«Così non vincerai mai Hasi, è impossibile. Così non va, non funziona, sei troppo debole. Troppi errori, troppi errori, sempre la stessa storia. Non ne posso più, non mi va più. Perché continuo? Per cosa, per chi? Non ci riesco, non ce la faccio, pago la gente per niente. Sei un cretino, neanche questa volta sei andato a rete, bravo... Ma questa partita la vinci, la devi vincere, dai. Non puoi perdere, combatti!»
È il 2007, quarti di finale dell'Australian Open. All'inizio del quarto set Tommy Haas restituisce il break appena conquistato contro Nikolay Davydenko tirando un dritto facile in rete. Ha perso velocemente secondo e terzo set dopo aver vinto il primo, è sotto di un parziale di 13 game a 5. Il suo soliloquio comincia mentre ancora le telecamere mostrano Davydenko che va a sedersi al cambio campo, e l'impercettibile transizione dalla self-deprecation all'autoincitamento improvviso si manifesta nel togliersi e rimettersi l'eterno cappellino portato al contrario, l'elmo da battaglia che Haas indossa sempre in campo. Riprende il gioco e vediamo uno scambio di 12 colpi tutto giocato sulle diagonali, dopo di che all'improvviso Haas rompe lo schema e lascia andare un rovescio lungolinea irraggiungibile, una di quelle fusioni di potenza, sensibilità e intelligenza motoria che forse solo il tennis presenta in una forma così lussureggiante. Haas poi infila altri 4 giochi di seguito, vince 6-1 il quarto e 7-5 il quinto e arriva in semifinale, dove perde facile contro il cileno Fernando González. Haas non ha mai superato l'ostacolo delle semifinali negli Slam, e in fondo tutta la carriera di Thomas Mario detto Tommy è stata segnata da muri contro cui a un certo punto è andato a sbattere.
Un servizio televisivo del 1991 ce lo mostra tredicenne che si esercita alle volée: subito dopo non essere arrivato su un passante indica un punto a terra e allarga le braccia, imprecando per il colpo mancato. «Mentre le star del tennis si riuniscono a Wimbledon, qualcuno di loro forse si sta già guardando alle spalle: a tredici anni il prodigio tedesco Tommy Haas è già considerato il nuovo Boris Becker», recita una voce cordiale, con il tono neutro dei documentari naturalistici. Poco dopo vediamo Tommy seduto a bordo campo, accanto a lui c'è il padre in piedi, maglietta infilata dentro i pantaloncini corti portati a vita molto alta, aria accigliata. Tutto parla di un passato che non esiste più in quei tre minuti di goffa televisione: le inquadrature kitsch per ravvivare la narrazione, con la camera che corre in avanti a stringere sul padre che beve dell'acqua, gli abiti, il taglio dei capelli, la BMW su cui i due salgono, con il telefono cellulare a valigetta installato tra i due sedili e vari gadget antidiluviani tra volante e cruscotto, mentre i due vanno in giro per la piovosa provincia tedesca, e la voce cordiale ci racconta che Tommy ha deciso di trasferirsi in America per diventare un vero campione. Dopo una settimana di prova un paio di anni prima, Tommy e la sua famiglia decidono di tornare all'accademia di Nick Bollettieri, la fucina di talenti in Florida da cui sono usciti Monica Seles, Andre Agassi e Jim Courier. La voce del servizio TV racconta del complesso piano economico per sostenere simile impresa, e veniamo informati che il giovane talento sarà finanziato da cinque imprenditori che verseranno ognuno 35000 dollari per i prossimi cinque anni, un investimento a lungo termine che sarà ripagato da una piccola percentuale dei guadagni di Tommy una volta che sarà diventato professionista. Le nuvole che accompagnano padre e figlio nell'allenamento in bicicletta si riflettono nelle parole preoccupate di un dirigente della federazione tennis tedesca: «È una mossa rischiosa, viene messa molta pressione addosso al ragazzo, perché gli investitori vorranno indietro i loro soldi, una situazione che causerà dei problemi». Non è chiaro se il dirigente vedesse nero perché deluso dal dover lasciare un talento nazionale andare altrove a cercar fortuna, oppure fosse sinceramente crucciato dalle conseguenze della globalizzazione dello sport, di certo negli anni Haas è sempre apparso portare un peso sulle spalle.
