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La settimana folle di T.J. Warren
07 ago 2020
07 ago 2020
Nelle prime tre partite a Disney World nessuno ha segnato più dell’ala degli Indiana Pacers.
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9 min
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Ci sono poche cose che ci informano che la NBA è definitivamente tornata nelle nostre vite come vedere un giocatore di seconda fascia esplodere con una prestazione monstre. Nel caso di questa ripartenza, a segnalarci il ritorno alla normalità è stata la prima partita di T.J. Warren nella bolla di Orlando contro i Philadelphia 76ers. L’ala degli Indiana Pacers non ha solamente azzeccato la partita della vita, una di quelle durante le quali si incastrano una serie di coincidenze da renderla non ripetibile in futuro, ma si è immediatamente confermato nelle successive vittorie contro Orlando e Washington diventando il miglior realizzatore di Disney World. Dopo i 53 punti ai Sixers ne ha segnati altri 82 in quattro partite, al che bisogna interrogarsi se il T.J.Warren di Orlando sia qualcosa in più di un fuoco di paglia.

Tutto è iniziato con una tripla dalla punta in faccia a Ben Simmons dopo meno di quattro minuti di Indiana-Philadelphia, come i primi cumuli di neve che annunciano la slavina. Ma come si fa spesso, questi avvertimenti sono stati lasciati inascoltati, anche perché T.J. Warren per tutta la sua strana carriera non è mai stato timido nel prendere, e a volte mettere, un tiro contestato. Anzi, a lungo è stato considerato esattamente questo: un realizzatore molto disinibito ma non così sofisticato da poter interpretare quel ruolo per troppo tempo o per squadre di alto livello.

È il classico triste destino dei solisti che non sono in grado di reggere da soli il palco: o si reinventano, o spariscono. Ma Warren non ha voluto piegarsi a queste dinamiche e ha continuato imperterrito a prendersi valanghe di tiri, privilegiando quelli un paio di passi dentro l’arco come se fosse atterrato in campo direttamente dai primi anni ’90. Nessuno ha mai messo in discussione il talento realizzativo di T.J. Warren; in molti invece hanno dubitato della sua intelligenza cestistica e della sua effettiva funzionalità in una squadra NBA.

Tra questi i dirigenti dei Phoenix Suns, che dopo avere esteso il suo contratto nel 2017 per 50 milioni di dollari in quattro anni, la scorsa estate hanno deciso di scaricarlo pur di liberarsene in un repulisti generale dello spogliatoio. Scaricarlo forse non è neanche il termine giusto: lanciarlo da una macchina in corsa dopo avergli dato fuoco sarebbe più appropriato. I Suns lo hanno spedito a Indiana insieme a una scelta (la 32esima nel Draft 2019) ricevendo in cambio una somma di denaro non dichiarata, la ormai celebre cash consideration che è il minimo sindacale per far funzionare una trade. Praticamente Warren è stato regalato ad Indiana, che si è vista piovere in casa un’ala titolare nel momento esatto nel quale doveva sostituire Bojan Bogdanovic volato nello Utah.

E in una squadra operaia e senza fronzoli come quella allenata da coach Nate McMillan, Warren ha trovato un sistema più definito, in cui il suo andare sopra le righe è stato tollerato e in alcuni casi, come contro Philadelphia, incentivato. Ha iniziato in quintetto tutte le 64 partite stagionali, guidando i Pacers per punti sfiorando i 20 di media, segnalando anche dei netti progressi in tutte le aree del gioco che non siano mettere la palla nel canestro.

L’evoluzione come tiratore

Ma mettere la palla nel canestro rimane la sua qualità migliore, quella che gli garantisce un posto in NBA. E per restarci Warren negli ultimi tempi ha raffinato il suo talento offensivo, limitando i suoi vizi (ovvero i tantissimi tentativi dalla media distanza) e allargando il suo range anche oltre l’arco. Ancora oggi quasi il 50% dei suoi tiri arrivano dalla zona meno efficiente del campo, ma rispetto ai suoi primi anni in NBA le conclusioni da tre punti sono salite vertiginosamente (anche se paradossalmente in questa stagione sono scese rispetto all’ultima a Phoenix), passando da 1.3 di media nei primi quattro anni in NBA a 3.5 in questa stagione.

