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Gian Marco Porcellini

La stagione in cui Koeman si gioca tutto

L'Everton ha un progetto molto ambizioso ma ha iniziato la stagione con grandi difficoltà.

«Non è abbastanza dire ‘siamo speciali’. Non vogliamo essere un museo. Abbiamo bisogno di essere competitivi e vincere. Il campionato è il luogo in cui verrà misurato il nostro valore». Queste le parole che misurano l’ambizione di Farhad Moshiri, che nel febbraio del 2016 ha rilevato il 49,9% delle quote societarie dell’Everton. L’imprenditore iraniano ha investimenti in Gran Bretagna e Russia e un patrimonio stimato da Forbes in 1,79 miliardi di dollari (26° più ricco del Regno Unito) e ha subito indicato nell’equilibrio attuale della Premier League un’opportunità per l’Everton: «Non c’è mai stata una maggiore parità in Premier League di adesso».

 

La mobilità verso l’alto dei campionati negli ultimi anni sembra essersi ulteriormente congelata, a causa di fatturati sempre più diversi fra loro, e l’Everton, forse della ricchezza generale prodotta dalla Premier League, vuole rompere questo immobilismo. Inserirsi nell’elite del calcio inglese e attentare alla leadership delle big 6 (Chelsea, i due Manchester, Tottenham, Arsenal e i cugini del Liverpool), cosa che negli ultimi 12 anni si è verificata 5 volte, con un quarto posto nel 2005 come miglior risultato, ma che sembrava impossibile in un contesto in cui tutte investono tanto e cercano di consolidarsi attorno a progetti tattici ambiziosi. Il tecnico, Ronald Koeman, a fine maggio non si è nascosto, parlando di Champions League come obiettivo per la stagione in corso e di “big ambitions”.

 

Un mercato originale

Queste ambizioni si traducono innanzitutto nella volontà da parte di Moshiri di costruire un nuovo stadio nella zona di Bradley Moore Dock entro il 2020; ma poi anche in una sessione di calciomercato da oltre 150 milioni di euro, solo parzialmente colmati dalla partenza del cannoniere delle ultime 4 annate, Romelu Lukaku.

 

In realtà se ne sarebbe dovuto andare anche l’altro perno dei royal blue, il classe ‘93 Ross Barkley, che ha manifestato apertamente l’intenzione di lasciare il club dopo aver rifiutato il prolungamento del contratto in scadenza nel 2018. Ma proprio quando Everton e Chelsea nelle ultime ore della finestra estiva si erano accordate sul trasferimento, il giocatore ha fatto marcia indietro, facendo saltare l’operazione. I media inglesi hanno riferito che Barkley ci abbia ripensato addirittura nel corso delle visite mediche, ma il diretto interessato ha smentito la notizia via Twitter.

 

 

Il dato interessante di queste operazioni è che i “Toffees” si sono mossi in controtendenza rispetto al trend della Premier League, caretterizzata dai canoni dell’atletismo e dell’intensità. Mentre il Manchester UTD metteva in piedi un undici abbastanza atletico da poter combattere una guerra, e mentre il Liverpool aumentava ulteriormente la forza cinetica del proprio attacco, l’Everton si è concentrata ad aumentare il tasso tecnico della squadra. Rappresentativa in questo senso la sostituzione di Romelu Lukaku – in grado di distruggere in solitudine intere difese – con Sandro Ramirez, un attaccante spagnolo tecnico ed estremamente associativo. A lui è stato affiancato, Wayne Rooney, a 12 anni di distanza dalla sua partenza in direzione Old Trafford: non solo una mossa nostalgica però, visto che Rooney è un altro giocatore tecnicamente completo, che aggiunge qualità tanto nella rifinitura quanto nella definizione.

