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Foto di Alain Jocard / Getty
Calcio Daniele V. Morrone 8 agosto 2017 7'

La sfida di Neymar

Al PSG il brasiliano avrà una squadra tutta per sé, ma dovrà dimostrare di esserne all’altezza con continuità.

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Quando Neymar si è caricato il Barcellona sulle spalle nella storica rimonta contro il PSG, quella che solo lui credeva possibile, ha toccato il punto più alto della sua carriera in Europa. Per un momento ha raggiunto ciò a cui sembrava da sempre destinato: guidare, da solo, una delle migliori squadre al mondo, oltre un ostacolo che sembrava insormontabile. 

La partita finisce e, tra i festeggiamenti generali, Messi, in lacrime, si erge sui cartelloni davanti ai tifosi festanti, che allungano le mani provando a toccarlo come di fronte a un’apparizione mistica.

 

La fotografia che ne esce, una delle più iconiche della storia del Barça, è ancora oggi appesa al Camp Nou: nel punto più alto della storia di Neymar, l’immagine è comunque quella di Messi invocato dai tifosi festanti. Forse è quello il momento in cui Neymar ha capito di voler andare via da Barcellona, secondo quanto scritto sia da Ramon Besa su El País che da Sid Lowe sul Guardian.

 

 

Quasi il migliore al mondo, ma non ancora

 

Neymar è probabilmente il miglior giocatore al mondo nato dopo il 1990, di certo il più creativo e dotato a livello tecnico. Il problema fondamentale è che la sua generazione si interseca con quella di Messi, che è ancora relativamente giovane per poter essere scalzata facilmente. Il futuro a breve termine è ancora dell’argentino e a poco sono servite le rassicurazioni sul fatto che quello a lungo termine fosse di Neymar. Avendo già vinto tutto quello che si poteva vincere accanto a Messi, e non potendolo scalzare come miglior giocatore del Barcellona (con tutto quello che ne consegue dal punto di vista economico), Neymar ha scelto di andare via, prendere una squadra tutta per sé, guadagnare più di lui e sfidarlo per il trono del più forte.

 

Se l’impatto economico e politico di questo trasferimento sul calcio europeo è così colossale che le sue ramificazioni potranno essere analizzate solo tra qualche anno, dal punto di vista sportivo la questione è molto semplice: il Barcellona perde il suo secondo miglior giocatore e il PSG si assicura uno dei migliori giocatori del mondo. Quando è in forma.

 

 

Neymar non ha ancora concluso un’intera stagione al picco della forma atletica e mentale. La vita – a quanto pare movimentata – fuori dal campo e la scarsa serietà in allenamento (una situazione che ha portato il vice allenatore Unzué ad avvisarlo che rischia di finire presto la carriera “come Ronaldinho”) incidono sulla forma ondivaga delle sue prestazioni durante l’arco della stagione. Prima o poi arrivano, però, un paio di mesi di picco nei quali Neymar diventa un giocatore inarrestabile. Un momento di forma che dovrebbe provare a rendere costante per ambire allo status di migliore del mondo.

 

Prendiamo la stagione appena passata. Complici le Olimpiadi, che gli hanno assorbito energie fisiche e nervose, ma anche una preparazione mirata a tornare in forma per la primavera 2017, le prestazioni nella prima parte della scorsa stagione sono state irregolari, a voler essere generosi usando un eufemismo.

 

Sia nei numeri che nel rendimento, la seconda parte del 2016 è stato un brutto periodo per Neymar con il Barcellona, bilanciato però da una prima parte del 2017 che ci ha regalato uno dei migliori Neymar della carriera. È in quegli ultimi mesi forse che Neymar ha trovato la confidenza di poter affrontare questo trasferimento.

 

Nel Barcellona il ruolo di Neymar è stato definito attraverso due macro funzioni in cui è – appunto – secondo solo a Messi: dribbling e definizione. Nel finale della scorsa stagione, grazie anche a un sistema che gli avvicinava Messi, Neymar è tornato a rendere al massimo concentrandosi su queste due funzioni, aiutato dall’argentino che si occupava dell’esecuzione delle letture precedenti. Ma forse il talento di Neymar non può essere ristretto a una zona di comfort in cui può limitarsi a dribblare e a concludere.

