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La posta de l'Ultimo Uomo, v. 5
06 nov 2015
06 nov 2015
La quinta puntata de LPDUU, in cui rispondiamo alle domande che ci avete fatto. In questo volume il livello della Serie A, i pregiudizi sulla difesa a 3, il valore di Mesut Özil, Er Viperetta. Ma anche le prospettive di Max Verstappen, la carriera di Ivan Basso e quella di Hetemaj.
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Ok su questa cosa però sei un po' irrazionale. Con l'esempio finale di Pavoletti mi mandi in ebollizione il cervello, perdo ogni riferimento tra giocatori considerati forti e quelli no. Ma poi scusa, tu hai mai visto giocare Naughton o Monreal? A parte i nomi più fichi, non hanno molto in più di Antonelli, e sono titolari in Premier League.

 

https://www.youtube.com/watch?v=WSPa5_iouAQ

LEONARDO PAVOLETTI!!!


 

Ti risparmio la retorica sui talenti all'estero che floppano in Italia (anche perché è vero almeno quanto quella opposta), ma se mi fai una domanda del genere quest'anno davvero penso che lo fai perché, che ne so, ti piace deprimerti. Francamente, quest'anno la Serie A è interessante, pensa solo che è lo stesso campionato in cui giocano squadre brillanti e tecniche come Napoli e Fiorentina e patchwork difensivi composti da campioni tipo Roma e Inter, il campionato dove il Chievo fa pressing alto, l'Empoli gioca con il trequartista, la Juventus è sotto l'Atalanta e il Sassuolo compete per un posto in Europa. Ma hai visto giocare il Sunderland quest'anno?

 

Ci sono giocatori che, come si dice, valgono da soli il prezzo del biglietto (Franco Vázquez, per fare un esempio) e talenti che brillerebbero in qualsiasi campionato: quale squadra di Premier League non farebbe giocare titolare il Pjanic di quest'anno? Ma anche Allan toglierebbe il posto a molti giocatori più pubblicizzati (o magari

). Certo, manchiamo ancora d'intensità (secondo me non perché manchi il materiale umano ma per scelta degli allenatori delle squadre più grandi che preferiscono un gioco poco rischioso) ma non vorrei che ci stessimo facendo influenzare dall'idea di spettacolarità inglese, che è solo un'idea di come si può giocare a calcio.

 

Qualche sabato fa ero molto stanco e ho raggiunto Daniele V. Morrone in un pub irlandese per vedere lo United di van Gaal e ho dovuto prendere un caffè per non addormentarmi (altrimenti Daniele V. Morrone pensa che non mi godo la sua compagnia e non è così). Ho preso un caffè in un pub irlandese, non sarà un argomento per mettere in discussione l'egemonia del prodotto Premier, ma qualcosa vorrà pur dire, no?

 

Ma forse dovresti lasciare i tuoi amici dire quello che vogliono e farti gli affari tuoi. Ti diverti quando Gasperini sparpaglia a uomo i suoi giocatori per il campo

? Secondo me questo dovrebbe bastare, se i tuoi amici vogliono deprimerti con il solito discorso “che merda l'Italia” tu rispondigli: «E i marò? Guardate che l'India è peggio».

 



 





 



 

Con una linea di 3 difensori, Johan Cruijff, negli anni ’90, con il suo Barcellona, oltre a quattro edizioni della Liga, vinse una Coppa delle Coppe e una Champions League (entrambe in finale contro la Sampdoria di Boskov). L’Ajax di van Gaal e dei giovani vinse nel 1995 Champions League, Supercoppa europea e Coppa Intercontinentale giocando con una difesa a 3.

 

Negli anni ’90 le coppe europee furono terreno di caccia per le squadra che giocavano a 3 dietro: in Champions League Olympique Marseille nel 1993 (finale contro il Milan) e Borussia Dortmund nel ’97 (finale contro la Juventus). In Coppa delle Coppe il Werder Brema nel ’92 e il Parma di Nevio Scala nel ’93. In Coppa UEFA sempre l’Ajax di van Gaal nel ’92, ancora il Parma di Scala nel ’95, il Bayern Monaco nel ’96, lo Schalke 04 nel ’97 e il Parma, stavolta di Malesani, nel ’99.

