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La nuova "Joya" del calcio argentino
18 nov 2016
18 nov 2016
Dopo tanta attesa, Sebastián Driussi sembra finalmente essersi preso il River.
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8 min
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Più spesso di quanto ci piace immaginare, l’etichetta del predestinato diventa un’arma a doppio taglio. Sebastian Driussi, in una grande storica d’Argentina come il River Plate, ha rischiato di finire schiacciato da aspettative che era troppo acerbo per soddisfare. Mentre ora, a suon di reti, sta guidando con l’esperienza navigata del líder máximo l’ennesima rivoluzione marchiata Gallardo.

Classe 1996, Driussi a Buenos Aires non ha mai conosciuto altra maglia al di fuori di quella con la banda del River Plate. Entra nelle giovanili del club nel 2005, e già nel 2007 è chiaro a tutti che sia un talento con pochi, pochissimi eguali. Qualcosa che in Argentina, all’interno dei grandi club, sembra più una condanna che un sentore di predestinazione.

Quando ha solo undici anni i “Millonarios” fanno di tutto per legarlo a loro: il ragazzino non può ancora firmare un contratto da professionista, però, e per evitare le tentazioni dei grandi club europei (specialmente il Barcellona, che dopo aver preso Messi da giovanissimo ci aveva provato anche con Lamela proprio dal River), il River propone alla famiglia un accordo da 40 mila dollari più bonus valido fino alla firma del primo vero accordo, che arriverà solo diversi anni dopo. Una mossa decisissima, autorevole soprattutto in relazione al periodo di crisi che stavano attraversando sia il Paese che la società; una mossa che in Argentina suscitò anche un certo scalpore.

Dove gioca

A livello giovanile il suo impatto è grandioso. Nel club con la banda Driussi ha la fortuna di trovarsi in una generazione di talenti straordinaria, che ne aiuta la crescita e ne mette in risalto le qualità, già di loro immense. In squadra ha nomi come Battalla, Vega, Mammana, Andrade, Simeone e Boyé, che non a caso, oggi, giocano già tutti da professionisti, in alcuni casi da anni.

Assecondando un antico adagio potremmo dire che nelle giovanili il talento di Driussi è talmente sopra la media da poter decidere lui dove giocare. Nasce come "diez" per tecnica, dribbling e visione superiori, ma progressivamente viene spostato più vicino alla porta visto che sviluppa un ottimo fisico, specie per gli standard argentini; e poi ha un tiro eccezionale, sa muoversi anche in area e vede la porta. Il risultato sono gol a raffica, soprattutto quando sviluppa l’intesa con Boyé.

Driussi a 15 anni. Presentato come volante, gioca col 10 e indica come suo modello Juan Sebastian Veron.

Con l’attuale attaccante del Torino crea una coppia atipica ed efficacissima: Boyé gioca da prima punta soprattutto per la sua incredibile capacità di protezione della palla, ma tende ad uscire e rifinire, mentre Driussi parte più dietro per dare qualità alla manovra, pur essendo sempre pronto a tagliare in area per concludere. Ad accomunarli sono le capacità tecniche straordinarie, perfettamente complementari tra loro.

Per Driussi l’ottimo livello viene confermato dalle convocazioni con le selezioni giovanili dell’Argentina. Fa parte fin dal 2011 della Sub-15, per poi passare in Sub-17 e Sub-20, vincendo anche diversi titoli spesso come miglior realizzatore.

Con l’Argentina Seba gioca col 9 sulla schiena e interpreta il ruolo “alla Ibrahimovic”: tocca tanti palloni, si abbassa, costruisce gioco, fa da riferimento anche spalle alla porta. Il tratto distintivo di Driussi a questo livello è l’intelligenza di sfruttare la sua immensa tecnica in movimento. Non è un innamorato della palla fine a sé stesso e non c’è niente di pigro nel suo gioco. Poi in area è letale, con movimenti feroci e un tiro preciso con entrambi i piedi.

In una partita con la Sub-17, sempre contro l’Uruguay, Driussi segna quella che forse è la sua rete più famosa, un bignami delle sue caratteristiche.

Dalla trequarti sinistra un suo compagno produce un cross a rientrare, buttato un paio di passi dentro l’area con poche aspettative. Seba prende contatto col difensore e lo fa abbassare procurandosi lo spazio per quello che nella mente di tutti sarebbe un semplice controllo di petto. Lui invece si alza la palla, la insegue fuori dall’area e si lancia in una rovesciata che conclude il suo arcobaleno in fondo alla rete. Pochi minuti dopo troverà anche il raddoppio: taglio da destra verso sinistra a dettare il passaggio, controllo col destro e conclusione mancina a incrociare.

Si ripeterà al Sudamericano Sub-20 del 2015 con una rete più semplice, ma sempre decisiva. In questa Seleccion gioca qualche metro più indietro, sfruttando movimenti e capacità di rifinitura fronte alla porta, lasciando il ruolo di centravanti a Gio Simeone. L’Uruguay è in vantaggio, Angel Correa punta l’uomo sulla sinistra, va sul fondo e mette un cross morbido sul secondo palo. Sulla sponda Driussi è il più lesto a districarsi in area di rigore, trovando un destro al volo potente e preciso.

Se c’è una caratteristica che a Driussi proprio non manca è lo spirito di adattamento. Dopo un salto di categoria così rapido che avrebbe falcidiato le velleità di qualsiasi giovane ambizioso, Driussi arriva ad affacciarsi, appena diciassettenne, alla prima squadra: Ramon Diaz lo sceglie per affiancare Teofilo Gutierrez.

