Prima delle partite di ritorno l’algoritmo di FiveThirtyEight, il sito statunitense di Nate Silver che si occupa di statistica, aveva concesso a Roma e Juventus il 2% di possibilità di passare il turno. Volendo si può prendere questo dato come testimonianza dell’inaffidabilità di qualsiasi statistica e algoritmo applicato allo sport (d’altra parte lo stesso FiveThirtyEight era stato molto preciso nella seconda elezione di Obama, ma non aveva previsto quella di Trump); oppure come la certificazione più oggettiva dell’eccezionalità degli eventi sportivi a cui abbiamo assistito in questi due giorni. Ripetiamo qualche altro dato statistico per ricordarci quanto è stato assurdo e improbabile quello che abbiamo visto:
– la Roma è stata la terza squadra della storia a rimontare uno svantaggio di tre reti in Champions League
– è stata la prima volta nella storia del Barcellona nelle coppe europee che la squadra viene eliminata dopo aver maturato un vantaggio di 3 gol nella partita d’andata
– il Barcellona non subiva tre gol nella stessa partita dalla finale di Coppa del Re di agosto contro il Real Madrid
– il Real Madrid non subiva due gol in casa in un tempo di Champions League dal 13 febbraio del 2000 (Real Madrid-Bayern Monaco 1 a 3)
– il gol dopo 76 secondi di Mandzukic di testa è il più precoce concesso dal Real Madrid nella storia della Champions League
– il Real Madrid non ha mai perso in casa con uno scarto di almeno 3 gol in nessuna sfida di Champions.
Ma a dirci quanto fossero impossibili le imprese delle due squadre italiane c’erano anche alcune premesse di più ampio respiro. Dopo le gare di andata, ad esempio, avevamo interpretato i risultati di Juventus e Roma come una lezione storica del calcio spagnolo a quello italiano. Un’altra conferma di una crisi complessiva del nostro movimento che parte dalla Nazionale e arriva alle squadre di club. Sembrava non esserci niente di casuale, considerata la crisi del calcio italiano (fuori dal Mondiale, ancora senza un presidente della Federazione e disperatamente bisognoso di riforme strutturali per tornare competitivo), nei risultati d’andata, ed era anche per questo che nessuno poteva credere alle rimonte. Oltretutto, dopo l’impresa della Roma, quella della Juventus sembrava persino più improbabile: se doveva succedere un miracolo era già successo, quante probabilità ci potevano essere che a un evento incredibile e assurdo ne segua immediatamente un altro altrettanto incredibile e assurdo?
Barca get caught out. pic.twitter.com/YDnf17CIdv
— B/R Football (@brfootball) 10 aprile 2018
A contatto con una forza superiore
Così, però, non si è considerato che la rimonta della Roma aveva trasmesso nell’aria un’energia particolare, che aveva cambiato la percezione di cosa fosse immaginabile e cosa inimmaginabile. Non stiamo parlando solo di equilibri cosmici astratti, a cui potete credere oppure no (io pensavo di non crederci, ma adesso ho qualche dubbio), ma della tensione nervosa che ha allargato l’orizzonte di possibilità, in positivo per la Juventus, in negativo per il Real Madrid. A un certo punto di questo turno di Champions League, davvero, tutto sembrava possibile, e l’improbabile sembrava probabile proprio perché improbabile.
Sono stati due fra i doppi confronti più incredibili degli ultimi anni, che hanno condensato una quantità di momenti emotivamente intensi che di solito il calcio distribuisce nell’arco di intere stagioni. Sono stati eventi strani e indefinibili, e se ci hanno costretto più volte a chiederci, mentre li stavamo vivendo, se fosse tutto vero è perché il calcio, e in particolare il calcio che si gioca in Champions League, è uno sport poco democratico, in cui mai Davide batte Golia. La prevedibilità del calcio, la regolarità dei suoi risultati nel tempo, costruiscono le premesse per il nostro stupore in casi come questi. I momenti in cui tutto ci sembra possibile ci parlano soprattutto del fatto che raramente, in realtà, tutto è possibile.
