La stagione della Roma somiglia sempre di più a un estenuante esame per allenatore e giocatori, che si perpetua a ogni incontro. Alla fine di ogni partita, al di là del risultato, si mettono sul piatto della bilancia scelte tecniche e tattiche degli attori in campo e si distribuiscono le varie responsabilità. È una situazione paradossale, soprattutto calcolando il valore tecnico ed economico della rosa dopo gli investimenti estivi, che porta a vivere la vittoria più come un sollievo temporaneo che come un obiettivo permanente.
L’ottava puntata di questa nuova saga autolesionistica si chiamava BATE Borisov, squadra dal retrogusto sovietico difficilmente interpretabile al di fuori del dominio incontrastato dei confini nazionali (vince il campionato ormai da nove anni di fila e si appresta a vincere il decimo). Nelle quattro volte precedenti in cui è riuscita ad arrivare ai girone di Champions League, infatti, solo in una è riuscita a evitare l’ultimo posto.
Problemi e soluzioni
Non era una notizia di particolare conforto per la Roma, per la verità, con la squadra di Garcia che, ormai da quasi un anno, continua a soffrire soprattutto le piccole squadre dotate di buon ritmo e anche solo di una minima organizzazione difensiva. Nella diversità del risultato, quest’anno la Roma aveva già faticato molto contro Sampdoria e Frosinone, che al palleggio estenuante dei giallorossi avevano semplicemente contrapposto le due linee di centrocampo e difesa molto strette a ridosso dell’area di rigore.
I problemi strutturali dei giallorossi sono ormai noti. In fase di possesso, la squadra fa grande fatica a iniziare l’azione dal basso, anche in assenza di un pressing alto e organizzato da parte della squadra avversaria. Una volta superata la linea di centrocampo, inoltre, gli uomini di Garcia non hanno le idee chiarissime su come creare pericoli nella metà campo avversaria: i movimenti senza palla sono quasi del tutto assenti e la mancanza di movimento costringe molte volte i giocatori a provare dribbling e giocate difficili. In generale, sembra che il tecnico francese lasci grande libertà al talento personale, preferendo far prevalere l’iniziativa dei singoli sui legacci tattici. In questo modo, però, la squadra si ritrova spesso preda della sua stessa staticità, con la maggior parte dei giocatori ad aspettare che il pallone gli arrivi sui piedi.
La Roma non riesce a trovare altri sbocchi di gioco diversi da un possesso palla lento e orizzontale: le ripartenze veloci, marchio di fabbrica del primo anno della gestione Garcia, sono state prosciugate dall’atteggiamento attendista della maggior parte degli avversari.
Le palle da fermo, invece, non sono mai state un suo punto forte (anche storicamente), se escludiamo l’eccezione dei calci di punizione di Pjanic (l’anno scorso la Roma ha segnato solo due gol su calcio d’angolo, meglio solo del Cesena; quest’anno ne deve ancora segnare uno).
La disorganizzazione tattica pesa molto anche sulla fase di non possesso. La Roma non si comporta da squadra in fase di pressione del possesso avversario, con il pressing che viene portato avanti in maniera individuale e caotica. Se ciò non bastasse, anche la linea difensiva non ha indicazioni chiare riguardo al suo atteggiamento, con i tempi di intervento e attesa che sono totalmente lasciati all’iniziativa dei giocatori. La conseguenza è che i giallorossi non possono alzare il pressing senza allungare la squadra e creare così spazi utili per gli avversari, con l’aggiunta del rischio, inoltre, di sbagliare il fuorigioco.
Le novità estive hanno risolto solo parzialmente questi problemi. La nuova coppia di terzini Digne-Florenzi ha dato nuova profondità e ampiezza alla squadra, senza far perdere in solidità difensiva (del resto con Maicon titolare la Roma è ancora più attaccabile sulla destra). Al centro, invece, la Roma ha aggiunto due giocatori abili a far uscire la palla da dietro, De Rossi in mezzo della difesa e Szczesny in porta, risolvendo, almeno tecnicamente, il problema dell’inizio dell’azione. Con la trasformazione di De Rossi in difensore centrale, però, la Roma si è ritrovata ad affrontare nuovi problemi legati alla scarsa dinamicità del calciatore di Ostia (lo si è visto soprattutto nell’ultima partita di campionato contro il Carpi, con Borriello che ha creato più di un grattacapo) e alla sua capacità di fronteggiare gli avversari in campo aperto.
In avanti è soprattutto la catena laterale di sinistra, grazie all’asse Digne-Iago Falque, a funzionare: lo spagnolo propone un calcio associativo, tende ad allargare le difese avversarie e a fornire sempre cross pericolosi verso il centro. Sull’altro lato, invece, Salah tende ad accentrarsi naturalmente e a sfruttare le sue incredibili doti nello stretto (già tre gol realizzati).
