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Foto di Paul Gilham/Getty Images
Fondamentali Daniele V. Morrone 4 aprile 2016 4'

La presa della Catalogna

Il Real Madrid vince al Camp Nou dopo tre anni ed è anche merito del suo tecnico francese.

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Nonostante siamo ancora ad inizio aprile, questo Clásico aveva poche velleità di classifica e si giocava con i quarti di Champions League a soli tre giorni di distanza. Una prima spiegazione di come al Real Madrid siano bastati venti minuti di dominio finale per portare a casa una vittoria al Camp Nou, può essere questa. Poi, bisogna tenere conto delle letture sbagliate da parte di Luis Enrique e il peso delle trasferte intercontinentali della MSN. E spingendosi un po’ più in là si può arrivare a dire che quello che ha fatto la differenza per il Real Madrid, è stato quello che fino ad ora era sembrato il suo punto debole: l’allenatore.

 

Con un bluff perfettamente riuscito, Zinedine Zidane per tutta la settimana precedente alla partita ha detto di voler giocare con le stesse armi della squadra più forte del campionato, per poi abilmente virare verso un approccio pragmatico che, tra l’altro, è l’esatto contrario di quanto fatto da Benitez nell’infausta gara d’andata. Più che stregone tattico, Zizou lo stratega.

 

In campo è contata soprattutto la capacità di Zidane di trasmettere fiducia ai suoi giocatori: giocarsela alla pari pur adottando un piano gara reattivo, con una strategia che ha permesso al Real Madrid di non perdere mai il controllo della situazione. Anche quando nei minuti iniziali si è palesata una grave imprecisione nei gesti tecnici, che ha impedito alla squadra di gestire la manovra e aiutando la riconquista del Barcellona più del previsto, il Madrid non ha comunque perso fiducia nel proprio piano di gioco e, alla fine, è stato ricompensato da quei venti minuti in cui il Barcellona ha subito come mai prima d’ora, in totale balia della squadra avversaria.

 

Zidane “il pragmatico” ha schierato una squadra corta e dal baricentro arretrato che non ha cercato il recupero di palla alto, se non in azioni isolate, e soprattutto ha bloccato il centro del campo con un centrocampo che specchiava quello del Barcellona. Il centro era chiuso a chiave da Casemiro, ormai titolare inamovibile davanti alla difesa, a cui è stato chiesto di muoversi orizzontalmente per seguire i movimenti di Iniesta e Messi verso il centro della trequarti. Nel Real Madrid di Zidane solo Sergio Ramos sembra non aver recepito il messaggio di abbaiare ma non mordere, tamponare ma non uscire: per il resto anche gli attaccanti giocano ben più arretrati della norma, pronti a scattare solo se chiamati in causa da un lancio lungo, contenti quasi di seguire l’avversario anche al limite della propria area in ripiegamento.

 

Persino la mancanza di precisione nel cominciare la propria azione da parte del Real Madrid, ha mostrato che la scelta di Luis Enrique di schierare una squadra adatta solo al controllo del pallone si è rivelata un errore: preoccupato delle transizione offensive del Real Madrid più di quanto non si sia occupato di quelle difensive della propria squadra, Luis Enrique ha attuato un piano conservatore (solo i nemici a priori del tiki-taka sembrano non contemplare la possibilità che il possesso palla sia anche un’arma difensiva) che si è rivelato incapace di leggere la situazione in campo, ridando vita ad una squadra che non aveva più nulla da chiedere alla Liga.

 

clasico

La novità tattica del piano conservatore di Luis Enrique è stata la posizione di Messi che parte direttamente dal centro e lascia libera la fascia per le salite di Dani Alves. Al contempo c’è anche l’aggiustamento della posizione ben più conservatrice a sinistra di Jordi Alba, in un modulo ampiamente asimmetrico.

 

Nel primo Clásico successivo alla morte di Johan Cruyff, il Barcellona non ha reso omaggio al maestro del gioco di posizione, e pur impostando un gioco di passaggi corti non ha saputo trovare più di due opzioni libere per ogni portatore di palla, così da avere una circolazione lenta e prevedibile.

 

Con Messi più attento a mantenere la palla tra i suoi piedi che ad attaccare l’area, Neymar isolato con i piedi a toccare la linea laterale, le opzioni offensive si sono ridotte al lavoro sfiancante di Suarez su Sergio Ramos. In questo modo il Barcellona ha perso gradualmente il vantaggio tattico che gli garantiva il possesso del pallone, sfociando in manovre di attacco poco efficaci che hanno esaltato il gioco del Real Madrid invece di schiacciarlo a ridosso della propria area di rigore.

 

Il secondo tempo poi è stato ancora più duro per Luis Enrique che ha completamente sbagliato il cambio dopo il gol del vantaggio, favorendo indirettamente, quasi invitando, la rimonta del Real Madrid. Con l’ingresso di Arda Turan al posto di Rakitic, ha privato il Barcellona di un giocatore in grado di coprire il mancato bilanciamento della fascia, lasciando Dani Alves in balia della catena Marcelo-Kroos-Ronaldo: il motore del Real Madrid.

 

Clasico

Compendio della partita nel secondo tempo con il Barcellona che non trova più di una linea di passaggio per volta (i cambi di gioco non vengono praticamente mai sfruttati) e inizia a perdere anche la palla; il Real Madrid tampona e riparte una volta recuperata palla con sempre maggiore incisività.

 

L’entrata di Arda, forse, doveva servire a rafforzare il piano di controllo, con un giocatore in grado di mantenere il pallone, per compensare anche la mancanza di brillantezza sempre più evidente, con il passare dei minuti, di Iniesta e Messi. Il turco, però, non ha le letture di Rakitic e questo ha ingigantito ancora di più i problemi di gestione degli spazi. Il primo cambio e il calo fisico della MSN, ancora meno mobile del primo tempo, hanno creato le basi per il dominio finale del Real Madrid. Anzi, hanno creato il contesto in cui il lavoro psicologico di Zidane è germogliato, portando il Real Madrid a creare almeno tre chiare azioni da gol (uno è stato annullato). Va aggiunto, sempre sul piano psicologico, che Zidane è riuscito nel compito non semplice di togliere di dosso alla sua squadra l’umiliazione della partita di andata.

 

Per il Barcellona, le attenuanti citate all’inizio, soprattutto l’evidente stato di forma non ottimale, rendono la sconfitta il meno amara possibile, considerato il risultato, ma per il Real Madrid questa vittoria potrebbe essere il punto di svolta per il raggiungimento dell’unico obiettivo stagionale rimasto: quella Champions League in cui l’aspetto psicologico, con una squadra come quella madridista inferiore a nessuno sul piano individuale, conta moltissimo nell’arco di centottanta e novanta minuti. E se Zidane sembra in grado di maneggiare con cura uno degli aspetti fondamentali per un allenatore di alto livello, è proprio questo.

 

 

Tags : Barcellonaligaluis enriquereal madridzinedine zidane

Daniele V. Morrone, nato a Roma nel 1987. Laureando in economia, amante del "calcio di posizione" di Cruijff e Guardiola, segue con attenzione l'evoluzione del calcio asiatico.

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