Per questo le partite sembrano averci detto qualcosa sul calcio in generale. Mattia Feltri su La Stampa ha addirittura parlato di dimensione religiosa, con toni omerici: «Sa ben poco dell’animo umano chi non capisce che il calcio è vita, è poesia, è teatro, e sale fino alla tensione religiosa. E cioè sale a un punto di bellezza e conduce a un punto di entusiasmo che è quello di essere pieni di un dio. E per una lunga incredibile notte, eravamo tutti ai suoi piedi». Esagerato? Chi siamo noi per dirlo.
I quarti di finale di Roma e Juventus hanno seguito sceneggiature perfette, pur nella loro diversità. Quello della Roma è stato un lieto fine così preciso da sembrare artefatto: tre gol distribuiti su tre momenti equidistanti della partita, un’esultanza iconica dopo il terzo gol, che riesce nell’impresa di riassumere, nella trasfigurazione visibile del corpo di Manolas, l’eccezionalità invisibile dell’emozione provata da tutti. Quello della Juventus è stato invece il finale negativo più crudele possibile, arrivato dopo una rimonta inverosimile costruita con fatica e vanificata all’ultimo secondo da un calcio di rigore. Un episodio che sembra pensato apposta per farci impazzire, che in effetti ha fatto impazzire i giocatori in campo e ha portato all’espulsione del portiere e uomo simbolo della squadra, alla sua (probabile) ultima partita in Champions League. Un episodio su cui si potrebbe discutere per anni, decorato da dichiarazioni, quelle di Agnelli e Buffon, che da sole varrebbero a etichettare la situazione come “fuori dalla norma”.
Foto di David Ramos / Getty Images.
E se fosse tutto un film di Terrence Malick?
Sia quello della Roma che quello della Juventus rientrano nella macro-categoria che TV Tropes definisce “Twist Ending”, cioè un finale a sorpresa. Quello della Roma è un “Karmic twist ending”, un plot twist finale che ha risarcito e dato un senso a tutte le delusioni che l’eroe ha vissuto in passato. Quello della Juventus è invece un “Cruel twist ending”, cioè un finale a sorpresa che vuole invece ricordarti che il mondo è un posto cattivo che vuole ferirti. A volte un “Cruel twist ending” è un “Karmic twist ending” fallito, non portato fino in fondo: esattamente quello che è successo alla Juventus.
Se interpretassimo però le due partite solo alla luce della loro linearità narrativa ci apparirebbero più lisce e levigate di quanto non siano state. Se in molti hanno detto che serate come quelle che abbiamo vissuto ci ricordano il perché amiamo così profondamente il calcio, è perché il caso e l’assurdo e l’inspiegabile ci hanno fatto provare un senso di sbigottimento che è davvero vicino al sentimento religioso che, seppur con trame meno lineari, comunicano i film di Terence Malick. L’idea che non siamo mai davvero in controllo dei nostri destini e che a muovere le energie del mondo siano forze superiori e invisibili.
Anche nei film di Malick ogni frammento dà senso agli altri e nel caso di Roma-Barça e Juve-Real è ancora più forte l’impressione che i singoli episodi siano parte di un piano di cui è impossible afferrare del tutto il senso. E forse non sta neanche a noi cercarlo. Per questo mi sono limitato ad elencare tutte le singolarità del caso nell’ordine temporale con cui il caso ce le ha presentate.