L’inserimento di Dzeko è stato invece più controverso. Se da una parte il bosniaco ha dato la possibilità di sfruttare il gioco aereo tramite il lancio lungo e il cross (a Roma non si vedevano sponde dai tempi di Toni), dall’altra non sembra che la squadra abbia ancora capito precisamente come metterlo in condizione di segnare.
La Roma, per adesso, è stata la squadra che ha insieme realizzato e sbagliato più cross (in campionato ne ha falliti 138 su 175, ben il 79%) e l’unico gol di Dzeko è arrivato su un campanile messo in mezzo un po’ a casaccio da Iago Falque. La squadra sembra quindi aggrapparsi disperatamente alle doti aeree dell’attaccante bosniaco senza avere però la precisione per rendersi pericolosa (lo si è visto soprattutto nella partita persa contro la Sampdoria, quando la Roma ha realizzato con successo solo 12 cross sui 55 tentati).
Purtroppo per Garcia, Alyaksandr Yermakovich, tecnico del BATE Borisov, ha dimostrato di conoscere a fondo i difetti strutturali della sua squadra.
Approccio disordinato
La Roma, falcidiata dagli infortuni, si schierava sul prato della Barysau Arena con un atipico 4-3-3, almeno negli uomini, con Vainqueur accanto a Nainggolan e Pjanic dietro al tridente Salah-Iturbe-Gervinho. In realtà sia il centrocampo che l’attacco vivevano di totale fluidità con l’indicazione, solo teorica per la verità, di Nainggolan come vertice basso del triangolo di centrocampo e Gervinho vertice alto di quello d’attacco.
I due triangoli, nella realtà dei fatti, erano totalmente liberi di ruotare. Anche sul pressing, come al solito, non c’erano indicazioni precise, con i giallorossi che hanno iniziato fin dai i primi minuti in maniera estremamente aggressiva, almeno sul portatore di palla, (atteggiamento che ha portato Gervinho al tiro dopo una manciata di secondi), ma allo stesso tempo del tutto individuale e disorganizzata. L’unica regola fissa era che in fase di non possesso uno tra i tre centrocampisti saliva in pressione alta solitaria sul secondo centrale di difesa del BATE (l’altro era preso in consegna dalla punta centrale).
La squadra bielorussa, dal canto suo, si presentava in campo priva della stella Hleb (infortunato), solo sulla carta disposta su un classico 4-2-3-1.
Le idee di Yermakovich erano poche, ma chiare. In fase di non possesso il BATE aspettava la Roma fino alla metà campo, disponendosi con un 4-1-4-1, con la punta, Signevich, a bloccare la linea di passaggio tra Manolas e De Rossi; le due ali, Volodko e Stasevich, a prendere in consegna i due terzini giallorossi, e le due mezzali, Gordeichuk e Nikolic, ad andare in pressione sulle due mezzali romaniste. L’obiettivo era quello di far partire l’azione dal centrale di difesa meno abile tecnicamente, Manolas, chiudendosi centralmente e portando una pressione forsennata una volta che la Roma girava l’azione sugli esterni, in modo da sfruttare il vantaggio naturale garantito dalla rimessa laterale. I più bersagliati dal pressing bielorusso erano i quattro preposti a connettere la difesa con l’attacco, e cioè Florenzi, Pjanic, Nainggolan e Digne (non a caso tra i quattro che hanno perso più palloni: rispettivamente 14, 22, 13 e 20).
Una volta recuperato il pallone, l’obiettivo del BATE era quello di arrivare in porta il prima possibile, o tramite il lancio lungo direttamente dalla difesa (a fine partita la squadra bielorussa ne avrà tentati addirittura 88) o tramite le verticalizzazioni improvvise verso i quattro uomini offensivi. Un’azione provata sistematicamente è stato il lancio dalla difesa verso Signevich, la sponda di quest’ultimo verso le ali e la verticalizzazione di prima di queste verso il conseguente inserimento Gordeichuk.
In questo senso, il BATE ha trovato delle vere e proprie autostrade sulla catena di sinistra, dove Pjanic si è totalmente disinteressato della fase difensiva. L’atteggiamento reticente del bosniaco ha lasciato molte volte Florenzi in balia degli indemoniati Volodko e Mladenovic e ha costretto ripetutamente Nainggolan a scalare, scoprendo totalmente la difesa agli inserimenti degli altri centrocampisti. Se si esclude l’incredibile errore di Szczesny sul secondo gol (nato comunque da un inserimento del solito Mladenovic sulla sinistra), gli altri due subiti dalla Roma sono dovuti a inserimenti non assorbiti dalla mezzala di riferimento.
