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NBA Marco D'Ottavi 9 marzo 2020 10'

Storia di Lapo Elkann alla partita tra Lakers e Raptors

Sono passati dieci anni da uno degli episodi più ricordati nel sottobosco degli appassionati NBA in Italia.

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«Anzi non da un tifoso, da Lapo Elkann». Con un guizzo linguistico che avrebbe meritato maggior fortuna, Niccolò Trigari – al commento della partita tra Los Angeles Lakers e Toronto Raptors per Sportitalia – sintetizzò in una frase il pensiero di chiunque fosse davanti alla televisione in quel momento a suo modo storico. 

 

 

Quando la regia della partita stacca dalla camera sistemata alle spalle del pubblico dello Staples Center per avvicinarsi allo sprovveduto che aveva appena anticipato il tentativo di recupero di Josè Calderon, la nostra percezione dell’episodio cambia totalmente, assumendo una sfumatura di imbarazzo patriottico che non può essere declinata neanche dal termine tedesco fremdschämen, ovvero la sensazione che abbiamo quando proviamo imbarazzo per qualcun’altro. Perché – appunto – non era qualcun altro: era Lapo Elkann.

 

Senza voler indagare la complessità del personaggio – rampollo, imprenditore, pecora nera – il suo gesto di rottura rimane quasi un unico nella storia del basket e particolarmente mitologico nel sottobosco degli appassionati NBA italiani. Quante altre volte è capitato di vedere qualcuno alzarsi dal proprio posto per intervenire in un’azione ancora valida? A memoria si possono citare un paio di episodi nel baseball (dove intercettare una palla lanciata verso gli spalti è un gioco nel gioco) e poco altro, relativo soprattutto a volontarie e scenografiche invasioni di campo. Insomma: quello che ha fatto il nipote di Gianni Agnelli ai margini di un campo da basket NBA è praticamente un evento unico e memorabile, di cui oggi cade il decimo anniversario.

 

Courtside

Nell’episodio di Friends The One With Rachel’s Phone Number, Joey telefona a Chandler e gli chiede cosa avevano sempre sognato di fare insieme. Dopo un tentativo andato a vuoto dell’amico, Joey gli comunica che il giorno successivo avrebbero assistito alla partita tra New York Knicks e Washington Wizards «courtside», nei posti in prima fila, aggiungendo con gioia «forse Michael Jordan si tufferà per recuperare la palla e mi romperà la mascella con il ginocchio!». Il courtside è un luogo sacro del basket: chi ha la fortuna e la possibilità di accedervi (Spike Lee spende trecentomila dollari l’anno per il privilegio) assiste alla cerimonia della partita con la speranza di essere benedetto dal contatto con uno dei sacerdoti in campo, anche a rischio della propria incolumità. Non è necessario essere tifosi sfegatati o analisti minuziosi per scegliere di sedersi lì: sono sedie che rappresentano uno status sociale, soprattutto in una città come Los Angeles. Quella sera Lapo Elkann era lì ad occupare il posto di uno dei cugini, come raccontato in seguito.

 

 

Chi è seduto in prima fila deve sapere una e una sola cosa: non ci si muove verso il pallone anche se ha superato la linea laterale. Nel basket, infatti, il pallone può essere giocato anche quando esce dalla linea che delimita il campo, se non tocca terra o il giocatore che lo recupera non mette i piedi sopra o oltre la linea stessa. Fa parte dello spettacolo: genera tuffi acrobatici, tifosi saltati come ostacoli e birre rovesciate. È anche rischioso per la salute di atleti e spettatori, e più di un giocatore ha chiesto di eliminare almeno i fotografi da sotto canestro. Ma in qualche modo fa parte della tradizione del basket americano, qualcosa che ci aspettiamo di vedere prima o poi in una partita.