 

https://www.youtube.com/watch?v=M6qHiJ7lI2E

L’Ajax dei giovani che vinse la Champions League nel ’95.


 

Le interpretazioni erano piuttosto diverse. La scuola olandese giocava una sorta di 3-3-1-3 che disegnava 3 rombi in campo e in cui gli esterni di ruolo erano delle vere e proprie ali: Finidi e Overmars nell’Ajax, Begiristain o addirittura Lineker, Salinas o Stoichkov nel Barcellona.

 

Diversa la scuola tedesca, che, derivando direttamente dalla marcatura a uomo degli anni precedenti, vedeva due marcatori e un libero spesso proveniente dai ruoli avanzati. Nello Schalke 04 già citato il ruolo di centrale nei 3 era occupato da Olaf Thon, un ex-mezzapunta alta 1,70, mentre nel Borussia Dortmund giocava Matthias Sammer, ex-centrocampista che spostandosi nel ruolo di libero vinse una delle edizioni più controverse del Pallone d’Oro. Sugli esterni, giocatori capaci di fare tutta la fascia, come Reuter e Heinrich, visto poi alla Fiorentina.

 

Peculiare il Parma di Nevio Scala, che con il suo 5-3-2 arrivò a conquistare l’Europa e a sfiorare lo scudetto: due fluidificanti sugli esterni (Benarrivo e Di Chiara) e un centrale, Georges Grün, capace di avanzare e creare superiorità numerica in mezzo al campo.

 

C’era un tempo in cui in Europa si vinceva giocando a 3 dietro. Terminata la sbornia degli anni ’90, la difesa a 3 passò di moda sia in Italia che all’estero. L’ultima versione vincente in Serie A fu il Milan di Zaccheroni, che dopo i successi con il 3-4-3 a Udine, vinse un clamoroso scudetto con Sala (?!), Costacurta e Maldini a difendere.

 

Nel nostro paese la difesa a 3 è tornata di moda con il 3-5-2 dei tre scudetti consecutivi di Antonio Conte alla Juventus e adottata da tantissimi allenatori. All’estero, nelle sue innumerevoli costruzioni e ricostruzioni del posizionamento dei propri giocatori, Guardiola propone con una certa regolarità una versione della difesa a 3 molto vicina a quella della scuola olandese degli anni ’90 (vedi Roma-Bayern 1-7 della passata stagione), Marcelo Bielsa la schiera spesso contro squadre che giocano con due punte e i bielsisti sparsi nel mondo, specie in Sud America non la disdegnano di certo.

 

https://www.youtube.com/watch?v=lWJyMDkDnV0

Dedicato a tutti gli juventini.


 

Come ogni disposizione tattica, l’adozione di una difesa a 3 presente vantaggi e svantaggi. In linea generale è piuttosto condivisa l’idea che uno schieramento a 3 dietro porti evidenti vantaggi in fase di possesso palla e consenta pertanto una costruzione da dietro più agevole. La disposizione a tre consente di avere abbastanza spazio tra gli uomini che devono fare circolare la palla, spesso situazioni di superiorità numerica e possibilità di alzare in maniera differente i tre componenti della linea con vantaggi in termini di efficacia dello scaglionamento. A testimonianza di ciò, il frequente abbassamento di uno dei centrocampisti nella linea della difesa a 4, per creare, in fase di possesso palla, le medesime condizioni tattiche previste dallo schieramento a 3.

 

In fase di non possesso palla una linea di tre difensori può garantire superiorità numerica contro attacchi a due punte e in genere fornire una buona copertura della zona centrale della difesa. Tra gli svantaggi più comunemente citati c’è la difficoltà a difendere contro attacchi a tre punte e la tendenza, in molti sistemi, a fare abbassare eccessivamente gli esterni, tramutandola di fatto in una difesa a 5 e condannando la squadra a un baricentro troppo basso.

 

Di certo la qualità del gioco, l’efficacia e la spettacolarità di una squadra, il suo carattere offensivo o passivo, dipendono molto poco dal numero di difensori che staticamente vengono schierati nella linea arretrata. Così come una squadra di Zeman e una di Simeone sono estremamente diverse tra loro pur essendo accomunate dallo stesso numero di difensori.

