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Marco De Santis
La nuova frontiera
26 feb 2016
26 feb 2016
Il campionato cinese compra tutti. Come siamo arrivati fin qui?
(di)
Marco De Santis
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Da qualche anno la Cina sta sgomitando per prendere sempre più spazio nell’enorme business moderno che è oggi il mondo del calcio. Se inizialmente alle nostre latitudini il loro tentativo era visto con uno scetticismo vicino all’ironia, il recente mercato invernale ha dimostrato che il paese asiatico sta facendo sul serio e c’è chi inizia a temere (o, a seconda dei casi, a sperare) che l’invasione cinese assuma nei prossimi anni dimensioni a oggi ancora inimmaginabili.

 



Nelle ultime settimane di mercato diverse squadre cinesi hanno acquistato dall’Europa giocatori affermati e ancora nel pieno della loro maturità sportiva. Alex Teixiera, Jackson Martinez, Ramires, Gervinho, Guarin, Burak Yilmaz e Lavezzi sono stati portati via da importanti club europei a suon di milioni, promettendo ai calciatori contratti ricchissimi, ben superiori a quanto potevano pensare di guadagnare in Europa (che, comunque, non era poco…). Per capire da dove arrivino tutti questi soldi vale la pena fare un salto nel passato e analizzare i passaggi che hanno trasformato nel giro di pochi anni uno dei movimenti calcistici più arretrati di tutta l’Asia in una “macchina da guerra” pronta a tutto pur di conquistare crescenti fette di mercato e assumere un ruolo di leadership nel calcio.

 

Il professionismo nel calcio cinese è arrivato nel 1994, senza però rendere in qualche modo più popolare questo sport. Ma come dice un proverbio cinese attribuito al filosofo Lao-Zi e reso famoso nel secolo scorso da Mao Tse Tung

E dopo il “piccolo passo” del passaggio del calcio al professionistico c’è voluto “un lungo cammino”, durato più di un decennio, per far sì che il campionato nazionale potesse iniziare ad attirare l’attenzione del pubblico.

 

Nel 2004 è nata l’idea di Super League, l’attuale Serie A cinese, che si differenziava dalla massima categoria precedente per criteri d’ingresso molto più stringenti legati alle figure professionali del management e degli organismi amministrativi di ogni team, programmi obbligatori di sviluppo del settore giovanile e controlli sui conti economici dei club. Solo nel 2008 la Super League è andata a regime completando una stagione con tutte e 16 le squadre originariamente previste e nel 2009 per la prima volta la Supercoppa Italiana viene ospitata a Pechino, segno di un crescente interesse per il prodotto.



Nel 2010, però, la Lega cinese ha dovuto affrontare un grosso scandalo legato alle scommesse e alla corruzione che ha messo a rischio tutto il calcio nazionale. Il governo cinese ha enormi poteri e notevole capacità di controllo e persuasione in merito a tutto ciò che accade nel Paese, e proprio in quell’anno decide di intervenire

. Allo stesso tempo si preoccupa di fornire un indirizzo preciso all’intero movimento: non sarebbe più stato tollerato qualsiasi atto da parte di protagonisti del mondo del calcio che avesse potuto mettere in cattiva luce la Repubblica Popolare Cinese e, anzi, il governo avrebbe preso l’impegno ufficiale di contribuire alla crescita dell’intero movimento. Il governo ha visto nel calcio opportunità economiche e di immagine enormi per il Paese.

 

Con un input così forte, non stupisce affatto che negli anni seguenti sempre più aziende, multinazionali e gruppi di investitori cinesi si siano affacciati al mondo del calcio non solo del proprio paese ma anche europeo: conoscere il know-how di qualsiasi business, e farlo proprio, è la base per riprodurlo e magari renderlo migliore. La Cina si sta muovendo su più livelli, con l’obiettivo finale di poter ospitare un evento globale come una Coppa del Mondo, che si aggiungerebbe alle Olimpiadi già ospitate nel 2008.