 

L’hype del ritorno di Wazza ha fatto passare in secondo piano altri due innesti negli ultimi due terzi di campo funzionali alle caratteristiche delle punte. Vale a dire i teorici sostituti di Barkley: Gylfi Sigurdsson e Davy Klaassen, due centrocampisti in grado di cucire e finalizzare l’azione inserendosi da dietro. Se l’islandese è un giocatore abituato al battere e levare della Premier, dove è riuscito a trovare la sua dimensione nonostante il ridotto atletismo, grazie soprattutto alla qualità del suo destro, l’olandese è un giocatore abituato a un calcio posizionale. Klaassen ha un fisico leggero e non spicca in nessun aspetto particolare del gioco, se non per una raffinata intelligenza nelle letture che lo rende un oggetto quasi esotico nel calcio contemporaneo. Quella di Klaassen è una scommessa ambiziosa, che per la sua peculiarità ci dà più di un indizio sul calcio che ha in mente Koeman.

 

La campagna trasferimenti è stata contraddistinta anche dalla futuribilità degli acquisti: tolto Rooney, l’età media dei nuovi arrivi è di 23,1 anni. Tra questi vale la pena citare il trequartista classe ’97 Nikola Vlasic, il portiere rivelazione della passata Premier League Jordan Pickford e il centrale difensivo ex Burnley Michael Keane, un difensore roccioso nelle fasi di difesa posizionale.

 


La parata che ha convinto l’Everton a puntare su Pickford.

 

Nonostante le richieste esplicite del tecnico olandese, non è arrivata un’altra prima punta necessaria per affrontare al meglio quattro competizioni (l’Everton si è qualificato per l’Europa League dopo aver eliminato nei due turni preliminari Ruzomberok e Hajduk Spalato); cosa che ha costretto Koeman a reintegrare in prima squadra dell’attaccante ivoriano Oumar Niasse, reduce da un 2016-17 da separato in casa (fino a dicembre con la formazione U23, poi in prestito all’Hull City).

 

Lavori in corso

Il progetto di Koeman è suggestivo e ambizioso, specie in un campionato come la Premier League, dove la praticità – sotto forma di ritmo e atletismo – tende a pagare più di un gioco di controllo del pallone. Arrivati a metà settembre, dopo appena un mese dall’inizio della stagione, è presto per tirare delle conclusioni ma vale la pena fare un punto sul percorso, per capire anche quale potrebbe essere la metà.

 

L’idea è innanzitutto migliorare la costruzione bassa, troppo insicura la passata stagione. L’Everton punta a consolidare il possesso con tranquillità soprattutto aumentando la densità di uomini in zona centrale, appoggiandosi poi su Rooney. L’ex United, scendendo sulla linea dei centrocampisti, può portare fuori posizione un avversario per poi sfruttare la sua abilità nel gioco lungo per favorire l’inserimento di un compagno nello spazio da lui liberato.

 

In realtà il 3-4-2-1 fluido con cui Koeman ha inaugurato l’anno, con Rooney sul centro destra, più uno tra Sigurdsson e Klaassen sull’altro lato in appoggio a Sandro, ha deragliato già nel primo terzo di campo. Principalmente proprio a causa degli impacci dei centrali difensivi nella gestione della palla (qui ad esempio Jagielka non se la sente di servire Klaassen prima e Sandro poi, optando per due passaggi laterali che abortiscono due azioni potenzialmente interessanti). Le difficoltà tecniche dei 3 dietro contro formazioni più aggressive è sfociato in una serie di rilanci del pur bravo Pickford – l’ex estremo difensore del Sunderland è addirittura il sesto elemento della rosa per numero di passaggi eseguiti, 38 – mentre in spazi più ampi costringe ad accartocciare le altre due linee sulla difesa per rendere possibile la trasmissione della palla, togliendo però profondità alla manovra.

 

Se lo scopo di questo possesso paziente dovrebbe essere quello di trovare scoperti gli avversari sul lato debole, alla fine il brutto scaglionamento degli uomini non permette di andare in verticale e fa ristagnare il tutto in una circolazione perimetrale.

 

 

 

I difetti dei Toffees sintetizzati in una trentina di secondi: Davies recupera palla ad una buona altezza e va da Rooney, che non ha un riferimento su cui appoggiarsi e allarga su Holgate. L’azione prosegue con una pigra circolazione della sfera in orizzontale, che alla fine torna da Pickford. I numeri sono emblematici: in Premier l’Everton è terzultimo per tiri a partita, appena 8,8.