 

Insomma, il cugino di Lapo Elkann avrebbe potuto prepararlo meglio, un brevissimo briefing che lo mettesse al corrente delle responsabilità del posto che gli stava cedendo, ma – oggi possiamo dirlo con certezza – evidentemente non è successo. Lapo Elkann non era a conoscenza della regola e così ha pensato fosse lecito alzarsi dal suo posto in prima fila per schiaffeggiare il pallone schizzato sopra la sua testa dopo un tiro da tre di Hedo Turkoglu finito sul primo ferro, rendendo vano il tentativo di recupero in tuffo di Calderon e di fatto regalando il possesso ai Lakers, che poi avrebbero vinto quella partita per 109 a 107, grazie ad un canestro a meno di due secondi dalla fine di Kobe Bryant, con uno dei suoi iconici tiri in sospensione cadendo indietro.

 

 

Le reazioni dal campo

La seconda cosa che probabilmente avrete notato nel video, dopo Lapo Elkann che goffamente si alza per colpire un pallone ancora in gioco, è Adam Levine – grande tifoso dei Los Angeles Lakers – seduto alla sua sinistra. Dopo un attimo di smarrimento, il leader dei Maroon 5 è il primo ad indicare l’altro lato del campo – a sottolineare come il possesso passasse ai gialloviola – e a battere convintamente le mani, come ad esaltare una grande giocata di un giocatore della sua squadra («L’episodio difensivo più importante della partita» è stato poi definito). Come poi raccontato da Elkann, Levine è «un amico di amici» e dopo la partita gli avrebbe detto «Grazie, hai dato una mano ai miei Lakers». Anche il pubblico è più felice che stupito: quando il replay dell’intervento di Elkann viene proiettato sui maxischermi dello Staples Center, parte una sincera ovazione.

 

Toronto Raptors v Los Angeles Lakers

Foto di Andrew D. Bernstein/NBAE via Getty Images

 

Non è però l’unico a rivolgergli la parola: di sfuggita si può vedere Ron Artest avvicinarsi a Elkann. Secondo la ricostruzione di ESPN, il futuro Metta World Peace gli avrebbe dato una pacca gentile sulla testa complimentandosi con le parole «Good D», bella difesa. Non conoscendo una semplice regola che si impara alla prima partita di basket vista (a detta sua Elkann era alla terza presenza in un palazzetto NBA), è difficile immaginare che l’uomo che ha appena lanciato una linea di occhiali con Cristiano Ronaldo fosse consapevole del passato di quel giocatore dagli occhi simpatici e il fisico scolpito nel granito, ma quel gesto è stato praticamente un battesimo: nel 2010 ricevere l’attestato di “buona difesa” da Ron Artest era come ricevere quello di buon cristianesimo dal Papa. 

 

Come ci insegna la fisica, però, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. L’intromissione dell’arbitro e di Pau Gasol – che impallano la telecamera – ci fanno perdere tutta la reazione di Calderon, che allarga le braccia sconsolato, dopo qualche secondo tra la rabbia e lo smarrimento. Dopo la partita l’ex assistente personale di Henry Kissinger ha raccontato la reazione dello spagnolo: «È un vero campione di sportività. All’inizio mi sono sentito colpevole e mi sono scusato […] è stato gentile e disponibile». Secondo Elkann c’è un motivo dietro a questa calma apparente: «È latino come me, ci siamo capiti». 

 

Tuttavia Calderon è stato meno magnanimo dopo la partita, lamentandosi: «Era un’azione importante, perché era una partita punto a punto: ma che cosa voleva fare?». Altre reazioni dei giocatori di Toronto purtroppo non ci sono visibili. Durante la telecronaca della partita sul canale che trasmette le partite dei Lakers, il telecronista sottolinea il comportamento di Andrea Bargnani: «Mi è piaciuta la sua reazione, ha scrollato le spalle come a dire “non possiamo farci niente”. “Fa male, ma non possiamo farci niente”». Il telecronista non poteva conoscere il sottile filo che collegava Bargnani con quel tipo con troppo gel in prima fila, ma possiamo ragionevolmente ipotizzare che il suo primo pensiero non sia stato quello (così come possiamo dirlo per Belinelli, seduto sulla panchina dei Raptors).

