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Andrea Lamperti
Lautaro Martinez è l'anima dell'Inter
15 mag 2023
15 mag 2023
Tornato dal Mondiale, "il Toro" è diventato ancora di più il leader tecnico ed emotivo dell'Inter.
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Andrea Lamperti
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IMAGO / NurPhoto
(foto) IMAGO / NurPhoto
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Sembra una vita che Lautaro Martinez è all’Inter, combatte per l’Inter, respira per l’Inter. Pochi giocatori nella storia recente sono riusciti così tanto – nel bene e nel male – a immedesimarsi con la squadra per cui giocano. Sfogliando l’album dei ricordi, che per un attaccante è sempre il gol, si torna fino al 29 settembre 2018, giorno della sua prima rete in nerazzurro, ovviamente a San Siro. Un colpo di testa che non ti aspetteresti da uno della sua taglia (ai tempi, oggi abbiamo imparato a conoscere le sue doti nello stacco). Sugli spalti, mentre i tifosi invocavano per la prima volta il suo nome, Javier Zanetti stringeva i pugni, con quell’aria un po’ commossa un po’ compiaciuta da genitore alla laurea del figlio.

L’Inter lo aveva preso in estate dal Racing Avellaneda, soffiandolo al Barcellona. Lautaro Martinez aveva esordito con il club argentino nel 2015, sostituendo Diego Milito. Era poi stata proprio una trattativa tra "El Principe" (passato nel frattempo dal campo alla scrivania) e Javier Zanetti a farlo sbarcare a Milano. Insomma, più Inter di così nel destino di Lautaro era difficile anche pensarla. Un’unione che si tiene viva anche a parole: "il Toro" non ha mai dato segni di voler cambiare squadra e anzi, cosa rara per i migliori giocatori della Serie A, si è sempre mosso con serenità nei rinnovi contrattuali, dando l’idea di voler davvero restare all’Inter il più a lungo possibile (almeno finora). Anche a livello caratteriale è difficile immaginarsi un Lautaro non coinvolto. Lui che è il primo a prendersi a cuore successi e sconfitte, improvvisarsi capo popolo dopo le vittorie, versare lacrime amare dopo le sconfitte, come al termine dello scorso campionato mentre a qualche centinaio di chilometri di distanza il Milan festeggiava lo Scudetto soffiato proprio all’Inter.

Un attaccamento che sembra tanto valido anche quando veste la maglia dell’Argentina e che fa pensare che per lui è proprio il calcio a essere così, ancora una volta nel bene e nel male. A 25 anni Lautaro è passato per un processo di maturazione sportiva e umana sconnesso, come è giusto e normale che sia. Questo attaccamento per l’Inter e per il calcio a volte è sembrato trasformarsi in vera e propria ossessione verso il proprio rendimento in campo, tanto da farlo andare più di una volta fuori giri. Nella sua seconda stagione all’Inter, ad esempio, Lautaro è stato l’attaccante ad aver preso più gialli in Serie A, ben 8 (uno ogni 309 minuti). Ammonizioni ricevute quasi sempre per motivi futili, come entrate ruvide nella metà campo avversaria o qualche protesta di troppo. È il riflesso più immediato dell’emotività che si porta dietro. L’espulsione per proteste in un Inter-Cagliari di tre anni fa è l’istantanea rimasta indelebile nell’album.