1. Il primo gol del Madrid dopo due minuti e mezzo
La cosa che calcisticamente ha più influito a rendere le quattro partite così aperte e fuori controllo è che sono stati segnati molti gol nei primi minuti. Il Real Madrid ha segnato l’uno a zero nella partita di andata dopo due minuti e mezzo. Un gol semplice ma al contempo iconico a livello di quelli più belli. Il tocco di suola con cui Marcelo si sposta la palla col destro e serve in profondità Isco è scolpito nella nostra memoria insieme al movimento spettrale con cui Cristiano Ronaldo si sfila dalla marcatura dei centrali e colpisce d’esterno destro. Ci sono diversi errori della Juventus in quest’azione, De Sciglio che lascia scappare Isco alle sue spalle; un attacco un po’ blando su Isco; la confusione delle marcature in area. Eppure i giocatori del Madrid fanno valere una grande precisione tecnica anche in tutti i piccoli dettagli di quest’azione, che assume quindi un carattere di inesorabilità.
È stato il primo sasso della frana, il gol più importante di tutti i 180 minuti, perché da quel momento in poi la Juventus deve uscire dal proprio guscio: non può fare una partita di solo controllo ma deve attaccare anche accettando di scoprirsi. Più che un gol un’avvertimento di quello che stiamo per vedere.
2. Le occasioni avute dalla Juventus prima della rovesciata di Cristiano Ronaldo
I feticisti dei bivi delle partite, quei momenti in cui per pochissimo l’andamento di una sfida ha preso una strada piuttosto che un’altra, ricorderanno tutti i momenti in cui la Juventus è andata vicina a segnare l’uno a uno contro il Real Madrid. Dopo 5’, il tiro di Dybala in area di rigore chiuso da una scivolata che Sergio Ramos fa sembrare ordinaria. Al 10’ il tiro di Bentancur respinto sempre da Sergio Ramos, stavolta in tuffo di testa. Il calcio d’angolo confuso dove poi Varane ha tolto la palla all’ultimo secondo a Barzagli che stava per spingerla in porta. Ma sopratutto il colpo di testa di Higuain, dritto e forte, che sembrava aver preso Keylor Navas in controtempo. Keylor Navas che riesce però a spingere all’improvviso sulle gambe e a respingere la palla con la mano sinistra.
Keylor Navas che è un portiere mediocre in molte giornate e un fenomeno in altre, sembra aver preso la giornata giusta.
3. Appunto, la rovesciata di Cristiano Ronaldo
A posteriori è impossibile non riguardare il gol in rovesciata di Cristiano Ronaldo pensando che sia stato il momento in cui si è innescata la catena di eventi che ci hanno portato fino a ieri sera. In cui l’universo ha cominciato a girare al contrario. Prima di quel momento la partita era tesa su un equilibrio sottile, con la Juventus più volte sull’orlo del pareggio.
Anche riguardando più volte il replay di quel gol aleggia un’aria di mistero sui passi che precedono la rovesciata vera e propria. Cristiano Ronaldo saltella come un triplista che carica il salto, ma lo fa a una velocità innaturale, come fosse fatto di gomma. Poi il salto così potente da rompere i confini dell’immaginabile, con quei contorni fumettistici che inconsciamente Ronaldo ha sempre voluto comunicare.
Cristiano Ronaldo per una volta arriva a somigliare all’idea di Cristiano Ronaldo: un giocatore che viene dal futuro, il cui corpo è capace di fare cose che nessun essere umano era riuscito a fare prima di lui. Cristiano Ronaldo che interrompe l’infinita samsara di gol e ricerca del gol e cristallizza la sua trascendenza su un gesto precisa. Come ha scritto Daniele Manusia, la rovesciata dà un’immagine iconica a una forza che sembrava solamente numerica.
Subito dopo il gol Cristiano Ronaldo si indica col solito dialogo teatrale con sé stesso, mentre lo stadio inizia a fischiare, poi ammutolisce un po’ e decide infine di applaudire la prodezza. Cristiano Ronaldo ringrazia imbarazzato. Come l’assassinio di Kennedy sono però tante le istantanee che dobbiamo portarci dietro di questa azione. Il volto contratto di De Sciglio mentre prova ad andare a contrasto – che risalta in modo grigio e inadeguato rispetto alla luminosa espressione di forza di Ronado – Barzagli che allarga le braccia sconsolato, come un uomo normale che non può opporsi al divino.
