Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Lazio-Inter: una stagione in 4 minuti
21 mag 2018
21 mag 2018
L'Inter ha vinto lo spareggio per la qualificazione alla Champions League del prossimo anno anche se la Lazio è sembrata a lungo la squadra migliore.
Dark mode
(ON)

I dati statistici sono stati gentilmente forniti da Opta.

Nello spareggio che ha chiuso il campionato, Lazio e Inter avevano l’opportunità di tornare a respirare l’atmosfera dei gironi di Champions League, rispettivamente a distanza di undici e sette anni dall’ultima volta. Nelle ultime settimane, con l’avvicinarsi dell’obiettivo, entrambe le squadre avevano disperso punti preziosi dando l’impressione di essere ormai in riserva di energie e soluzioni. E però, il valore della posta in palio ha tirato fuori il massimo dai giocatori e ci ha regalato una partita spettacolare, ricca di grandi giocate anche se generalmente povera di controllo.

Lazio e Inter hanno confermato i pronostici della vigilia, hanno sfruttato i propri punti di forza e hanno pagato i propri limiti, lasciando che fosse un episodio a decidere del loro destino. Sul 2-1, nel secondo tempo, la partita sembrava solidamente nelle mani della Lazio, che pure stava lasciando l’onere del possesso all’Inter (39.6% contro 60.4% il risultato finale), finché un rigore, un’espulsione e un colpo di testa su calcio d’angolo - tutto successo nel giro di 4 minuti maledetti per la squadra di Inzaghi - hanno capovolto la classifica.

Sarebbe ingiusto celebrare solo la vittoria dell’Inter e dimenticare i meriti di una Lazio per larghi tratti brillante, al termine di una partita che ha soprattutto confermato il totale equilibrio tra le due squadre, così come ha fatto anche la classifica (entrambe hanno chiuso a 72 punti).

Ha vinto l’Inter, e la storia si sa chi la scrive, ma la partita ha regalato più spunti di riflessione rispetto al verdetto conclusivo. In questo pezzo parleremo prima della grande partita di Sergej Milinkovic-Savic (forse l’ultima in Serie A), poi della sfida tattica tra due allenatori che fanno della fluidità il forte delle proprie squadre, infine di quei 4 minuti che hanno deciso il risultato e che sono stati una specie di “partita nella partita”.

La consacrazione di Milinkovic-Savic

Una buona abitudine per non trascinare l’analisi nell’onda emotiva del risultato acquisito è chiedersi: di cosa staremmo parlando se il punteggio fosse stato leggermente diverso, se Lulic non fosse stato espulso e l’Inter non avesse mai completato la rimonta? Con ogni probabilità, questa Lazio-Inter sarebbe stata considerata la partita della consacrazione di Milinkovic-Savic, che ha giocato su un livello irraggiungibile da ogni altro calciatore in campo.

Anche in quest’occasione, la Lazio ha scelto di semplificare il tragitto che porta alla trequarti e di appoggiarsi ai 192 centimetri del serbo, che in risposta ci ha regalato una sontuosa collezione di stop di petto, dribbling nello stretto impossibili da immaginare e sponde eleganti. Strakosha verso Milinkovic Savic è risultata la direttrice di passaggi riusciti più percorsa nella partita della Lazio (10).

La pass-map della Lazio evidenzia la centralità di Milinkovic-Savic, come obiettivo dei lanci lunghi di Strakosha, e la fluidità del modulo di Inzaghi, sospeso tra un 3-4-3 e un 5-3-2 (via Opta).

Spalletti gli ha affiancato Vecino, e in qualche occasione è salito a contrastarlo Skriniar, ma l’Inter si è presto arresa all’evidenza che non esiste un corpo abbastanza grosso da riuscire a contrastarlo a quelle altezze, che poi sappia riacquistare rapidamente consapevolezza della propria posizione rispetto al pallone dopo la ricaduta. L’equilibrio di Milinkovic-Savic è semplicemente fuori dalla portata di qualsiasi giocatore grande come lui, la sua stazza è fuori scala per giocatori con il suo equilibrio. In un paio di occasioni, specialmente nel primo tempo, Milinkovic-Savic ha reso superfluo qualunque tipo di organizzazione offensiva che non prevedesse di lanciargli la palla addosso, tanto è stato dominante.

Subito prima del gol del vantaggio, ad esempio, SMS ha tagliato in diagonale da sinistra verso destra senza che Vecino riuscisse a intuire nulla, e si è fatto parare la conclusione da Handanovic. Poi è rimasto a galleggiare in quella zona di campo, in attesa di un nuovo cross, arrivato di lì a breve. È riuscito ad addomesticare la palla tagliata di Felipe Anderson, di petto, e a indirizzarla di suola in direzione di Marusic, che con la complicità di una deviazione di Perisic ha spiazzato Handanovic.

La facilità con cui la Lazio attaccava nel primo tempo: Milinkovic-Savic sovrasta Vecino, Immobile raccoglie la sponda e serve l’inserimento di Murgia, che libera Felipe Anderson sulla fascia destra.

