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Benedetto Giardina
Il laboratorio dove nasce il City di Guardiola
26 ott 2022
26 ott 2022
Reportage dall'Etihad Campus, dove si allena il Manchester City.
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Benedetto Giardina
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Jan Kruger/Getty Images
(foto) Jan Kruger/Getty Images
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«Facciamo gol che fanno uscire l’anima dai seggiolini sugli spalti» si legge sui muri degli spogliatoi dell’Etihad Stadium. È lo stralcio di una poesia, This is the place, a cui Pep Guardiola è particolarmente legato. Lo è a tal punto da cercare ispirazione in ognuno di questi versi, per far capire a tutti che Manchester può essere la loro casa, a dispetto dei chilometri, del clima e della lingua. Perché c’è un posto dove tutti parlano allo stesso modo, con i piedi e col pallone, certo, ma anche con l’alimentazione, con la scuola, con i bambini che si rincorrono tra loro e giocano lì, a pochi passi dai campioni d’Inghilterra. This is the place, appunto. E questo posto, l’Etihad Campus, lo è diventato passo dopo passo. Espandendosi e prendendo vita, assumendo forme nuove, come quella che tra un anno lo porterà ad avere la più grande arena indoor del Regno Unito. Perché il calcio, ancora una volta, è uno strumento e non la base.

Lì si trovano formule, stanze inaccessibili e cancelli sbarrati. Non è un laboratorio, ma poco ci manca. L’Etihad Campus, a tutti gli effetti, potrebbe essere considerato tale. Perché è lì che Guardiola sperimenta ciò che poi, noi tifosi, appassionati e addetti ai lavori, ammiriamo sul campo per mano del suo Manchester City. Che sia una trivela di Cancelo o un laser-pass di de Bruyne, ogni giocata dei "citizens" viene provata, studiata e vivisezionata in questo complesso avveniristico incastonato nella parte est di Manchester, quella storicamente legata al City e diametralmente opposta a quella occidentale, dove si trova Old Trafford e dove si vive per lo United. Ma nella geografia cittadina qualcosa è cambiato, nell’ultimo decennio, ovvero da quando gli investimenti dello sceicco Mansur sono confluiti nel City Football Group e il calcio ha iniziato a prendere una piega globale, sulla spinta delle intuizioni di Ferran Soriano. Il dirigente catalano aveva già pianificato la strategia del network internazionale al Barcellona, che nel 2008 - dopo le sue dimissioni da CEO - presenta un’offerta per l’acquisizione di una franchigia nella MLS a Miami. Non se ne farà nulla, ma nel 2012 Soriano passa al Manchester City ed è il deus ex machina del progetto City Football Group, che un anno dopo sbarca ufficialmente negli Stati Uniti con la nascita del New York City FC.

I club finiti sotto l’ombrello del CFG sono diventati 12 con l’ultima acquisizione del Palermo, ma ben presto diventeranno 13, in attesa che venga ratificata l’operazione per rilevare il 90% delle quote dei brasiliani del Bahia. Alla base di tutto, dalla Sicilia fino a Melbourne, c’è il campus di Manchester, che solitamente non viene aperto alla stampa, ma qualche settimana fa è stata fatta un’eccezione per la visita del Palermo nel pieno della pausa per le Nazionali.

Già in passato si era allenato lì il Girona, club neopromosso nella Liga spagnola, controllato sempre dal City Football Group e il cui CDA è presieduto da Pere Guardiola, fratello di Pep, assente nella settimana in cui hanno lavorato lì i rosanero. Proprio la sua vacanza a Barcellona, in concomitanza con le convocazioni in Nazionale per quasi tutta la prima squadra (l’unico presente era l’infortunato Laporte, nel pieno del percorso di riatletizzazione), ha in qualche modo reso possibile una visita all’altrimenti inavvicinabile Etihad Campus, un complesso già di per sé enorme e in continua espansione. Perché nei prossimi mesi si aggiungerà il più grande palasport del Regno Unito, ai sedici campi indoor e outdoor, più un altro mezzo campo voluto proprio da Guardiola (probabilmente per gli schemi su palla inattiva), una palestra, una club house, uffici per dipendenti e amministratori, fino a un media center che alle 18 chiude e guai se non sei pronto ad andartene perché altrimenti resti chiuso lì (e senza badge puoi sì andare in bagno, ma non hai come uscirne).

