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Benedetto Giardina
Cosa può fare Lotito con la Salernitana
13 mag 2021
13 mag 2021
Una questione tornata di attualità dopo la promozione in Serie A
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Benedetto Giardina
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Il ritorno della Salernitana in Serie A ha aperto il dibattito sul futuro del club granata, promosso in massima categoria a 23 anni dall’ultima volta. Quella, però, era la Salernitana di Aniello Aliberti. Questa è la Salernitana rinata dal fallimento del 2011, inizialmente come Salerno Calcio e poi rinominata con la storica sigla una volta tornata tra i professionisti. La scalata alla Serie A è durata dieci anni e porta la firma di Claudio Lotito, proprietario della Lazio, che da regolamento non può possedere un altro club, tanto più nella stessa categoria. Idem per suo cognato Marco Mezzaroma, socio al 50%. I due hanno usufruito di una deroga nel corso degli ultimi anni, ma la Figc non è più disposta a concederne. Il presidente Gravina, alla vigilia di Pescara-Salernitana, la partita che ha sancito la promozione dei granata,

: «Tutti sanno che la Lazio e il club campano hanno la stessa proprietà e la stessa situazione di controllo non può essere mantenuta, pena la mancata iscrizione al campionato».

 

Lotito, in merito alla possibilità di lasciare uno dei due club,

: «Mi atterrò pedissequamente al rispetto delle norme, per chi sa leggerle». Il problema è appunto questo: come si legge un regolamento che per quasi un decennio è stato derogato? Anche perché non esiste nessuna norma che obblighi esplicitamente a cedere, ma solo «alla cessazione della situazione di controllo». Una formula che si presta a interpretazioni spesso fantasiose, ma è chiaro che la più logica sia solo una: vendere. Infatti, la moglie di Lotito (nonché sorella del socio Mezzaroma e azionista di una delle due controllanti del club),

a chi rileverà la Salernitana: «Mio figlio Enrico resterà proprietario per trenta giorni. Auguri alla nuova proprietà: mi auguro che sappia fare belle cose e avere cura della Salernitana come hanno fatto mio marito Claudio e mio fratello Marco».

 



A livello regolamentare, sono due le fonti che vietano la multiproprietà. La prima è lo statuto Figc, all’articolo 7: «Non sono ammesse partecipazioni, gestioni o situazioni di controllo, in via diretta o indiretta, in più società del settore professionistico da parte del medesimo soggetto», come si legge al comma 7. Il fatto che tale norma limiti il controllo plurimo solo tra i professionisti è alla base delle deroghe concesse negli ultimi anni: Lotito e Mezzaroma rilevano la Salernitana dopo il fallimento del 2011, ripartendo dai dilettanti; stessa cosa accaduta al Bari nel 2018 con De Laurentiis, patron del Napoli, che si aggiudicò il bando indetto dal comune (al quale partecipò pure Lotito, a caccia di un terzo club). Sempre dalla Serie D, inoltre, il proprietario dell'Hellas Verona Maurizio Setti ha acquistato nel 2018 le quote del Mantova, ma a differenza dei due precedenti esempi, senza che sia intervenuto un fallimento o un'esclusione dai campionati. Nel Consiglio Federale dello scorso 26 aprile, su proposta del presidente Gravina, è stato però posto un divieto per tali situazioni «anche nell’ipotesi in cui una società dilettantistica, controllata da un soggetto impegnato come socio di controllo nel professionismo, salga in Serie C».

 

La seconda fonte è l’articolo 16 bis delle Norme Organizzative Interne Federali (Noif), ben più articolato. Qui il divieto alle partecipazioni plurime viene esteso «in società appartenenti alla sfera professionistica o al campionato organizzato dal Comitato Interregionale», dunque anche tra i dilettanti, coinvolgendo pure «parenti o affini entro il quarto grado». Dunque niente figli (Enrico Lotito, che tramite Omnia Service controlla il 50% della Salernitana), né cognati (Marco Mezzaroma, azionista di riferimento della Morgensten, proprietaria dell’altro 50% della Salernitana). Le uniche eccezioni sono previste al comma 4: «Qualora il controllo derivi da successione mortis causa a titolo universale o particolare, o da altri fatti non riconducibili alla volontà dei soggetti interessati». In caso contrario, le sanzioni sono elencate al comma 3: «L’avvio del procedimento disciplinare comporta la sospensione dei contributi federali, da revocarsi in caso di pronuncia definitiva, favorevole alle società» e in caso di inosservanza del divieto alla scadenza del termine per l’iscrizione al campionato, «le società oggetto di controllo non sono ammesse al campionato di competenza e decadono dai contributi federali». Sia Lazio che Salernitana sarebbero a rischio.