Sembrava bastare questa rovesciata e il suo impatto a dare un senso a questi quarti di finale di Champions League, a saturare di eccezionalità tutti i 180’ tra Juve e Real.
4. E invece anche il gol di Marcelo non è proprio normalissimo
Si è parlato troppo poco della straordinarietà del gol del 3 a 0 di Marcelo, sovrastato dall’abbondanza della rovesciata di Cristiano Ronaldo. Visto al replay il gol invece abbonda di dettagli perversi. Ad esempio che dopo il primo controllo di scuola Marcelo ha quattro giocatori attorno e la palla troppo attaccata al piede. Per far arrivare la palla a Cristiano Ronaldo deve quindi farla passare sotto le gambe di De Sciglio, che riesce a entrare sempre dalla parte sbagliata della storia.
Buffon esce bene e Marcelo sembra ancora un po’ goffo e in ritardo, ma riesce a saltare il portiere con uno scavetto di destro. Non si è sottolineata abbastanza l’originalità e l’unicità di un gesto tecnico del genere.
5. In ogni caso, il Real Madrid ha colpito due traverse
Il Real Madrid visto a Torino è una squadra che ha semplicemente troppe variabili impazzite per essere controllata. Che ha undici fenomeni in campo in grado di piegare le partite in ogni momento. Il tre a zero finale dei “merengues” è stato un risultato persino riduttivo rispetto alla superiorità tecnica mostrata in certi momenti, anche distanti dal gol.
Sull’uno a zero ad esempio Toni Kroos ha lasciato andare un tiro di collo pieno che ha colpito la parte superiore della traversa. Un altro gesto tecnico sbiadito sotto la luce di tutti gli altri gesti tecnici e avvenimenti straordinari, ma che vale la pena ricordare. Così come l’altra traversa, colta invece nei minuti finali della partita da Kovacic, con un tiro di interno dopo una sponda di petto di Cristiano Ronaldo, a concludere un’azione bellissima aperta da un cross di Lucas Vazquez. Un momento in cui la Juventus sembrava poter prendere gol ad ogni azione, dove il Real Madrid sembrava giocare più per l’intrattenimento che per il risultato.
6. Come gli ultimi minuti di Juve-Real, a posteriori, avrebbero potuto cambiare tutto
Negli ultimi minuti, mentre le due squadre hanno accettato serenamente di giocare su un campo lunghissimo, esponendosi come corpi al fuoco, potevano succedere altre cose determinanti per le sorti della qualificazione. Il primo episodio è stato quello più citato queste ore. Cuadrado viene servito da Chiellini – in una delle sue corse disperate nell’area del Madrid – e angola troppo il tiro. Qualche secondo dopo però Carvajal interviene da dietro in scivolata e lo travolge. La Juventus chiede il rigore, ma timidamente. Solo dopo la partita di ieri sia Allegri che Buffon sono tornati sull’episodio. Il tecnico ha addirittura indicato nel rigore di Cuadrado il momento di svolta decisiva della qualificazione. Buffon ha paragonato questo rigore a quello fischiato a Vazquez.
Negli ultimissimi secondi di gioco, poi, Cristiano Ronaldo ha fallito un’occasione impossibile da sbagliare. Segnare uno dei gol più belli della storia è forse l’unico modo con cui Cristiano Ronaldo è riuscito ad affrontare mentalmente l’errore. Quando la Juventus era ormai del tutto slegata, con i remi in barca, Lucas Vazquez, suo fedele scudiero, gli serve col destro la palla più facile da mettere in rete e Cristiano Ronaldo la tira alta. Cristiano Ronaldo non sbaglia di pochi centimetri ma di molti metri, come se fosse tornato improvvisamente umano e fragile dopo aver raggiunto l’ascesi mistica pochi minuti prima. Fosse entrato quel tiro la Juventus sarebbe entrata in campo con lo stesso piglio, al ritorno? Rimontare da 0-3 è la stessa cosa che rimontare da 0-4?
