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Emanuele Atturo
La normalità di Nadal
18 apr 2016
18 apr 2016
Dopo la vittoria di Montecarlo possiamo parlare di un nuovo Nadal?
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Emanuele Atturo
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Ieri pomeriggio, a Montecarlo, Nadal ha giocato contro Gael Monfils la centesima finale della carriera: una partita bellissima, durata tre set e 2 ore e 46 minuti e che, a differenza delle ultime finali giocate da Nadal, lo ha visto vincere. È la 28esima vittoria in carriera di Nadal in un Master1000 (le stesse di Djokovic), la nona a Montecarlo. Il torneo dove aveva raggiunto la prima vittoria della carriera in un Master 1000, undici anni fa, e che aveva dato inizio a una serie di 24 vittorie consecutive: il primo segnale dell’egemonia che il maiorchino avrebbe imposto sul rosso per i successivi dieci anni.

 

https://www.youtube.com/watch?v=553_AQ-s5Fw

Una retrospettiva di Canal+ sulla vittoria di Nadal nel 2005. La finale contro Guillermo Coria sarà l’antipasto di quella di qualche settimana dopo a Roma è da alcuni ancora considerata come una delle più belle partite della storia del tennis su terra battuta.



 

La vittoria del 2005 aveva aperto un ciclo di vittorie a Montecarlo che è proseguito senza soste fino al 2012, quando Nadal ha perso in finale in due set da Novak Djokovic. Da lì in poi il suo dominio nel torneo si è interrotto per quattro anni, fino a ieri pomeriggio. Forse anche per questo insieme di ricorrenze in molti hanno attribuito alla vittoria di ieri un significato simbolico forte, considerandola il segnale definitivo del suo ritorno ad alti livelli.

ha

“Nuovo Nadal ritrovato”,

: “Nadal torna re”, titoli un po’ enfatici, accomunati da un vago senso di sollievo nel riaccogliere Nadal in un circuito che, faticando a trovare ricambio generazionale, riesce a trovare spunti e narrazioni interessanti solo affidandosi ai vecchi campioni.

 

A livello epico, è stato emozionante vedere Nadal chiudere la partita con quel dritto lungolinea così

, accasciarsi all’angolo estremo del campo in lacrime. Togliersi la fascetta dalla testa e scoprire una chioma sempre più rada, divisa da una riga in mezzo sempre più ampia.

 



 

Nadal è evidentemente invecchiato, eppure mai come in questa settimana il suo tennis è sembrato assumere una consistenza antica. Prima di soffrire per un altro tradimento, ha senso domandarsi se Nadal è davvero tornato. Se non ai livelli che gli competono, almeno a un livello che gli consenta di essere calcolato come un credibile candidato alla vittoria del Roland Garros: «Non tornerò mai quello del 2008 o quello del 2013, devo pensare solo a migliorare giorno dopo giorno» ha dichiarato Rafa a fine partita.

 

Ma quanto è consistente questo nuovo Nadal? Si può davvero parlare di “Nuovo Nadal”?

 



Parte dell’entusiasmo sulla vittoria di Nadal non deriva dal risultato, ma da come questo è maturato. Non è stata una partita tecnicamente ineccepibile: 13 break complessivi, un conto che alla fine segna più errori che vincenti per entrambi i giocatori. Ma ha espresso un’estetica tipica da terra rossa: servizi meno incisivi, ritmo pugilistico, saliscendi emotivi, eterni scambi da fondo campo che hanno prolungato il tempo di gioco fino a quasi tre ore.

 

Monfils disputava la sua prima finale di un Master 1000 fuori dal torneo di Parigi Bercy, e questo gli ha dato ulteriori motivazioni per giocare con un’intensità mentale inusuale anche per lui, da sempre abituato a galleggiare su uno spettro di concentrazione estremamente variabile.

 

Monfils ha sfruttato una settimana di grande ispirazione, trasformandosi in quello strano muro di gomma, capace di mettere in piedi una difesa

, che troppo raramente abbiamo visto nella sua carriera. Questo non ha solo dato credibilità alla vittoria di Nadal, ma ha avuto anche l’effetto di provocarlo tecnicamente, permettendogli di mettere in mostra un repertorio offensivo e difensivo quasi vintage.

