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La prima della classe
09 feb 2015
09 feb 2015
La Juventus si è dimostrata superiore al Milan sia sul piano qualitativo che su quello dell'organizzazione in campo. La ricerca dell’equilibrio da parte di Inzaghi è ancora lontana dall’avere una soluzione.
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Un girone fa ci aveva pensato Filippo Inzaghi in persona a spegnere i facili entusiasmi dopo due (!) vittorie nelle prime due giornate di campionato. Milan e Juventus arrivavano allo scontro diretto con gli stessi punti ed erano in molti a pensare che i rossoneri avrebbero potuto giocarsela alla pari dopo quanto visto contro Lazio e Parma, gare in cui il Diavolo subì sì molto, ma fece vedere un potenziale offensivo notevole, con conseguente etichettatura (superficiale, a dire la verità) di Inzaghi come “nuovo Zeman”. “SuperPippo” invece impostò una gara esclusivamente difensiva, schiacciò la squadra nella propria metà campo e alla fine fu comunque punito dal gol di Tévez. Fu un’ammissione di inferiorità evidente, forse oltre la reale distanza tra le due squadre in quel periodo, ma servì a ricordare che non potevano bastare due partite per dire che il Milan era tornato ed era tra le favorite per il terzo posto. Vista da questa prospettiva la gara d’andata rappresenta l’inizio della fine per il Milan, il primo colpo alla fiducia e alla credibilità che Inzaghi stava ricostruendo dopo la scorsa, terribile, stagione. Se è vero che le cose sono precipitate con l’inizio del 2015 (4 sconfitte in 6 partite), è in quella prima ammissione di essere una squadra con limiti chiari che si può trovare un’anticipazione di quanto sarebbe accaduto in seguito. Anche per la Juve la gara d’andata ha rappresentato una tappa importante, l’inizio di una trasformazione che si sarebbe realizzata e consolidata col passare del tempo. A San Siro, per la prima volta, si erano visti i segnali del passaggio dalla linea difensiva a tre verso quella a quattro, con una disposizione fluida che aveva chiarito quali fossero le intenzioni di Massimiliano Allegri per dare la propria impronta a una squadra che arrivava da tre anni di successi e che probabilmente aveva bisogno di nuovi stimoli. Un girone dopo i limiti del Milan sono evidenti e non vengono più mascherati dai gol fatti, mentre il 4-3-1-2 della Juve è un sistema consolidato e digerito senza traumi. Allo Juventus Stadium si è avuta un’altra conferma di entrambe queste considerazioni. L’attacco e i problemi del Milan La squalifica di Destro ci ha privato di uno degli spunti più interessanti. Sarebbe stato bello vedere se Inzaghi avrebbe dato continuità al 4-2-3-1 visto contro il Parma, in cui Ménez non è più solo al centro dell’attacco. Personalmente non ritengo il francese un falso nueve. Anche se la sua carriera ha avuto sviluppi diversi, Jérémy ha cominciato giocando da attaccante a tutti gli effetti e ha vinto un Europeo Under-17 da numero nove, avendo come riserva Karim Benzema. Certo non è né Destro né Pazzini, ma non si può dire che non sia un attaccante o che non veda la porta. Oltretutto il suo repertorio di movimenti non si limita all’andare incontro al portatore di palla per creare gli spazi in cui far inserire i compagni: sa dare profondità e coprire la palla per far salire la squadra, tutte cose che rientrano nel manuale del buon attaccante. Nel 4-3-3 schierato da Inzaghi allo Juventus Stadium l’anomalia era rappresentata piuttosto dalla posizione di Honda, schierato centrale, in pratica da trequartista. Con questa mossa “SuperPippo” ha risposto alla domanda che si pone ogni allenatore che affronta la Juve: come limitare Pirlo? Honda ha marcato a uomo il regista bresciano ed è da sottolineare come abbia tenuto la posizione centrale anche in fase di possesso, più per andare rapidamente su Pirlo in caso di perdita del pallone che per dare un contributo concreto alla manovra milanista. I dati SICS ci dicono che il giapponese ha chiuso la partita con un solo passaggio chiave (in grado di creare presupposti di pericolosità), a conferma del suo ruolo marginale in fase offensiva.

