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Nikhil Jha
La migliore squadra femminile della storia
16 dic 2020
16 dic 2020
La storia delle Dick, Kerr’s Ladies ci dice molto degli ostacoli che ha dovuto affrontare il calcio femminile.
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Nikhil Jha
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Chissà cos’avrà pensato l’allora Segretario di Stato per la Guerra Winston Churchill quando, terminato ormai da due anni il primo conflitto mondiale, si è visto arrivare sulla scrivania una richiesta di affitto per due proiettori da scoperta (enormi fari utilizzati per scandagliare il cielo alla ricerca di aerei nemici, prima dell’invenzione del radar). Forse avrà storto il naso, venendo a sapere che sarebbero dovuti essere utilizzati per illuminare un campo da calcio in notturna, in un’epoca in cui l’illuminazione artificiale dei campi da gioco era ancora agli albori. Sarà rimasto probabilmente ancor più perplesso quando ha scoperto che i due proiettori sarebbero serviti a illuminare una partita di calcio femminile, l’incontro tra le Dick, Kerr’s Ladies e una selezione delle altre migliori calciatrici in Inghilterra, radunatesi a Preston (casa delle Ladies). Pur con tutti i dubbi del caso, però, alla fine Churchill acconsente di suo pugno all’affitto. La partita si può giocare.


 

Preston, cittadina a un’ora di macchina a nord di Liverpool, aveva già messo da anni la sua bandierina sulla storia del calcio mondiale, perché il North End nel 1889 era stato capace di vincere il primo campionato inglese della storia – peraltro da imbattuto, accompagnando il successo con l’FA Cup nello stesso anno. Poco più di trent’anni dopo, la stella degli Invincibili aveva già perso smalto, ma a tenere in alto l’orgoglio degli spettatori del Deepdale Stadium è un’altra squadra, stavolta composta da donne: la miglior squadra femminile che il mondo abbia mai visto.


 

La storia delle Dick, Kerr’s Ladies comincia tre anni prima di quella richiesta inviata direttamente sulla scrivania di Churchill. Comincia nel mezzo del conflitto mondiale, quando tante donne vengono chiamate nelle officine e nelle fabbriche in sostituzione degli uomini al fronte, per sostenere il comparto produttivo in gran parte riconvertito all’industria bellica. Così, i motori a vapore che William Bruce Dick e John Kerr avevano immaginato nel tardo Ottocento si erano presto trasformati in munizioni da trasportare da Preston al fronte. In un contesto, quello industriale, che aveva catalizzato l’ascesa del football tra gli strati operai della popolazione, anche le donne non restano immuni al fascino del pallone. Ovviamente a fare da colonna sonora ci sono i ghigni e le battutine dei colleghi maschi rimasti in fabbrica. Scompaiono in fretta, dopo che il cortile della fabbrica, durante la pausa del tè, diventa terreno della prima delle innumerevoli vittorie delle venture Ladies, contro una selezione di stupefatti operai maschi.


 

Dalla finestra che affaccia sull’improvvisato terreno da gioco si affaccia Alfred Frankland, che diventerà l’architetto fuori dal campo di quella squadra. Nasce l’idea: fondare un XI che possa giocare in giro per l’Inghilterra raccogliendo denaro in beneficienza, costituito esclusivamente da impiegate in fabbrica. Non importa in che giorno e a che ora si giochi: la mattina dopo si torna a lavoro.



Le Dick, Kerr’s Ladies vedono ufficialmente la luce nella notte di Natale del 1917, quando affrontano e sconfiggono le avversarie dell’Arundel Coultard Factory per 4-0. In Inghilterra c’è grande voglia di calcio: la First Division manca dal 1915 e anche i tornei sostituivi, svuotati di molti giocatori, perdono di fascino. Per questo le donne attirano curiosità: per l’esordio delle Dick, Kerr’s Ladies sugli spalti sono in 10mila.


 

Non sarà un fuoco di paglia, anzi: la squadra viene attivamente sostenuta e sponsorizzata dall’azienda, che in uno dei primi calciomercato femminili della storia si assicura le prestazioni delle migliori giovani del nord ovest attraverso l’offerta di un salario fisso presso la Dick, Kerr & Co.  Le Ladies, così rinforzate, continuano a giocare – e a vincere.