 

Senza andare troppo indietro nel tempo e considerando i tre allenatori di oggi più famosi che alternano difesa a 3 e a 4, Guardiola, Bielsa e Conte, è evidente che il carattere intimo delle loro squadre è il medesimo sia quando schierate a 3 che quando schierate a 4 dietro, a testimonianza che più che i moduli, sono i principi di gioco adottati a definire lo stile tattico di una squadra.

 

Ne consegue che in Europa e in qualsiasi campo di calcio del mondo e in qualsiasi categoria si pò vincere schierando 3, 4 o 5 difensori. Banalissimo, ma l’importante è giocare bene.

 



 





 



 

Ciao Marco,

la risposta semplice alla domanda è che sì, Özil è uno dei migliori giocatori al mondo e merita tutta la tua stima. Come tutti i giocatori ha dei difetti, ma i pregi bastano da soli a rendere migliore la squadra in cui gioca, qualsiasi essa sia. Forse non parliamo di un fuoriclasse, ma certamente di un campione e di una gioia per gli occhi.

 

Il regno di Özil è tutto il fronte della trequarti offensiva, perché è lì che si esaltano i punti di forza del suo gioco: è un calciatore capace di controllare, proteggere e passare il pallone con ogni parte del piede, rimane sempre in equilibrio e in controllo del corpo durante l’esecuzione del gesto e ha le capacità analitiche in grado di elaborare in una frazione di secondo la scelta migliore e nel caso lo spazio giusto dove far andare il passaggio. Non è quindi solo un giocatore creativo, il genio è solo una parte del suo gioco, Özil è decisamente cerebrale in campo.

 

https://www.youtube.com/watch?v=vZqC12DPSmY

 

Non è solo un giocatore elegante, ma anche un giocatore che fa la differenza. Il più evidente pregio di Özil è l’ultimo passaggio, dove abbina alla precisione tecnica una capacità analitica di lettura degli spazi. Guida le statistiche della Premier League con 5 passaggi chiave per 90 minuti (o 4.7 a partita) e una percentuale di passaggi riusciti dell’88%. Per dare una migliore idea delle dimensioni posso parlare del secondo per passaggi chiave, che è Payet del West Ham, con 4.1 e una percentuale di passaggi riusciti dell’80%.

 

Ho scelto i passaggi chiave e non gli assist perché è una statistica che non dipende dalla capacità realizzativa del compagno e dimostra che Özil è in grado di mandare in porta chiunque, sempre. Se poi ha davanti Cristiano Ronaldo meglio per entrambi, ma è capace di mandare in porta anche giocatori che corrono su binari immaginari come Theo Walcott mettendogli il pallone dove dovrebbe correre più che dove sta per correre.

 

https://www.youtube.com/watch?v=trdXPGGaB50

2:27, vedere alla voce “mandare in porta Theo Walcott”.


 

Con il leggero aggiustamento fisico avuto nell’ultimo anno solare (ha aggiunto definizione a un corpo di 183 cm) protegge la palla anche senza dover ricorrere alla tecnica pura. I limiti di Özil riguardano soprattutto il modo in cui si muove senza palla. Arrivato a Londra, era un giocatore che si limitava a cercare la zona migliore per ricevere il pallone tra i piedi. Sia la resistenza, che il livello di concentrazione, che la semplice ricerca del contrasto era a dir poco rivedibile. Lo stesso Mourinho, che vedeva in Özil il miglior 10 d’Europa (perché ovviamente quello col 10 di Barcellona è tabù a certe latitudini), non è mai riuscito a far sviluppare al tedesco questo aspetto del gioco.

