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NBA Michele Pettene 3 giugno 2016 10'

La mia quarta finale Scudetto

Pietro Aradori racconta come ci si prepara al momento decisivo della stagione.

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Ispirati da The Players’ Tribune, con questa nuova serie di racconti in prima persona cerchiamo di portare il lettore ancora più vicino al Gioco, facendocelo raccontare direttamente dai protagonisti. Il primo è Pietro Aradori, guardia della Grissin Bon Reggio Emilia che da stasera si gioca lo Scudetto del basket italiano contro l’EA7 Olimpia Milano.

 

Martedì mattina, tre giorni fa, alle 7 ero già sveglio.

 

Gli occhi sbarrati, incapace di riaddormentarmi.

 

Solitamente, anche dopo vittorie adrenaliniche e importanti come quella della sera prima contro Avellino, non ho problemi a prendere sonno. Ma le emozioni di quella gara-7 vinta solo nell’ultimo minuto contro un avversario che ci aveva messo in grave difficoltà – soprattutto in casa loro – mi sono rimaste dentro, e quindi mi sono vestito e sono andato a mangiare la mia brioches integrale (lo so, lo so…) in un bar del centro storico di Reggio Emilia.

 

Credo sembri scontato dire quanto siamo orgogliosi di essere riusciti a conquistare la seconda finale scudetto consecutiva, ma per noi è realmente così. Siamo altrettanto certi però che la semifinale non ci basti: ad inizio anno avevamo l’obiettivo di arrivare a giocarci lo Scudetto, ora ci siamo e lo vogliamo vincere con tutto noi stessi. Per farlo dovremo battere Milano in un’altra serie al meglio delle sette partite, provandoci già da questa sera al Forum.

 

Per me è la quarta finale Scudetto: con Roma nel 2008, allenato proprio da Repesa, avevo 19 anni e giocai solo 1 minuto in totale. Con Siena nel 2011 e nel 2012 il mio minutaggio si è alzato, tra i 16 e i 18 di media, e sono stato parte integrante di quei due titoli. Ma ora ragazzi la storia è completamente diversa: Max [Menetti, il coach], con cui mi trovo benissimo, mi ha sempre fatto partire in quintetto, e questo aumento di responsabilità oltre che di minuti nei playoff le devo gestire in modo più attento rispetto alla stagione regolare, considerato il fisico possente che mi ritrovo.

 

C’è stato un momento, nella mia carriera, in cui mi sono reso conto che il mio corpo meritava un grado di attenzione superiore: gara-6 di semifinale nel 2013 con Cantù e contro Roma è stata una delle mie peggiori prestazioni nei playoff, e dopo l’incazzatura ho iniziato a chiedermi di cosa avesse bisogno il mio corpo per non accusare di nuovo quel grado di stanchezza che aveva contribuito a farmi tirare e giocare così male in un appuntamento così importante.

 

Avevo 24 anni: quando sei giovane non pensi troppo a fisico ed atletismo, vai a manetta per tutti e 40 i minuti e non senti nessuna conseguenza negativa immediata.

 

Ma i playoff sono tutt’altra cosa.

 

Improvvisamente ti ritrovi a giocare – se ti va bene – tra le 11 e le 19 partite in poco più di un mese. I tempi di recupero si accorciano tremendamente e devi prendere degli accorgimenti di cui durante la stagione, con una settimana o minimo tre giorni tra una gara e l’altra, non necessiti.

 

Così ad esempio durante la durissima serie contro Avellino, tra gli spostamenti in treno da Reggio a Napoli e le partite ogni due giorni, o in questi giorni che ci hanno portato fino a gara-1 di finale, elimini completamente alcune cose che di solito non ti creano problemi: i 5 contro 5 ripetuti al massimo dell’intensità, le uscite pomeridiane in centro o per shopping, l’alcool, si sta ancora più attenti all’alimentazione… La maggior parte del tempo la passi a fare terapia, scarico in piscina, pesi leggeri, riunioni tattiche con compagni e staff tecnico per preparare la partita successiva. Insomma, è uno dei tanti apprrocci anche mentali per fare tutto il possibile per essere al top della condizione nel momento più decisivo.

 

La nostra grande fortuna è che siamo una squadra profonda e che può dividersi i minuti, cosa che ci ha aiutato molto per eliminare una squadra con rotazioni a 6-7 uomini come la Sidigas. Non sarà così contro Milano, che infatti è arrivata prima in classifica, e noi abbiamo perso Stefano Gentile recuperando però Vladimir Veremeenko: sarà una serie veramente differente.