 

In questo contesto Rooney diventa la stella polare su cui provare a sviluppare il possesso e, malgrado siano lontani gli anni del suo massimo vigore atletico, viene spremuto come un limone e chiamato a coprire oltre 50 metri di campo. Arriva ad abbassarsi alla linea mediana per aiutare l’uscita palla della difesa, invertendo la propria posizione con l’interno destro Gueye, e in un contesto così arido prova a moltiplicare le linee di passaggio il più possibile. Davanti a lui però la squadra non si muove in modo coordinato, e i movimenti senza palla di Sandro ancora risultano avulsi rispetto al contesto.

 

AAA cercasi profondità: non solo non c’è nessuno a riempire l’area o a proporsi negli half spaces, ma qui addirittura Rooney e Sandro pestano le stesse zolle.

 

Se le cose vanno male per la profondità, non vanno meglio per l’ampiezza. Del resto Holgate e Baines per caratteristiche sono due terzini restii ad alzarsi sopra la linea della palla sull’inizio azione (il primo per caratteristiche, il secondo per limiti d’età).

 

Fedele alla flessibilità che lo ha contraddistinto nel corso della sua esperienza in panchina, Koeman, dopo che già contro lo Stoke e il Manchester City aveva tolto a gara in corso un difensore per un centrocampista, per provare ad avanzare il baricentro nell’ultima giornata di campionato contro il Tottenham, è passato al 4-2-3-1. Un sistema più semplice da proporre a livello di spaziature, in cui ha messo dentro tutto il talento offensivo a disposizione: Rooney a destra, Sigurdsson a sinistra e Klaassen dietro a Sandro. Il sistema è diventato ovviamente più liquido, con i 4 davanti a scambiarsi posizione di continuo, ma ai limiti della schizofrenia, con Rooney e Sigurdsson a volte troppo attratti verso il centro. La manovra è diventata anche più diretta, per assecondare le qualità dei 3 centrocampisti, diverse da quelle più riflessive di Barkley.

 

 

 

La migliore azione dell’Everton in queste 4 giornate di Premier.

 

L’obiettivo di alzare la linea del possesso è naufragato però a monte, di nuovo sulla costruzione bassa, messa in crisi dalla pressione sistematica del Tottenham. Anche la cerniera di centrocampo Schneiderlin-Gueye è stata abbastanza scolastica come distribuzione e non ha migliorato il possesso. Per dare un quadro delle difficoltà di una squadra che partiva con l’ambizione di controllare il pallone: due settimane fa contro il Manchester City, avanti di un gol e in superiorità numerica per tutto il secondo tempo, l’Everton ha completato la miseria di 90 passaggi in 45 minuti, 160 in meno degli uomini di Guardiola.

 

Oltre a non brillare nella distribuzione, la linea mediana sta soffrendo molto anche in fase difensiva. Koeman ha oscillato tra orientamento sull’uomo (contro il City) o sulla palla (Tottenham), ma sempre con scarsi risultati. Per fortuna la retroguardia si sta dimostrando discretamente efficace nella copertura dell’area (Williams e Keane superano le 13 spazzate complessivi ogni 90’).

 

 

 

Le difficoltà dell’Everton nel coprire i mezzi spazi: nella prima situazione, Gueye è in asse con Schneiderlin e lascia sguarnito il centro destra, che diventa terreno di caccia per Eriksen. Nella seconda lo stesso senegalese non si accorge del movimento di Pedro alle sue spalle, mentre nella terza Davies prova a rimediare alla passività di Rooney, uscendo su Rudiger. Ma così facendo si stacca da Willian, libero di ricevere.

 

Rischiatutto

Per uno stato dell’arte così deficitario, la buona notizia è che la lunghezza della rosa garantisce varie opzioni. Innanzitutto, però, Koeman deve decidere che strada battere. E capire se Rooney, Sandro, Sigurdsson e Klaassen siano compatibili tra loro, e se con loro in campo il collettivo non perda compattezza (sia in termini di lunghezza media, che di difesa posizionale) e ampiezza.

