Esiste una porzione temporale finita, una sorta di apertura, fatta delle misure esatte di chi può attraversarla. È la circostanza perfetta in cui la vittoria è facilmente raggiungibile, il talento la riconosce e il corpo l’afferra. È “il” momento.
Una (lunga) storia d’amore
«Se continui a giocare in questo modo, vincerai il torneo.»
«Ci proverò, ci proverò.»
(Cartolina da Parigi, 2014)
La relazione fra il Roland Garros e Garbiñe Muguruza inizia nel 2014, quando ancora ventenne batte al secondo turno Serena Williams. Fino a quel punto della stagione Muguruza aveva vinto il suo primo titolo WTA a Hobart contro Klara Koukalova 6-4, 6-0 partendo dalle qualificazioni e nessuno avrebbe scommesso su una sua vittoria contro la numero uno del mondo e per di più in uno Slam.
Durante entrambi i set, inaspettatamente a Serena Williams non riesce bene quasi nulla: il servizio è a volte impreciso, altre poco potente, le risposte troppo prevedibili e centrali, la strategia di gioco confusa. Garbiñe Muguruza, quindi, approccia l’incontro a modo suo, da fondo campo, sorprendendo l’avversaria con determinazione e tecnica, sfruttando le linee, e con l’aggressività necessaria.
Serena imposta lo scambio con colpi poco vari, senza allargare, mentre Garbiñe la spinge sul fondo, in difesa, attacca le linee e guadagna il punto dell’1 a 0 nel secondo set con un rovescio imprendibile – e un piccolo aiuto da parte della rete.
La spagnola vince in poco più di un’ora 6-2, 6-2 e carica la statunitense, al numero uno della classifica WTA, di una sconfitta molto pesante. Come rivela in conferenza stampa, Muguruza inizia un esercizio mentale efficace e apparentemente semplice per allentare la pressione che arriva quando l’avversaria è Serena Williams: non pensare alla campionessa, alla sua forza intrinseca, ma riflettere su come anche Serena, come chiunque altro, possa innervosirsi, quasi come se le qualità tecniche in una partita simile contino meno. Non si sottrae, inoltre, alla domanda da un milione di dollari: sta nascendo un nuovo gruppo di tenniste vincenti? La supremazia Williams sta finendo?
Oggi sappiamo che non è andata proprio così – o almeno: non in modo così netto né veloce – ma quel che colpisce della spagnola è il mancato imbarazzo nel rispondere, punto d’incontro tra la consapevolezza dettata da talento e sfrontatezza e la fiducia nelle possibilità che da lì sarebbero fiorite.
Il Roland Garros del 2014 si conclude per Garbiñe Muguruza ai quarti di finale, con la sconfitta per 1-6, 7-5, 6-1 contro Maria Sharapova, vincitrice del torneo. Prima di cedere il terzo set, però, Muguruza impensierisce la siberiana, continuando a incidere con il suo gioco: è atletica, scivola lungo la linea di fondo, colpisce con precisione e potenza, tenta alcune anticipazioni per attaccare la palla, non ha paura di allungare gli scambi.
Due punti-fotocopia per la spagnola, che dirige dal fondo e in entrambi i casi chiude con un passante di dritto molto efficace e, uno per la siberiana, che guida l’avversaria e spinge il gioco sulle linee per il dritto incrociato vincente.
L’anno seguente, ancora al Roland Garros durante i quarti di finale, Garbiñe Muguruza perde 7-6, 6-3 contro Lucie Safarova che supera anche la detentrice del titolo, Maria Sharapova, e arriva a giocarsi la sua prima finale Slam contro Serena Williams, lasciando però a quest’ultima il trofeo.
Alla vigilia Safarova arriva in forma, molto sicura dei suoi mezzi e forte di aver disputato un torneo a livelli ottimi, mentre Muguruza ha su di sé la pressione di dover ancora dimostrare tanto, in modo particolare la capacità di gestire una partita importante come questa non soltanto da un punto di vista fisico ma in particolar modo mentale.
È la prima volta che le due si incontrano e alla fine la distanza non è così marcata: soprattutto durante il primo set la sensazione che entrambe possano passare il turno è palpabile, ma Safarova gioca complessivamente meglio e si avvantaggia del crollo mentale di Muguruza nel secondo set.
Dopo il primo set, Safarova mantiene il controllo, impone il ritmo, allarga il gioco e sfrutta le linee conquistando il match con un 6-3 nel secondo. Muguruza, invece, è pian piano meno reattiva: si difende, ma non contrattacca e si fa sorprendere spesso fuori posizione dalle ribattute dell’avversaria.