 

L’impatto con la Premier in questo senso è stato tremendo per Özil che, dopo un ottimo periodo iniziale, non è riuscito a reggere i ritmi non solo fisici, ma anche mentali che la competizione richiede. Adesso però si è adattato e riesce non solo a reggere fisicamente una partita, ma anche a rimanere lucido durante tutta la gara. Si applica decisamente di più dal punto di vista tattico, nonostante non gli venga ancora riconosciuto, avendo il marchio addosso del talento letargico: tenta quasi 3 contrasti a partita, ovvero lo stesso numero di un rinomato faticatore come Sánchez. Ha anche lo stesso numero di intercetti a partita del cileno in un’aspetto dove potrebbe anche essergli superiore, avendo una migliore capacità di lettura delle situazioni di gioco. Chi lo considera pigro e poco energico lo fa perché prevenuto dopo gli anni a Madrid, adesso Özil è nella media come “effort” in difesa.

 

Parlando però della critica sui pochi gol bisogna ammettere che si tratta di una lacuna evidente nel gioco di Özil (non è mai andato in doppia cifra in campionato in carriera). Özil tira veramente poco: in questa stagione ha provato la conclusione in porta solo 14 volte, 30 in meno di Coutinho, che ha grossomodo lo stesso numero di minuti in campo e la stessa zona di competenza.

 

Questo non credo abbia a che fare con la pigrizia. Si tratta più probabilmente di una caratteristica del giocatore che negli anni a Madrid non ha fatto che ingigantirsi, avendo accanto onnivori del tiro come Ronaldo e Benzema. Le poche volte che arrivava in porta finiva spesso per rendersi innocuo al momento della conclusione. La statistica in questo senso va contro l’eye test, perché Özil ha una percentuale di riuscita delle conclusioni sopra il 60%, ma non sono poche le partite importanti in cui davanti al portiere il tedesco ha fallito. Anche su rigore. Se alla squadra serve un gol meglio se Özil si trova dalla parte di chi fa il passaggio che da quella di chi la riceve. Il problema è che vista la zona di campo può capitare che sia lui a ricevere il pallone decisivo.

 

Quindi. Özil non è un giocatore sopravvalutato, perché quello che sa fare lo fa meglio di quasi tutti al mondo. E nel ruolo in cui gioca quello che sa fare lui è esattamente quello che serve alla squadra. Non è più vero che non si impegna senza palla e che si stanca subito, ma è vero che dovrebbe segnare di più per incidere anche nelle partite fondamentali, dove spesso non basta apportare quel che già si sa fare. Questa spesso è la differenza tra i campioni e i fuoriclasse.

 



 







 



 

Gentile Francesco,

dato che a quanto pare sono uno dei pochi membri della redazione de L’Ultimo Uomo a sapere che il

, la lingua che si parla in Finlandia, appartiene al ceppo ugro-finnico e non somiglia a nessuna delle lingue parlate in Europa, eccezion fatta per il magiaro, e che inoltre conosco l’esatta pronuncia suomi delle parole

e

(ok, vi do una dritta: ˈkiːt̪o̞s e ˈhɑ.lu.t̪ɑ, si scrivono

e

), rispondo molto volentieri a una domanda che tira in ballo il finlandese Përparim Hetemaj. Non avrei mai pensato che i 16 CFU in glottologia mi sarebbero serviti, un giorno, tutti insieme.

 

Mi chiedi: perché Hetemaj è così sottovalutato? Quanto dipende, provo a rincarare la dose io, dal fatto che è finlandese?

 

Di certo è l’ultimo arrivato di una lista breve (per la verità brevissima) di calciatori suomi che hanno calcato i nostri campi: Mika Aaltonen a fine anni ’80 con la maglia del Bologna; Aleksej Erëmenko con quella del Lecce e il fratello Roman con quella di Udinese e Siena agli albori degli anni Zero. Si contano sulle dita di una mano. Anche l’Australia è stata più rappresentata nella storia della Serie A.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Chn6Hk75HFc

Il giorno in cui Mika Aaltonen, con il TPS Turku, aprì sul campo di San Siro uno squarcio spazio-temporale che portava al Valhalla, e convinse l’Inter ad acquistarlo prima di girarlo in prestito al Bologna.


 

Il più forte finlandese che sarebbe potuto sbarcare in Serie A è stato, coincidenza, il più forte finlandese di sempre: Jari Litmanen. Avrebbe potuto vestire la maglia della Roma: nel 1997 Carlos Bianchi, che voleva puntare fortemente sull’allora fantasista dell’Ajax e scaricare Totti (che era già stato lasciato a terra dall’Under-21), fece pressioni per organizzare un triangolare-di-metà-stagione con i "Lancieri" e il Borussia Dortmund, un triangolare nel quale il giovane Francesco fece le fiamme e la fine della storia la conosciamo bene.