 

Quando torna in Brasile, e ancora di più quando nel Barça non c’è Messi, il gioco di Neymar assume una ricchezza che va ben oltre.

 

 

Neymar senza Messi

 

Messi ha saltato solo tre partite in Liga nella scorsa stagione: poche per poterle prendere come esempio del Neymar attuale. Soprattutto perché l’assenza di Messi non ha coinciso con il picco atletico e mentale del brasiliano, che anche se ha segnato tre gol in tre partite (una doppietta nella vittoria con lo Sporting e un gol nella sconfitta contro il Celta) non ha approfittato in pieno del ruolo di prima stella, almeno non come fece nelle settimane senza Messi due anni fa. È comunque utile partire da quelle partite per poter definire meglio che contesto Emery dovrà preparare al PSG per il brasiliano.

 

Quando, in assenza di Messi, Neymar è stato l’epicentro creativo della squadra, portandosi nella fascia centrale del campo con continuità, il ritmo del gioco del Barcellona diventava più alto. Il Barcellona perdeva controllo e precisione in favore di velocità di esecuzione e creatività pura. Nel ruolo di dribblatore e definitore Neymar è a suo agio, libero di sbagliare, eppure ancora lontano dal tipo di calcio che sente dentro quando è messo al centro del sistema. Una situazione in cui il suo calcio è infinitamente meno efficiente di quello di Messi, ma che funziona se messo nelle giuste condizioni visto l’enorme talento.

 

 

Ecco un esempio contro lo Sporting Gijón. Neymar occupa la fascia centrale e mette il suo dribbling al servizio di un Barcellona più verticale. Quando è lui al centro del sistema, non essendo più costretto a concludere l’azione, può far emergere l’ottima visione di gioco di cui dispone, di solito ristretta all’area di rigore.

 

 

Neymar ha bisogno di un contesto meno ordinato di Messi. Il suo calcio è meno razionale, meno esaltato dall’efficienza, più ritmico e istintivo. Ma può funzionare con giocatori che ne capiscono le intenzioni, come qui sotto contro il Celta, dove si muove per coinvolgere tutti i compagni vicini, associandosi e muovendo il pallone a un ritmo che però a volte solo lui può reggere.

 

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Come dovrà usarlo Emery?

 

Questo è però il contesto tattico che Unai Emery dovrà costruire attorno a Neymar: una squadra poco codificata con la palla, che possa reggere la sua velocità di pensiero e capire la sua creatività. Una squadra che vuole la palla per giocarla in una sorta di caos creativo. In questo senso sembrerebbe strano, almeno inizialmente, vedere Neymar partire centralmente. Per abituare il PSG alla sua presenza è probabile che Emery voglia prima portare Neymar ad esprimersi al meglio in quello che sa fare. Stiamo comunque parlando del miglior giocatore al mondo nell’arte del dribbling puro, e in un campionato dove gli 1 vs 1 sugli esterni vengono così cercati sarebbe strano per Emery non provare a massimizzare il vantaggio di avere Neymar.

 

Per questo sarebbe difficile pensare a un cambiamento iniziale del sistema, tanto che nella giornata d’esordio il PSG ha giocato con Pastore a sinistra nel tridente, quasi uno spaventapasseri a guardia della futura zona di Neymar. Anche la scarsa codifica dei movimenti offensivi potrebbe facilitare la vita del brasiliano, da sempre poco avvezzo a seguire schemi e princìpi e più fedele a seguire il suo istinto e il suo ingegno.

 

Le connessioni tecniche fra Neymar e i compagni di squadra sono difficilmente prevedibili. Innanzitutto perché è difficile capire chi gli giocherà vicino nel PSG; e poi perché Neymar è abituato a giocare relazionandosi con due tra i giocatori più associativi della storia: Iniesta sul suo lato e Messi più distante.

