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Emanuele Mongiardo
Lavezzi ha sorpreso tutti
02 dic 2019
02 dic 2019
Il talento del "Pocho" sarà difficile da replicare.
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Emanuele Mongiardo
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Mentre il Napoli preparava la partita contro il Liverpool, la più importante e difficile della stagione finora, il "Pocho" Lavezzi annunciava il suo ritiro dal calcio: «Voglio godermi i miei figli, la mia famiglia. È il momento giusto per prendere questa decisione», sono state le parole di commiato. È forse inutile ricordare quanto sia stato importante Lavezzi per la storia del Napoli, quanto la possibilità di giocare partite come quella di Anfield sia passata dai suoi piedi e dalle sue intuizioni fuori dal coro.

 

Lavezzi non è stato solo un patrimonio del Napoli ma, più in generale, della storia recente, e non solo, della Serie A. L'ex San Lorenzo è uno dei giocatori più peculiari passati dal nostro campionato, un toro più basso di un metro e settantacinque che caricava le difese con la sensibilità dei fuoriclasse nel tocco della palla, con un dinamismo, una verticalità e una tensione emotiva che incarnavano più di chiunque lo spirito del Napoli di Mazzarri.

 

In un periodo in cui i fuoriclasse delle big in Serie A erano già da un pezzo in fase calante, lui e il suo Napoli hanno rappesentato l'ambizione di una classe media che mai come in quegli anni riusciva a tenere testa a Milan, Juventus e Roma, anche in trasferta. La Serie A non aveva più i campioni di inizio millennio, le nostre squadre non erano competitive in Europa (negli anni in cui Lavezzi esplodeva la stampa passava i venerdì a fare i conti sul distacco dalla Germania nel ranking UEFA), tuttavia ogni domenica la borghesia offriva calciatori di culto che insaporivano le “Diretta Gol” da sette partite alla volta e rendevano unica la Serie A anche nella sua fase decadente: il "Pocho" a Napoli, Miccoli a Palermo, Mutu e Jovetic a Firenze.

 

La storia di Lavezzi è abbastanza nota: il momentaneo addio al calcio a 16 anni, i trascorsi da elettricista insieme al fratello e la successiva affermazione nelle serie minori del calcio argentino. Poi il passaggio al Genoa, prima della retrocessione in C1 per illecito sportivo. Una parentesi fulminea, durata il tempo di un ritiro, complice il fisico imbolsito e i dubbi di Guidolin, allora tecnico dei rossoblù: «Il Genoa fu retrocesso in C, Guidolin disse che il "Pocho" non era granché. Magari lo vide ingrassato, com'era quando venne da noi» ha affermato Pierpaolo Marino. A posteriori un giudizio strano quello di Guidolin, che avrebbe raggiunto il picco della carriera grazie a un altro animale da transizione come il primo Alexis Sanchez. Così Lavezzi arriva a Napoli assieme ad Hamsik, passa come un tornado sull'Udinese e da lì in poi il suo impatto sulla Serie A non si affievolirà più. In questo pezzo ho cercato allora di riassumere ciò che ha reso unico il "Pocho".

 



È impossibile non associare il calcio di Lavezzi al dribbling, il fondamentale più brillante del suo repertorio. Se si parla del talento puro come di una dote innata, impossibile da apprendere col solo allenamento, allora il dribbling è il fondamentale che più rispecchia questa concezione. Lavezzi in questo senso è il giocatore più talentuoso del Napoli di De Laurentiis, che non aveva bisogno di segnare valanghe di gol per prendersi il cuore del San Paolo. Non raggiungerà mai la doppia cifra di reti – anche perchè sotto porta spreca davvero tanto – e, nonostante i buoni numeri, non sarà un'eccellenza neanche negli assist.