 



Per far crescere il calcio nazionale il governo di Pechino si è perciò mosso in due modi. Da una parte si è cercato di migliorare il prodotto interno per esaudire il desiderio pubblicamente espresso dal Presidente della Repubblica Popolare Xi Jinping tramite la costruzione di stadi moderni, richiamando nomi di spicco che portassero il già citato know-how (si pensi a Marcello Lippi e alla sua esperienza al Guangzhou, ma anche all’approdo in Cina di campioni sul viale del tramonto come Anelka e Drogba), ponendo vincoli sull’utilizzo di giocatori stranieri che permettessero ai giovani calciatori cinesi di mettersi in luce (attualmente il regolamento prevede per ogni squadra la possibilità di avere in rosa al massimo cinque stranieri, di cui uno obbligatoriamente asiatico, e di schierarne in campo contemporaneamente al massimo quattro) e addirittura

con l’impegno delle autorità governative di portare nel Paese il maggior numero possibile di insegnanti stranieri scelti fra esperti del settore in Europa e Sud America. Dall’altra parte si è utilizzata la leva economica aggiunta a incentivi di tipo politico per spingere sempre più soggetti cinesi a entrare nel mondo del pallone così come in precedenza era stato fatto anche con il basket. All’inizio un po’ timidamente, ma negli ultimi anni con sempre più forza.



Ecco che nel giro di un triennio

(prima squadra spagnola completamente in mano a cinesi

che ha inoltre acquistato per la modica cifra di un miliardo di euro

che gestisce la compravendita di importanti diritti tv calcistici in Italia e in Europa, e il

(la società proprietaria del Manchester City) acquistata da un variegato gruppo di investitori cinesi per 400 milioni di euro. Per non parlare dei tentativi di entrare nel Milan tramite il broker indonesiano Bee Taechaubol sui quali sospendiamo per ora il giudizio in attesa di capire come andrà a finire la telenovela in corso. Non solo: grandi gruppi operanti nei settori delle nuove tecnologie, dell’e-commerce e del settore immobiliare cinese si sono avventati sul calcio acquistando le squadre di prima e seconda divisione cinese portando a tutto il sistema denaro utile per investimenti importanti.

 

Un programma così ambizioso non poteva che portare alle reazioni a catena alle quali stiamo assistendo negli ultimi mesi. Le grandi squadre europee stanno fiutando l’affare creato da un immenso bacino di potenziali nuovi tifosi (la popolazione cinese è attualmente di 1,4 miliardi di persone) tanto che il

costruito appositamente per il mercato cinese. Discorso simile, anche se per ora “più in piccolo”, per lo stesso Milan che, a prescindere da Mr. Bee, crede molto nel potenziale inespresso del mercato cinese (dove a quanto pare il club ha un numero altissimo di simpatizzanti) in termini di business legato al calcio e la scorsa settimana

completato da ulteriori accordi commerciali finalizzati all’espansione del brand rossonero nel Paese. È inoltre di pochi giorni fa la notizia che

, società specializzata nella realizzazione dei pannelli pubblicitari ad alta risoluzione che vediamo sempre più spesso circondare i campi di gioco.



Sempre nell’ottica della crescita del calcio locale, la Ledman ha chiesto e ottenuto che tre assistenti allenatori e ben dieci calciatori cinesi venissero obbligatoriamente inseriti nelle rose delle dieci principali squadre del campionato di seconda divisione portoghese per permettere loro di fare esperienza in un campionato europeo abbastanza competitivo.

 

Addirittura gli asiatici avevano provato a mettere nero su bianco l’obbligo di schierare in campo dieci cinesi (uno per squadra), ma il sindacato calciatori lusitano ha prontamente bloccato questo tentativo un po’ troppo invasivo…

 



Inquadrato il contesto generale, entriamo ora più nello specifico dell’espansione economica del calcio in Cina analizzando la serie storica degli investimenti dei club cinesi di Super League negli ultimi anni. Utilizzando come fonte i dati di

, si può notare come nel giro di poco più di un quinquennio la prima divisione cinese si sia trasformata da fenomeno marginale, con un giro d’affari nettamente inferiore alla “Serie B” dei principali campionati europei, al sesto campionato più ricco del mondo, non troppo distante dalla quinta posizione occupata attualmente dalla Ligue 1 francese.