Mercoledi, il day-after gara-7, Max ha lasciato completamente libera tutta la squadra, e poi ci siamo ritrovati in palestra per iniziare a preparare la finale Scudetto. I carichi di lavoro sono stati volutamente soft, con le prime ricostruzioni degli attacchi e delle difese dell’Olimpia a quintetti misti, mentre ci siamo concentrati molto su come affrontare mentalmente e a distanza di soli quattro giorni l’ultimo atto della stagione. La cosa principale che è emersa ed è ben chiara a tutti è che già da questa gara-1 dovremo aggredire la serie come abbiamo fatto con la splendida gara-7 contro Avellino, non pensando alle prime due partite al Forum come ad un appuntamento interlocutorio e ribaltabile al PalaBigi in gara-3 e 4, ma come ad un’opportunità per far perdere a Milano il fattore campo e costringerli a vincere almeno una partita da noi.

 

Dopo questo tipo di allenamenti mi dedico tradizionalmente al mio solito lavoro individuale, basato soprattutto sul tiro con l’assistente Slanina, nostro ex-giocatore: non è una routine “ossessiva” alla Kyle Korver, ma mi piace iniziare con quello che chiamo “quick-fifty” insieme a my man Sasà Parrillo: cinquanta triple segnate dalle 5 posizioni principali che solitamente concludo con 60-65 tentativi, per poi usare una sedia sulla punta del tiro da 3 per simulare i pick and roll centrali che tanto Max mi fa usare nel nostro attacco. A volte, per simulare situazioni realistiche, mi piace alzare al massimo le sagome che abbiamo come “difensori”, giocando il pick and roll e tirando contro “il vecchio Boban”, in onore a Marjanovic, lungo degli Spurs alto 2.21m che “sfido” tirandogli in faccia, cosa che è capitata durante i playoff con gente come Kenny Kadji di Sassari o Riccardo Cervi di Avellino.

 

La cosa invece mentalmente più difficile ma allo stesso tempo stimolante è “ordinare” al proprio cervello di dimenticare la serie precedente e focalizzarsi sulla struttura tattica offensiva e difensiva di Milano. La chiave, ancora una volta e soprattutto partendo con un giorno e mezzo in meno di preparazione rispetto all’Olimpia, sono gli aggiustamenti che il nostro eccellente staff tecnico ci proporrà lungo la serie. Non potremo infatti comportarci con Mantas Kalnietis così come abbiamo fatto con il piccolo Marques Green, che durante la serie con gli irpini “invitavamo” ad entrare dentro l’arco dei tre punti conoscendo la sua predisposizione all’assist piuttosto che al tiro, in una zona dove gli aiuti dei nostri lunghi potevano mettere in seria difficoltà un play di 1.68m. Oppure non potremo fare con il mio amico Ale Gentile così come abbiamo fatto con David Logan nella serie contro Sassari: quando entra in striscia un tiratore spesso “on-fire” come Logan la nostra difesa gli concede il minore dei mali, ovvero aggredirlo sul perimetro e portarlo a prendersi palleggio-arresti-e-tiro nella cosiddetta terra di mezzo, dove però Ale è un maestro.

 

Devo dire però che sono molto fiducioso, siamo già passati da un test mentale molto probante e siamo riusciti a superarlo brillantemente, da grande squadra: uno dei momenti più delicati di tutto l’anno, e forse quello più doloroso, è stato quello del -43 subìto in gara-4 di queste semifinali in Campania. Di ritorno sul treno eravamo tutti incazzati -shit happens!- ma con lo staff tecnico ci siamo detti che quella era una partita da prendere e da gettare subito nel cestino, senza nemmeno tornare sulla marea di errori commessi che solitamente rivediamo a video il giorno dopo: semplicemente ce la siamo lasciata alle spalle, abbiamo vinto gara-5 a Reggio, giocato bene nonostante la sconfitta in gara-6 e vinto infine la serie.

Una delle parti che più mi divertono del preparare queste serie, sembra strano a sentirlo ma è realmente così, è quella del videotape: credo di essere una persona e un giocatore molto critico verso me stesso, e ritengo sia molto utile rivedersi in video negli errori, nelle spaziature offensive e nelle rotazioni difensive, o se un difensore tende a mandarti sempre a sinistra o dove posso attaccarlo. Spesso negli anni ho notato che rendersi conto dei propri errori a video è servito anche ad alcuni giocatori naturalmente inclini a contestare i richiami del coach: già ci sono quelli che riescono a contestare anche davanti al video, figuriamoci senza!