 



Lo scenario che si prospetta per Lotito, a questo punto, è la cessione di uno dei due club. In realtà, già dal 2013 dovrebbe essere così, stando alle disposizioni transitorie dell’articolo 16 bis delle Noif. Al punto A vengono specificate le tempistiche entro cui regolarizzare la posizione dei club in caso di multiproprietà, in base alle categorie di differenza tra le due società. Lazio e Salernitana, al momento dell’ingresso di Lotito nel club campano, giocavano rispettivamente in Serie A e Serie D, dunque le categorie di differenza erano quattro (ai tempi esisteva ancora la Seconda Divisione, ex C2). Il termine perentorio per mettersi in regola, in questa situazione, è fissato al 30 giugno 2013. Invece la Figc ha concesso una deroga, come anche ad altri, come già visto. Il punto B delle stesse disposizioni transitorie, però, prevede anche l’eventualità che due o più società appartenenti allo stesso soggetto arrivino a disputare lo stesso campionato, proprio come Lazio e Salernitana nella stagione 2021/22. In questo caso, «la Figc assegna ai soggetti interessati un termine perentorio non superiore a 30 giorni, entro il quale dovrà darsi luogo alla cessazione della situazione di controllo».

 



Lotito ha dunque 30 giorni per non essere più proprietario di una tra Lazio e Salernitana. Si può discutere su quando debba partire il countdown (30 giorni dalla promozione della Salernitana? 30 giorni dalla fine della stagione 2020/21? 30 giorni dal termine per le iscrizioni, fissato al 21 giugno?), ma non sulla sostanza. Lazio e Salernitana non possono disputare lo stesso campionato se hanno lo stesso proprietario e nemmeno se una delle due è controllata da «parenti o affini entro il quarto grado». Uno dei due club deve dunque essere venduto o, quantomeno, non deve più risultare di proprietà dello stesso soggetto (o ad esso riconducibile). Quest’ultima interpretazione aprirebbe la strada a un’altra ipotesi: quella per cui Lotito e Mezzaroma non risultino più formalmente soci della Salernitana, cedendola a un trust. Una soluzione complessa, della quale a Salerno si parla ormai da tempo, che però è stata seccamente smentita in passato dal legale del club granata, l’avvocato Gianmichele Gentile, a

: «A mio avviso non è praticabile. Il trust è un rapporto giuridico nel quale una persona amministra dei beni sui quali ha il controllo per conto di terzi che ne sono beneficiari. Non ho mai sentito nel mondo del calcio che si sia adottata una soluzione del genere».

 



Qualcosa di simile al trust si è vista al Palermo, o almeno così sospettano i pm palermitani in merito alla cessione del club a Sport Capital Group,

riconducibile al fondo maltese Abalone. Per la Procura, una mossa di Zamparini per non risultare come proprietario ed evitare (vanamente) gli arresti domiciliari. Il processo penale sul fallimento dell’US Città di Palermo è ancora in corso, ma tornando alle multiproprietà, Zamparini fu quasi un apripista. Nel 1987 aveva il controllo del Venezia e del Mestre, entrambe militanti in C2, però decise di fondere le società e i loro colori (neroverdi i primi, arancioni i secondi). Lo stesso Zamparini, nel 2002, pose fine a uno dei più noti casi di multiproprietà nel calcio italiano: quello di Palermo e Roma, entrambe di proprietà di Franco Sensi, in precedenza anche patron del Foggia. Sempre in quegli anni, Luciano Gaucci impazzava in tutte le categorie: In Serie A col Perugia, in Serie B col Catania, in Serie C con Viterbese prima e Sambenedettese poi. Tra due club di massima serie, invece, la giustizia ordinaria si è interessata ai rapporti tra il Parma di Calisto Tanzi e l’Hellas Verona di Giambattista Pastorello. Il primo, nell’ambito del processo sul crac Parmalat venne accusato

agli scaligeri come socio occulto. Sia

che

hanno patteggiato.