Nella primavera del 2002, poco dopo aver compiuto 24 anni, Tommy raggiunge la seconda posizione mondiale. Seguono alcune settimane in cui si contende la piazza con il russo Marat Safin, divisi da una manciata di punti. Con Agassi ultratrentenne, Sampras vicino al ritiro e Federer non ancora esploso i due sono tra i principali candidati a diventare le stelle del futuro. La stessa ATP nel 2000, con la campagna intitolata con l'infelice doppio senso "New balls please", già indicava i due come astri nascenti, dismettendo i senatori americani ormai al tramonto. L'8 giugno, due settimane prima dell'inizio di Wimbledon, Haas riceve una telefonata dalla fidanzata, che tra le lacrime lo informa che i suoi genitori hanno avuto un grave incidente stradale. La coppia si era recata negli Stati Uniti per aiutare il figlio con il trasloco nella nuova casa, al momento dell'incidente stavano facendo un giro sulla Harley Davidson che Tommy aveva comprato al padre. Un articolo del New York Times addirittura racconta che la ragazza li ha trovati in strada buttati a terra dopo che un camion ha tagliato loro la strada, mentre andavano in giro senza casco. Un giornale locale, il Sarasota Herald Tribune, non menziona né la fidanzata come testimone oculare, né l'assenza di caschi, e il camion è diventato un'automobile. Fatto sta che i due vengono trasportati in elicottero all'ospedale di St Petersburg in Florida, dove li aspetta il figlio. Da lì Haas passa due settimane ad attendere che il padre esca dal coma, poi altre quattro seguendo i genitori nella convalescenza di ritorno in Germania. Niente Wimbledon dunque, e niente tennis per un paio di mesi, proprio quando il vero e proprio breakthrough del tedesco cominciava a prendere forma: «Haas fatica a ritrovare il suo gioco dopo l'incidente dei genitori», titola il pezzo del New York Times che ricostruisce la vicenda nell'agosto 2002, poco dopo che Tommy è tornato a giocare. L'articolo accenna alle difficoltà di Haas al suo ritorno sui campi, si legge «non è più lo stesso giocatore spensierato della scorsa primavera». Con il padre alle prese con logopedia e riabilitazione motoria dopo il coma, Haas confessa «penso a loro tutto il tempo».
Tra le righe delle ricostruzioni dell'incidente all'epoca un dettaglio era passato inosservato: Haas proprio in quel momento stava andando a fare una risonanza magnetica alla spalla destra, e quasi subito dopo il ritorno sui campi si sottoporrà a due interventi chirurgici, uno a dicembre 2002 e l'altro a giugno 2003. Torna a giocare solo nel febbraio 2004 a San Jose, quindici mesi dopo l'ultimo match disputato, ormai privo di classifica. Perde in due set contro l'americano Vince Spadea, in una sorta di duello tra anomalie tennistiche, lui la promessa soffocata sul nascere, Spadea malinconico primatista assoluto del maggior numero di sconfitte consecutive, le 21 raccolte tra il '99 e il 2000.
«È una tortura, non ho più la testa per farlo, un anno e mezzo è troppo, stare via così tanto non fa bene, diventi debole, debole! E nessuno ti aiuta, mai. Nessuno ha un minimo di esperienza, devo fare sempre tutto io. È sempre così, e poi quando hai capito cosa devi fare, è troppo tardi.»
Haas parla da solo durante un cambio campo del suo primo turno a Wimbledon dello stesso anno, in un match in cui recupera due set di svantaggio all'oscuro francese Antony Dupuis e poi riesce a vincere 8-6 al quinto. Siamo in quella che Haas descrive come la sua "seconda carriera", la risalita che poi lo porterà di nuovo nei primi 20 a fine anno. Quello che forse Haas ancora non sa è che da lì in poi la sua vita di tennista continuerà a essere fatta solo di risalite, di ricostruzioni chirurgiche e agonistiche, un corpo e un gioco che periodicamente si disfano e devono essere ricreati da zero, quasi ogni anno. Basta vedere l'elenco degli infortuni e dei ritiri accumulati in carriera: 29 match abbandonati nell'arco di 14 anni, durante i quali si contano 21 stop dalle competizioni causa infortunio o malattia, di durata variabile. Oltre alla lunga sosta tra il 2003 e il 2004 viene riportato: 2 settimane di stop per un problema all'anca nel 2004, sei nel 2005 per la coscia destra, 7 nel 2006 per il polso destro, nel 2007: 7 settimane di sosta per la spalla destra seguite da altre 6 per uno strappo addominale, poi influenza, sinusite, schiena, vesciche, fino all'ennesimo intervento chirurgico all'inizio del 2010, questa volta all'anca, che lo tiene fuori altri 14 mesi. Lascia mentre gravita tra i top 20 e ritorna di nuovo senza classifica, quando poco meno di un anno prima nel 2009 era riuscito a raggiungere la semifinale di Wimbledon, trovandosi di fronte Roger Federer.