 

Nel 2009/10 le spese per nuovi acquisti delle squadre di Super League arrotondate al milione di euro sono state di appena 3 milioni (42° campionato come spese in acquisti) con un differenziale positivo di 1 milione fra cessioni e acquisti (63° campionato nella classifica dei più indebitati nel calciomercato). Il giocatore più pagato fu Lin Gao acquistato dal Guangzhou Evergrande per appena 900 mila euro (ricordiamo che il campionato cinese è su anno solare ma il calcolo viene fatto sulle stagioni sportive classiche per raffrontarlo con la maggior parte degli altri campionati nazionali).

 

Nel 2010/11, a seguito dell’intervento di “pulizia e reindirizzamento” del calcio in Cina da parte del governo di Pechino, le spese dei club di Super League aumentano a 24 milioni (18° campionato per spese in acquisti) e la stagione sportiva si chiude con un deficit di 21 milioni, con un balzo che fa diventare la prima divisione cinese il sesto torneo “più indebitato” sul mercato 2010/11. Il tetto massimo degli investimenti su un giocatore aumenta ed è rappresentato dai 4 milioni pagati sempre dal Guangzhou Evergrande (che anche in tutte le successive sessioni di mercato fino al 2015 concluderà gli acquisti più costosi) per il brasiliano Cleo.

 

Nel 2011/12 le spese per nuovi giocatori raddoppiano arrivando a 47 milioni (12° campionato) con un deficit finale di 37 milioni (5° campionato) e l’argentino Conca è il giocatore più pagato (8,2 milioni). Nel maggio del 2012 Marcello Lippi diventa l’allenatore del Guangzhou Evergrande, che sotto la sua guida vincerà la Coppa dei Campioni d’Asia nel 2013 e nel 2015, seconda squadra cinese a riuscire nell’impresa dopo il Liaoning che aveva vinto il trofeo ai tempi del dilettantismo nel 1990.

 


La presentazione di Conca al Guangzhou Evergrande nel 2011. Quest'anno è passato allo Shanghai SIPG



 

Nei due anni successivi lo sviluppo è continuato con un incremento graduale. Nel 2012/13, 63 milioni spesi sul mercato (11° campionato) con un deficit di 44 milioni (6° campionato), Lucas Barrios acquistato per 8,5 milioni e l’approdo allo Shanghai Shinua di due campioni sul viale del tramonto come Anelka e Drogba, allettati da ricchi stipendi che sono il primo chiaro segnale di come gli ingranaggi messi in moto tre anni prima stiano iniziando a pompare denaro importante nelle casse dei club. Nel 2013/14, quando l’acquisto più oneroso riguarda il nostro Diamanti pagato 7,5 milioni, i soldi spesi sul mercato raggiungono la cifra di 91 milioni (10° campionato) e il deficit finale di 61 (5° campionato).

 

Nella scorsa stagione si è assistito a un ulteriore salto di qualità a livello di potenzialità economiche che ha fatto da preludio all’incredibile boom del recente mercato di gennaio. Maggiori sponsor, più investitori interessati all’acquisizione dei club e la certezza che altri più importanti sarebbero arrivati da lì a poco ha portato le squadre cinesi a spendere ben 143 milioni per l’acquisto di giocatori nel 2014/15 posizionandosi al sesto posto fra i campionati più esposti a queste uscite, con un deficit finale di 107 milioni inferiore solamente a quello di Premier League e Bundesliga. È anche l’annata nella quale viene abbattuta per la prima volta la cifra di 10 milioni di euro per l’acquisto di un singolo calciatore: il Guangzhou rileva i cartellini dei brasiliani Goulart e Alan rispettivamente per 15 e 11,1 milioni.

 

Alla fine del 2015, la “bomba” costruita nell’arco del quinquennio precedente deflagra nel mercato europeo grazie in particolar modo a un nuovo contratto televisivo nazionale con il quale il “broadcaster” Ti’ao Power si aggiudica i diritti fino al 2020 della Super League per l’equivalente di 1,2 miliardi di euro, suddivisi in quote crescenti di 140 milioni di euro nei primi due anni di trasmissione e 280 negli ultimi tre. Soldi importanti che vanno ad aggiungersi a quelli portati in dote dai presidenti delle società più ricche e da altri contratti commerciali che rendono il calcio cinese sempre più florido ed economicamente concorrenziale con i principali campionati del vecchio continente. E per come è strutturata l’economia cinese, con un ideale di “libero mercato” che spesso deve sottostare alle indicazioni del potere politico, non deve stupire più di tanto se certi investimenti sembrano ampiamente sovrastimati e difficilmente spiegabili in relazione all’effettiva qualità di quanto si è visto sul campo fino a questo momento.



