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La posta de l'Ultimo Uomo, v. 3
05 ago 2015
05 ago 2015
La terza puntata de LPDUU, in cui rispondiamo alle domande che ci avete fatto. In questo volume Bale via da Madrid, le squadre B, i turning point della storia recente del Milan, il mistero di Egidio Notaristefano, lo stato dell'anti-juventinismo e la all star Nba di tutti i tempi.
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Ciao Francesco, le cose di cui tu parli sono l'emerso di una situazione che non conosciamo, stiamo speculando, stiamo facendo gossip, il calcio in questi discorsi c'entra poco, o comunque potrebbe entrarci poco, non lo sappiamo. Tra Bale e Ronaldo potrebbe davvero esserci un brutto rapporto come sembra, ma magari no, magari non si trovano in campo e non ci può fare niente nessuno. Però posso dirti quello che credo di sapere su Gareth Bale, in virtù del tempo che ho speso a interrogarmi su di lui (condensato in

). A me sembra una persona semplice finito in una situazione complicata, mi sembra anche una persona felice perché, in assenza di un ego come quello di Ronaldo, la consolazione economica aiuta ad accettare situazioni anche più difficili di questa. Mi sembra meno interessato a diventare una leggenda di quanto non lo sia a giocare a calcio un tot di ore al giorno e poi vivere come tutti quanti. Anziché ragionare sui singoli casi possibili (potrebbe far benissimo dappertutto e malissimo dappertutto) ti dico quello che penso sia il suo più grande problema calcistico: Bale è un calciatore unico ma non crea un contesto intorno a se, si può adattare a un contesto (a Madrid, nonostante le critiche, si è adattato bene al gioco a pochi tocchi) rischiando però che si vedano meno quelle caratteristiche che lo rendono eccezionale. Altrimenti, per vederlo al meglio, bisogna dargli molti palloni perché è un giocatore intenso, perdonargli le giocate di troppo e magari metterlo al centro in un sistema che sfrutti le ripartenze, e accettare che per quanto possa fare cose eccezionali non creerà mai un contesto vero e proprio, che vincerai delle partite e magari dei trofei ma non è detto che giocherai "bene", che i suoi compagni di squadra saranno contenti di giocare con lui ma non giocheranno meglio grazie a lui (tutto quello che ho detto, tra l'altro, vale per molti giocatori fortissimi di questo periodo).

 



 

In questo senso dovrebbe fare un piccolo passo indietro e scegliere un club più modesto, altrimenti per me deve restare a Madrid a qualsiasi condizione e fare del proprio meglio per scendere in campo, fare del suo meglio e aspettare l'occasione giusta: il primo anno in questo modo si è tolto più di una soddisfazione e neanche Ronaldo poteva lamentarsi di lui. Credo si sottovalutino gli aspetti più normali del suo gioco perché abbiamo tutti negli occhi le sue prestazioni più eccezionali, ma il suo contributo medio è alto anche senza che faccia i 100 metri in fascia con il terzino avversario. E non è detto che le cose non tornino favorevoli, sopratutto se Ronaldo completerà la propria trasformazione in punta centrale, finendo con l'aprire spazi per Bale, come per lui fa Benzema, magari senza neanche volerlo. Al momento Bale è unico ma non indispensabile, e forse non sarà mai il giocatore che può permettersi i capricci tipo Ronaldo o Ibra. È un male? Per me no.

 













 



 

Le squadre B servirebbero tantissimo al nostro calcio, dunque ho molti motivi per credere che non arriveranno mai. Perché il nostro pallone è ostaggio degli egoismi e degli interessi particolari di chi comanda. È vero che non è solo Lotito il problema, ma è anche vero che lui è il principale nemico di questo progetto che invece all’estero funziona. Basti pensare che in un’assemblea di Lega si era votato un documento che prevedeva le squadre B come opzione possibile per il calcio italiano e il verbale di quell’accordo è

, facendo in qualche modo sparire la voce dei presidenti che invece spingevano per le seconde squadre. La domanda è: perché le squadre B no e le multiproprietà sì? Perché le squadre B hanno un respiro progettuale e un vantaggio tecnico, le multiproprietà possono portare a vantaggi economici e operazioni di maquillage dei bilanci.