 

L’unico profilo di quel tipo al PSG sarebbe Verratti, che però da mezzala destra dovrebbe rimanere distante da Neymar. Prima di tutto Emery dovrà capire con chi mettere in società Neymar.

 

L’unica certezza è rappresentata da Cavani, i cui movimenti sono ideali per valorizzare il gioco verticale del brasiliano. L’uruguaiano, tornato nell’ultima stagione al centro dell’attacco, è a proprio agio con spazio da attaccare, proprio come Neymar, e i due sembrano anche bilanciati dal punto di vista tecnico: mentre uno ama la conduzione e l’ultimo passaggio, l’altro preferisce i movimenti senza palla e le ricezioni in area.

 

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Si può pensare che Emery proverà a fare di Di Maria il giocatore in grado di associarsi da lontano con Neymar, così come faceva il primo Messi. Una soluzione che il talento di Di Maria può rendere più che accettabile. Difficile capire invece il resto: a priori Neymar vorrà prendersi il centro pur partendo dall’esterno e manca qualcuno che possa associarsi nel corto senza occupargli la zona di ricezione centrale. Matuidi e Rabiot non sembrano corrispondere al ruolo più che altro per questo motivo, il primo perché non è abbastanza associativo per sviluppare una sintonia tecnica che valorizzi Neymar e il secondo perché come mezzala sinistra occuperebbe troppo il centro e sarebbe costretto a un lavoro senza palla più complesso di quello a cui è abituato.

 

Forse la soluzione migliore, per quanto suoni astrusa al momento, potrebbe essere addirittura quella di fare di usare Draxler come mezzala sinistra. Il tedesco assicurerebbe la capacità tecnica per scambiare con Neymar, andando però ad agire nelle zone di campo non occupate dal brasiliano. Draxler potrebbe fare senza problemi lo stesso lavoro che, nel Barcellona, fa ora Rakitic con Messi ma dalla parte opposta. La presenza di Di Maria esterno destro e Draxler mezzala sinistra assicurerebbero due pareti, una vicina e l’altra lontana, a cui il brasiliano può appoggiarsi, due giocatori veloci e verticali che possono capire l’indole naturale di Neymar. Parliamo, ovviamente, sempre di breve termine, perché le prospettive anche solo a medio termine dello sviluppo di Neymar non sono neanche immaginabili.

 

Neymar è una stella da quando ha 14 anni. È riuscito ad affermarsi reggendo una pressione immensa e non snaturando uno stile di gioco che fa invece della leggerezza mentale il suo presupposto indispensabile. Nella sua carriera ha già retto la pressione di dover essere la stella del Brasile nel Mondiale casalingo, dimostrando di poter esprimere un grande carisma pur mantenendo un’attitudine almeno all’apparenza allegra e disimpegnata.

 

Può sembrare un sogno vivere a Parigi e giocare per una squadra tanto forte, in più all’interno di un campionato dove potrà davvero essere dominante. Non è detto però che per la sua legacy questo sia un vantaggio: se la sua idea è davvero quella di essere riconosciuto come il giocatore più forte del mondo, e non solo il più pagato, se ha l’ambizione di vincere il Pallone d’Oro nell’epoca di Messi e Cristiano, allora vincere in Francia sarà appena la norma.

 

Solo la vittoria della Champions League potrà giustificare la magnitudine del passaggio di squadra fatto. Vincere in Europa sarà l’obiettivo minimo per poterne parlare, ma per riuscirci Neymar dovrà elevare da solo il PSG a un livello in cui può battere, rispetto al passato, squadre dall’epica superiore.

 

Neymar è tra i pochi a permettere sogni così grandi.

 

 

Tags : fc barcellonaneymarpsgunai emery

Daniele V. Morrone, nato a Roma nel 1987. Laureando in economia, amante del "calcio di posizione" di Cruijff e Guardiola, segue con attenzione l'evoluzione del calcio asiatico.

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