Alle società calcistiche cinesi i capitali arrivano a priori, saranno loro ora a dover rafforzare le squadre aiutando il “sistema” creato sotto la forte spinta governativa a diventare davvero nel giro dei prossimi anni un campionato seguito con interesse non solo in Cina (dove la media spettatori negli ultimi cinque anni è cresciuta da 16 a 22 mila a partita) e in Asia (obiettivo già in parte centrato grazie ai grandi risultati continentali del Guangzhou Evergrande), ma in tutto il mondo.

 

Detto questo il “boom di gennaio” non è che la logica conseguenza di una scalata al calcio mondiale che ora è giunta a un gradino particolarmente impegnativo. Competere con il fascino dei principali campionati europei costringe le squadre cinesi a “strapagare” i giocatori di livello per convincerli a trasferirsi in Asia e le squadre proprietarie dei cartellini a cederli, ed è quello che vedremo anche nelle prossime sessioni di mercato.

 

Ben cinque dei sei acquisti più costosi del calciomercato invernale mondiale sono stati messi a segno da squadre cinesi. Il più recente è anche il più costoso: lo Jiangsu Suning ha ingaggiato Alex Teixiera dello Shakhtar Donetsk pagando 50 milioni alla squadra ucraina e garantendo al giocatore uno stipendio di 9 milioni netti a stagione per quattro anni. Seguono Jackson Martinez passato dall’Atletico Madrid al Guangzhou Evergrande per 42 milioni (12,5 netti l’anno per quattro anni a lui), Ramires dal Chelsea allo Jiangsu Suning per 28 milioni (quadriennale da 13,5 netti l’anno), Elkeson passato dal Guingzhou Evergrande allo Shanghai SIPG per 18,5 milioni e Gervinho prelevato dalla Roma da parte dell’Hebei Fortune per 18 milioni.

 


Alex Teixeira con il gagliardetto della sua nuova squadra, lo Jiangsu Suning



 

L’unico intruso nella “top 6” degli acquisti più costosi del mercato invernale è Imbula, che lo Stoke City ha comprato dal Porto per 24,25 milioni di euro. Senza contare la notizia data dall’inglese

, tutta da verificare, che il Jiangsu Suning avrebbe offerto addirittura 40 milioni di euro all’anno (non è chiaro se netti o lordi, ma anche in quest’ultimo caso si parla di più di 20 milioni netti) di stipendio a Yaya Touré che si svincolerà a parametro zero dal Manchester City a fine stagione. Più economico a livello di cartellino ma non certo come ingaggio Lavezzi, prelevato dall’Hebei Fortune pagando al PSG 5,5 milioni e a lui 13 milioni netti più di 2 di bonus a stagione.

 

La Super League ha speso fino a questo momento nella stagione 2015/16 in acquisto di giocatori ben 395 milioni, con un passivo fra acquisti e vendite che supera i 283 milioni (deficit superiore a tutti i campionati maggiori esclusa la Premier League). Per avere un’idea di quanto la Cina si stia avvicinando alle nazioni più ricche del calcio vediamo la classifica dei cinque campionati che hanno speso di più dal 1° luglio 2015 a oggi in milioni di euro: Premier League 1443 (deficit di 740 milioni), Serie A 671 (deficit di 55 milioni), Liga 596 (deficit di 142 milioni), Bundesliga 468 (attivo di 54 milioni), Ligue 1 351 (attivo di 109 milioni).
La rilevante quantità di denaro che inizia a circolare nel calcio cinese è indicata non solo dal giro d’affari della Super League, ma anche da quello della League One (la Serie B cinese). Basti pensare che fra i 25 acquisti economicamente più costosi del mercato invernale mondiale due sono stati messi a segno dal Tianjin Quanjian, squadra di League One acquistata da una ricchissima azienda locale che si occupa di medicina naturale e che ha investito 11 milioni per il brasiliano Geuvanio e 9,8 per il portiere cinese Zhang.

