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La nuova strada di DeMar DeRozan
24 gen 2018
24 gen 2018
Da sempre allergico ai tiri da tre, la guardia dei Toronto Raptors sta scoprendo una nuova vena perimetrale: reggerà anche ai playoff?
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A 28 anni compiuti, DeMar DeRozan non aveva più molto da dimostrare. Nel corso della sua carriera NBA — tutta trascorsa indossando sempre la numero 10 dei Toronto Raptors — ha segnato valanghe di punti (più di chiunque altro con la franchigia canadese), da quattro anni è presenza fissa all’All-Star Game, con Team USA ha vinto il Mondiale del 2014 e l’oro olimpico di Rio 2016, ha contribuito sensibilmente al miglior risultato di sempre dei Raptors (le finali di conference nel 2016) e in generale al miglior periodo della storia della franchigia. Il tutto giocando un basket che più volte è stato definito come old school.

Non è solo l’utilizzo pressoché inesistente del tiro da tre punti ad aver fatto di DeRozan un giocatore anomalo per il basket contemporaneo, quasi una specie in via d’estinzione come i raptor che rappresenta sulla maglia. Mentre lo sviluppo del gioco portava le guardie ad allargare il più possibile il loro raggio di tiro, DeRozan manteneva il proprio focus sul tiro dalla media distanza e sulle zone limitrofe al ferro con una cocciutaggine che andava oltre il concetto di comfort zone o di coperta di Linus: veniva quasi da dire che si trattasse di una scelta filosofica prima ancora che tecnica, oltre che un costante omaggio al suo idolo di sempre Kobe Bryant.

Peraltro la cosa notevole è che, nonostante le difese lo aspettassero costantemente collassando in area, il talento di DeRozan era (ed è) talmente debordante che un modo efficace di fare canestro lo trovava comunque con una gran varietà di soluzioni grazie all’atletismo e all’enorme sensibilità nelle mani.

Reattività, controllo del corpo, equilibrio, forza, rapidità decisionale.

Ma in questa stagione “The times they are a-changin’”, per citare Bob Dylan. «Dobbiamo fare un reset culturale: non cambiare i giocatori, ma modificare il nostro modo di giocare» aveva detto in estate il GM dei Raptors Masai Ujiri dopo una shockante eliminazione per 0-4 contro i Cleveland Cavaliers. Un messaggio fin troppo esplicito, quasi un ordine per coach Casey e i suoi, anche perché cercare di ricostruire da capo questa squadra lasciando andare Kyle Lowry e Serge Ibaka sarebbe stato complicatissimo. Tradotto: abbiamo raggiunto il punto finale nel nostro modo di giocare e quel modo di giocare non ci fa andare più in là. È necessario lavorare per ampliare il bagaglio di soluzioni offensive e diventare meno prevedibili e meno difendibili, soprattutto nei playoff dove il livello si alza e Toronto diventa una mosca che sbatte ripetutamente sulle finestre cercando una via d’uscita.

La (parziale) scoperta del tiro da tre

Per DeRozan il modo più semplice di cambiare l’approccio al gioco, e di conseguenza di diventare un giocatore decisivo anche in post season, era convincersi che ci fosse vita oltre l’arco. Una vita luminosa e redditizia per sé e per la squadra. Così l’ultimo esponente del gioco old school per gli appassionati del vecchio stile sta cadendo partita dopo partita, “tradendo” gli antichi ideali del Gioco Quello Bello Di Una Volta.

Grazie a Chartside possiamo intuire facilmente quanto sia aumentata l’incidenza delle conclusioni da fuori l’arco rispetto alla passata stagione, che dal punto di vista realizzativo è stata la migliore della carriera di DeRozan (27.3 punti di media e 110.2 di offensive rating).

Intendiamoci: siamo ancora lontanissimi dai volumi di tiro dei pari ruolo NBA che giocano almeno 30 minuti a sera. Il nostro tenta 3.2 tiri a partita oltre l’arco, il dato più alto della sua carriera: tra gli esterni peggio di lui fanno solo Ben Simmons (che però è un caso a parte) e Brandon Ingram (che è un altro caso a parte). È un dato molto simile a quello di Jimmy Butler, che ormai si è standardizzato su quel numero, e poco inferiore a quello di John Wall. Inoltre per DeRozan il tiro da fuori rappresenta il 17.6% delle conclusioni, e anche qui siamo nei bassifondi della classifica e allo stesso tempo al top nella vita cestistica di DeRozan. Anche la percentuale reale del 51% è la più alta delle sue nove stagioni NBA, ma rimane al di sotto della media in NBA. Insomma la rivoluzione non è stata esattamente immediata e totale, ma la strada ormai è intrapresa e sta portando risultati convincenti serata dopo serata, consentendogli di ritoccare già per due volte il suo massimo in carriera nel corso della stagione.

Che DeRozan sia ancora in fase di evoluzione è però testimoniato dal fatto che dall’angolo destro è molto meno produttivo rispetto all’angolo sinistro, dal quale è praticamente letale.

Angolo sinistro come in questo caso: Snell aiuta a centro area ma è una lettura che quest’anno DeRozan sa come punire.

Va detto che non è che sia proprio letale da quella zona di campo...