A parte le storie di vita vissuta in quella che definire “sala stampa” sarebbe riduttivo, l’attenzione non può che andare sui campi. Parecchi, forse pure troppi, ma essenziali per avere tutto sotto lo stesso sguardo. Il concetto che ha portato alla nascita dell’Etihad Campus è proprio quello dello sviluppo del talento, dalla tenerissima età fino alla prima squadra. Si parte da un piccolo parco giochi che affaccia sul campo 2, quello dove si è allenato il Palermo di Corini nel breve ritiro in terra inglese e lì dove si allena quotidianamente la prima squadra del Manchester City. Proseguendo si arriva alla palestra, al piano terra di una struttura che prevede un campo indoor riscaldato e, al piano di sopra, gli uffici, dove ogni tanto Guardiola si mette a seguire le sedute dall’alto, lasciando il lavoro sul campo al proprio staff. All’ingresso, la prima cosa che si nota è il macchinario per pulire gli scarpini: lì dentro non deve entrare né terra, né erba. Non c’è un giocatore, almeno di quelli rosanero, che non lo abbia utilizzato. Poi, tra banner con lo stemma del City e loghi degli sponsor ovunque, campeggia una scritta motivazionale, di quelle che ormai si trovano in tutte le palestre dei grandi club europei: «Those who forget their past compromise their future».

Foto di Joe Prior/Visionhaus via Getty Images

Non sorprende la presenza di macchinari per l’illuminazione artificiale che permettono all’erba di assorbire luce diretta, qualcosa che si vede sempre più spesso anche negli stadi del nord Italia. Qui si usano anche nel campus, perché il manto erboso deve essere perfetto in allenamento, prima che in partita. «Don’t blame the ball», non incolpare il pallone, è una delle frasi che i giocatori hanno scritto col pennarello su un pallone presente nello spogliatoio dell’Etihad, che tutti toccano prima di entrare in campo, in quella mini palestra utilizzata per il riscaldamento pre-partita tra cyclette e manubri. Decisamente più ampia, invece, quella del campus che dista giusto una fermata di tram dallo stadio, ma per chi volesse arrivarci a piedi c’è un ponte che collega le due strutture. Di storia, se ne respira poca, ma è perché il City sta cercando di costruire la propria epica nel presente: si parte dalle statue di Agüero, Kompany e Silva all’ingresso dello stadio, mentre al campus la strada che collega idealmente i campi della prima squadra a quello dell’Academy è adornata di mosaici che ripercorrono i momenti di gloria dell’ultimo decennio, come l’esultanza di Agüero col QPR, quella di Kompany per il gol al Leicester o quella di Yaya Tourè nella finale di FA Cup contro lo Stoke City. A Tourè è stato dedicato uno dei campi dell’intera struttura ed è ironico che a comandarlo oggi sia un allenatore che di certo non è tra quelli che lo ha amato di più.

L’area dell’Etihad Campus dedicata alla prima squadra conta quattro campi da calcio in erba naturale mista a sintetico, ma va sottolineato come non tutte le superfici naturali (o ibride) presenti nel campus adottino lo stesso sistema. In un’intervista di gennaio al sito PitchCare, il responsabile addetto ai campi Lee Metcalfe li ha elencati in sei campi Desso (dunque con tecnologia GrassMaster), uno SIS, uno Hero Hybrid e cinque Fibresand, per un totale di 13 campi in erba a cui si aggiungono altri 3 campi artificiali. Dal 2021, invece, il terreno di gioco dell'Etihad Stadium è stato rinforzato per la prima volta con un manto erboso SIS Grass, composto al 95% da erba naturale e al 5% da fibre di nylon che vengono introdotte sotto il suolo con un macchinario che sbobina i rotoli all’interno del campo. Qualcuno in realtà dice che la composizione del manto sia leggermente diversa (97% erba e 3% nylon nel caso dell’Etihad) e questo differirebbe anche dai “cugini” dello United, che a breve procederanno al rifacimento totale del campo dell’Old Trafford. A vederlo da vicino, prima della finale del campionato di rugby a 13 vinto dal St. Helens, non ce ne sarebbe nemmeno bisogno, ma ha quasi raggiunto il tagliando dei dieci anni e quindi si procederà con la sostituzione.

Torniamo all’Etihad Stadium, però. Più precisamente negli spogliatoi dell’Etihad Stadium, lì dove prima di entrare si può leggere su un muro una poesia dedicata alle vittime dell’attentato di cinque anni fa alla Manchester Arena, dove si stava esibendo Ariana Grande e dove tra il pubblico si trovavano la moglie e due figlie di Guardiola, rimaste illese. La poesia è la già citata This is the place, di Tony Walsh, che ha colpito Pep al punto da usarla come monito per i suoi giocatori, prima di entrare nel clima partita: «Some are born here, others drown here, but we call it home». Lo si legge, chiaro e in rilievo, sopra le teste dei calciatori nello spogliatoio di casa, un cerchio attorno al quale nessuno è al centro. Un modo per far sentire tutti a casa, perché la parte motivazionale gioca pure un ruolo di rilievo in tutta la preparazione. Da lì la scelta di dare agli ospiti uno spogliatoio grigio, spento, per non cercare di esaltarli troppo (ma con un asciugacapelli e un frigobar in dotazione). Giochini psicologici mutuati direttamente da Johann Crujiff, così come il telone dietro al quale ogni giocatore del City mette un messaggio o un qualunque oggetto che lo leghi ai propri affetti. Prima della partita, si alza il sipario e si ricorda a tutti per quale motivo si scende in campo. Almeno, questo è l’intento.