Un progetto serio, invece, che preveda la crescita dei nostri giocatori migliori non dovrebbe esimersi dalle seconde squadre. Per motivi molto semplici. I dati dicono che tra i diciannove e i vent’anni le squadre di serie A perdono i loro giocatori più interessanti: nella stagione 2013/2014 (l’ultima censita dal Report della Figc) nell’Under 19 i convocati erano per il 79 per cento provenienti dalla serie A. Poi si guarda all’Under 20 e la percentuale scende in picchiata al 9 per cento. Questa è la fascia di età in cui si mandano i giocatori “a fare le ossa”, ma è chiaro che di quei giocatori molti non torneranno mai alla base, perché anche se si dovesse trattare di una società sorella non è monitorata, non ha gli standard di allenamento della squadra che ha la proprietà del giocatore, non ha nessun programma e nemmeno interesse diretto a valorizzare un calciatore che non è suo, a meno di prestazioni utili (ma senza possibilità di appello in caso di errore).

Uno sguardo attento a quello che accade all’estero fa invece notare come molti giovani che adesso sono merce pregiata nel mercato o pezzi da novanta nelle squadre a cui guardiamo con ammirazione, sono passati dalle squadre B per maturare, e come anche molti allenatori (Guardiola compreso) siano stati prima “testati” nella via di mezzo tra le giovanili e la prima squadra, cose che non è accaduta ad esempio a Pippo Inzaghi, che dalla Primavera è stato catapultato al Milan dei “grandi” e forse si è bruciato, non avendo nemmeno avuto il tempo di mostrare qualità eventuali (e nemmeno il materiale umano per lavorare con un minimo di progettazione).

Difendere i posticini nelle categorie non penso che sia il motivo, soprattutto in un momento come questo in cui la Lega Pro stenta a trovare un numero di squadre adeguato al format del campionato e dunque potrebbe cambiare formula. Le società spariscono, invece di difendere posti. Un motivo in più per dire che non aprire alle squadre B è insensato.

 











 







 

Ciao Francesco,

rispondo io al primo "what if", quel Deportivo-Milan che per certi versi è peggio della finale di Istanbul. Però, essendoci stato quel Milan-Liverpool solo un anno dopo, il ricordo del 4-0 del Riazor è più sbiadito.

Prima di tutto faccio allora il punto della situazione: siamo ai quarti di finale della Champions League 2003/04, il Milan vince l'andata a San Siro 4-1 (con

peraltro) e ha più di un piede in semifinale. Al Riazor però succede l'incredibile: in 45 minuti il Milan spreca tutto il vantaggio, subendo tre reti. Poi nella ripresa arriva anche il 4-0 del Depor, in una delle rimonte più assurde della storia recente della Champions.

 



 

Cosa sarebbe successo allora se il Milan fosse stato capace di gestire il vantaggio di tre gol? Avrebbe probabilmente vinto quell'edizione della Champions, visto che era di un altro livello rispetto a Porto, Monaco e Chelsea, le altre squadre rimaste.

 

A quel punto, però, sarebbe stato difficilissimo arrivare in finale nel 2005, perché dopo due Champions di fila vinte un po' di appagamento è fisiologico e perché le altre squadre avrebbero moltiplicato gli sforzi pur di battere i bicampioni d'Europa. Ma senza Istanbul non ci sarebbe stata nemmeno Atene 2007, per cui alla fine il conto dei trofei sarebbe lo stesso. Ci saremmo risparmiati la sofferenza di Istanbul, ma avremmo tolto agli spettatori neutrali una delle partite più belle della storia.

 

Quanto a Mourinho, non credo che l'eventuale sconfitta in semifinale contro il Milan avrebbe cambiato di molto la sua carriera. Mou non nasce nel 2004 e prima di quella Champions aveva già vinto in patria e in Europa. Avrebbe comunque fatto il grande salto, anche perché il percorso di quel Porto era già sopra le aspettative con le vittorie sul Manchester United e sul Lione nel pieno del proprio ciclo vincente. Una persona così preparata e con così tanto talento era destinata prima o poi a diventare uno dei più grandi allenatori della sua epoca.