È un dato anomalo e di non semplice interpretazione, per di più totalmente inverso rispetto alla passata stagione pur con volumi di tiro maggiori. Una possibile spiegazione è che DeRozan non è un tiratore naturale ma bensì costruito, e sta innestando qualcosa di nuovo in un sistema ampiamente rodato: l’essere ondivago nelle conclusioni è qualcosa di fisiologico. In più parliamo di un tipo di tiratore che preferisce di gran lunga mettersi in ritmo con uno o più palleggi, cosa praticamente impossibile da fare negli angoli che sono il regno dei “catch-and-shooter”.

C’è ancora qualche normale ritrosia nelle scelte di tiro di DeRozan. Prima azione del match contro i Bulls: il blocco di Valanciunas regala tanto spazio al nostro che però non tira e preferisce rimanere nello schema, aspettando il taglio di Lowry. Il compare del californiano però a sua volta decide di mettere subito in ritmo il compagno e dargli un tiro piedi per terra: impossibile a questo punto esimersi per DeRozan.

Però come detto l’aggiornamento del software è stato effettuato e sta dando i suoi frutti. Qui la partita è già vinta e DeRozan potrebbe anche attaccare il ferro dopo aver battuto sul primo passo Jeff Green, ma invece con un crossover allarga ulteriormente lo spazio tra sé e l’avversario e si prende un comodo tiro piedi per terra.

Significativa la scelta che fa qui: dopo un cambio difensivo si ritrova di fronte Thon Maker, lo tiene sulle spine con un paio di palleggi e poi sfrutta quel centesimo di secondo in cui il lungo Bucks fa un passo indietro per alzarsi e segnare. Il vecchio DeRozan avrebbe quasi certamente sfruttato il mismatch attaccando di prepotenza.

Gli effetti positivi del nuovo approccio

La lenta ma inesorabile trasformazione di DeRozan in un tiratore dall’arco crea a cascata effetti benefici anche per i compagni. Non è un caso che il numero 10 stia vivendo la sua miglior stagione per quanto riguarda gli assist: 5 assistenze a partita (il 23.6% di squadra mentre è in campo, secondo dietro al solo Lowry) non le aveva mai collezionate. Con le difese che non possono più sottovalutare DeRozan quando è oltre l’arco, gli spazi per gli altri si ampliano e il californiano fin qui è stato molto abile nel leggere cosa la difesa gli offre: è un altro aspetto in cui sta crescendo a vista d’occhio e che permette ai Raptors di essere molto meno prevedibili nel loro sviluppo offensivo.

Altro dato che quasi certamente ha convinto lo stesso DeRozan che valesse la pena adeguarsi ai tempi: la percentuale dalla media distanza è salita dal 41.2% dell’anno scorso al 47.3% di quest’anno. Vuoi vedere che se diventi una minaccia dall’arco puoi avere più spazi nella tua comfort zone dopo aver battuto il difensore?

Ibaka porta il blocco ad un DeRozan già in ritmo. Qui la coppia Bayless-Saric non è perfettamente coordinata nella copertura degli spazi, ma Bayless riesce comunque a toccare DeRozan per evitargli una comoda posizione di tiro oltre l’arco. A quel punto però si apre una voragine all’altezza della lunetta che DeRozan sfrutta affidandosi al suo patentato palleggio-arresto-tiro.

Così DeRozan diventa ancora più cruciale nel gioco di Toronto: l’offensive rating quando lui è in campo è di 111.9, un dato che invece scende al 104.2 quando si accomoda in panchina. (Ok, bisogna anche sottolineare che a diminuire è il defensive rating da 105.5 a 97, ma non possiamo pretendere che DeRozan diventi Kawhi Leonard dalla sera alla mattina.)

Tornando al rendimento di squadra, mai DeMar aveva avuto un impatto così positivo: addirittura nel 2014-15 i Raptors producevano di più in attacco con la loro stella seduta in panchina, complice un infortunio al tendine che aveva inciso sul suo rendimento. Il reset culturale che auspicava Ujiri ha finito di fatto per trasformarsi in un’esaltazione del miglior giocatore della storia della franchigia. Non solo: lo ha connesso ulteriormente con i compagni in un circolo virtuoso per cui i compagni assecondano questa sua nuova veste — delle sue 50 triple segnate 37 sono arrivate da assist — e in cambio vengono coinvolti come mai era accaduto in passato.

Anche qui, bisogna mettere in prospettiva certi numeri: così come DeRozan non tira da tre come Curry, i Toronto Raptors non hanno improvvisamente scoperto un movimento di palla da Golden State Warriors, ma i loro passi in avanti partendo da una base bassissima (47.2% di canestri assistiti lo scorso anno, ultimissimi) risaltano molto di più pur non essendo così straordinari a livello generale (sono comunque 23esimi per percentuale di canestri assistiti a quota 55.4%).

DeMar DeRozan non è ancora un tiratore pericoloso e affidabile dall’arco, ma la strada tecnica che ha intrapreso è ormai tracciata e non si può tornare indietro. Una strada che può portare succosi frutti e rinnovate ambizioni per i Raptors, ma le prove del nove saranno inevitabilmente le gare di playoff: se per quei giorni DeRozan avrà consolidato il proprio gioco oltre l’arco, allora Toronto potrà ritenersi una vera contender potendo presentare agli avversari abiti diversi e meno facilmente leggibili. Se invece alle prime difficoltà torneranno alle vecchie abitudini fatte di isolamenti e prevedibilità diffusa, ecco che Masai Ujiri dovrà fare di nuovo i conti con un cambiamento cosmetico che non ha spostato più di tanto il reale potenziale dei canadesi.

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