 

Ammesso che l’idea sia quella di arrivare ad una squadra più diretta, un compromesso potrebbe pescare dalla sua batteria di ali (Mirallas, Lennon, Lookman o l’infortunato Bolasie) e rinunciare ad uno dei 4 elementi offensivi (Sandro?) per ripartire da un esterno puro che possa regalare maggiore ampiezza e superiorità numerica, avvicinando così Rooney alla porta. Se invece il tecnico volesse davvero impostare un calcio posizionale a quel punto avrebbe bisogno di Barkley. Il numero 8 è stato inserito nella lista per l’Europa League, ma il 19 luglio è stato operato all’inguine, starà fuori almeno altri due mesi e, a suo dire, nell’ultima sessione di mercato ha preferito temporeggiare per valutare il suo futuro a gennaio quando sarà di nuovo in forma.

 

Quella del calcio posizionale non è la strada tattica più redditizia in questo momento in Premier League. Lo hanno dimostrato le difficoltà di Guardiola al suo primo anno, e bisognerà vedere se Koeman avrà davvero il coraggio di portare avanti un progetto così ambizioso anche di fronte alle difficoltà mostrate in questo inizio di stagione, e al di là dei problemi strutturali della rosa.

 

In ogni caso è difficile immaginare l’Everton capace di lottare per un piazzamento in Champions; lo stesso Koeman a metà agosto ha ammesso che la sua rosa non è all’altezza delle prime sei: un dato che le prime partite del campionato, irte di scontri diretti, sembra aver confermato. L’obiettivo minimo sarà semmai confermare il settimo posto della passata stagione – che vale l’accesso ai play-off di Europa League – e rosicchiare, se possibile, ancora un po’ il gap dalle prime. Il calendario, dopo il ciclo terribile contro le candidate alla Premier, che si concluderà domenica con la sfida esterna col Manchester United, prevede fino a dicembre una serie di incontri più abbordabili su cui costruire la propria classifica.

 

In Europa League invece Koeman, stando alle quote delle agenzie di scommesse, parte un paio di gradini sotto alle favorite, Arsenal e Milan. Ma in una competizione ad eliminazione diretta, più episodica e risolta talvolta dai colpi dei singoli, i pronostici possono essere sovvertiti con relativa facilità.

 

La campagna europea si apre con la partita di stasera contro l’Atalanta, una delle formazioni tatticamente più peculiari in Europa. Per la squadra di Gasperini è il miglior momento possibile per affrontare gli inglesi, indietro a livello tecnico e fragili mentalmente, al punto che il suo allenatore in seguito ai 3 gol subiti in 18 minuti col Tottenham ha ripetuto la parola “sicurezza” come un mantra da trasmettere ai suoi giocatori. Per questo Gasperini avrà la possibilità di imporre il suo contesto tattico preferito, ovvero trasformare la partita in una lunga serie di duelli individuali, grazie a cui aggredire l’inizio azione avversario e isolare i giocatori di maggior talento dell’Everton. L’Atalanta delle prime partite ha però rivelato qualche problema di qualità, che invece non manca all’Everton.

 

Koeman in passato ha già fallito, al Benfica e soprattutto al Valencia, quando Albelda augurava all’olandese un futuro sulla panchina del Barcellona per indebolire i blaugrana. Per Koeman, insomma, sarebbe importante fare bene in Europa, mostrando anche un gioco convincente, in un momento della sua carriera ancora un po’ in bilico tra l’élite europea e il limbo che la precede. Un po’ come l’Everton, che da tempo sembra pronto a scalare le gerarchie della Premier League ma che dimostra ogni anno quanto difficile sia quell’ultimo, decisivo salto verso le grandi squadre del proprio campionato, così vicine ma così lontane.

 

 

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Gian Marco Porcellini è nato nel 1990 e vive in provincia di Rimini. Ha collaborato con la redazione sportiva de “Il Corriere Romagna” e sogna vanamente di vedere un giorno il Rimini in Serie A.