A un certo punto di quella partita, persi i primi due set, sul 2-2 nel terzo, Haas rincorre una palla corta di Federer e risponde con una controsmorzata che li porta uno di fronte all'altro ai due lati della rete. Federer si trova con una palla facile da appoggiare dall'altra parte, e Haas decide di provare a distrarlo agitando le braccia alla maniera di Bruce Grobbelaar: il supercomputer svizzero di fronte alla mossa inattesa va in failure momentaneo e scucchiaia fuori un punto già fatto, con i due che poi si guardano e ridono.
Si sono avvicinati tanto da quasi sfiorarsi Haas e Federer, due carriere così diverse per due giocatori così simili nella loro idea di gioco e nella tecnica. Due interpreti luminosi del gioco all court, in grado di aggredire da fondocampo con entrambi i fondamentali ma anche dotati di uno splendido gioco di transizione in avanti, dove sono in grado di toccare la palla non solo per terminare un punto già conquistato, ma anche mostrando un autentico gioco di volo grazie a un'eccellente capacità di coprire la rete. Tutti e due versatili come pochi altri, in grado di togliere e dare peso alla palla a piacimento, capaci di tirare cinque-sei dritti di seguito uno completamente diverso dall'altro, e condividendo quel rovescio a una mano ormai in estinzione che Haas possiede di una qualità anche superiore a quello di Federer.
Si erano già incontrati al Roland Garros 2009 negli ottavi di finale, con Nadal appena eliminato e Federer di fronte alla sua migliore occasione di portarsi via finalmente anche Parigi. Haas va avanti due set a zero, e sul 4-3 in suo favore nel terzo ha una palla break sul servizio di Federer, che se convertita l'avrebbe portato a servire per il match. Federer batte una seconda sul rovescio di Haas che risponde incrociato, Federer si sposta tutto alla sua sinistra per tirare un dritto a uscire strettissimo che cade sulla linea, lontano da Haas. Da lì in poi Federer vince al quinto set con un parziale di 14 giochi a 2, andando poi a vincere il torneo. Sta tutta lì la differenza tra i due, nella capacità di far seguire il colpo all'intenzione, e nel corpo che gli è capitato in sorte: Federer, che ha giocato circa 300 partite in più di Haas pur avendo tre anni di meno, si è ritirato soltanto in due incontri durante tutta la sua carriera.
Dunque Haas ritorna dalla chirurgia all'anca nella primavera del 2011, facendo il suo miglior risultato stagionale con un terzo turno all'U.S. Open. Ma da lì a oggi non se n'è più andato, costruendo pezzo a pezzo la sua ri-resurrezione che è culminata con il n. 11 mondiale raggiunto a metà luglio di quest'anno. Nel 2012 vince il torneo su erba di Halle battendo Federer in finale, a marzo di quest'anno vince contro Novak Djokovic a Miami, la sua prima vittoria su un numero 1 del mondo dal 1999. Pochi giorni dopo compie 35 anni, ad aprile vince il torneo di Monaco e a giugno arriva ai quarti di finale del Roland Garros per la prima volta in 17 stagioni da professionista. In questa tarda primavera ogni incontro di Haas sembra portare con sé una prima volta, un record, una statistica eccellente. È il più anziano giocatore tra i primi 100, a Parigi ha vinto un incontro folle al terzo turno contro John Isner per 10-8 al quinto, riuscendo a chiudere solo al tredicesimo match point, e diventando il tedesco che è andato più avanti nello Slam francese degli ultimi 18 anni. Ormai nelle conferenze stampa gli chiedono solo della sua longevità e della sua rinascita, lui sembra non poterne più: «Non so quante volte mi è toccato rispondere a questa domanda», ha detto lo scorso Wimbledon dopo una partita. «Sono stanco di parlare dei miei infortuni. Ora sto bene, e sto giocando bene. Sì, ho 35 anni lo so, non posso farci nulla.»