Al termine della partita il tabellino di Milinkovic-Savic recita 28 passaggi riusciti su 38 tentati, 4 dribbling completati su 4 tentati, 3 duelli aerei vinti, 4 tiri totali, 4 palle recuperate, 2 occasioni create.

Neanche questo riesce a descrivere la completezza e la profondità del suo talento, o la sua centralità nell’economia del gioco laziale (è stato per distacco il giocatore più cercato, con quasi il doppio dei passaggi ricevuti rispetto a Lucas Leiva). È triste pensare che possa essere stata la sua ultima partita nel nostro campionato, ma nel caso si può parlare di degno commiato.

Chi ha vinto la battaglia tattica tra Inzaghi e Spalletti?

Lazio e Inter hanno diversi punti in comune, oltre ai 72 punti condivisi in classifica. Entrambe sono state trascinate da centravanti in stato di grazia, anche loro appaiati in cima alla classifica cannonieri con 29 gol, entrambe rendono meglio quando i ritmi si alzano e gli spazi si aprono, ma soprattutto entrambe fanno della fluidità un proprio punto di forza, cioè della capacità di alternare moduli e principi nell’arco di una stessa partita o della stessa azione.

Come da tradizione, Inzaghi ha schierato un 3-4-3 che diventava un 5-3-2 in fase di non possesso, con Milinkovic-Savic che rintanava sulla linea dei centrocampisti e gli esterni che si allineavano con i difensori. Al di là del risultato finale, la prestazione della Lazio ha in qualche modo contraddetto il luogo comune che ritiene questa squadra tanto spettacolare quanto squilibrata. Dopo la beffa del quinto posto, la Lazio 2017/18 verrà probabilmente ricordata per gli 89 gol segnati e per i 49 gol subiti, ma ad Inzaghi e ai suoi giocatori va dato atto di aver difeso bene per tre quarti di partita.

Sostanzialmente la Lazio attendeva l’Inter all’altezza della metà campo, controllava Brozovic e Vecino con il lavoro di Felipe Anderson e Milinkovic-Savic, poi stringeva Rafinha nella morsa di Leiva e Murgia e orientava il possesso dell’Inter verso le fasce, dove difendeva sempre in superiorità numerica. Per lunghi tratti di partita, l’Inter si è arresa alla struttura difensiva della Lazio e ha tentato 17 cross contro i 7 dei biancocelesti, senza mai riuscire a creare pericoli verso la porta di Strakosha. Ci è riuscita soltanto quando la Lazio è crollata sul piano nervoso, forse proprio come conseguenza del lavoro difensivo dispendioso richiesto da Inzaghi.

Anche ieri, in ogni caso, l’Inter ha dato l’impressione di avere un gioco poco codificato dalla trequarti in su, e di avere problemi a liberare i trequartisti con i movimenti senza palla. Spalletti ha provato a correggere questo difetto puntando sulla fluidità dei suoi principi e sulla versatilità dei suoi giocatori: dopo il primo vantaggio della Lazio, ha rotto gli equilibri del 4-2-3-1 e ha disposto l’Inter a specchio, con un 3-5-2 che portava Perisic al fianco di Icardi in attacco, liberando Candreva sulla fascia sinistra e Cancelo sulla fascia destra. Un tentativo che però ha lasciato molto spazio all’improvvisazione dei singoli giocatori, che non ha portato a grandi risultati.

Un esempio dell’improvvisazione dell’Inter sulla trequarti: Candreva fugge dallo spazio che dovrebbe occupare e va a imbottigliarsi nella mediana laziale, Rafinha è stretto in mezzo a tre uomini, Brozovic è costretto a tornare indietro.

L’intuizione di Spalletti mirava ad ampliare le soluzioni per raggiungere Icardi con un giocatore di movimento al suo fianco, e contemporaneamente a limitare la pericolosità della Lazio in transizione con una struttura difensiva speculare. Un’idea corretta, tutto sommato, ma che avrebbe iniziato a provare la sua efficacia soltanto nel secondo tempo, con l’ingresso decisivo di Éder. Il brasiliano ha portato qualità negli smarcamenti e nei passaggi, mentre l’Inter continuava a sbattere sulla sua fase offensiva arrugginita e a cercare con insistenza gli isolamenti di Candreva e Perisic sulla sinistra.

Nel frattempo, di fronte alla necessità di creare gioco e di muovere la difesa della Lazio, l’Inter si è affidata completamente all’inventiva di Marcelo Brozovic, che ha chiuso la stagione con un’altra prestazione da centrocampista totale: 68 passaggi riusciti su 78 tentati - per distacco il giocatore interista più coinvolto nella manovra - e 5 occasioni create, con il merito di aver propiziato da calcio d’angolo i gol dell’1-1 e del 2-3.

Calatosi nei panni di rassicurante presenza offensiva e infaticabile presenza difensiva, Brozovic ha ormai conquistato un ruolo da protagonista nell’Inter di Spalletti, dimostrando come questa squadra non possa fare a meno di schierare contemporaneamente diversi creatori di gioco, e soprattutto di combinare giocatori versatili: un appunto da tenere a mente durante la prossima, probabilmente decisiva, sessione di mercato.