Manca il sostegno emotivo per affrontare al meglio i turni più difficili di uno Slam, dove le partite spesso non hanno nulla di scritto, ma vanno interpretate. Quello mentale è un aspetto del gioco di Garbiñe Muguruza che si mostra ancora acerbo. Dopo il primo combattuto set, infatti, Safarova ha ancora riserve a cui attingere, Muguruza rischia poco, lascia all’altra la possibilità di gestire il vantaggio e dimostra poco in comune con la giocatrice fresca e determinata dell’anno precedente.
Nel 2015 la ceca e la spagnola si incontrano anche a Singapore in occasione delle WTA Finals e stavolta vince Muguruza 6-3, 7-6. Come il risultato – il medesimo di Parigi, ma ribaltato – così anche l’incontro è molto simile a quello del Roland Garros ma a parti invertite. Stavolta è la spagnola a decidere il ritmo, a girare a suo vantaggio gli errori di gioco e i difetti di energia della ceca.
A Singapore, Muguruza riesce finalmente a variare i colpi, costringendo Safarova a rincorrere, gioca con velocità e pieni polmoni. Alcuni esempi nel secondo set ai minuti 0:59 - 1:37: la spagnola incrocia ora il dritto ora il rovescio, aggredisce il campo, sorprende con un passante, recupera una palla difficile con un pallonetto.
La terra sotto i piedi: cartoline del 2016
All’inizio del 2016, Muguruza ha di fronte un anno cruciale per la sua carriera e le affermazioni rilasciate a El País e riprese da Ubitennis, lo confermano. Dimentichiamoci una personalità timida o poco consapevole degli obiettivi da raggiungere: «Quest’anno l’obiettivo è fare meglio, più dell’anno scorso. Alzare gli alti e dimezzare i bassi.» E dimentichiamoci pure di accomunarla alle ultime grandi del tennis spagnolo femminile: «Se mi rivedo in qualche giocatrice del passato? Onestamente no, Aranxta Sanchez e Conchita Martinez hanno fatto la storia del tennis spagnolo femminile, ma io non cerco in alcun modo di emularle, io vorrò essere ricordata come Garbiñe Muguruza!»
Pensiamo, invece, a una tennista caparbia e assertiva, che sa di poter arrivare molto avanti, consapevole di essere assediata dalla competizione in un circuito WTA quasi mai rilassante: «[…]penso di poter affermare che ci odiamo tutte. Letteralmente. Chi dice il contrario mente.»
Il primo passo è il cambio di coach: ad allenarla arriva Sam Sumyk, già al fianco di Victoria Azarenka dal 2010 al 2015 e Eugenie Bouchard sempre nel 2015, ma i risultati fino all’Open francese non sono all’altezza delle aspettative di entrambi. Muguruza deve fronteggiare un infortunio al piede, che le preclude il torneo di Brisbane a inizio stagione e rende difficile il raggiungimento di uno stato di forma ottimale nei primi tornei e una carica emotiva problematica da gestire: il tennis femminile la sta guardando, testando e ammirando.
Per la prima parte della stagione Garbiñe Muguruza non brilla, ad eccezione dei playoff di Fed Cup contro l’Italia, giocati sulla terra rossa di casa e vinti nelle due partite di singolare contro Francesca Schiavone (7-6, 6-0) e Roberta Vinci (6-2, 6-2). Contro Schiavone, Muguruza si impone nettamente solo nel secondo set, quando l’italiana non è più né combattiva né reattiva come nel primo; è contro Vinci che Muguruza gioca al meglio delle sue possibilità.
La spagnola fa sfoggio delle sue qualità migliori: con un gioco agile ma strutturato, accompagna gli scambi spostando l’italiana ovunque sul campo (minuti 1:11 – 1:30 e 2:30 – 2:40, ad esempio) ed è pronta sui tentativi di accelerazione di Vinci.
Ai playoff di Fed Cup rivediamo una giocatrice talentuosa, determinata e finalmente in crescita di condizione e quelle due partite si piantano come un faro in mezzo al mare tra l’isola di Indian Wells prima e l’arcipelago dei tornei di terra poi.
A Indian Wells, infatti, Garbiñe Muguruza crolla sotto i colpi di Christina McHale (7-5, 6-1) al secondo turno. Nel secondo set, sotto di tre giochi, la spagnola non regge la pressione e l’accumulo di risultati negativi: la sicurezza conquistata che avrebbe dovuto alimentare il suo gioco e sostenerla nei momenti più intensi tarda ancora ad arrivare. O forse non è ancora abbastanza.