La palla ce l’ha Diego López, si nota in maniera chiara il rombo juventino anche in fase di non possesso, con Honda che resta nel mezzo alle spalle di Pirlo.

Con Cerci a occupare la sua amata zona sulla destra, lo spazio lasciato a sinistra, nei piani di Inzaghi, doveva essere riempito dai tagli di Ménez. Che il francese fosse l’uomo più temuto lo dimostra l’accorgimento di Allegri di tenere Padoin (schierato terzino destro per le assenze di Lichtsteiner e Cáceres) molto vicino a Bonucci, così da avere sempre pronto il raddoppio sul numero 7 del Milan. Il duo juventino ha passato una serata tranquilla, perché Ménez, chiaramente non in condizione di giocare, non ha creato alcun pericolo (zero dribbling riusciti a fine partita), venendo sostituito da Pazzini prima dell’intervallo. A quel punto la scelta di Inzaghi di non cambiare la disposizione del suo tridente è apparsa inspiegabile e il risultato è stato quello di regalare una fascia alla Juve. Oltretutto, in fase difensiva, l’inferiorità numerica sul proprio lato sinistro ha aperto praterie ai bianconeri.

Muntari deve tenere d’occhio Marchisio e Tévez, che davanti a sé ha un’autostrada a quattro corsie. La palla arriverà proprio all’Apache e il suo tiro verrà respinto da Diego López.

La squadra di Allegri ha ovviamente sfruttato la libertà lasciata dal Milan da quella parte. Con Honda sacrificato in marcatura su Pirlo, Muntari doveva scegliere se restare a coprire Marchisio o uscire in pressione su Padoin. La maggior parte delle volte è stato preso in mezzo, mentre Antonelli alle sue spalle doveva controllare i tagli di chi a turno tra Vidal, Tévez e Morata si allargava nella sua zona. Tévez e Vidal sono stati gli juventini che hanno ricevuto più passaggi chiave (10 e 6 rispettivamente), la maggior parte sulla destra, a conferma che da quella parte i bianconeri hanno creato pericoli e occasioni con facilità. Poche volte il pressing alto del Milan ha funzionato: il Diavolo ha recuperato palla a un’altezza media di 36 metri (all’incirca nella propria trequarti), ma solamente 8 volte nella metà campo avversaria. In quel caso hanno contato più le leggerezze dei giocatori della Juve che la pressione coordinata dei rossoneri.

L’occasione che poteva cambiare la gara. Il Milan pressa alto, ma in maniera poco efficace: Essien è lontano da Marchisio, che ha tempo e spazio per gestire il pallone. Il centrocampista della Nazionale non si accorge però di avere alle spalle Antonelli (qui fuori inquadratura), che compie un gran recupero e fa un assist preciso per Pazzini. Buffon para e dal possibile pareggio si passerà al 3-1.

L’altra circostanza in cui il pressing alto del Milan ha funzionato è stata l’azione che ha portato al gol di Antonelli. Il corner - comunque regalato dal palleggio di testa tra Pogba e Tévez - è nato da un errore forzato di Morata e dalla successiva ripartenza. In tutti gli altri casi il tentativo di prendere alta la Juve ha finito per spezzare in due la squadra, con la linea difensiva scollegata dal centrocampo e costretta a gestire attacchi in inferiorità o parità numerica. Antonelli, Paletta e Alex sono stati protagonisti di alcuni interventi eccezionali (12, 9 e 8 palle recuperate rispettivamente, i migliori di squadra), a dimostrazione che più che in qualità la difesa del Milan manca in organizzazione. La linea difensiva non ragiona allo stesso modo e non si muove di conseguenza: gli errori di posizionamento di Zaccardo in occasione del gol di Tévez, e quello di Alex sul gol di Morata, sono esempi molto chiari da questo punto di vista e chiamano in causa il lavoro di Inzaghi sulla fase di non possesso. Il passaggio al 4-2-4 con l’ingresso di Bonaventura per Poli ha accentuato ancora di più la spaccatura della squadra, con i quattro davanti poco inclini a rientrare, i centrocampisti in una terra di mezzo senza dare nessuna copertura e senza appoggiare la manovra e i difensori esposti a ripartenze in campo aperto che avrebbero potuto causare un’umiliazione se la Juve le avesse gestite meglio. Il Milan ha faticato nel creare pericoli con azioni manovrate: la fase di possesso palla è stata lasciata alle iniziative dei singoli, specie di Cerci, che però ha chiuso la partita senza nessun dribbling riuscito, 6 falli subiti e 10 palloni persi. Anche nei minuti finali, quelli in cui sbilanciarsi per tentare il tutto per tutto, si sono notati l’assenza di movimenti senza palla e la divisione di una squadra che attacca con pochi uomini e che quindi fatica a creare occasioni da gol. Non a caso l’Indice di Pericolosità del Milan al 90’ segna un misero 30.