 



Ci dobbiamo quindi aspettare che nel giro di pochi anni il campionato cinese diventi il più seguito del mondo o nel peggiore dei casi il secondo dopo la Premier League? La risposta non è così scontata come si potrebbe dedurre dalla crescita apparentemente inarrestabile mostrata dai recenti dati.

 

Di certo la Super League attirerà un’attenzione maggiore del passato e alcuni altri giocatori, non solo a fine carriera, potranno decidere di andare a giocare sotto la Grande Muraglia, come peraltro già è accaduto in alcuni casi con “emigrazioni” verso i paesi arabi o la MLS americana (basti pensare alle motivazioni che hanno spinto Giovinco a lasciare l’Italia per Toronto nel pieno della carriera). Altrettanto scontato è che il governo cinese continui ad appoggiare con forza nel breve periodo l’espansione del movimento calcistico nazionale a meno di clamorosi scossoni politici interni al momento non prevedibili. Il sostegno della politica farà sì che continuino anche gli investimenti delle grandi aziende nazionali nel pallone.

 

Ma preso atto di tutto ciò, rimangono comunque diverse questioni sul piatto che lasciano qualche dubbio sulla capacità della Super League di tramutare questo improvviso afflusso di denaro in un prodotto capace di rimanere stabilmente ai vertici del calcio mondiale e che possa raggiungere l’obiettivo di essere per un lungo periodo la vetrina della Cina nel mondo come vorrebbe il potere politico.

 

Fra le più importanti difficoltà che il movimento si potrebbe trovare ad affrontare nei prossimi anni spicca la crisi dell’economia cinese e asiatica in generale, probabilmente non prevista quando il “progetto calcio” ha preso il via nel pieno del “boom economico” del paese, che potrebbe portare a una diminuzione degli investimenti previsti nel medio periodo.



L’attuale presidente Xi Jinping crede molto in questo progetto e rimarrà in carica fino al 2018, ma nessuno può dire se il suo successore avrà a cuore il calcio quanto lui. Un altro nemico da superare sarà l’impazienza: come abbiamo visto il governo di Pechino è molto interessato ad avere una nazionale competitiva e per questo ha reso il calcio materia obbligatoria nelle scuole. Ma così come questo sport in Giappone ha avuto un’impennata di popolarità negli ’80 grazie ai manga e ai cartoni animati dedicati (primo fra tutti Kyaputen Tsubasa da noi conosciuto come “Holly & Benji”) che nel giro di una decina d’anni hanno trasformato i bambini amanti dei cartoni in calciatori migliori dei loro genitori, con la conseguenza di creare dagli anni ’90 in poi una nazionale giapponese molto più forte che in passato, così la Cina dovrà aspettare anni prima di vedere i primi frutti di questo lavoro e non basterà certo qualche stage nella “Serie B” portoghese a restituire alla nazione dei fuoriclasse.

 

Infine l’impazienza andrà combattuta anche verso le aspettative legate al ritorno di immagine che il governo cinese desidera. A livello di competitività del campionato servono ben più di 4-5 nomi di medio-alto livello per attirare l’attenzione dei fan di tutto il mondo, inoltre è quasi certo che Pechino non potrà ospitare un mondiale almeno fino al 2034 poiché l’Asia ha già avuto in dote l’edizione del 2022 che si disputerà in Qatar e la Fifa, almeno per il momento, ritiene importante un’alternanza fra i continenti ospitanti che impedisca due tornei nello stesso continente a distanza di meno di dodici anni l’uno dall’altro. Una piccola speranza si potrebbe aprire per l’edizione 2030 a seguito di un importante lavoro diplomatico, edizione per la quale c’è da registrare anche l’interesse di 10 stati asiatici che vorrebbero ospitarla congiuntamente. In ogni caso stiamo parlando di eventi lontani da noi 14 o 18 anni… la Cina continuerà ad avere la volontà politica, la capacità economica e la pazienza per continuare a far crescere il suo calcio per un periodo di tempo così lungo senza stancarsi di eventuali insuccessi parziali sulla lunga strada verso l’obiettivo finale?

 

Di certo fra i massimi esponenti del calcio mondiale qualcuno lo teme, ma qualche altro, in fondo, lo spera e ha già iniziato ad azionare le calcolatrici per conteggiare se e quanto i soldi cinesi potranno riuscire a risanare le difficoltà economiche di alcune squadre e leghe europee.

 

 

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