Durante la stagione della terra rossa perde contro Petra Kvitova a Stoccarda ai quarti di finale (6-1, 3-6, 6-0), contro Irina-Camelia Begu a Madrid al secondo turno (5-7, 7-6, 6-3) e contro Madison Keys a Roma (7-6, 6-4) in semifinale. Le parole pronunciate appena dopo la Fed Cup sembrano più un malocchio che una profezia: «Ho speso molte ore a giocare sulla terra quando ero più giovane. Sono cresciuta sulla terra, quindi ogni volta che ci torno sento: “Questo è il mio territorio”. Conosco persone che pensano che il mio stile di gioco non sia ideale per la terra ma io penso di poterci giocare bene».
Il Roland Garros
Serena Williams sta attraversando un periodo complicato della sua carriera: ancora indissolubilmente legata al primato in classifica WTA, di fatto naviga a vista. A volte sul campo è titubante, non arriva a tenere la battaglia fino in fondo, la capacità di vincere si volatilizza nel giro di pochi punti o un set. Fa il verso all’atleta che ha dominato fino allo scorso Wimbledon.
Anche lei ha un problema fisico – al ginocchio – che si trascina dall’anno precedente e i risultati pre Roland Garros sono deludenti: perde due finali importanti, quella dell’Australian Open contro Angelique Kerber (6-4, 3-6, 6-4) e quella di Indian Wells contro Victoria Azarenka (6-4, 6-4), oltre all’ottavo di finale a Miami contro Svetlana Kuznetsova (6-7, 6-1, 6-2). Vince solo a Roma contro Madison Keys (7-6, 6-3). Se questo è conseguenza anche di un calo mentale dovuto alla sconfitta allo scorso US Open non lo sapremo mai con certezza.
Sia Muguruza sia Williams, quindi, arrivano a Parigi su due strade simili, fatte di aspettative alte e sconfitte, ma con un tabellone alla loro portata. Durante il torneo, però, le loro strade divergono.
Nel cammino Garbiñe Muguruza incontra Anna Karolina Schmiedlova, Myrtille Georges, Yanina Wickmayer, Svetlana Kuznetsova, Shelby Rogers, Samantha Stosur: solo Kuznetsova è nella top venti WTA e, fatta eccezione per il primo turno, Muguruza vince sempre in due set. Il fatto che la partita più complicata per lei sia stata proprio la prima è indicativo del grande ostacolo che la spagnola ritrova, come spesso le è capitato, ma stavolta supera: la pressione. Perde il primo set 3-6 e lo fa giocando male, non chiudendo punti facili, con molta distrazione.
Un esempio su tutti. Muguruza risponde male al servizio dell’avversaria, non conclude con il rovescio, non cambia gioco e la slovacca incrocia di dritto senza troppi problemi.
Per riprendersi partita e torneo, la spagnola riorganizza il gioco e richiama all’ordine la tecnica; gli altri due set scivolano assieme a determinazione, concentrazione, ottimale impostazione del gioco.
Nel frattempo, Serena Williams si confronta con Magdalena Rybarikova, Teliana Pereira, Kristina Mladenovic, Elina Svitolina, Yulia Putintseva e Kiki Bertens. Nessuna, a parte Svitolina, è nella top venti WTA, eppure Serena non gioca al meglio, rischiando di uscire ben tre volte: contro Mladenovic vince un secondo set serratissimo, contro Putintseva perde il primo 5-7 ed è costretta a rincorrere e contro Bertens infortunata al polpaccio sinistro nel primo set è sotto 3-5.
Quando si ritrovano l’una contro l’altra in finale, Garbiñe Muguruza si esalta. Non manca di personalità sul campo, tocca il primo set combattiva e abbraccia il secondo sontuosa. La pressione è finalmente messa all’angolo, quasi nascosta, mischiata alle linee bianche e alla terra rossa.
Non è capace solo di un grande gioco, ma anche di interpretare la partita. Non eccede, fa “solo” il necessario e, avendo di fronte Williams, significa la prestazione migliore dell’anno. Significa non cedere quando Serena si porta in vantaggio nel primo set per 5 a 4, significa applicare la strategia più giusta possibile: gioco vario, buon servizio, risposte pronte, tantissima concentrazione.
Per fare punto Serena spende molte energie. Garbiñe, dal canto suo, non teme lo scambio lungo e anzi spesso lo controlla.