La Juve è passata al 3-5-2 per difendere il risultato, ma non ne avrebbe avuto bisogno. Sul cross di Rami in area ci sono solamente Bonaventura e Pazzini.

La Juve ha fatto i compiti Se la superiorità tecnica sul Milan non era in discussione, la Juve si è dimostrata di un altro livello anche sul piano dell’organizzazione e delle idee di gioco. Il compito non è stato difficile: è bastato seguire il proprio spartito e sfruttare gli spazi lasciati dai rossoneri nel tentativo di aggredire in zone alte i bianconeri. L’inizio basso dell’azione, comunque, non è mai venuto meno, anche perché l’inefficacia del pressing dei giocatori di Inzaghi non creava grandi problemi.

Chiellini e Bonucci si allargano e Pirlo si sposta nel mezzo per cominciare l’azione. Marchisio è solo e offre un’uscita sicura.

Una volta superata la prima pressione del Milan la Juve poteva attaccare la difesa ospite con relativa facilità. Detto della superiorità numerica sulla destra, anche sulla sinistra Evra ha avuto campo libero vista l’indifferenza di Cerci verso i compiti difensivi. L’ex Manchester United è stato il giocatore che ha tentato più cross di tutti, 4, pur difettando in precisione (nessuno infatti è andato a buon fine); aiutato da Zaccardo, che da quella parte si è rivelato l’anello debole della difesa rossonera, venendo saltato costantemente. C’è da dire che Poli non gli ha dato una grande mano, venendo sovrastato nel duello con Pogba. Al solito il centrocampista francese ha tirato fuori numeri d’alta scuola (vedi il tunnel a Essien nell’azione del 3-1), ma si è distinto anche senza il pallone tra i piedi, finendo con 9 palle recuperate, il top di squadra insieme a Pirlo, Chiellini e Bonucci. La differente organizzazione rispetto al Milan si è vista anche in fase di non possesso. La Juve è sempre stata rapida a scalare nella zona della palla, a creare superiorità numerica e ad aggredire immediatamente il portatore di palla rossonero. Quando poi il Diavolo ha provato a impostare dal basso bastava semplicemente che Vidal uscisse in pressione per spingere i difensori milanisti a lanciare lungo o a cambiare gioco. È bastato insomma fare i compiti e approfittare delle debolezze altrui (vedi la cronica difficoltà del Milan a difendere sulle palle inattive) per portare a casa un risultato ampiamente meritato. Conclusioni Ancora una volta, a fine partita, ci troviamo a parlare di moviole, fermi immagine e, caso unico, di geometria e prospettiva. Giuriamo che non lo facciamo apposta: le partite le scegliamo prima che si giochino e, non avendo ancora la capacità di prevedere il futuro (ma ci stiamo attrezzando), non vogliamo cavalcare l’onda delle polemiche o fare gli snob ignorando la componente arbitrale, importante anch’essa ai fini del risultato. Il fatto che il gol del vantaggio di Tévez sia nato da una posizione dubbia, che anche le immagini televisive hanno faticato a chiarire, non toglie comunque che la Juve si sia semplicemente dimostrata di un altro livello rispetto al Milan, e avrebbe vinto in ogni caso. Questo è ciò che ha detto il campo: la Juve ha una struttura consolidata, un’organizzazione superiore e non ha dovuto far altro che fare bene i compiti per mantenersi a +7 sulla Roma. Il Milan invece ha una serie di problemi così lunga che meriterebbe di essere trattata a parte. La ricerca dell’equilibrio da parte di Inzaghi è ancora lontana dall’avere una soluzione e non è detto che sia lui il più adatto a trovarla. Ringraziamo per i dati SICS (che potete anche seguire su Facebook e Twitter)

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