 

https://twitter.com/MCROLEXMASTERS/status/721692449744252929

Il primo break della partita. La capacità di fare il tergicristallo non era venuta meno neanche negli ultimi mesi di appannamento, ma in questa fase difensiva Nadal riesce a tenere la difesa abbastanza profonda da prolungare prima lo scambio, e infine ribaltarlo. Il colpo con il tasso di vintage alto è il dritto lungolinea arpionato in scivolata con cui gli era riuscito un primo contrattacco.



 

La sintassi di gioco ha espresso la diversità con cui Nadal e Monfils interpretano un tennis “reattivo”. Nadal è atleticamente meno esuberante rispetto alla migliore versione di sé, ma gioca ancora una difesa aggressiva, potente, disciplinata, ritmata. Dall’altra parte Monfils è uno dei tennisti meno categorizzabili del circuito: capace di alternare forsennate difese a oltranza ad accelerazioni improvvise che squarciano momenti di palleggio lento e pigro, quasi svogliato.

 

Monfils è un giocatore tecnicamente difensivo con un’attitudine però creativa, che lega il ritmo e la velocità della pallina alla propria intensità mentale. Nel primo set, dopo essere andato sotto di un break, ed aver annullato tre set point a Nadal, è riuscito ad arrivare a servire per andare al tiebreak.

 

https://twitter.com/fragiambe/status/721697804759015428

Sul 5-5 Monfils arringa la folla. Il francese è uno dei pochi tennisti che non vuole astrarsi nel proprio ricciolo interiore, ma preferisce coinvolgere il pubblico e metterselo dalla propria parte. Forse perché la sua fibra mentale, così fragile, ha sempre bisogno di essere stimolata.


 

Sul 5-6 e servizio Monfils però si è fatto portare ai vantaggi, e sul set point per Nadal ha commesso un doppio fallo. Recuperare per i capelli il set coinvolgendo in un grande pathos emotivo tutto lo stadio e poi perderlo nel grigio anonimato di un doppio fallo ai vantaggi: Monfils in purezza.

 

Il secondo set ha replicato l’andamento del primo: Nadal è andato 3 a 0 sopra e poi si è fatto recuperare, lasciando stavolta che Monfils completasse la rimonta con la conquista del set. Nei primi due set i due giocatori si sono scambiati il servizio dieci volte, cinque ciascuno: un numero ridicolo che dovrebbe però preoccupare più Nadal, capace di convertire solo 5 palle break su 16, che si è lasciato trascinare dalle montagne russe tennistiche di Monfils, dimostrando di non essere in controllo del match. Poi nel terzo set Rafa ha sfruttato lo sfinimento del francese, che nel primo game del set ha perso il servizio a zero, chiudendo con un doppio fallo, dichiarando di fatto la resa.

 



I numeri della partita di Nadal non sono così incoraggianti. Ha convertito solo 8 delle 21 palle break e ne ha annullate a Monfils – un giocatore notoriamente fragile – solo la metà. Segno magari che Rafa ha sentito questa finale come se fosse una nuova esperienza, subendone la pressione. Ha vinto appena il 30% dei punti sulla sua seconda palle e un, non dominante, 69% con la prima.

 

Ma i numeri non sono incoraggianti soprattutto se si vuole far combaciare l’attuale Nadal con la sua vecchia versione. I contorni pugilistici del match, la sua intensità emotiva, la sua lunghezza, l’iconicità di alcuni scambi prolungati, potrebbe far pensare che Nadal ha vinto affidandosi alle sue tradizionali caratteristiche: resistenza, difesa, enfasi agonistica. In realtà Nadal non ha costruito la sua vittoria sugli scambi lunghi, considerando che ha vinto solo 26 punti sopra i 9 tiri, contro i 29 di Monfils. Rafa

più scambi sotto i 5 tiri e più scambi tra i 5 e i 9 tiri, marcando su queste distanze – brevi e medie – il solco che ne ha determinato la vittoria.