 

https://www.youtube.com/watch?v=vDnyV2gj1zM

Jari si sarebbe accontentato di segnare contro la Roma ogniqualvolta si fosse trovato i colori giallorossi di fronte.


 

In un universo parallelo, quindi, la prima rete finlandese in Serie A l’ha segnata Litmanen, con la maglia numero 10 della Roma, con un lob liftato contro la Juventus. Nel nostro mondo, invece, la prima rete finnica porta la firma di Përparim, con la maglia del Brescia e contro la

.

 

Përparim si è trasferito in Finlandia dal Kosovo quando aveva sei anni. Ha trascorso un anno in un centro profughi a Oulu (da dove recentemente molti rifugiati siriani sono

, messi in fuga dall’atteggiamento a loro dire

della città) prima di trasferirsi a Helsinki.

 

https://twitter.com/Perpa56/status/639427953122803712

Hetemaj invece ha le tasche piene di estrema riconoscenza: «Vorrei ringraziare la Stato finlandese, un luogo di rifugio nel momento del bisogno. La mia famiglia ha ottenuto l’opportunità di un nuovo inizio, e la possibilità di vivere in sicurezza! #greatful».


 

Di lì è volato verso la Grecia (dove ha scelto l’AEK a scapito dell’Udinese per giocare la Champions League), poi l’Olanda (acquistato e mai schierato dal Twente) prima di raggiungere la Leonessa, giocarci due campionati, passare al Chievo in prestito e venire rilevato a titolo definitivo. Ora ha firmato un contratto fino al 2018: salvo chiamate del Real Madrid, s’intende. Nel 2004 ha acquisito la nazionalità finlandese. Dice di giocare per la Finlandia perché «la Nazionale del Kosovo non è riconosciuta».

 

https://www.youtube.com/watch?v=McTNAuLzilM

Un paio di lanci lunghi e precisissimi, una delle cifre del gioco di Hetemaj, per beneficiari vintage tipo Moscardelli o Caracciolo.


 

Përparim è sempre stato nelle glorie degli allenatori che l’hanno voluto, da Iachini a Maran, essenzialmente per il suo afflato gladiatorio in campo, ma sarebbe una superficialità additarlo come semplice calciatore di rottura e di lotta: certo è un interditore eccelso, ma in teca espone anche altre caratteristiche. In una di quelle interviste in cui ti chiedono a chi pensi di somigliare o a chi ti ispiri, ha detto di sentirsi metà Gattuso e metà Salihamidzic, il suo idolo. «Sono una mezzala, sono uno da box-to-box: gioco meglio a destra, ma va bene tutto».

 

https://www.youtube.com/watch?v=G9-idmRHQno

Nelle recenti qualificazioni a Euro 2016 ha segnato questo gol su punizione contro i poi-vincitori-del-gruppo dell’Irlanda del Nord: un tiro a incrociare sul palo scoperto, difficile anche solo da pensare, notevole soprattutto per l’impressione di scarico rabbioso che trasmette. E pensare che dopo il suo gol alla Juventus di inizio stagione aveva detto di non avere un gran tiro.


 

Nella stagione scorsa (dati Squawka) è stato il secondo giocatore per tackle intrapresi, alle spalle del solo Allan, e terzo per tackle vinti (al primo posto c’è

Vázquez): Përparim non è uno che si tira indietro, caratteristica evidente al riscontro delle statistiche, anche perché è stato il secondo giocatore per falli commessi.

 

Un dato interessante, però, è quello che lo vede in testa alla classifica di tutti i calciatori della Serie A per falli subiti: 140. Anche nella stagione precedente aveva accumulato un numero di falli subiti simile a quello, per dire, di Cuadrado: i suoi allunghi in progressione, gli uno-contro-uno cercati con insistenza, le spallate per il possesso palla fanno sì che spesso gli avversari siano costretti a fermarlo con le cattive.