Se questi possono essere giudicati eccessi di gioventù, è impossibile non legarli a un discorso di emotività che da sempre si porta in campo l’argentino. Riuscire a trasformarla in energia positiva e non in nervosismo è un percorso difficile, che richiede non solo una maturazione a livello caratteriale, come quella che gli ha permesso di gestire i cartellini gialli ad esempio – solo due in Serie A, più un terzo in Supercoppa per essersi tolto la maglia dopo il gol del 3-0 – ma anche un processo di acquisizione di determinate certezze e della loro cementificazione. La pazienza di mantenere questo atteggiamento e farlo diventare la normalità per avere un rendimento più costante e vicino a quelle che sono le sue potenzialità. Per farlo, uno dei primi ostacoli da superare è quello dalla dipendenza dal tabellino dei marcatori. Se chiedeste a Spalletti, a Conte o a Inzaghi quali sono le migliori prestazioni dell’argentino con l’Inter, probabilmente vi citerebbero una delle partite in cui il Toro ha segnato nella prima mezz’ora di gioco. Niente più di un gol dava a Lautaro la calma e la sicurezza necessaria per giocare in maniera spensierata e leggera, dando libero sfogo al suo intuito e mettendo in mostra tutte le sue qualità. Che non sono né poche, né tantomeno circoscritte al solo ambito realizzativo, anzi, ma che in qualche modo sembravano necessitare della benedizione di un gol per venire a galla. Al contrario, ovviamente, la parte più cupa di Lautaro si vedeva nei periodi in cui sbagliava ripetutamente occasioni sotto porta, settimane in cui sprofondava in un loop di prestazioni negative e di totale aridità nel gioco in area di rigore. Momenti in cui veniva risucchiato da una spirale nevrotica, oscillando istericamente tra sconforto e voglia di riscatto. Periodi che potevano durare anche mesi interi, venendo poi interrotti all’improvviso da un gol. Prendiamo come esempio l’inizio del suo 2022: neanche un gol in campionato per sessanta giorni fino alla tripletta contro la Salernitana, a cui è seguito un golazo ad Anfield contro il Liverpool e poi - guarda un po’ - una primavera di alto livello. Nel mezzo, però, Lautaro e l’Inter avevano vissuto il momento di massima difficoltà e frustrazione perdendo il derby in rimonta (quello con il gol di Giroud) e poi con i passi falsi contro Sassuolo e Genoa, punti che alla fine sarebbero costati lo Scudetto. Proprio nella sconfitta casalinga contro il Sassuolo è stato possibile vedere l’estremo negativo della sua irrequietezza. Una pessima prestazione culminata con un incredibile gol sbagliato nel secondo tempo, a due passi dalla porta e con lo specchio spalancato davanti. Uno di quegli errori - potrebbe venirvi in mente anche quello a Donetsk nel 2020 - a cui forse "il Toro" ripensa ancora qualche volta prima di dormire.

Periodi del genere sono comuni e forse lo accompagneranno per sempre. Anche in questa stagione, dopo essere partito alla grande con tre gol consecutivi contro Spezia, Lazio e Cremonese, per due lunghi mesi Lautaro è rimasto a secco, fino al turning point del 12 ottobre scorso. La serata del Camp Nou, che potrebbe aver dato un senso alla stagione dei nerazzurri e di cui "il Toro" è stato assoluto protagonista, come era già accaduto nel 2019. Nel 3-3 finale Lautaro è autore di un gol e un assist uno più bello dell’altro, a cui si aggiunge la sequenza di tocchi deliziosi con cui confeziona il potenziale assist del 4-3 per Asllani.