Questo momento poteva essere quello giusto per spiccare il volo in una specie di favola “millonaria”, e invece da qui fino ad oggi inizia il periodo più difficile della sua giovane carriera.

Quando nel 2014 Gallardo prende il posto di Ramon Diaz sulla panchina dei Millonarios Driussi si trova un dt che ripone una fiducia cieca nel suo talento; una fiducia incondizionata al punto che el Muñeco non si fa problemi, pur di inserirlo tra i titolari, a schierarlo palesemente fuori ruolo. Gallardo sa di poter contare sul suo fisico, sulle letture tattiche e su uno spirito di abnegazione francamente straordinario per un ragazzo così giovane e con così tanto talento.

A volte, in Argentina, sembra che i giovani vengano schierati solo in virtù delle loro caratteristiche, del talento o della conformazione fisica, liberi da vincoli tattici, oppure senza un’adeguata preparazione. Il risultato è che spesso quegli stessi giovani finiscono, nell’arco dei 90 minuti, per peregrinare per il campo. I tecnici contano che rispettino le loro direttive, mettendoci l’entusiasmo della giovane età e magari trovando un guizzo. Per fare due esempi Leandro Paredes, che ai tempi del Boca era un enganche fatto e finito, si è ritrovato a giocare da rifinitore laterale, anche con buoni risultati, e un altro giovane “Xeneize” come Bentancur si è trovato a giocare da centrale, esterno di centrocampo e persino terzino.

Gallardo estremizza questa tendenza e Driussi praticamente inizia a giocare ovunque: principalmente fa l’esterno nel 4-2-3-1, ma si trova anche trequartista centrale, interno nel centrocampo a tre e cursore sulla fascia sinistra nel 3-5-2.

Come gioca Driussi. Se lo chiedono tutti.

Le prestazioni sono altalenanti, i gol inesistenti, i lampi di classe pochi e i tifosi iniziano a mugugnare. Anzi, qualcosa di più: la reazione del popolo del River è simile a quella di un amante tradito a causa delle altissime aspettative e sul giovane si riversa un certo accanimento, quantomeno ingeneroso considerato che parliamo di un calciatore ai tempi appena diciottenne.

Fino al 2015 questo sarà l’unico gol di Driussi nel River: taglio dalla fascia, controllo e destro sul primo palo. Ma ha la grande forza di non scoraggiarsi, anche grazie alla fiducia che Gallardo ripone sempre e comunque in lui. Malgrado prestazioni non indimenticabili è innegabile che Driussi approfitti di questa fase per completare il suo repertorio tecnico: aggiunge corsa, movimenti a ripiegare, gestione della palla nella zona nevralgica del campo, logiche associative. Nel 2015 non a caso compare la luce in fondo al tunnel: arrivano i primi gol, che rasserenano la situazione e danno alla “Joya” nuove forze.

Sul trampolino

Nel 2016 tra finestra invernale ed estiva, dove lo voleva fortemente il Velez a livello locale, ma si è parlato anche di Inter, Driussi rifiuta ogni offerta di mercato, convinto fermamente di potersi affermare nel River.

È una scelta controcorrente rispetto a un calcio in cui l’Europa è un obiettivo per tutti i giovani, per questioni di visibilità, soldi, a volte giochi di procuratori, ma anche solo per ambizione personale e voglia di mettersi in gioco. Giocatori suoi coetanei tipo Gabriel Barbosa o anche più giovani come Gabriel Jesus si sono mossi appena possibile. Ma anche Mammana, che è cresciuto con lui nel club, oggi è in Francia. Lui invece ha scelto di non lasciare una storia a metà: prima il River, poi si vedrà.

Gallardo per il campionato 2016/2017 (il primo con una formula veramente europea) ancora una volta ridisegna la sua squadra, decidendo di puntare su un nucleo giovane a forte marchio River. E sul senso di appartenenza di Driussi al club non ci sono mai stati dubbi.

Il tecnico pesca proprio da quella generazione straordinaria formata nelle giovanili, che ha in Seba l’elemento di spicco, amalgamata ad alcune figure di riferimento. Il modulo diventa di fatto un 4-2-2-2 alla brasiliana: i grandi totem sono Maidana in difesa, Ponzio a centrocampo e D’Alessandro per la regia offensiva; in porta trova la sua grande occasione il portiere Batalla, considerato un predestinato, spesso come secondo rifinitore si affaccia in Primera Andrade, che a volte viene chiamato “D’Alessandrito”, e in attacco la scena è di Driussi, che con l’11 gioca attorno al centravanti Alario.

Portato in quella che è la sua posizione naturale improvvisamente Driussi esplode, producendo in 11 partite più gol e assist che in tutto il resto della carriera, tra cui una rete nella Recopa 2016, vinta dal River contro l’Independiente Santa Fe.

In procinto di compiere ventuno anni Driussi potrebbe aver imboccato la fase ascendente della carriera, dopo tre anni di sostanziale e duro apprendistato. Un talento così trova la sua strada, e senza dubbio avrà la sua occasione in Europa visto che è sui taccuini di tutti gli osservatori da quasi un lustro. Ha il fisico e l’applicazione per imporsi anche nel nostro calcio, dove sicuramente sarà allontanato dall’area nei primi anni di carriera e dovrà far valere tecnica e qualità associative.

Con pazienza e lavoro la traiettoria tecnico-tattica può essere quella del “Kun” Aguero al City: prima esterno, poi progressivamente sempre più vicino alla porta. Ora però c’è ancora il River, con cui in realtà ha già vinto tutto, ma ora punta a farlo con un ruolo da protagonista.

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