 

Purtroppo – o per fortuna – nessuno dei due italiani in campo ha voluto rilasciare dichiarazioni riguardo l’episodio: forse hanno provato a dimenticarlo il prima possibile, tanto che un Elkann disperato ha cercato di entrare in contatto con i due tramite la stampa. «Vorrei spiegargli quello che è successo, salutarli. Ma di Bargnani ho un numero vecchio. Potete aiutarmi a trovarlo?» ha chiesto alla Gazzetta dello Sport. Più fatalista invece con La Stampa, il giornale di famiglia: «Ho chiamato Bargnani ma non risponde, dunque non so se il suo numero è giusto o sbagliato, come direbbe Vasco Rossi».

 

Le giustificazioni di Lapo

Ma insomma, perché Elkann ha colpito quel pallone? Cosa l’ha spinto ad alzarsi in piedi e intromettersi con la partita come una madre ansiosa alla prima partita del figlio? «Ero seduto e ho visto la palla che mi stava arrivando addosso e l’ho schiaffeggiata via. Conosco meglio il calcio del basket» con queste parole Elkann ha provato a giustificarsi dopo la partita, mostrando al giornalista di ESPN che provava a fare luce sull’episodio il tatuaggio con il logo della Juventus sul polso. 

 

Juventus FC v Atalanta BC - Serie A

Foto di Valerio Pennicino/Getty Images

 

Conosciamo le connessioni tra Elkann e i bianconeri, ma quindi? Ci sono connessioni tra la Juventus e la quasi totalità degli italiani, tra chi la tifa e chi la odia, ma nessuno di loro ha mai interferito con una partita NBA. Il nativo di New York (la città del basket, ironicamente) per uscirne da uomo libero ha provato ad usare l’archetipo dell’italiano convinto che il gioco del calcio sia universale – sostenendo implicitamente che visto che nel calcio il pallone quando esce, esce, allora sarà così in tutti gli sport. La sua è però una sineddoche mal riuscita, con un evidente controsenso che il giornalista gli fa subito notare: «Ma se lei conosce il calcio dovrebbe sapere che la palla non si può colpire con le mani». La successiva risposta di Elkann non aggiunge nulla alla storia, ma è così assurda che non si poteva non citarla: «È vero, non si può: l’unico a cui è permesso usarle è Maradona al Mondiale».

 

Le conseguenze

La fortuna di Lapo Elkann è che l’episodio sia avvenuto appena prima dell’esplosione dell’Internet 2.0. I tweet di quei giorni sono tutti titoli di articoli con link bitly. Nessuna ricostruzione orale su Grantland, che nascerà solo l’anno dopo, né tantomeno una presa in giro su NBA Desktop; niente sui gruppi Facebook o nelle storie Instagram di qualche giocatore coinvolto. I pochi utenti che condividono il link al video scrivono proprio video virale. L’episodio fomenterà un piccolo culto negli anni successivi, ma soprattutto a livello nazionale (lo stesso Elkann produrrà delle magliette con la scritta L.A. Lapers, indossate anche dai giocatori di Montegranaro prima della partita contro l’Armani Jeans).

 

Le prese in giro arrivano principalmente dai columnist dei principali giornali di Los Angeles: «I Lakers devono migliorare in difesa o dare un abbonamento a bordo campo a Elkann» oppure «Ora anche i Los Angeles Lakers hanno la loro mano de dios». La notizia negli Stati Uniti viene ripresa da un blog che si occupa di automobili, in cui si sottolinea la relazione di parentela con il fondatore della FIAT Gianni Agnelli e di come il ragazzo sia uno degli eredi al trono del marchio italiano. Nel nostro paese tra l’ilarità generale dei giornali, senza mai però entrare nel significato profondo del gesto di Elkann, non poteva mancare il parere di Dan Peterson che – come raccontato dal Corriere della Sera in un editoriale dal titolo “La fortuna e le palle vaganti” – ha commentato laconico: «Ragazzi, io non ho mai visto una cosa del genere».