Ancora una volta il gol lo ha sbloccato, facendogli giocare una partita da fuoriclasse assoluto contro il Barcellona, ma anche nelle partite successive. In un mese arrivano 5 gol e 4 assist, inclusa un’altra prestazione da gol e assist contro la Fiorentina che raccontano bene il suo stato di grazia. Poche settimane dopo Lautaro volerà in Qatar con l’Argentina per regalarsi la gioia sportiva più grande di tutte. Un’impresa cui Martinez ha partecipato con un ruolo abbastanza defilato rispetto a quanto ci si poteva aspettare alla viglia, venendo battuto dalla concorrenza di Julian Alvarez anche a causa di un problema alla caviglia. In quella manifestazione Lautaro incapperà in diversi errori sotto porta, ma sarà comunque protagonista in positivo, segnando il rigore decisivo nei quarti contro l’Olanda e poi partecipando in maniera determinante all’azione del 3-2 contro la Francia in finale. Sono ricordi indelebili per milioni di persone, una vittoria che ha coinvolto tutta l’Argentina e anche molti tifosi neutrali, anche perché si è trattato del Mondiale che ha dato a Messi quel che è di Messi. Per Lautaro aver partecipato a questo rito, aver fatto parte di un pezzo di storia del proprio Paese avrà sicuramente influito in maniera positiva nella costruzione della propria solidità emotiva. Al contrario di alcuni compagni come Brozovic e Dumfries e tanti altri giocatori presenti al Mondiale, Lautaro è già in campo alla ripresa dei campionati nonostante sia stato impegnato fino alla Finale. Allo spezzone col Napoli fa seguire una serie di prestazioni eccellenti nelle settimane successive. Segna otto gol in dieci partite, inclusi i gol che decidono il derby di campionato e quello di Supercoppa, in cui insieme a Dzeko fa a pezzi la retroguardia rossonera. Non è un caso, allora, che a un sostanziale miglioramento della sua capacità di convertire in gol le occasioni avute (la stagione deve ancora finire, ma al momento è la sua migliore con la maglia dell’Inter tra xG avuti e gol segnati) sia notevolmente salita anche la sua influenza sul gioco dell’Inter di Inzaghi. Rispetto alla passata stagione sono aumentati il numero di palloni toccati, passaggi completati, passaggi progressivi, passaggi chiave e così via. Basta vedere il confronto tra le heat map in campionato della scorsa stagione e di questa per capire quanto Lautaro sia più coinvolto nel gioco della squadra.

Tutto il rosso nella trequarti è figlio anche del cambiamento del contesto tecnico: l’Inter oggi ha bisogno di Lautaro come punto di riferimento a tutto campo molto più dell’anno scorso, quando la squadra di Inzaghi esprimeva un calcio più fluido e in cui gli veniva chiesto di agire principalmente da terminale offensivo.

Certo, Lautaro rimane un finalizzatore altalenante, e anche in questa seconda parte della stagione è passato per un periodo di magra in zona gol conciso con una serie di sconfitte consecutive che ha messo in difficoltà il cammino dell’Inter in campionato. Eppure anche in questa stagione, come nelle due precedenti, Lautaro ha superato la quota dei 20 gol stagionali. In Serie A è dietro (di tre gol) al solo Osimhen, che è stato per distacco il miglior centravanti del campionato. Nelle ultime settimane sembra tornato un Lautaro più centrato che mai, capace di segnare praticamente un gol a partita, anche entrando a partita in corso. Quando non ha segnato, come nell’andata contro il Milan o col Benfica, è stato autore di prestazioni di altissimo livello, contribuendo alle fortune di Inzaghi aiutando in difesa (contro i portoghesi) o magari con un gesto controintuitivo come il velo che ha liberato Mkhitaryan per il 2-0 nel derby di coppa.

La netta impressione è che quest’anno Lautaro abbia imparato a incanalare meglio la sua emotività, usarla a suo favore invece che esserne ostaggio. Può essere stato il Mondiale l’episodio decisivo per far fare all’argentino questo salto di qualità? Non è immediato pensarlo, visto che il suo torneo ha visto anche qualche ombra, e lo stesso giocatore non è apparso pienamente soddisfatto delle sue prestazioni, ma è impossibile non pensarlo. Negli ultimi mesi abbiamo visto il Lautaro più completo, non solo come attaccante che a questo livello può avvicinarsi ai migliori al mondo, ma anche nella sua capacità di diventare in maniera definitiva il simbolo dell’Inter, il leader in grado di spronare i compagni e unire squadra e tifosi. È lui a metterci la faccia quando le cose vanno male, che dopo aver segnato all’Udinese ha invitato San Siro ad applaudire Dumfries autore dell’assist e in piena crisi di gioco. Sempre lui dopo aver segnato al Napoli si sentirà in dovere di scusarsi col pubblico per il rigore sbagliato due settimane prima nel derby. È Lautaro Martinez insomma l’anima di questa Inter che si prepara alle ultime partite della stagione con due obiettivi (Coppa Italia e posto nella prossima Champions League) e un sogno.

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