 



La fine fatta da gran parte di queste società non ha aiutato a creare una percezione positiva sul fenomeno delle multiproprietà. Altrove, invece, la presenza di soci plurimi non è demonizzata. In Messico è del tutto normale: Atlas e Santos Laguna in Liga MX sono di proprietà del Grupo Orlegi (che controlla anche il Tampico Madero in Liga de Expansion), il Grupo Pachuca ha le quote dell’omonimo club e del Leon, oltre che del Tlaxacla in seconda serie, dove giocano anche i Dorados de Sinaloa del Grupo Caliente, proprietario del Tijuana in massima categoria. Tutto nella norma, sin dagli anni ‘80, con il gigante Televisa che aveva in mano il Club America e il Necaxa, quest’ultimo ceduto nel 2014 a Ernesto Tinajero. Sono inoltre presenti casi di multiproprietà internazionale, come l’Atletico de San Luis, parte del network creato dall’Atletico Madrid insieme ai canadesi dell’Atletico Ottawa e, fino al 2017, agli indiani dell’Atletico de Kolkata.

 

Quest’ultimo schema è quello più attuato, ovverosia acquistare club di più paesi per sfruttare i vantaggi della multiproprietà (plusvalenze incrociate, sviluppo giocatori ed espansione internazionale) senza infrangere regolamenti. Un progetto che Red Bull porta avanti da anni, con vari tentativi di imitazione. La compagnia di energy drink austriaca detiene le quote del Red Bull Salisburgo, dell’RB Lipsia, dei New York Red Bulls e di altre due Red Bull in Brasile (a Bragança e a Campinas). Le prime due società, nella stagione 2018/19, si sono affrontate in Europa League, creando non pochi imbarazzi alla Uefa. In realtà, nella stagione precedente, la federazione europea si era già espressa

per l’ottenimento della licenza, ritenendo che «nessuna persona fisica o giuridica avesse più un’influenza decisiva su più di un club partecipante alle competizioni Uefa per club». Un precedente che può incoraggiare lo sceicco Mansur a investire non solo sul Manchester City, ma anche sul Troyes neopromosso in Ligue 1. I due club fanno parte della rete del City Football Group, così come il Girona (Segunda Division spagnola, 44,3%) e il Lommel (seconda serie belga, 99%). Nel resto del mondo, invece, detiene il 100% delle quote di Melbourne City e Montevideo City Torque, oltre al pacchetto di maggioranza di New York City (80%) e Mumbai City (65%). Il gruppo ha inoltre una partecipazione nei giapponesi dello Yokohama Marinos e nei cinesi del Sichuan Jiuniu.

 

Non tutte le multiproprietà, però, sono dei network. Il Carl Zeiss Jena (Regionalliga, quarta serie tedesca) e l’Ujpest (massima serie ungherese) sono di proprietà di Roland Duchatelet, affarista belga che fino al 2015 aveva in tutto sei società: Standard Liegi, Sint-Truiden (formalmente in mano alla moglie), Alcorcon e Charlton, che però sono state cedute nel corso degli ultimi anni, alleggerendo il suo portfolio a due soli club. Due come i club di Evangelos Marinakis, proprietario di Olympiacos e Nottingham Forest, ma anche di Matthew Benham (Midtjylland e Brentford), Peter Lim (Valencia e Salford City) e di Dimitri Rybolovlev, al comando di Monaco e Cercle Brugge. Due, infine, come i club dei Pozzo, che controllano l’Udinese in Italia e il Watford in Inghilterra. Una multiproprietà che non è mai piaciuta alla Football League, tanto da votare all’unanimità nel 2013 le limitazioni ai prestiti da un singolo club (il Watford aveva 10 giocatori di proprietà dell’Udinese). Alla Federcalcio, invece, non ha mai creato problemi, per quanto ogni anno le due società siano protagoniste di scambi in famiglia sul mercato. Il problema, per la Figc, è la multiproprietà tra squadre della stessa categoria. Come Lazio e Salernitana, il cui futuro è tutto in divenire.

 

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