7. L’autogol di De Rossi
L’ultima volta che la Roma era stata al Camp Nou aveva perso 6 a 1. Di certo il fatto che la squadra che domina in Italia da sette anni il giorno prima avesse perso 3 a 0 contro il Real Madrid non aiutava a restare sereni. Va anche aggiunto che in questa stagione il Barcellona aveva battuto il Real Madrid per 3 a 0. Il calcio non è né l’algebra né quegli scontri di Dragon Ball in cui le forze dei combattenti si sommano con una misura numerica, però è difficile che la Roma non sia stata sfiorata dal pensiero di poter fare peggio della Juve, di trovare il modo per umiliarsi ancora in Europa.
Del resto l’epica negativa della Roma somiglia a certi paradossi della legge di Murphy: “Se le cose sembrano andare finalmente per il verso giusto, c’è qualcosa di cui non stai tenendo conto”; “Se le cose stanno andando bene è per preparare una delusione ancora più forte”; “L’universo troverà sempre un modo nuovo e imprevedibile per darti un dolore”. Qualcosa che sembrava essersi materializzato quando De Rossi ha messo la palla nella propria porta al 35’ del primo tempo di Barcellona – Roma. I giallorossi avevano giocato una prima mezz’ora di grande attenzione: avevano rischiato poco e avuto qualche occasione per segnare. Iniesta parte per una volta in corsa vicino a Messi, gli serve palla sulla trequarti, De Rossi ha così paura che il 10 del Barcellona riceva palla che si allunga per intercettare, trasformando la sua scivolata in un tiro di destro che va all’angolino.
Un autogol dal limite dell’area del proprio capitano e uomo simbolo, arrivato a sigillare una mezz’ora giocata inaspettatamente bene dalla Roma.
De Rossi, che qualche mese prima si era fatto un mezzo autogol nello spareggio che non ha portato l’Italia al Mondiale; De Rossi già passato per il 7 a 1 di Manchester, il 7 a 1 contro il Bayern Monaco, il 6 a 1 contro il Barcellona. De Rossi con la barba lunga, le occhiaie, che sta per un momento in terra con le mani nei capelli, poi si rialza e va verso il centrocampo mentre accanto gli passano i giocatori del Barcellona in festa. De Rossi che capisce che dovrà fare i conti con un altro ricordo negativo della sua carriera. De Rossi lasciato solo nel suo dolore, che – riguardando con attenzione quei momenti – scuote la testa in tre momenti diversi, che in tre momenti diversi si lascia forse andare al pensiero più esistenziale sul dolore umano “Perché proprio a me?”.
8. Anche in questo caso, la Roma ha l’occasione per pareggiare
Dopo pochi minuti dall’inizio del secondo tempo la Roma avrebbe l’occasione per riequilibrare subito la sfida. Florenzi mette una palla d’oro sulla testa di Perotti, che però la colpisce con lo spigolo sbagliato della testa e la mette a lato. È una delle grandi occasioni che la Roma ha avuto nel secondo tempo della partita d’andata, che se da una parte testimoniavano la vulnerabilità del sistema del Barcellona, dall’altra aggiungevano altro materiale al filmino di rimpianti che la Roma aveva già iniziato a preparare per lenire il dolore di un’altra giornata nera.
La Roma chiuderà la sfida con quasi gli stessi xG del Barcellona, persino leggermente superiori. Giocare così al Camp Nou e perdere comunque 4 a 1 era forse la testimonianza più desolante della propria impotenza.
