi di una chiamata NBA per rimpiazzare qualche infortunato, mentre continua ad allenarsi nella sua terra natia a Villanueva de la Serena, nell’Estremadura. Un’amara conclusione per un giocatore che in molti stanno dimenticando ma che è stato per 20 anni il faro della sua nazionale e dal 2005 uno dei tiratori più precisi e “puliti” della lega più competitiva del mondo.

Dario Vismara: Il ritorno di Dwight Howard ai Lakers, oltre a estremamente ironico nel suo concretizzarsi (il declino dei gialloviola è di fatto cominciato da quando lui se ne è andato, visto che non sono più tornati ai playoff dal suo addio), sa tanto di ultima spiaggia per uno dei centri - a torto o a ragione - più dominanti degli ultimi 15 anni (più i primi 8 che i seguenti 7, va detto). Nel caso in cui le cose andassero male in campo oppure fuori la sua carriera NBA potrebbe davvero ritenersi conclusa, visto che difficilmente un’altra squadra avrebbe la necessità di mettersi in casa un giocatore con un bagaglio così ingombrante sulle spalle.

Dwight avrebbe anche una umile dimora dove godersi il buen retiro.

Dario Costa: Bismack Biyombo potrebbe passare direttamente dal ruolo di suppellettile più pagato della NBA a proprietario terriero, nonché governatore dell’intera provincia dell’Haut-Katanga, con vista su Kinshasa e sul palazzo presidenziale delle Repubblica Democratica del Congo. Per Isaiah Thomas e Brandon Knight era già lastricata la via verso la Cina prima che Daryl Morey scatenasse la Chernobyl diplomatica d’inizio ottobre. Per Carter e Korver decideranno le rispettive ginocchia. Wild card: Marco Belinelli se la differenza tra la miglior offerta che riceverà da pretendenti NBA in estate e quella di una squadra da Eurolega guidata da un ex assistente e Ct della nazionale con cui il ragazzo da San Giovanni in Persiceto ha un grande rapporto.

Nicolò Ciuppani: Anche se non ce ne siamo accorti, quest’anno Iguodala spegne 36 candeline ed è uno dei più vecchi giocatori NBA in attività. Considerando le ultime stagioni passate sempre con infortuni più o meno ricorrenti, se ne arrivasse un altro piuttosto serio e la situazione contrattuale con i Grizzlies non dovesse risolversi in fretta, chi sarebbe pronto a scommettere che Iggy sarà così intenzionato a riprovarci di nuovo?


E, per finire, chi vincerà l'MVP quest'anno?

Daniele V. Morrone: Steph Curry.

Nicolò Scarpelli: Anthony Davis.

Dario Vismara: Giannis Antetokounmpo.

Francesco Andrianopoli: Kawhi Leonard.

Dario Ronzulli: James Harden.

Miky Pettene: Luka Doncic.

Dario Costa: Kyrie Irving.

Nicolò Ciuppani: Joel Embiid.

Lorenzo Bottini: James Harden.


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