 

Guardando la partita con attenzione, ci si accorge che Nadal, aldilà di un posizionamento di risposta sempre arretrato, colpisce la palla molto più vicino alla linea di fondo rispetto a Monfils, e soprattutto rispetto al suo standard. Nadal dà finalmente l’impressione di allontanarsi un po’ dalla sua coperta di linus, ovvero i teloni di fondo.

 


Risponde molto lontano dalla riga, ma lo fa trovando grande profondità, e quando si accorge di aver conquistato l’inerzia dello scambio fa qualche passo in avanti.



 

Quello che ormai da tempo gli viene chiesto per combattere il proprio logoramento fisico, e cioè di mostrarsi più aggressivo, di chiudere l’ampiezza del campo coprendolo qualche metro più avanti, finalmente sta trovando un’applicazione un po’ più sistematica. È più di un anno che Nadal sta lavorando sul suo gioco: un lavoro che a 30 anni deve essere risultato particolarmente indigeribile, specie per un giocatore di così alto livello, costretto ad accettare e a fare i conti con il proprio declino fisico.

 

Il dritto di Nadal, sebbene contro Monfils sia spesso esploso con una veemenza antica,

del logoramento del maiorchino. Nel momento in cui una condizione fisica eccellente non ha più supportato il movimento così esasperato, il lavoro quasi innaturale richiesto alle gambe, il dritto si è scaricato, trasformandosi nella parodia di sé stesso. Il rovescio invece rimane un colpo più fluido, su cui Rafa può fare affidamento anche per alzare l’aggressività dello scambio.

 

https://twitter.com/MCROLEXMASTERS/status/721703021139398656

 

L’attuale Nadal ricerca con meno insistenza lo scoprirsi sul proprio lato sinistro e il suo gioco ora risulta complessivamente più equilibrato. Per Nadal la dimensione tecnica e quella psicologica, più che per ogni altro giocatore,

, e per questo la sua ricostruzione come tennista è dimostrata anche dalla una sua ritrovata solidità mentale. Il dato più drammatico dell’ultimo anno di Nadal è il comportamento sulle palle break: quello che da sempre aveva rappresentato il suo punto di forza era improvvisamente diventato la spia più evidente dell’abisso in cui era precipitato. Nel torneo invece Nadal ha dimostrato una solidità mentale nella gestione dei punti importanti, questa sì, degna del “miglior Nadal”.

 

In semifinale contro Murray ha salvato 8 palle break su 11 e agli ottavi contro Thiem, la partita per lui più dura del torneo, addirittura 15 su 17: una percentuale monstre dell’88% che suona decisamente

.

 

Basta questo per considerarlo di nuovo competitivo sulla terra rossa?

Probabilmente sì.

Basta questo per considerarlo tra i favoriti per la vittoria al Roland Garros?

Probabilmente no.

 

Nadal si è ricostruito come giocatore grazie alla nuova consapevolezza dei propri limiti, che lo ha portato ad elaborare un gioco che li eludesse. Ora Nadal sembra un giocatore meno impotente, meno patetico di quello che era diventato nell’ultimo anno e mezzo (una sorta di supereroe a cui sono state improvvisamente sottratti i superpoteri).

 

Ora Rafa ha un progetto di gioco coerente e organico, ma in questo modo ha finito forse per tradire la sua natura profonda. Il suo punto di forza non è mai stato l’equilibrio: ciò che rendeva Rafa il “The King of Clay” non era l’elusione dei propri limiti, ma il loro squilibrio. Nadal ha costruito i propri successi forzando il gioco del tennis, adattandolo al suo personale squilibrio, ai suoi limiti. La sua forza è stata costringere la fisica e la natura umana ad adattarsi all’idea di tennis che lui aveva in mente.

 

A un certo punto però la natura ha portato il conto. Dopo due anni di tentativi mal riusciti di forzature, Nadal sembra aver accettato il compromesso della normalità per provare a continuare a competere. Finalmente è tornato ad essere un giocatore, ma a costo di perdere ciò che lo rendeva davvero speciale. Se prima i limiti di Nadal erano fuori dalla portata del nostro sguardo, ora sono lì: evidenti, forse ancora di più quando vince. Nadal ci gira attorno ma non riesce più a superarli. E il tennis non consente più il lusso di vincere senza superare i propri limiti.

 

 

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