 

In molti hanno provato ad accostare il risultato finale al gesto di Elkann: dopotutto le squadre sono arrivate a due punti di distanza, due (o tre) punti che i Toronto Raptors avrebbero potuto segnare senza la sua interferenza, cambiando il finale della partita. Certo, Calderon sarebbe dovuto arrivare sul pallone senza pestare la linea laterale e dalla sua scomoda posizione riuscire a servire un compagno, probabilmente Chris Bosh pressato da dietro da Pau Gasol. Se anche fossero riusciti a mantenere il possesso, poi ci sarebbe stata una nuova azione e chissà come sarebbe andata. Il basket è però pieno di queste azioni, momenti in cui i giocatori riescono a piegare la realtà apparente per realizzare giocate per noi impossibili ed è quindi lecito ipotizzare che la rapidità e l’occhio di Calderon avrebbero potuto tranquillamente creare qualcosa di buono in quella situazione e che Bosh avrebbe fatto valere il suo talento o se non lui, magari Bargnani col suo tiro da fuori. Qualcosa che non sapremo mai per colpa di Lapo Elkann.

 

partita-basket-reference

Il play-by-play di basketball-reference considera l’intervento difensivo come un rimbalzo difensivo per i Los Angeles Lakers.

 

In quel momento, con ancora 106 secondi da giocare, i Raptors erano sotto di quattro punti e la partita sembrava scivolare verso la fine. Un canestro dei Lakers avrebbe portato i padroni di casa a +6 o +7 con meno di un minuto da giocare. La squadra canadese è invece riuscita a costringere Kobe Bryant al fallo in attacco e poi a recuperare lo scarto grazie a un piazzato di Bargnani, un layup di Calderon e a una tripla di Bosh, pareggiando a 9 secondi dal termine. In maniera controintuitiva potremmo dire che il gesto del membro del consiglio di amministrazione di Ferrari N.V. abbia dato ai Raptors la motivazione necessaria per rimontare una squadra più forte. Solo dopo è arrivato il canestro decisivo del Mamba (che in quell’anno di grazia aveva già battuto Miami, Milwaukee, Sacramento, Boston e Memphis all’ultimo tiro).

 

Dopo la partita il vicepresidente dei Raptors, l’italiano Maurizio Gherardini, ha provato a minimizzare. Anche lui – evidentemente era impossibile fare il contrario – rifacendosi al calcio: «Un intervento degno del miglior Buffon: lo aspettiamo a Toronto nelle partite che contano, naturalmente a bordo campo». Le “partite che contano” però a Toronto non arriveranno. Alla fine di quella stagione i Raptors avranno il nono record ad Est, mancando i playoff per un soffio. Arriveranno infatti dietro ai Chicago Bulls di una sola partita (mentre i Lakers arriveranno primi ad Ovest, sopra ai Dallas Mavericks per due vittorie, per poi vincere l’anello battendo 4-3 in finale i Boston Celtics). 

 

In estate Bosh decise di non firmare il nuovo contratto e andare a Miami. Se Toronto fosse arrivata ai playoff, possiamo ipotizzare che il suo miglior giocatore sarebbe rimasto invece di diventare il pezzo meno pregiato dei Big Three? E che Colangelo non avrebbe deciso allora di costruire la squadra su Bargnani, Calderon e il sophomore DeMar DeRozan, finendo nei bassifondi dell’Est? E a quel punto sarebbero arrivate ugualmente le due tragiche stagioni che spinsero la franchigia canadese ad affidare il ruolo di General Manager a Masai Ujiri? E senza la lungimiranza del manager di origini nigeriane sarebbe comunque avvenuto lo scambio che ha portato a Bargnani a New York in cambio di due scelte diventate poi Jakob Poeltl? E il centro austriaco sarebbe poi stato coinvolto nello scambio che ha portato Kawhi Leonard a Toronto e quindi, di conseguenza, allo storico primo titolo?

 

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Avrebbero forse dovuto scrivere più correttamente “Started from Lapo Elkann now we here”?

 

Quindi, a 10 anni di distanza possiamo dire che, come in un film dei fratelli Coen, l’innocua scelta del cugino di Lapo Elkann di cedergli il posto in prima fila a una partita di inizio marzo abbia in qualche modo condizionato l’NBA come la conosciamo oggi? Stiamo forse esagerando o i Raptors dovrebbero cedere il posto a bordo campo di Drake a Lapo Elkann?

 

 

Tags : lapo elkannlos angeles lakersnbatoronto raptors

Marco D'Ottavi è nato a Roma, fondato Bookskywalker e lavorato qui e là.

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