L'influenza di Brozovic sulla partita.

La partita nella partita

«Probabilmente manchiamo nei momenti cruciali», ha commentato uno sconsolato Simone Inzaghi. Si riferiva al black-out occorso tra il 77’ e l’81’, quando la Lazio ha perso il doppio vantaggio nel giro di quattro minuti, gli stessi che erano serviti al RB Salisburgo per segnare tre gol e capovolgere l’esito dei quarti di finale di Europa League. «Ci saranno riflessioni molto attente e guarderemo dove si può migliorare», ha poi concluso, evidenziando una comprensibile mancanza di argomenti per giustificare le tendenze auto-distruttive di questa Lazio.

È un discorso ampio, che in parte si intreccia allo stile di gioco della Lazio, estremamente diretto e verticale, di conseguenza poco adatto a controllare prolungate fasi della partita, e in parte all’attitudine dei singoli su cui Inzaghi ha cucito quello stile di gioco, che hanno perso i duelli individuali nei momenti decisivi, arrivando con un secondo di ritardo sulle chiusure e regalando palloni non appena si alza la pressione avversaria.

La partita è cambiata all’improvviso con un lancio lungo di Skriniar verso Icardi che sembrava una preghiera disperata. In quel momento la Lazio era in assoluto controllo, difendeva con il 3-4-3, per pressare con efficacia la costruzione dell’Inter, e negava ogni accesso al centro, mantenendo la superiorità in difesa. L’Inter non poteva far altro che lanciare lungo, cementando le sensazioni negative: Icardi veniva ostacolato da De Vrij, riusciva solo a sfiorare il pallone, e agitava le braccia in segno di frustrazione, mentre la Lazio recuperava il possesso.

A quel punto però la migliore giocata della partita di Perisic, un’uscita scriteriata in pressing ultra-offensivo, ha mandato in crisi Marusic e Strakosha, che con un rinvio affrettato ha messo il pallone tra i piedi di Vecino. La Lazio si è riscoperta in apnea, nessuno dei tre difensori è uscito su Éder che ha servito Icardi al volo di prima intenzione, Icardi è partito in vantaggio ed è stato steso in area di rigore da De Vrij.

La sciagurata disposizione della Lazio in occasione del gol del pareggio dell’Inter.

Si è ampiamente discusso dell’imprudenza del difensore olandese, per uno scherzo del destino passato proprio all’Inter nel mercato dei parametri zero (e per una scelta molto consapevole da parte della dirigenza annunciato proprio pochi giorni fa), ma più che nello scivolare, De Vrij ha sbagliato correndo inizialmente verso il pallone, perdendolo di vista nel girarsi e ritrovando il contatto visivo solo quando Icardi stava già controllandolo verso l’interno, mandando De Vrij fuori equilibrio. La situazione era già compromessa a monte, nel momento in cui Icardi si avviava a ricevere alle spalle della difesa, De Vrij non si è mai trovato nella posizione di poter recuperare lo svantaggio.

Mentre la regia ancora indugiava sul rigore di Icardi, Lulic si è fatto trovare fuori posizione sull’ennesima sponda aerea di Milinkovic-Savic e ha atterrato Brozovic in scivolata. Lulic era stato accentrato da pochi minuti, dopo che Immobile aveva lasciato il posto a Lukaku, e secondo le parole di Inzaghi sarebbe stato sostituito di lì a breve, anche perché già ammonito. In questo lasso di tempo non ha trovato la lucidità di adattarsi al cambio di ruolo e ha regalato all’Inter la superiorità numerica e l’inerzia emotiva per portarsi in vantaggio.

Il gol del 2-3 è arrivato pochi minuti dopo. Nell’azione precedente, aveva spazzato in calcio d’angolo un pallone vagante l’onnipresente Felipe Anderson, virtualmente prima punta ma di fatto un “libero” nella fase difensiva laziale. Poi Vecino ha bruciato qualche metro a Marusic nello scatto e in elevazione ha superato Milinkovic-Savic, regalando all’Inter partita e qualificazione in Champions.

È paradossale che al termine di una stagione lunga trentotto giornate debba essere un gol su calcio d’angolo a segnare il confine tra successo e fallimento, e a dettare le prospettive future dello sviluppo delle due società, ma il calcio ci costringe a questa dicotomia. La Lazio ha confermato di avere una maggiore pericolosità offensiva e un paio di individualità incontenibili ad ogni livello, ma l’Inter ha vinto attraverso una superiore tenuta mentale, che è poi il più grande miglioramente portato da Spalletti a questa squadra.

Entrambe le squadre hanno dimostrato di avere ulteriori margini di crescita e diversi asset da spendere per tenere in piedi questa struttura, o da mantenere per svilupparci intorno il progetto tecnico. La differenza tra il quarto e il quinto posto può essere determinante per il futuro economico delle due società, ma non è detto che finisca per marcare un divario nei valori in campo. È la competizione che stimola il progresso, ce lo ha ricordato questa assurda corsa al quarto posto.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura