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Andrea Minciaroni
La Vuelta è stata meglio del Tour
09 set 2016
09 set 2016
Alla Vuelta sta succedendo tutto quello che stavamo aspettando al Tour de France.
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Andrea Minciaroni
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Per un pubblico che non segue il ciclismo con grande costanza la Vuelta a España può apparire come la grande corsa a tappe più sfigata della stagione. Rispetto al Giro d’Italia e al Tour de France la corsa spagnola suscita meno interesse del Giro d’Italia e soprattutto del Tour de France.

 

Ma non è solo il pubblico generalista a snobbare la Vuelta. La maggior parte dei corridori preferiscono concentrarsi su Giro e Tour, preparandosi per arrivare fisicamente all’apice della condizione per quei due appuntamenti. La maglia rossa, nonostante una lunga storia alle spalle, non possiede lo stesso fascino della maglia gialla o della maglia rosa. Eppure la Vuelta è una corsa di tutto rispetto, anche se meno dura del Giro, e meno prestigiosa del Tour: è forse la più imprevedibile tra le tre.

 

L’anno scorso, per dire, a vincerla poteva tranquillamente essere Tom Dumoulin: un corridore che non è mai stato competitivo in un grande giro e che è riuscito invece a rubare la scena ai favoriti di turno, sfiorando per poco un traguardo impensabile. Nel 2012, invece, Alberto Contador l’ha vinta con un’azione surreale, strappando la vittoria a Joaquim Rodriguez in una tappa pianeggiante, spostando i confini della battaglia ciclistica dalla montagna alla pianura.

 

Le ultime edizioni della Vuelta (e a questo punto non possiamo non citare anche la sorprendente vittoria di Horner nel 2013) ci hanno abituato quindi a non sottovalutare questa corsa, ma a considerala invece come il palcoscenico ideale per la follia. Quest’anno si è ripetuto più o meno lo stesso copione. Mentre tutti aspettavamo il Tour de France, rivelatosi poi uno dei più noiosi di sempre, la Vuelta è stata fin qui una corsa scoppiettante e, grazie ai suoi interpreti, ancora una volta imprevedibile.

 

Un paio di tappe sono bastate a farci dimenticare un Tour soporifero, regalandoci dei colpi di scena che hanno elevato o schiantato lo spessore dei suoi protagonisti. Ci riferiamo in particolare al terzetto più atteso di questa edizione: Nairo Quintana, Chris Froome e Alberto Contador.

 


Dopo aver deluso al Tour de France, ha iniziato a nascere l’idea di Nairo Quintana come corridore sottovalutato, o o addirittura un perdente. Difficile dire una cosa simile su un corridore che ha conquistato un Giro d’Italia ed è salito per due volte sul podio del Tour de France. È vero però che negli ultimi anni Quintana ha deluso le aspettative. Per due anni consecutivi, 2015 e 2016, non ha raggiunto il suo vero obiettivo: diventare il primo corridore colombiano della storia a vincere un Tour de France. L’ostacolo a questo risultato ha un nome e cognome precisi: Chris Froome.

 

Quintana non è mai riuscito a contrastare la forza del britannico e del suo team, la Sky. Questo non gli ha solo impedito di vincere il Tour ma ha anche incrinato in parte i giudizi nei suoi confronti di tutti quelli che in questi anni stanno tifando gli antagonisti di Froome.. Additato come un corridore con pochi attributi, incapace di sostenere mentalmente, oltre che fisicamente, le fatiche di una corsa come il Tour.

 

Non sono però stati solo i risultati a deludere ma anche il modo in cui sono arrivati. Quintana ha sempre dato l’impressione di non aver mai spinto l’acceleratore al massimo, come se non avesse mai provato a superare i propri limiti, più convinto invece a conservare lo stato quo di un podio che a rischiare tutto anche al costo di saltare e uscire fuori classifica.

 


Mont Ventoux 2013, una di quelle poche occasioni in cui è difficile rimproverare Quintana per non aver dato tutto.


 

Per Quintana questa Vuelta è stata una rinascita, una sorta di purgatorio dove espiare le prestazioni deludenti degli ultimi anni. Il colombiano ha dato prova di forza, coraggio, acume tattico e personalità. Tutte le qualità che gli sono mancate lungo le strade francesi le ha invece riversate in Spagna, con una rabbia che gli ha permesso - oggi che mancano solo tre tappe alla conclusione - di accumulare un vantaggio considerevole nei confronti dei suoi avversari.

 

Oggi Quintana è il padrone della Vuelta, e nessuno sembra in grado ora di scalfire il suo vantaggio. A meno di eventi clamorosi (vedi Giro d’Italia di quest’anno) porterà la maglia rossa fino alle strade di Madrid. Quella di Quintana è stata una vittoria costruita meticolosamente, facendo leva sulla sua principale caratteristica: l’abilità in salita. Abituato fin da bambino a percorrere dislivelli pazzeschi in bicicletta per andare a scuola, il colombiano è anche geneticamente lo scalatore per eccellenza: piccolo, snello, agile. Il suo corpo si adatta alla perfezione a scalare le montagne: caricando meno peso possibile sulla bici, Quintana è in grado di sprigionare sui pedali una tale forza, e al tempo stesso resistenza, che gli permettono di raggiungere ritmi che pochi corridori riescono a sostenere.

 

Ritmi che durante la Vuelta ha raggiunto in diverse occasioni, come nelle decima tappa da Lugones a Lago di Codovonga. Nell’ultima salita di giornata, 12 km con una pendenza media del 7% e strappi fino al 10%, nessuno è riuscito a tenere la sue ruote. Anche Chris Froome è andato in difficoltà, cedendogli diversi secondi. Un azione che ha permesso a Quintana non solo di vincere la tappa ma, cosa ancora più importante, di balzare in testa alla classifica generale vestendo la maglia rossa come leader della generale. Maglia che non ha più smesso di indossare.

 

Anche sui Pirenei nessuno è riuscito a dargli fastidio. In una delle tappe più belle di questi mesi, la quindicesima da Sabinanigo ad Aramon Formigal, non solo Quintana è riuscito a mettere in difficoltà i suoi avversari dominando le salite di giornata, ma ha soprattutto dato prova di coraggio e spregiudicatezza, qualità che in molti gli hanno rimproverato di aver smarrito durante gli ultimi due Tour.

 

Finalmente è riuscito a mettere la sua ruota davanti a quella di Froome.


 

Sfruttando l’attacco commovente di Alberto Contador, partito a più di 100 km dal traguardo, Quintana ha dato una spallata definitiva alle ambizioni di vittoria di Chris Froome. Il britannico era forse troppo convinto di poter recuperare in un secondo momento sulla coppia di testa e non ha seguito l’azione dei due. Al termine della tappa, il colombiano è riuscito a guadagnare 2’40” da Froome e 40” dallo stesso Contador.

 

La tappa che in pratica ha chiuso i giochi per la vittoria finale, definita da

come “la più pazza degli ultimi anni”. A pochi giorni dalla fine Quintana è ancora saldamente in testa alla classifica generale, e la sua personale rivincita su Chris Froome sta per concludersi.

 


Chris Froome ha dimenticato il concetto di sconfitta. Abituato a distruggere i suoi avversari attraverso le sue “frullate” – il termine indica l’elevata frequenza di pedalate che è in grado di imprimere anche durante pendenze impegnative - Froome è oggi il corridore principale da battere in una corsa a tappe. Quintana ha dovuto aspettare due anni per prendersi la rivincita nei suoi confronti. In questa Vuelta Froome, da macchina indistruttibile è tornato a vestire le debolezze dell’uomo: fragile, impotente, impaurito.

 

Dopo la recente conquista del suo terzo Tour de France, il britannico ha preso parte alla Vuelta con l’unico obiettivo possibile per un corridore della sua portata: la vittoria. Un obiettivo che ha dovuto improvvisamente cedere proprio al suo principale avversario. Per una persona così meticolosa, attenta ai dettagli, quasi ossessionata dalla preparazione e dal controllo, non solo una sconfitta ma quasi una dramma esistenziale.

 

Ci sono corridori a cui non basta vincere ma che si nutrono della possibilità di oscurare gli avversari, di annichilirli. Froome è tra questi: gli avversari vanno sì rispettati, poi però devono essere demoliti, annullati, gettati nell’oblio.

 


Il concetto di 'demolizione' secondo Froome.


 

Sarà stata la fatica accumulata durante il Tour de France, il mancato supporto della Sky, o semplicemente la superiorità di Quintana, fatto sta che Froome ha dovuto alzare bandiera bianca. Dopo aver vinto un Tour, preso parte ad un Olimpiade (seppur deludente), il termine sconfitta non andrebbe neanche preso in considerazione.

 

Ma Froome ci ha abituato a ragionare così. Il ritardo accumulato nei confronti di Quintana è troppo elevato e nonostante ci sia ancora da correre una cronometro a lui più favorevole appare quasi impossibile poter recuperare vantaggio nei confronti del colombiano. L’obiettivo di vincere Tour de France e Vuelta nello stesso anno sembra ormai sfumato.

 


Oltre ai corridori che dominano ci sono quelli per cui non è solo importante vincere ma anche lasciare una traccia indelebile. Alberto Contador è uno di loro. A quasi trentaquattro anni, nel momento in cui la sua carriera si avvia al tramonto, il madrileno continua a ricordarci il bello del ciclismo. Se le gambe e il fisico non rispondono più come ai tempi d’oro, alcune cose restano le stesse di sempre: la fantasia, il coraggio, il cuore.

 

Alberto Contador non vincerà la Vuelta, potrà al massimo ambire a salire al podio, ma quello che ha messo in mostra in questi pomeriggi di fine estate resterà a prescindere. Passano gli anni, ma la storia continua a ripetersi come un loop infinito: quando c’è Contador in gruppo può accadere qualsiasi cosa. La quindicesima tappa di questa Vuelta ne è l’esempio perfetto.

 

Nella frazione più corta di questa edizione, solo 108 km da Sabinanigo ad Aramon Formigal, il pistolero ha interpretato una gara folle. Dopo solo sei km è partito all’attacco insieme ad altri quattordici corridori – tra cui Brambilla, vincitore di giornata - spezzando il gruppo e dando il via all’azione che ha ridisegnato in modo considerevole la classifica generale di questa Vuelta.

 


L’attacco del pistolero a 111 km dall’arrivo.


 

Un attacco portato a termine anche grazie al contributo di Nairo Quintana, che ha dato una spallata quasi definitiva alla Vuelta di Froome distanziandolo di oltre due minuti. Al traguardo Contador ha dichiarato «Sapevo che sarebbe stato difficile, le pendenze non erano molto importanti, così abbiamo deciso di cominciare a pieno ritmo. Ero consapevole che sarebbe stata una scommessa pericolosa, perché se mi avessero raggiunto poi nel finale avrei pagato. È stata una scommessa e penso che abbia portato ad un grande risultato. All’inizio sono stato generoso, ho tirato con forza, ma penso di aver fatto la cosa giusta».

 

Con questa azione Contador è riuscito a recuperare lo svantaggio accumulato nei giorni precedenti nei confronti dei suoi avversari, e adesso è quarto con soli cinque secondi di ritardo da Chaves terzo delle generale. Il podio sembra un risultato possibile, ma a lui non interessa più di tanto. Contador ha infatti più volte ribadito «Il mio obiettivo non è il podio. Naturalmente, vincere è davvero difficile perché Nairo Quintana è fortissimo e ha una squadra altrettanto competitiva, oltre ad un grande vantaggio su di me. Inoltre ci sono altri due corridori davanti. Comunque darò tutto me stesso fino alla fine e vedremo come finirà a Madrid».

 

Quello che stupisce di Contador non è solo il suo carattere, quella straordinaria determinazione con cui ci ha abituato a strizzare l’occhio ogni volta che si alza sui pedali, ma anche la sua continuità, la coerenza, nel bene e nel male, del suo modo di correre.
Nella decima tappa, da Lungones a Lagos de Covadonga, lo spagnolo è arrivato al traguardo con un minuto di ritardo da Nairo Quintana. Un ritardo dovuto a un errore tattico: una valutazione sbagliata della sua condizione, apparsa già precaria dopo la caduta dei giorni precedenti.

 

A 7 km dal traguardo Contador è stato uno dei primi a partire dal gruppo della maglia rossa, seguendo e attaccando ripetutamente Nairo Quintana, riprendendo poi i fuggitivi di giornata. Un forcing che ha pagato nei km successivi: Contador è arrivato ottavo al traguardo, superato anche da Chris Froome.
Il giorno dopo, durante la conferenza stampa, Contador ha dichiarato: «Ieri dovevo essere più cauto, se fossi rimasto a ruota avrei fatto una mossa più intelligente. Questo, tuttavia, è il mio modo di correre e non è facile cambiarlo. Ora le possibilità di vittoria sono poche, ma dobbiamo cogliere le occasioni che ci saranno in corsa». Senza quell’errore Contador oggi avrebbe un vantaggio maggiore nei confronti dei suoi avversari. Difficile dire se quella è stata la giornata che ha chiuso la possibilità di una sua vittoria finale, probabilmente no, ma gestendo meglio la situazione adesso lo spagnolo avrebbe avuto ancora qualche carta da giocarsi.
Ma Contador è questo, e chi ha il coraggio di continuare a rischiare merita solo amore.

 

 

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