 

Tuttavia l'influenza dei suoi dribbling sul gioco della squadra vale tanto quanto i gol di Cavani. L'argentino azzanna gli avversari e la partita con conduzioni in cui salta uomini in serie e, con qualsiasi allenatore, è il principale generatore di vantaggi per il Napoli. Lavezzi può dribblare in qualsiasi situazione: statica o dinamica, verso il fondo o verso l'interno, sulla destra o sulla sinistra.

 

Tutto il repertorio di Lavezzi, sia fisico che tecnico, sembra finalizzato al dribbling. È tarchiato, quando arriva in Italia è anche sovrappeso, ma ha un'esplosività e un allungo insostenibili per gli avversari, soprattutto nei primi anni, quando la Serie A è un campionato dai ritmi blandi. Il "Pocho" riesce a sorprendere gli avversari anche da fermo grazie alla maggiore rapidità sui primi passi. Se il difensore però chiude bene ogni corridoio, allora si concede una variazione sul tema e prova a crearsi lo spazio con le finte di corpo, senza toccare mai il pallone, ma muovendo il bacino per fintare la conduzione. È imprevedibile, in grado sia di raggiungere il fondo per il cross sia di portare palla verso l'interno.

 

Presa velocità, Lavezzi diventa inarrestabile, soprattutto in transizione, l'habitat naturale del Napoli di Mazzarri. L'ambidestria gli torna utile: l'argentino alterna destro e sinistro non solo per crossare e calciare ma anche per guidare la palla, con la possibilità di spostare il tocco da un piede all'altro per allontanare la sfera dagli avversari e impedire il tackle. Raramente se partiva in conduzione si limitava a saltare un solo avversario, vista la forza con cui resisteva ai contrasti. L'immagine che tutti noi conserviamo è quella di Lavezzi che abbassa la testa, si inarca sul pallone col busto sbilanciato in avanti e parte in corsa con le braccia quasi aderenti al corpo: sembra più la Naruto run che la corsa di un calciatore professionista. Poi all'improvviso aumenta la frequenza dei tocchi con continui cambi di direzione, come se stesse eseguendo uno di quegli esercizi dei pulcini in cui si deve guidare la palla attraverso i cinesini: Lavezzi però lo faceva in Serie A e in Champions, contro alcuni dei difensori più forti del mondo e a una velocità esasperata.

 

La corsa spezzata e le sterzate erano il suo modo per ingannare gli avversari, portarli fuori posizione e invitarli a fare la prima mossa, con la sensibilità nei piedi che gli permetteva di non incartarsi sulla palla nonostante la corsa non proprio aggraziata. Lavezzi non solo era veloce, ma era rapidissimo anche nelle virate, col bacino che ruotava in maniera fulminea per seguire la direzione data alla palla e la caviglia che si piegava al limite della slogatura per imprimere la sterzata al pallone non appena il difensore lasciava un fianco scoperto.

 

https://youtu.be/gV72KhmYs_4?t=181

 



Lavezzi aveva pieni poteri, in qualsiasi situazione aveva la facoltà di cercare il dribbling. Reja e Mazzarri demandavano tutto al suo istinto. Lui non era un giocatore troppo raffinato nelle decisioni ed è anche per questo che alle volte i dribbling sbagliati superavano quelli riusciti. Secondo WhoScored, ad esempio, nel 2009/10 ne completava 2,1 a fronte di 2,6 falliti ogni novanta minuti e l'anno successivo il rapporto era di 2,4 a 2,5.

 

Senza letture elaborate, l'intuito comunque gli consentiva di convertire il talento individuale per il dribbling in un vantaggio per il collettivo. Era conscio ad esempio del trattamento che gli riservavano gli avversari, che spesso lo triplicavano se riceveva in prossimità dell'area. Lavezzi allora cercava il compagno più vicino in orizzontale, spesso Hamsik, per scaricare il pallone e cercare la triangolazione. Il surplus di velocità nello scatto gli permetteva di muoversi in avanti per chiudere la combinazione e lasciare sul posto gli avversari, che avevano abbandonato lo spazio alle proprie spalle per impedirgli il dribbling.