9. E invece arriva l’autogol di Manolas
Se un autogol, per giunta del proprio capitano, poteva sembrare troppo, la Roma è riuscita persino ad alzare il tiro della propria auto-distruttività. Per anticipare il cross di Rakitic diretto a Umtiti Manolas fa un grande intervento. Anche rivedendolo è impossibile pensare che avrebbe potuto fare qualcosa di più. La palla rimbalza sul palo, supera di nuovo Umtiti, sbatte sul ginocchio di Manolas ed entra in porta passando di nuovo tra le gambe di Umtiti. Per capire il dolore di questo autogol – in fondo quasi normale perché provocato da una situazione forzata – bisogna pensare a quanti modi potevano renderlo meno crudele.
Manolas avrebbe ad esempio potuto farsi direttamente autogol, il più tradizionale degli autogol, arrivato dopo un intervento disperato su un cross teso e basso. Oppure La palla sarebbe potuta andare a sbattere su Umtiti dopo il palo, almeno ce l’avrebbe messa il Barcellona in porta. La sintassi dell’azione per come è andata è invece stata la più crudele e assurda possibile. Quasi una presa in giro.
10. L’occasione fallita da Defrel
L’ultimo quarto d’ora di partita è stato il migliore della Roma al Camp Nou. Con l’ingresso di El Shaarawy e Defrel Di Francesco aveva risistemato la squadra su un 4-2-4 disperato che però aveva messo in difficoltà la costruzione bassa del Barcellona. In un prologo di quello che sarà nella partita d’andata, El Shaarawy intercetta un passaggio di Ter Stegen e mette un bellissimo cross in mezzo per Defrel. Il francese stoppa di petto, non c’è il portiere ma solo difensori del Barcellona. Tira di destro più forte che può, ma a quel punto Ter Stegen è tornato per compiere un mezzo miracolo.
I tifosi della Roma lo sapevano fin da quando Defrel ha controllato il pallone. Non poteva riaprire la partita un giocatore che ancora non ha segnato con la maglia giallorossa, se non su calcio di rigore.
11. La ciliegina sulla torta: l’errore di Gonalons
Dopo un’altra occasione con Perotti, che costringe ancora Ter Stegen a una parata plastica, la Roma ha finalmente trovato con Dzeko il gol dell’1 a 3 che poteva dare un senso alla gara di ritorno. Il Barcellona riparte dal centro però e dopo trenta secondi è già in area. Denis Suarez fa un passaggio scolastico al centro, Gonalons intercetta e poi fa una cosa a metà tra uno stop e un passaggio per un compagno vicino. Di fatto la aggiusta per il tiro di Suarez del 4 a 1.
Gonalons era arrivato in estate con le credenziali di capitano del Lione, centrocampista di qualità e uomo d’esperienza. In breve tempo si è trasformato in qualcosa di simile a quello che chiamiamo “bidone”. Solo che Gonalons non può essere un bidone, non è un ragazzino, non è un giocatore dalle qualità evanescenti proveniente da un campionato con un fusorario impossibile e le partite alle 4 del mattino. Di Gonalons, l’idea che avevamo prima che arrivasse doveva essere per forza di cose realista. Ma a Roma si è trasformato completamente in un altro giocatore. Entrato pochi minuti prima della fine per dare teoricamente una mano a De Rossi a centrocampo, con alle spalle una stagione disastrosa, il suo errore somiglia a una specie di auto-sabotaggio. Il gesto di Gonalons sembra una richiesta d’aiuto.
Intermezzo
Nel frattempo Roma e Juventus giocano in campionato, sperimentando quanto sia difficile giocare tre giorni dopo una brutta lezione europea. La Juventus sbanda contro il Benevento, subendo addirittura una doppietta da Cheick Diabaté. Poi recupera la partita grazie alla resilienza dei suoi giocatori migliori. La Roma invece subisce una drammatica sconfitta contro la Fiorentina, che rovina la classifica – i giallorossi si sono fatti agganciare dalla Lazio – e conferma tutte le fragilità, tattiche ed emotive, della squadra.
Né Juventus e né Roma non sembrano neanche voler scendere in campo nelle partite di ritorno: vittime sacrificali designate degli exploit individuali avversari, in partite con poco senso.