 

L’apice arriva tre anni e un giorno dopo l’esordio, nel Boxing Day del 1920. Il Goodison Park di Liverpool, già casa dell’Everton, è gremito da 53 000 persone per la sfida alle Saint Helen’s Ladies, mentre si stima che altri 14mila potenziali spettatori siano rimasti al di fuori dell’impianto, sperando invano in un ultimo posto disponibile. Un record, quello di presenze allo stadio per una gara tra club femminili, che reggerà fino al 2019, quando più di 60mila persone assisteranno all’incontro da Atletico Madrid e Barcellona. Quasi un secolo dopo.


 

Il tripudio di Liverpool è solo l’ultimo colpo di tamburo di quella marcia trionfale che è stato il 1920 delle Ladies. La prima, storica rullata risuona nel finire dell’aprile di quell’anno: è il giorno in cui 16 giocatrici francesi sbarcano a Dover per il primo incontro internazionale tra squadre femminili della storia. Anzi, si tratta di un piccolo tour che Frankland organizza per accrescere ulteriormente il prestigio della sua squadra: una partita per città a Preston, Stockport, Manchester e Londra, a Stamford Bridge.


 

È il primo vero confronto tra due modi di pensare il calcio femminile finora paralleli che stavano prendendo, fino a quel giorno, strade divergenti: il calcio francese da una parte, bourgeois, più elegante e meno ruvido, con campi e tempi ridotti. Dall’altra quello inglese, cresciuto nei cortili delle fabbriche del nord, più duro e competitivo, di cui le Ladies erano l’esempio plastico. Il semi-professionismo di quest’ultimo ha la meglio, vincendo le prime due partite, pareggiando la terza e perdendo di misura nella capitale, dopo essere rimaste in 10 causa infortunio per gran parte del match.


 

Va ancora meglio nel tour di ritorno in autunno, in cui sono le inglesi a viaggiare – e vincere – lungo Parigi (in cui devono fuggire anzitempo dall’invasione del pubblico che non concordava con l’arbitro sull’assegnazione del decisivo calcio d’angolo), Roubaix, Le Havre, Rouen.


 

Quattro vittorie e più di 56mila spettatori complessivi, ma soprattutto un ritorno a Preston da trionfatrici. In chiusura di un anno storico, la partita illuminata dai proiettori di ricerca approvati da Churchill in persona e l’immensa folla di Liverpool. I loro volti e il loro nomi sono ormai noti al pubblico: la prima capitana Alice Kell a Goodison Park segna una tripletta da difensore; delle Ladies sarà anche l’allenatrice, finché il matrimonio la spingerà a declinare ogni incarico. Florrie Redford nel 1921 segna 170 reti: è la migliore realizzatrice della squadra e sa calciare con entrambi i piedi.


 

Dopo i primi tre mesi del 1921 (15 partite giocate, 100 gol fatti, 4 gol subiti), Le Dick, Kerr’s Ladies sono diventate più grandi di quanto avrebbero mai potuto immaginare soltanto tre anni prima; ma anche più grandi di quanto le alte sfere del calcio siano disposte a tollerare.


 



 

A dir la verità, sono mesi – se non anni – che la discussione sull’opportunità che le donne giochino a calcio riempie le colonne d’opinione dei quotidiani. Varie voci concordavano sul fatto che il gioco del calcio – a differenza del tennis, o dell’hockey – non sia loro adatto, né per motivi fisici né morali. Come può il ruolo di madre essere adeguato alla vigoria del calcio, al suo intrinseco contatto? Come si può essere certi che non comporti dei rischi? Ma soprattutto, la domanda che nessuno fa ad alta voce, ma in realtà è l’unica che veramente preoccupa tutti: possiamo accettare che la popolarità delle donne superi quella di molti uomini, tanto che il calcio femminile arrivi a raccogliere più pubblico nelle partite in contemporanea?