Quando nel 2009 sempre a Wimbledon aveva battuto Djokovic ai quarti di finale prima di incontrare Federer, il Guardian aveva scritto: «Un uomo per tutte le stagioni e tutte le superfici, Tommy Haas ha surclassato Novak Djokovic con un gioco che unisce la forza dei suoi colpi da fondocampo all'ormai quasi estinta arte del serve & volley». Già quattro anni fa si parlava di lui come di un veterano, un reduce che prova a strappare le ultime soddisfazioni prima dell'addio. «Quando sei avanti negli anni come me devi cercare di prenderti più punti facili possibile», dice Haas quasi a giustificare quelle che il Guardian descrive come «tattiche retrò». In realtà quelli che lui chiama sbrigativamente punti facili sono qualcosa di diverso, ed è quello che lo distingue da quasi tutti gli avversari più giovani che oggi si trova di fronte: praticamente tutti i top players costruiscono il loro gioco attorno a un servizio molto potente, e quelli sono gli unici che andrebbero definiti free points, ottenuti tramite l'efficacia della battuta; il resto viene da una precisa concezione e esecuzione del gioco, che oggi è sempre più basata su una fusione di attacco e difesa portata avanti quasi esclusivamente da fondocampo. Haas è invece un giocatore di variazioni, sia dei colpi che della posizione in campo, il suo è un gioco di complessa lavorazione dei punti, dove spesso il margine di errore è strettissimo. Uno come lui non avrebbe mai potuto confrontarsi ad armi pari con la guerra di attriti e la logorazione fisica su cui si basa il presidio del campo di Djokovic o Nadal, dove la profondità del colpo e la tenuta atletica sono il perno di ogni strategia: il gioco di Haas nasce invece dall'indirizzare la palla in un punto preciso, in un'elaborata gradazione delle intensità e delle traiettorie da creare ogni volta. Avere tanti tipi di servizio, tanti dritti e rovesci differenti, colpire prima, colpire dopo, attaccare in controtempo, tentare colpi difficili; alla rotazione pesante e in sicurezza di un Nadal lui risponde con colpi tendenzialmente piatti, con la palla che può cadere solo in quei pochi centimetri di campo presi di mira, pena la perdita del punto.
Per questo è facile identificare Haas con lo spirito profondo del tennis, come si è fatto con Sampras o con Federer: mentre delle partite di molti campioni di oggi si ricorda solo l'esito del match e la supremazia o l'agonismo espressi, di Haas restano sempre in mente tanti singoli colpi, invenzioni che hanno una loro forma compiuta anche estrapolati dall'andamento dell'incontro, dei piccoli oggetti estetici che hanno un inizio, uno svolgimento e una fine. In più è un tennista fuori tempo massimo, anacronistico nel gioco e avanti negli anni, in ogni suo incontro si ha la sensazione di assistere a una forma di prosciugamento. Ogni suo rovescio lungolinea che sfiora la rete può significare un colpo in meno rimasto da giocare nel futuro che verrà, ogni set che perde porta il presagio di quell'ora in più di partita che potrebbe non essere in grado di sostenere. Oggi, anche quando Haas vince facile, la vittoria ha il sapore di un pericolo scampato, una maratona in meno, uno stress muscolare evitato, un affaticamento da cui magari potrebbe non riprendersi, che resta dentro come un veleno. Ogni volta che dopo un errore Haas parte con i suoi soliloqui in tedesco lo immagini a maledirsi per essersi costretto a restare troppo tempo in campo, costretto a tirare troppi colpi di quel tennis così autosufficiente che verrebbe voglia di toglierlo dalla competizione, per ammirarlo come una semplice esibizione.
Lo scorso Wimbledon durante il suo match di secondo turno contro Jimmy Wang, dopo aver vinto i primi due set 6-3 e 6-2, Haas ha cominciato a imprecare dopo un errore gratuito, e l'arbitro l'ha subito sanzionato per "audible oscenity". Haas lo ha guardato perplesso e gli ha chiesto: «Perché un warning? Perché parlo da solo?» È rimasto nervoso per tutto il set, senza mai incitarsi, giungendo a una vittoria leggermente più combattuta che nei primi due, chiudendo 7-5. Ha aspettato l'avversario a rete con le mani poggiate sul nastro, e per un secondo ha scosso la testa, come se quella vittoria fosse un disappunto. Come se quei venti minuti in più impiegati per battere Wang li avesse presi da una riserva nascosta, dove non potranno più essere rimpiazzati con altro tempo da usare per le partite che verranno, da qui a quando deciderà di smettere.
Foto tratte dal sito ndr.de