 







 

L'acquisto di Huntelaar in quell'estate 2009 è uno dei rari casi di Acquisti Che Già Sapevamo Sarebbero Andati Malissimo: quel Milan - post-Maldini, post-Ancelotti e post-Kakà, con Leonardo in panchina - non aveva realmente bisogno di un centravanti d'area di rigore come il Cacciatore, a cui non è mai stata data una vera possibilità perche Marco Borriello, azionato da Ronaldinho, sembrava davvero un giocatore di calcio (lo giuro, io c'ero, era il mio primo anno da abbonato a San Siro).

 

Per quanto riguarda Robben, c'è da dire che per il dopo-Kakà il Milan era convintissimo di avere il nuovo craque in casa, nel 21enne Alexandre Pato, che aveva sviluppato un'intesa telepatica con Ronaldinho - evidentemente non solo sul prato di San Siro, visto com'è andata a finire la sua carriera. In mezzo a quei due Robben non c'entrava proprio niente, senza considerare che avrebbe avuto 12.376.388 infortuni muscolari e non avrebbe mai visto il campo.

 

Per questo, tra Robben e Sneijder sarebbe stato certamente più utile il secondo, magari nel ruolo di "perno centrale" davanti a Pirlo e Ambrosini (arrivati fisicamente prosciugati a gennaio o giù di lì, dovendo correre per 6). Anche perché se Sneijder fosse venuto da noi, non sarebbe andato DA LORO un anno dopo a vincere tutto. Quindi magari per noi non sarebbe cambiato nulla - quel Milan arrivò terzo in campionato con 70 punti e venne eliminato malamente dallo United in Champions, e quello era il suo destino con o senza Sneijder - ma probabilmente sarebbe cambiato molto per l'altra metà di Milano.

 



 



 

Parto da un presupposto e cioè che a quella formazione è mancato veramente poco per fare un’annata stupenda.

La squadra si classifica seconda in campionato dietro la Juventus, arriva alle semifinali di Coppa Italia, dove perde sempre con la Juventus, e viene eliminata dal Barcellona ai quarti di Champions League.In tutte le competizioni la differenza tra vittoria e sconfitta è stata una questione di dettagli.

 

Francesc Fabregas avrebbe portato al Milan tantissimo talento e altrettante geometrie.

Immagino che la posizione che avrebbe occupato in campo sarebbe stata quella del vertice basso della mediana a tre, andando a prendere l’eredità di Pirlo, che in quella stagione si accasò alla Juventus, con i risultati che conosciamo.

Allegri in quella stagione alternò davanti alla difesa il

Mark Van Bommel (34 presenze totali tra Campionato, Coppa Italia e UCL) e Massimo Ambrosini (31 presenze in tutto), completando il reparto con l’

Antonio Nocerino (48 presenze e 11 gol), Alberto Aquilani (31 presenze), Clarence Seedorf (30 presenze e 3 gol) e Kevin-Prince Boateng (27 presenze e 9 gol).

 

Ora, con tutto il bene che posso volere al

e ad

, la presenza di Cesc a dettare i tempi avrebbe sicuramente aiutato il Milan ad avere un’altra fonte di gioco che non fosse Zlatan Ibrahimovic (44 presenze e 35 gol), unico vero regista e trascinatore della squadra in quella stagione, sgravando lo svedese del ruolo di catalizzatore-di-ogni-singolo-pallone e mettendogli in squadra qualcuno in grado di innescarlo dalle retrovie alla perfezione. Resta il dubbio che Zlatan non sarebbe poi stato così d’accordo, effettivamente.

 


Questo intendo per “innescare dalle retrovie”; da notare la connessione Cesc-to-Adebayor.


 

Quindi sì, la mia risposta alla domanda è che avremmo fatto una stagione splendida, considerando che ci mancava giusto qualche aggiustamento per renderla tale e che in mezzo al campo, ahimè, si sentiva e si sente tuttora a distanza di quattro stagioni, la mancanza di un giocatore con quelle caratteristiche.

 

Chiudo dicendo che, alla luce della seconda esperienza catalana e vedendo invece i risultati ottenuti una volta tornato in Inghilterra, dove Mourinho ha pensato bene di schierare Cesc nella posizione a lui più congeniale, credo che anche Cesc ne avrebbe guadagnato come livello di crescita personale. Avrebbe sicuramente vinto meno e sarebbe stato probabilmente venduto come Zlatan e Thiago Silva, ma non avrebbe passato tre stagioni a essere reinventato esterno, trequartista o

.