L’azione che porterà al gol dell’1-0 del BATE Borisov. Vainqueur è salito in pressione alta ed è stato seguito inerzialmente da Pjanic e Nainggolan, in ritardo sulla respinta sbagliata da Manolas. Nel frattempo in difesa si è sviluppato uno strano 3 contro 3, con De Rossi solitario a coprire la profondità e Digne, lontanissimo, a uomo su Stasevich (che alla fine segnerà). Sullo sviluppo dell’azione proverà a ripiegare il solo Salah, mentre i quattro difensori romanisti saranno presi in velocità dai quattro uomini offensivi del BATE.
La Roma, invece, per tutto l’arco del primo tempo non è mai riuscita a mettere sotto pressione la squadra bielorussa in maniera collettiva, complice un atteggiamento totalmente anarchico dalla metà campo in su. A centrocampo Pjanic accentrava come al solito il gioco su di sé, chiedendo costantemente la palla da giocare sui piedi, mentre Vainqueur e Nainggolan tendevano a spingersi acriticamente in avanti, finendo per occupare la stessa posizione. In attacco, Salah si accentrava accanto a Iturbe mentre Gervinho rimaneva isolato sugli esterni. Anche l’atteggiamento dei terzini è risultato schizofrenico, con Digne che rimaneva largo a cercare l’ampiezza e Florenzi che invece tendeva, anche lui, ad accentrarsi.
Non solo la prestazione tattica dei giallorossi è stata scadente, ma anche quella tecnica. Gli uomini di Garcia hanno sbagliato colpi e scelte individuali, su cui il francese fa sempre molto affidamento, fallendo numerose ripartenze contro una squadra che, per come aveva impostato la partita, finiva inevitabilmente per allungarsi (secondo i dati Opta, la media della lunghezza del BATE Borisov è stata di oltre 41 metri). La Roma ha finito per perdere ben 165 palloni, addirittura 10 in più della squadra bielorussa. Stupisce inoltre che la Roma abbia continuato meccanicamente a cercare il cross, soprattutto dalla trequarti (a fine gara saranno 18 i cross tentati), pur nella totale assenza di forti colpitori di testa davanti (l’unico presente in rosa, il giovane Soleri, è stato messo in campo al 92.esimo).
Reazione di nervi
La reazione di Garcia al 3-0 del BATE Borisov è stata confusionaria. Il tecnico francese ha deciso di passare al 4-2-4 già dalla fine del primo tempo, inserendo Iago Falque al posto di Vainqueur e poi Torosidis al posto di Iturbe. La mossa ha semplificato i compiti difensivi della squadra, con le due linee a quattro a contrapporsi a centrocampo, ma non ha dato ampiezza al gioco, com’era forse nelle intenzioni dell’allenatore, perché gli esterni, Florenzi (nel frattempo scalato in avanti) e Iago Falque, hanno continuato ad accentrarsi intasando gli spazi centralmente. Nonostante ciò, lo spostamento di Gervinho e Salah centralmente ha avuto almeno il pregio di dare alcuni punti più o meno fissi tra le linee avversarie che, insieme all’azione a tutto campo di Iago Falque e Florenzi, ha iniziato a scompigliare la retroguardia avversaria.
Gran parte del merito del ritorno della Roma nel secondo tempo, però, va dato alla reazione emotiva della squadra, accompagnata dall’inevitabile calo fisico del BATE, dopo il grande pressing del primo tempo. Ovviamente ha finito per incidere anche la grande differenza di valori tecnici in campo. Il secondo gol della Roma, tanto per fare un esempio, è innescato da un’incredibile giocata di Lucas Digne, che si è liberato del proprio avversario spalle alla porta con un tunnel di tacco (!).
Sul risultato finale ha inciso anche la sfortuna, con la traversa finale di Florenzi che poteva rimettere l’incontro in equilibrio. Il problema, però, è proprio questo: è paradossale che una rosa della qualità tecnica della Roma debba affidare il destino delle proprie partite alla riuscita delle giocate individuali, condizionate inevitabilmente dal caso. Alyaksandr Yermakovich ha invece dimostrato come attraverso l’elementare studio dell’avversario si possa superare la semplice somma dei valori tecnici degli undici uomini in campo.
Per Garcia è l’ennesimo campanello d’allarme, soprattutto in vista del vitale prossimo turno di Champions League contro il Bayer Leverkusen. Se la Roma ha sofferto i ritmi alti e l’elementare organizzazione del BATE Borisov, cosa succederà contro lo scientifico gegenpressing degli uomini di Schmidt?
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