Per un attaccante di primo livello saper segnare dal palleggio da oltre l’arco è una prerogativa ormai inderogabile e Warren in queste prime partite ad Orlando ha finalmente abbracciato la filosofia del lasciar andare il pallone in ogni situazione. La tripla mandata a bersaglio dopo una manciata di minuti, infatti, è stata solo la prima della valanga che si è abbattuta sulla pigra difesa di Philadelphia nel resto della serata. Per la seconda volta in carriera (la prima da un buio giorno di novembre del 2018) Warren ha preso più di dieci conclusioni oltre l’arco, pareggiando il record di franchigia detenuto da Paul George per quelle mandate a bersaglio con nove.

Ogni volta che Simmons si staccava di qualche centimetro per passare su un blocco Warren senza esitare un istante si alzava per tirare, prendendo più fiducia e consapevolezza a ogni tiro.

Warren ha iniziato con un primo quarto da 19 punti e soli tre errori al tiro, sfruttando la disastrosa transizione negativa di Philadelphia per segnare comodamente al ferro e mettersi in ritmo. E la vena realizzativa da dietro l’arco ha aperto ancor più il suo gioco dalla media distanza, una zona del campo che lo schema difensivo dei Sixers sui pick & roll (con il lungo che droppa profondo nel pitturato) lascia libera a disposizione dell’attaccante avversario. Warren ha costruito la sua carriera nel cuscinetto tra il diretto difensore incagliato sul blocco e l’altro a protezione del ferro, potendo sfoggiare un vasto armamentario di jumper dal palleggio, push shots e floater.

Una volta capito che Warren era in una di quelle serate Indiana, che non poteva schierare per infortunio né Domantas Sabonis né Malcom Brogdon e aveva un Victor Oladipo a mezzo servizio, ha cercato il proprio numero 1 su ogni possesso. “Abbiamo imboccato il drago” ha detto poi scherzosamente Oladipo a fine gara, con i Pacers che hanno chiuso con 31 assist su 48 canestri.

Warren ha messo in croce la difesa svogliata dei Sixers muovendosi costantemente senza palla e seminando i difensori sui blocchi. Alla fine 14 dei suoi 20 canestri sono arrivati senza essere contestati.

Nonostante gli sforzi di Warren, però, Philadelphia sembrava essere in controllo della sfida, con un vantaggio in doppia cifra a metà ultimo quarto. Ma come spesso accade ai Sixers, l’uscita dal campo di Joel Embiid è coincisa con il parziale che ha riportato in partita gli avversari, incastonato in una frazione da 46 punti per Indiana che ha ribaltato le sorti dell’incontro.

E ovviamente a spostare definitivamente gli equilibri ci ha pensato Warren. Prima si è preso una tripla in transizione quando sarebbe stato più consigliabile usare il cronometro per gestire il vantaggio, ma a quel punto aveva la mano troppo calda per tenere il pallone per più di una frazione di secondo. Subito dopo ha spento le ultime velleità dei Sixers con un’altra tripla qualche metro oltre l’arco nuovamente sopra le braccia protese di Simmons, coronando una prestazione da 53 punti - la terza migliore di sempre per un giocatore in maglia Pacers.

Punto di riferimento

Dopo una partita del genere la parte difficile è sempre confermarsi su quel livello, per fare in modo che non rimanga un fortuito caso isolato. E nella successiva gara contro gli Washington Wizards Warren ci ha messo quasi due quarti per mettersi in ritmo prima di firmare il parziale dopo l’intervallo con il quale i Pacers hanno finalmente messo distanza tra loro e gli avversari. In una partita dove il tiro non entrava come la sera precedente (ha chiuso comunque con 14/26 dal campo), Warren è stato bravo a crearsi occasioni semplici aggredendo a rimbalzo d’attacco e rimanendo attivo in difesa, creando facili canestri in transizione rubando palla sulle linee di passaggio.