 

Nel dicembre del 1921, la FA trova un modo articolato e british per rispondere ‘no’: «[…] il Concilio sente l’urgenza di esprimere la propria forte opinione che il gioco del calcio è non adatto alle donne, e non va incoraggiato […]». O meglio, va osteggiato in ogni modo: viene di fatto vietato ad ogni società membro di ospitare sul proprio campo partite di calcio femminile.


 

La decisione abbatte di colpo, come un muro per i crash test, la crescita del calcio femminile, e lì lo terrà per oltre 50 anni, finché il divieto non verrà cancellato. La risposta delle Ladies è rassegnata ma dignitosa, attraverso la penna del solito Frankland: «La squadra continuerà a giocare se gli organizzatori delle partite di beneficienza forniranno i campi, anche se dovessimo giocare in campi arati».


 

Il calcio femminile non si arrende: prova ad organizzarsi nella ELFA (English Ladies Football Association) che riesce a strappare un accordo per giocare nei campi da rugby (ma solo al nord, visto che la federazione di rugby del sud si fa alleata delle direttive della FA) e tenta di organizzare una prima competizione tra squadre affiliate, che si conclude senza ottenere grande seguito, tra rinvii dell’ultimo minuto e ostacoli da superare. Pur facendo parte della lega, le Ladies non partecipano, preferendo continuare a giocare amichevoli sparse su campi amatoriali prima di provare il grande salto dove il ban dell’FA non può più toccarle: gli Stati Uniti.


 

Ma la squadra più forte del mondo non trova pace: stavolta ci si mette di mezzo la federazione canadese, che impedisce alle Dick, Kerr’s di giocare sul proprio territorio, costringendole a virare direttamente sugli Stati Uniti, da cui tornano dopo un mese e mezzo con un bilancio di quattro vittorie, due pareggi e tre sconfitte in nove match contro selezioni maschili. È l’ultimo grande squillo delle Ladies, che una volta tornate in Inghilterra devono arrendersi alla stretta soffocante della madrepatria che le ha ormai abbandonate a se stesse.


 


Una figurina del 1920 dedicata alle Ladies.


 

Dopo aver organizzato più di sessanta partite dal 1921, nel 1923 giocano solo tre match, nessuno nel 1924. Frankland lascia la Dick & Kerr’s Co. (ora diventata English Electric) tra sospetti di essersi intascato più soldi di quanti dovesse, sottraendoli ai rimborsi delle giocatrici e alla beneficienza, che dal 1917 era stato il principale motore dell’attività delle Ladies – pur tra i dubbi dell’FA, che nel comunicato della sua messa al bando cita l’opaca gestione delle finanze come ulteriore motivazione a favore della cesura del calcio femminile, ormai sospeso nelle sue espressioni più lucenti tra il dilettantismo e il semi-professionismo.


 

Le Dick Kerr’s Ladies, senza neanche più il campo della fabbrica da usare per gli allenamenti, cambiano nome in Preston Ladies e continuano a giocare fino al 1965, dieci anni prima che il bando venga finalmente sospeso dalla FA, che invece manterrà fino al ’92 il divieto di giocare in squadre miste.


 

In una vertiginosa ascesa e nel crollo ancora più rapido, un ciclo durato appena sei anni nel suo momento più splendente, le Dick, Kerr’s Ladies sembravano poter essere diventate l’apripista per una nuova era del calcio femminile, in Inghilterra ma non solo. La loro più grande calciatrice, Lily Parr, entrata in squadra quindicenne nel 1920, con «la potenza di calcio di un back di prima divisione», come era definita, capace di rompere il braccio di un portiere professionista, fumatrice accanita e capace di segnare più di 900 gol fino al suo ritiro, nel 2002 sarebbe entrata postuma nella Hall of Fame del calcio inglese.


 

Un piccolo gesto che sa di scuse, ma che male si accoppia con una delle scelte più conservative e misogine che il calcio abbia mai conosciuto. Capace di cancellare, con la forza di un comunicato, un intero movimento che prometteva di diventare qualcosa di grande, e che invece ha dovuto ripartire con cinquant’anni di ritardo.


 

 

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