 

Altre volte invece, se gli avversari da saltare erano troppi, conduceva in maniera più cadenzata, magari in orizzontale, con lo scopo di portare su di sé gli avversari e aprire il varco per la corsa in profondità di Maggio, Cavani o Hamsik.

 

Come nel 3-0 alla Juventus del gennaio 2011, in uno dei gol più famosi del Napoli di Mazzarri, in cui non si capisce se Cavani segni di testa o col tacco. Lavezzi contende a Grosso un campanile sul lato destro della trequarti bianconera. Messa la palla a terra conduce verso l'interno. Marchisio prova a rientrare dalla sua sinistra, ma lui copre bene la palla, la porta col destro, lontano dalla sfera d'influenza dell'avversario e, quando lo juventino rientra, lui gli è già passato davanti: con un tackle Marchisio commetterebbe un fallo (Lavezzi era velocissimo a tagliare il campo in orizzontale per farsi buttare a terra e prendersi la punizione), per questo non affonda la gamba. Intanto Grosso continua a seguirlo per non fargli puntare la difesa, mentre Chiellini con lo sguardo e col corpo si rivolge verso di lui. Vista la posizione di Grosso e la postura di Chiellini, c'è spazio per l'inserimento di Hamsik. Lavezzi lo intuisce e lo serve in corsa con l'esterno del destro, un filtrante simile per esecuzione e contesto a quello con cui Bergkamp mandò in porta Ljungberg proprio contro la Juventus, dopo aver attratto su di sé tutta la difesa bianconera. Hamsik crossa e manda in gol Cavani.

 

https://www.youtube.com/watch?v=gV72KhmYs_4&t=149s

 



Insomma, Lavezzi col pallone è stato forse il giocatore più dotato della storia recente del Napoli. Ma la tecnica non è sufficiente a spiegare il modo in cui ha conquistato il pubblico del San Paolo. Lavezzi di certo non aveva i nervi saldi da vero capitano di Hamsik o Cannavaro, ma certamente per carisma nelle partite decisive non era secondo a nessuno. Lo si percepiva dalle sue esultanze. Se si fa un recap dei gol segnati dal "Pocho" in campionato si potrà assistere facilmente ad abbracci coi compagni o a balletti anche un po' sgraziati, tipici dei momenti di leggerezza regalati da vittorie contro squadre più deboli.

 

Nelle partite più importanti però il modo di esultare di Lavezzi cambiava vistosamente, niente coreografie o affetto languido verso i compagni, ma solo grinta e occhi iniettati di sangue, come nel gol del momentaneo 1-1 contro il Chelsea al San Paolo.

 

Lavezzi si abbandona totalmente all'emotività della gara. I risvolti possono essere positivi, perché difficilmente soffriva la pressione e sapeva adeguare le sue prestazioni al prestigio del contesto: parliamo di un calciatore in grado di brillare anche in una finale dei Mondiali. Il rischio però era di trasformare il pathos in energia negativa. Come in un Cagliari-Napoli del 2009/10, nel periodo in cui la squadra di Mazzarri risolveva sempre le partite sul finale.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Htytd5Gd2K4

 

Il Napoli era in vantaggio 2-0 ma i sardi avevano rimontato ed avevano raggiunto il 3-2. All'ultimo minuto Lavezzi si guadagna una punizione sulla destra, in prossimità della panchina del Cagliari. Massimiliano Allegri allontana il pallone (si giustificherà dicendo che il raccattapalle ne stava mettendo in campo un altro), Lavezzi non ci vede più dalla rabbia e calcia addosso al tecnico livornese. L'arbitro non può fare altro che espellerlo. Il "Pocho" però resta all'ingresso del tunnel degli spogliatoi: il suo urlo sul pari di Bogliacino, con Auriemma che invoca la grandezza di Dio, è uno dei momenti più iconici della storia recente del Napoli.

 

Il talento di Lavezzi è difficilmente replicabile. Lui, al contrario, ha saputo riprodurre in campo tutta la passione dei suoi tifosi.

 

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