Alla fine ha chiuso con 34 punti, 11 rimbalzi e un ottimo +25 di plus/minus, ma soprattutto con una confidenza sempre maggiore nei propri mezzi, come ha dimostrato anche nel primo tempo contro gli Orlando Magic. Non sbagliare neanche uno degli otto tiri presi, comprese le tre triple, sono bastati e avanzati ai Pacers per archiviare la pratica contro i “padroni di casa”.

Nonostante alzi il coefficiente di difficoltà ad ogni tiro non c’è verso che la palla non entri nel canestro.

Nelle prime tre partite ad Orlando Warren è stato il miglior marcatore di tutta la lega con 119 punti totali, il primo per plus/minus (+59), il primo in tiri presi e segnati con percentuali folli (65% dal campo, 61% da tre e 92% ai liberi) e di fatto insostenibili. Infatti la legge della bolla è spietata: appena sei in cima alle montagne russe, ecco che devi prepararti all’inevitabile discesa.

Solo che Warren avrebbe preferito che la normalizzazione delle sue cifre non arrivasse proprio contro i Phoenix Suns, la squadra che lo aveva scambiato per una borsa piena di contanti come se fosse una partita di cocaina in un film con Al Pacino. Indiana e Phoenix sono arrivate alla partita di ieri notte ancora imbattute - le uniche oltre Toronto - in quella che è stata impunemente definita come “The Bubble Brawl”.

Alla fine l’ha spuntata Phoenix, che tra le due era quella con più voglia di vincere e più intensità da mettere sul parquet, grazie ad un parziale da 21-0 ad inizio ultimo quarto propiziato da Cameron Payne (si quel Cameron Payne). Ma soprattutto Phoenix ha fatto di tutto per non far segnare Warren e quindi ammettere di aver sbagliato a scambiarlo. Lo hanno trattato come fosse James Harden, spendendoci contro il loro miglior difensore perimetrale (Mikal Bridges) e raddoppiandolo forte su ogni pick & roll, scommettendo sulla mediocrità del restante roster dei Pacers.

https://twitter.com/C2_Cooper/status/1291513550792527872

Braccato dall’intera difesa di Phoenix Warren ha chiuso con 16 punti e 7/20 dal campo, per distacco la sua peggior prestazione ad Orlando.

Senza Domantas Sabonis, che ha lasciato Orlando per un infortunio al piede sinistro, e con Victor Oladipo che dopo aver deciso all’ultimo di entrare nella bolla ancora è lontano dal giocatore che era prima dell’infortunio, i Pacers stanno andando oltre ogni previsione dimostrando quanto l’affiatamento di squadra e la fiducia nel sistema di gioco valga più del talento individuale.

Un promemoria utile anche per T.J. Warren, il più classico dei potenziali da sgrezzare. È probabile che le cifre tenute in questa prima settimana a Disney World rimarranno irraggiungibili per il resto della sua carriera, ma allo stesso tempo ci servono per capire quanto siano forti anche i giocatori meno celebrati e meno conosciuti che circolano in NBA. E di quanto la distanza tra un attaccante d'elite e uno meno efficiente a volte è davvero sottile ed è definita da molte altre condizioni oltre al semplice talento individuale. Nel caso di Warren ad esempio aggiungere più triple e meno long two alla sua selezione di tiro ha già ritoccato le sue cifre statistiche, e imparare a fare un passo laterale contro il close-out difensivo piuttosto che uno in avanti lo ha reso un realizzatore molto più temibile.

La vetta della piramide alimentare in NBA è sempre più difficile da raggiungere e la competizione per arrivarci è sanguinosa, specie quando il tuo compito principale è fare canestro. Ed una volta raggiunta la cima è ancora più difficile rimanerci, come Warren ha presto imparato. Diventare il primo nome sugli scouting report, con le difese che hanno come primo compito quello di fermarti a tutti i costi, non è una vita facile. Non sappiamo se Warren a Orlando riuscirà a fare quel salto e diventare la prima opzione per una squadra da playoff, ma almeno ci ha ricordato quanto la NBA sappia inventarsi costantemente nuovi protagonisti come se fosse una soap opera sudamericana. E quanto ci era mancata in questi mesi.

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