 


A proposito di cattive: wrestling tra Hetemaj e Eero Markkanen, ex stella del Real Madrid Castilla.


 

Allora, davvero: perché non è mai stato cercato da una grande squadra? Possibile tutta questa

? Per provare a darmi una risposta voglio scomodare il Kalevala, il poema epico alla base della costruzione identitaria finlandese, composto da racconti tramandati per secoli dalla memoria orale.

 

Nel Kalevala compare un personaggio, si chiama Ilmarinen,

: è un fabbro divino, immortale, capace di creare praticamente tutto partendo da zero, con l’unica pecca di essere sfortunato in amore (possiamo paragonare la mancata chiamata di una big all’essere sventurato con le donne?). Ilmarinen non si fa troppi problemi a lavorare l’oro oggi, il rame domani, il ferro dopodomani: quel che c’è da forgiare, lui forgia.

 

Per conquistare le grazie di una ragazza bellissima, figlia della Vecchia Signora di Pohjola, Ilmarinen viene incaricato di forgiare il Sampo: cosa sia di preciso non si sa, non viene mai descritto appieno nel Kalevala, se non come un sacro mulino capace di trasformare l’aria in farina, sale e oro. Ilmarinen si spezza la schiena in quattro per farlo, ma quando ci riesce la ragazza, dopo aver requisito il Sampo e averlo messo al sicuro protetto da sette lucchetti, lo scarica. Ilmarinen, sedotto e abbandonato, si costruisce un simulacro di moglie in oro massiccio: però rimarrà per sempre insoddisfatto, perché l’oro, a volte, sa essere freddo e duro come poco altro al mondo.

 

Quel che voglio dire è che Përparim,

di centrocampo, fabbro infallibile del gioco clivense, sebbene abbia nei piedi le abilità per forgiare un favoloso Sampo ogni domenica, non è mica detto che debba per forza trasferirsi nei freddi e ostili regni di Pohjola per dare saggio della sua bravura: a meno che non gli vada di correre il rischio di venire scaricato e rimanere per sempre nel limbo dei delusi.

 

La morale in calce alla storia di Ilmarinen, nel Kalevala, è che la ricchezza non sempre dà la felicità. Credo possa valere anche per Hetemaj.

 



 





 



 

Caro Vincenzo, dipende. Una risposta secca è impossibile: un pilota con grande talento riesce sempre a emergere, ma si devono verificare alcune condizioni. Due su tutte: la macchina giusta e un po’ di fortuna. Visto il dominio delle Mercedes e i pochi

di quest’anno, Max Verstappen è stato l’evento di questa stagione 2015.

 

Sempre assistito dall’onnipresente padre Jos (pilota di F1 tra anni ’90 e 2000 con scarsi risultati), l’olandese è stato preso dalla Red Bull e viene gestito sotto l’ala protettiva delle

. Non sarebbe la prima volta che a Milton Keynes ci vedono lungo: la Red Bull è la squadra che ha lanciato Sebastian Vettel, quella che ha fatto sbocciare Daniel Ricciardo. Una sorta di Ajax della Formula 1, che lancia i propri giovani e ottiene anche ottimi risultati.

 

Attualmente Verstappen è dodicesimo in classifica con 45 punti. Un miracolo, visto che la Toro Rosso motorizzata Renault sta facendo fatica quest’anno. Il miglior risultato è un 4° posto ottenuto sia in Ungheria che negli Stati Uniti, ma il minorenne Verstappen—18 anni compiuti solo il 30 settembre scorso—è andato a punti in sette delle quindici gare disputate, staccando di 27 punti il compagno di squadra Carlos Sainz Jr. (altro figlio d’arte eccellente).

 

https://www.youtube.com/watch?v=i7dQNQaB7P4

 

ha dato spettacolo soprattutto nei sorpassi: ci sono manovre che gli sono valse l’attenzione del pubblico anche quando di punti non ne ha raccolti. Basti pensare a ciò che ha combinato

,

,

. E sembra migliorare gara dopo gara. Certo, poi bisogna ricordare che l’inesperienza gli ha giocato qualche brutto scherzo (

) e che il ragazzo è uno di quelli che vuole sempre di più. Non si accontenta mai e questa caratteristica, con una macchina più scarsa, per ora gli sta creando qualche problema.