Piccoli dettagli, quelli che hanno lasciato a bocca aperta i giocatori del Palermo persino per la qualità delle magliette che Puma fornisce al Manchester City (dal prossimo anno sarà fornitore anche dei rosanero, come per altri club del City Football Group). Al di là di ciò che si può vedere in un qualunque tour turistico dell’impianto - bonus track: la maglia con cui Yakubu segnò in un City-Portsmouth del 2003, prima partita di Premier League giocata lì - se si ha un pizzico di discrezione, si può riuscire a scovare qualche segreto dei calciatori di Guardiola. Ad esempio, tutte le bevande energetiche (e non solo) personalizzate per ogni singolo giocatore, dato che una classica Gatorade per molti non basta. A dirla tutta, resta la più gettonata, specie tra i giovani provenienti dall’Academy o tra chi è arrivato da poco (Alvarez e Haaland la bevono in versione Cool Blue), ma c’è chi opta per la Red Bull come Gundogan e chi tracanna dei mix oggettivamente sorprendenti. La scheda di Phil Foden prevede ad esempio un gel isotonico (Tropical SIS nello specifico), caffeina (negli spogliatoi c'è la stessa macchina Nescafe del media center: se amate l’espresso sappiate che c’è di meglio) e cola gummies. Non è uno scherzo e pure chi non frequenta le palestre può dare un’occhiata sul web. Non sono gli orsacchiotti, né tantomeno le nostalgiche Goleador, ma sono dei veri e propri integratori alimentari. Al gusto cola, come piace anche ad Aké, mentre Mahrez li prende all’arancia e mischia con Gatorade e caffeina.

All’Etihad Stadium si arriva tranquillamente in tram, scendendo alla fermata Etihad Campus che, contrariamente alla dicitura, non lascia affatto all’ingresso del campus. Per quello, bisogna scendere alla fermata successiva, Velopark. Almeno, a seconda di dove si voglia entrare, perché altrimenti potrebbe convenire andare a quella dopo ancora, Clayton Hall. Nulla di strano, a Manchester. La stessa cosa succede a Old Trafford, nome dello storico campo da cricket e della fermata del tram che dista 800 metri dallo stadio dello United, per il quale conviene invece scendere a Wharfside, se non si prende il treno che lascia proprio sulla Sir Matt Busby Way. Con un po’ di buona volontà, si può pure andare da uno stadio all’altro con una sola linea, prendendo la Blue Line a Pomona (quasi un chilometro a piedi da Old Trafford) e da lì fare otto fermate in direzione Ashton-Under-Lyne. In una ventina di minuti, si passa idealmente dalla casa dello United a quella del City. Anzi, alle case del City, perché oltre all’Etihad Stadium c’è il campo dell’Academy, dal quale si può entrare direttamente dal media center e dagli uffici, con le finestre che mostrano proprio il terreno di gioco dal lato della tribuna. Può arrivare ad ospitare 7.000 spettatori ed è stato scelto dalla UEFA come una delle sedi dell’ultimo Europeo femminile (ci ha giocato l’Italia, contro Islanda e Belgio), a riprova degli standard elevati dell’intero impianto. Perché i ragazzi e le ragazze che ci giocano abitualmente sono gli stessi che dovranno, un giorno, scendere in campo in Champions League per competere ai massimi livelli.

Foto di Conor Molloy/News Images

La visione di base è uguale per tutti, senza discriminazioni di sorta. Se sei al Manchester City e sei all’Etihad Campus, hai le migliori condizioni possibili per esprimerti al meglio con un pallone tra i piedi. Oppure tra le mani, ma questo lo si vedrà tra un anno circa. Perché sempre nella stessa area, è prevista per la fine del 2023 l’apertura della Co-op Live, un’arena indoor dedicata a basket, tennis, atletica, netball ed esports, altra frontiera su cui i "citizens" si sono rivelati pionieri (la sezione è attiva dal 2016) così come per il metaverso, dato che tra i progetti in cantiere c’è la creazione di uno stadio virtuale con posti illimitati.

L’Etihad Campus è in espansione continua, nel mondo reale e virtuale. Il palazzetto, che sarà il più grande del Regno Unito, potrà ospitare fino a 23.500 persone e oltre che per lo sport, sarà utilizzato anche per i concerti. Più grande della Manchester Arena, teatro di una disgrazia per tante famiglie, che ha unito l’anima blu e l’anima rossa di una città in continua competizione con sé stessa. Una città che Guardiola, da quella sera, considera ancor di più il suo posto nel mondo.

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