Nella lotta di nervi e in quella della tenuta fisica, la spagnola ha la meglio soprattutto nel secondo set. Garbiñe Muguruza è pienamente cosciente, fredda, marmorea e incontra una Serena Williams di certo sottotono in questa battaglia e forse parzialmente logorata dalla guerra. Per vincere contro Serena non basta la bravura, né rubarle un set. Occorre disponibilità a rischiare, quindi accettare la probabilità di perdere, provando a porsi al suo livello: questa è l’impresa compiuta da Garbiñe Muguruza. Impara a elevare lo stile di gioco, la strategia, sceglie di andare a batterla sul suo terreno.
Ricominciare da Wimbledon
Anche a Wimbledon, nel 2015, la finale è Serena Williams contro Garbiñe Muguruza.
La spagnola assaggia un sostanziale vantaggio solo all’inizio partita, quando si porta subito sul 4-2. Dopo, Serena entra in campo: è ancora quell’animale perfetto che sta volando verso la Storia e non si è ancora spiaccicato a New York, mentre Garbiñe non ha ancora trovato la ricetta giusta per vincere.
Guardando questi scambi a quasi un anno di distanza, a parte la prestazione di superba intensità di Williams, vale la pena tenere a mente da dove Muguruza è partita per costruire le sue vittorie fino a oggi.
Non si tira mai indietro, finché può rimane in partita, a volte infila anche i colpi perfetti, però la personalità da campionessa è ancora in nuce: ha già indossato il vestito buono ma non è capace di starci dentro.
Muguruza perde la sua prima finale di Wimbledon dalla più forte al mondo: per qualcun altro potrebbe essere abbastanza per urlare al grande risultato. Invece, dopo la partita Muguruza è in parte dispiaciuta. Perdere la finale di uno Slam – e che Slam – non è piacevole, né per una tennista d’esperienza né per una giovane e della sua reazione colpisce il rimorso, le lacrime di emozione che si mischiano a quelle di rassegnazione: probabilmente ha pensato di vincere e non esserci riuscita le appare solo un’occasione persa.
Non importa chi c’è dall’altra parte. Avrebbe dovuto vincere. Anche sul campo più difficile e affascinante. Anche contro la migliore del mondo. Anche contro l’invincibile.
Ventidue secondi
Tra i video postati da Garbiñe Muguruza sulla sua app ufficiale ce n’è uno di ventidue secondi del 7 giugno scorso, in cui dalle tribune del campo del Roland Garros, con la coppa tra le mani, la spagnola dice: «Tutti iniziano senza avere niente da perdere. Ora ho lasciato il segno, sono quella da tenere d’occhio». Queste parole contengono tre indicazioni su come, dopo una stagione sulla terra disastrosa, abbia vinto il suo primo Slam, il suo primo Roland Garros.
La prima è il punto di partenza: non la stagione sulla terra da dimenticare ma la sua intera carriera fino alla vigilia del torneo. Prende il posto dell’outsider, anche se nessuno glielo aveva concesso, che le consente meno pressione e meno aspettative da attendere. Diventa quella che non ha mai avuto niente da perdere.
La seconda riguarda la ricostruzione: per lasciare un segno bisogna averne gli strumenti, conoscerlo ed essere capaci di coglierne il significato. Muguruza non poteva fallire questo Roland Garros, sia per i precedenti, sia perché sapeva che non si trattava solo di un torneo o di uno Slam come gli altri, ma del suo momento.
La terza e ultima è il futuro. A Wimbledon, arrivandoci con una coppa pesante in mano, da finalista del 2015 e al numero due del ranking mondiale, il suo obiettivo era di giocare di nuovo al massimo, sapendo di avere le capacità di gestire e la prerogativa di giocare un torneo come questo senza timore, affinché l’Open di Parigi non sia solo un caso, ma incoroni il suo momento.
Ma dopo un primo turno superato con qualche incertezza di troppo contro Camila Giorgi (6-2, 5-, 6-4), Garbiñe Muguruza perde sonoramente la seconda partita contro Jana Cepelova (6-3, 6-2). Disconnessa, approssimativa, arrendevole, durante la conferenza stampa la spagnola ammette che non ha funzionato nulla durante l’incontro e accusa un calo di energie e – addirittura – di motivazione.
Ventidue secondi non bastano per mostrarsi come una campionessa in grado di ripetere il successo appena ottenuto al Roland Garros. Il momento di Garbiñe Muguruza è indiscutibilmente arrivato, lei ha dimostrato una preparazione tecnica e atletica straordinaria su diverse superfici. Ma la caparbietà, la determinazione più pura e la stabilità che accompagnano tutti i grandi campioni nei momenti più delicati e importanti tardano a germogliare. È tutto ciò che manca per riuscire ad attraversare il guado e cominciare a scrivere un altro capitolo che non parli più di promesse ma di certezze.