 



 



 

No, molto semplicemente. Tevez è stato il giocatore che più ha permesso all'ultima Juventus di Conte di dominare, quindi già in partenza stai togliendo loro una pedina fondamentale. Ma magari ne avrebbero anche trovata un'altra, quindi chissà. Quello che so è che il Milan, quell'anno, non sarebbe arrivato secondo—a soli 4 punti dalla Juventus—ma vi immaginate che sfracello sarebbe stato Tevez + Ibra? E niente, quindi Allegri avrebbe vinto due scudetti di fila, e forse quell'estate, gasati dallo scudetto, non avremmo venduto Thiago e Ibra, anzi, forse non avremmo nemmeno perso con il Barcellona, contando che all'andata finì 0-0, e che forse, quindi, il Milan di Allegri non sarebbe stato un progetto semi-abortito a metà corso ma sarebbe diventato forse un ciclo vero, e quindi forse tutto il ciclo Juventus non sarebbe nemmeno iniziato. Anzi, no, probabilmente quel Barcellona ci avrebbe eliminati comunque. Però. Con Tevez e senza le cessioni eccellenti, torse Allegri avrebbe vinto tre scudetti di fila, al Milan, e ora parleremmo di Acciughina come parliamo di Sacchi e Capello. E invece proprio Allegri ora allena la Juventus. Che storia. No? È una grandissima

della storia milanista degli ultimi anni.

 

 

















 





Devo confessarti, caro Sergio, che pur serbando un ricordo assai perturbante del buon Egidio non riuscivo proprio a mettere a fuoco il tipo di ceffo cui ti riferisci, quello con il quale immagino abbia passato le meglio serate della tua gioventù ad addormentartici occhi negli occhi (devi aver avuto un’adolescenza non proprio

). Allora ho cercato alcune immagini di Egidio: ho trovato

che penso si riferisca al suo periodo

, ma è più verosimile che l’effigie che troneggiava sul tuo armadio fosse

, cipiglio ruffianamente aggrottato, sguardo compiaciuto puntato verso le tribune del Via del Mare.

Non so se hai mai visto, piuttosto, quest’altro scatto: forse è l’immagine più iconica di Egidio Notaristefano, per un tot di motivi.

 


Plaisir de Vous connaitre, Monsieur Le Roi.




Egidio, nel momento in cui questa istantanea è stata immortalata, aveva diciotto anni: dopo cinque anni di giovanili

aveva fatto il suo ingresso nella rosa lariana che disputava la Serie A.

La foto dev’essere dell’84 o dell’85, la Juve ha lo scudetto cucito sul petto, il che significa che il Como è appena stato promosso e per Notaristefano si stanno spalancando scenari insperati. Platini, che già da qualche anno spalmava

sul tozzo di pane per cui era stato acquistato, ha l’espressione di quello che sta abbracciando per compassione un giovane ammiratore più che un collega; Egidio abbozza uno sorriso, o forse sta sciorinando qualche complimento melenso, o magari sta chiedendo a Michel come si fa, a diventare forti come lui.

 

Il primo gol in Serie A di Egidio sarebbe arrivato nella stagione successiva a quella in cui la foto con Platini, una foto che suscita molta tenerezza, almeno in me, è stata scattata, e dovresti spendere due minuti per vedere il video di quella giornata, che è uno squisito bignami di cosa fosse il calcio italiano negli anni ’80: la fanfare dei bersaglieri a San Siro, uno stregone africano, paracadutisti catapultati a centrocampo; centravanti d’altri tempi, come Stefano Borgonovo che si conquista un rigore

e Altobelli che segna tre gol à-la-Altobelli.

 


E poi c’è “il ventenne Notaristefano” che su un “tappeto di fiori nerazzurri” si incunea tra i centrocampisti, con una finta fa sì che la linea difensiva si spalanchi come la barra di un casello se hai il telepass e segna il suo primo gol in Serie A.