 

Penso che potrà essere sicuramente un pilota di successo. Se non se andrà dal

, la Red Bull sta pensando di metterlo sulla propria macchina già dal 2016, magari cacciando quel Kvyat che sta facendo meglio di Ricciardo. La Ferrari lo guarda con attenzione in ottica 2017 per sostituire Raikkonen: le proposte non mancano. Tuttavia, bisogna vedere se Verstappen sarà altrettanto valido anche a livelli più alti.

 

Può uno così giocarsi un Mondiale? Può essere conservativo se serve? Il dubbio c’è. Per cercare un paragone col passato, a me Verstappen ricorda molto Juan Pablo Montoya. Il colombiano ha corso solo per cinque stagioni e mezza in Formula 1, ma ha lasciato un segno tangibile. Ha il record di velocità della categoria (372.6 km/h!), ha vinto sette gare,

nella sua stagione da

.

 

http://www.dailymotion.com/video/x34hsh4_f1-2004-italian-gp-the-fastest-lap-in-f1-history-montoya-at-monza_sport

Fai un giro e rimani nella storia della F1.


 

Tuttavia, Montoya non ha mai avuto una seria chance di vincere il titolo in F1. Perché c’erano le Ferrari, perché né la Williams, né la McLaren hanno pensato a lui come prima guida. Perché era uno ingestibile. E anche il buon Max ha

, come quando a Singapore

di far passare il suo compagno di squadra con gomme più fresche. O come quando

, che l’ha etichettato come pericoloso.

 

Ecco, la linea tra Verstappen e Montoya è molto labile. Personalmente spero (e penso) che Verstappen sarà in Toro Rosso anche l’anno prossimo, stavolta con un motore Ferrari. Starà all’olandese dimostrare che non è solo uno che diverte.

 



 





 



 

Gentile Daniele,

Spero questa ti trovi in splendida forma. La tua domanda mi ha incuriosito eccome. Ah! I cugini. Cosa ne penso. Io penso che l'Inte rappresenti il male in ogni sua forma. Non ho mai creduto a quella storia per la quale Mila e Inte siano, in fondo, amici. Anzi. Mi sento molto più vicino al Napoli, alla Roma, alla Juventus, che all'Inte. Sono talmente anti-Inteista che se il Mila perde male in casa, ma allo stesso tempo l'Inte fa una figuraccia peggiore, sono felice.

 

Ma, tornando alla tua domanda, o meglio, arrivandoci ora, Er Viperetta è un personaggio brutto, che presidia ora la squadra più brutta di Genova, che è una città splendida e complicata, ma se Milano fosse Genova è ovvio che il Mila sarebbe il Genoa e l'Inte sarebbe la Samp, ed è quindi perfetto come presidente per una squadra brutta come l'Inte, direi. Però dico anche che odiare l'Inte non è più la stessa cosa da quando non c'è più il Moratti che fa il "signore di classe" del centro di Milano seduto sui suoi "miliardi di petrolio" sperperati nel vento.

 

Er Viperetta, nel suo essere così inequivocabilmente... *brutto*, così tanto un parvenu, quasi quasi me li renderebbe più simpatici, il che farebbe balzare al primo posto del mio odio la squadra che è ora al numero due, aka l'Hellas Verona.

 



 

Ricapitolando, ecco le squadre che odio di più in Italia oggi:

1. Inte (presidiata da Thohir)

2. Hellas

3. Lazie

4. Fiorentina

5. Samp

 

Ed ecco le squadre che odierei più in Italia se Er Viperetta diventasse presidente dell'Inte:

1. Hellas

2. Lazie

3. Inte (Se venisse presidiata da Viperetta)

4. Fiorentina

5. Samp

 

Bonus. Le squadre che mi piacciono di più in Italia (a parte il Mila):

1. Napule

2. Amaggica

3. Bologna

4. Juventus

5. Genoa

 

PS: In conclusione, per dire qualcosa su Viperetta direi qualcosa che dicono i miei amici di Milano cioè BUONA LA BAMBA.

 

Cordialmente,

Timothy

 



 



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