 

L’allenatore di quel Como era Rino Marchesi: nel settembre dell’86, quando si trasferì alla Juventus ed ebbe l’onore di allenare Platini nell’ultimo anno della sua carriera, avrebbe voluto Egidio in bianconero, Egidio era pure sulla cresta dell’onda, pilastro dell’Under-21 con la quale avrebbe segnato il suo primo e unico gol il giorno prima dell’ultima gara in Azzurro di Cabrini, ma un infortunio al ginocchio lo tenne fermo per qualche tempo, l’entusiasmo attorno al suo nome - oggi diremmo l’

- svanì ed è per questo che Notaristefano è rimasto quello del quale oggi serbiamo memoria, caro Sergio: un cognome

bislacco per essere quello di un calciatore di successo.

 

Un’altra foto nella quale mi sono imbattuto cercando immagini di Egidio è quella di Giampaolo Ceramicola: oltre ad essere entrambi tra i nomi più lunghi che abbiano solcato i campi della A (diciannove lettere, poi sarebbero arrivati i Lazaros Christodoulopoulos ma così è troppo semplice), diciamocelo, sono cognomi da

, non da calciatori: Ceramicola è buono per una ditta di costruzioni edili, Notaristefano per esempio mi fa pensare a un’impresa di onoranze funebri, ma magari son io che son fatto male.

 

Eppure entrambi hanno segnato, in una maniera o nell’altra, la storia del Lecce dei mid-nineties.

Ti regalo un altro video, a proposito:

 


Reja viene ancora chiamato Edoardo e non Edi, il giornalista ha uno di quei Burberry che quando si bagnavano puzzavano di topo, Notaristefano “inventa” e il Lecce strapazza il Tranmere Rovers in una gara di Coppa Anglo-Italiana. Ah, gli anni ’90!


 

L’ultima immagine di Egidio (che poi

è un’immagine di Egidio) nella quale mi sono imbattuto cercando immagini di Egidio è questo piano americano di un imbolsito e pur tuttavia sorridente Claudio Borghi:

 


Tipo Riquelme prima che ci fosse Riquelme.




La storia di Claudio Daniel Borghi si meriterebbe un’altra domanda sulla mailbag dell’Ultimo Uomo, e a seguire una risposta più approfondita. A noi basta sapere, qua, che Notaristefano, il suo

, erano riusciti a Como a mettere in ombra uno che solo un anello di quercia prima aveva sbalordito il parterre calcistico italiano - tanto che Platini,

, l’aveva definito “il Picasso del calcio” - con una prova da incorniciare nella finale di Intercontinentale ’85 tra la Juventus e il suo Argentinos Juniors.

 


Riguardare oggi il play-by-play di Borghi in quella partita significa sbattere la testa sullo spigolo in cui c’è scritto “come ha fatto questo fenomeno a perdersi per strada?”.


 

In un certo senso, per associazione, possiamo solo

quanto forte fosse Egidio Notaristefano.

Non mi sorprende, perciò, caro Sergio, che tenessi la sua figurina appesa all’armadio.

Piuttosto mi viene da chiedermi: perché i calciatori e non, che ne so,

?

Tuo,

 

Fabrizio

 















 



 

Uno dei primi insegnamenti di mio padre ha riguardato il fatto che la Juve non vince in modo pulito. So che può suonare comico ma quell’insegnamento prevedeva il racconto del “go’ de Turone” come pandora dei mali del mondo, archè assoluto dell’ingiustizia di questa vita. Naturalmente oggi trovo grottesco il modo in cui noi romanisti ci aggrappiamo a quell’episodio, eppure, ricordando il tono grave e amareggiato con cui mio padre mi raccontava quella storia, non riesco del tutto a farci dell’ironia.

 


"Era bbono!".


 

Non ne vado particolarmente fiero e non voglio sostenere presunti “fondi di verità”, voglio semplicemente dire che sono cresciuto così e non credo di essere il solo: i bruchi diventano farfalle, troppo sole brucia la pelle, la Juve ruba. Negli anni ho imparato a smentire la naturalità di questo assunto e ho formato una mia coscienza, ma ammetto che ci sono stati momenti recenti in cui la mia sobrietà sportiva ha vacillato. Non perché ho pensato davvero che la Juve rubi, ma perché non riusciva a non starmi antipatica. Questi momenti coincidono per lo più con il periodo in cui Antonio Conte ha allenato la Juventus. Lo scorso anno anch’io sono tornato su posizioni più razionali e se ho pensato di rispondere alla tua domanda è allora perché mi ritrovo abbastanza nel fenomeno da te descritto.

 

Bisogna però fare tre premesse. La prima è che questi discorsi non dovrebbero essere presi troppo sul serio, trattandosi di piccole psicosi legate (neanche troppo direttamente) al calcio, quindi questa risposta andrebbe presa come una mini seduta di psicoterapia.

 

La seconda è che non credo che l’antijuventinità sia del tutto scomparsa, al massimo si può dire attenuata.

 

La terza è che come tutte le psicosi possiamo trovare al loro interno tantissimi gradi e sfumature: trovo interessante per esempio come tu abbia ritenuto più socialmente accettabile essere anti-juventino che non esserlo. Per me è stato il contrario: sono stato sinceramente felice delle vittorie della Juventus in Champions League ma quando il Barcellona ha segnato il 2 a 1 in finale una parte di me che credevo sepolta è tornata ad esultare, e in quel momento mi sono trovato costretto a reprimerla davanti ad amici.

 

In questo senso sono contento che la Juventus dello scorso anno abbia in qualche modo limitato quel tipo di energia negativa. Non ci vedo niente di ipocrita e, per rispondere a un pezzo della tua domanda, credo sia difficile tornare su livelli pre-Allegri. Almeno per quanto mi riguarda: ho scoperto che mi piacerebbe vivere in un mondo senza anti-juventinità. È rilassante smettere di arrabbiarsi senza motivo.

 

Conte aveva riconosciuto l’anti-juventinità come un preciso connotato identitario: sembrava voler vincere soprattutto contro qualcuno più che per qualcuno. In un certo senso Conte ha ripristinato l’odio contro la Juve come un fatto naturale, come se noi, da parte nostra, non avessimo altra scelta. Lo ha fatto con conferenze stampa violente, con atteggiamenti permalosi al limite del paranoico. Insomma si è reso ostile, non ha fatto niente per risultare simpatico e non c’è cosa più difficile da digerire di una persona che ama risultare antipatica.

 

So che in tutto questo Conte si è potuto poggiare su un pregiudizio autentico, su dell’odio vero, e so che quindi eravamo noi che alla fine gli davamo ragione. Ma c’era davvero bisogno di tutto questo?

Nonostante la sua Juventus sia stata di gran lunga la squadra di calcio migliore dell’Italia per diversi anni era come se Conte non ci credesse davvero, come se per esserlo era necessaria tutta quell’architettura di tensione emotiva.

 


 Esempio di dialettica marcia.


 

Tutto questo è risultato chiaro quest’anno, quando Massimiliano Allegri ha riportato tutto alla normalità. Le vittorie della Juve non sono mai parse un fatto tanto

quanto quest’anno: la sviolinata di Garcia di ottobre è risultata patetica perché parte di una dialettica ormai spenta. La Juve è stata la più forte squadra in Italia e la seconda squadra più forte in Europa: non c’era molto da fare, né da arrabbiarsi. Allegri è rimasto tranquillo, ha tenuto tutti i discorsi ideologici ai margini, lasciando parlare il campo e tenendo la superiorità calcistica della propria squadra come una garanzia di serenità. Non ci ha lasciato spazio per invidie, insinuazioni: nessuna conferenza stampa velenosa, nessuna paranoia, nessuna dichiarazione passivo-aggressiva.

 

Essere sconfitti in questo modo è più semplice da accettare: chi vince non è sempre antipatico, e questa stagione della Juventus ne è stata la migliore dimostrazione.

 

Insomma, loro sono in parte cambiati, e questo magari sta cambiando anche noi. Che non sia questo il merito più sottovalutato della gestione Allegri? L’aver migliorato la dialettica sportiva in Italia? L’averci reso persone meno arrabbiate nella sconfitta?

 

 









 



 



 



West: Magic - Kobe - Durant - Duncan – Kareem
Est: Iverson - Jordan - Bird - LeBron – Russell

 



West: Magic - Kobe - Durant - Duncan - Shaq

East: Iverson - Jordan - Bird - LBJ - Chamberlain

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