 

Si scherza ovviamente, ma anche rivedere i principali schemi d’attacco di Milano, aiutati dallo scouting report di una ventina di pagine che ci consegnano sull’avversario, è fondamentale in una serie dove impari a conoscere nel dettaglio le caratteristiche tecniche e pure mentali di tutti i tuoi avversari: a Nunnally, ad esempio, abbiamo cercato per tutta la serie con Avellino di levargli la sinistra anche se è destrorso, preferendo quel lato di penetrazione, così come a Ragland che invece mancino lo è. Ma sono tutti accorgimenti che sviluppi in più di una partita, e che è veramente difficile assimilare in una singola gara in mezzo a tutto il resto come accade invece in stagione regolare.

 

Per farvi capire il grado di dettaglio cui siamo arrivati nella serie contro Avellino, in uno degli ultimi timeout di gara-7 Max mi ha chiesto quale lato preferivo per andare a giocarmela spalle a canestro contro Nunnally, giocatore fondamentale che volevamo condizionare con i falli, in una delle giocate chiave. La mia fortuna è che – sin dai tempi di Siena con Pianigiani cui piaceva mandare esterni grossi in post per scatenare le rotazioni difensive, e ancor di più con il Trinka a Cantù che mi spronava ad andare spesso “spalle” – mi è del tutto indifferente giocare su un post piuttosto che l’altro: proprio una delle azioni di cui sono più orgoglioso perchè ha aiutato a vincere la mia squadra è arrivata da una situazione tattica di questo tipo – su cui lavoro come un matto da tempo -, con il mio tiro spalle a canestro allo scadere dei 24 in testa a Buva che ha sigillato, insieme alla tripla del sempre magico Rimas Kaukenas, partita e serie.

 

Ecco, in quell’azione che vedete nel video qui sotto, la cosa divertente è stata che uno dei nostri vice, nella bolgia del PalaBigi, ha urlato (ma non l’ho sentito, me l’ha riferito poi) “Pietro no! Stai andando sul perno sbagliato!” perché effettivamente in quella posizione avrei dovuto usare il piede sinistro come perno, per girarmi e tirare all’indietro. Ma l’aiuto di Buva e la posizione del corpo, se avessi usato il sinistro, mi avrebbero portato a tirare da dietro il tabellone: quindi ecco la scelta al volo del destro: mi giro, tiro, parabola più alta perché sapevo di avere il lungo dietro di me, e solo rete. Una bella sensazione, come potete vedere anche dall’esultanza, e coach Cagnardi che ridendo non è riuscito a terminare la frase d’avvertimento per gioire del canestro insieme a noi.

 

 

Le nostre regole offensive con Avellino, che non escludo possano ripetersi con Milano, sul pick and roll in attacco erano molto precise: sugli “show” alti l’imperativo era passare velocemente la palla, sui “contain” del lungo o sui cambi ci stava l’1-vs-1 e il tiro così come sul “go under” del piccolo, con un occhio ai blocchi lontano dalla palla e alle reazioni della difesa, dato che siamo una squadra che ritengo molto intelligente e capace di leggere molto bene le situazioni. E anche per questo abbiamo delle linee guida e delle chiamate specifiche, ma spesso Max ci lascia scegliere l’opzione migliore a seconda della situazione in campo.

 

Sono curioso di scoprire cosa ha in serbo la difesa di Milano per noi, ma devo dire che Avellino, per quanto mi riguarda, ha difeso decisamente bene: credo di aver tirato solo due volte da piazzato, libero sull’arco, mentre tutto il resto me lo son dovuto guadagnare, giocando molto più spesso per i compagni in una serie dove, come da tradizione del resto, ogni possesso è stato giocato “alla morte”.

 

Condizione che, essendo insieme a Rimas uno degli esterni di riferimento, mi fa sentire molto più responsabile nella gestione dei possessi a disposizione. Responsabilità da cui non mi sono mai tirato indietro, e anche se ora il mio ruolo rispetto a Siena è cambiato alla fine conta il grado di concentrazione con cui gestisci i possessi: a Siena “responsabilità” per me significava magari mettere un tiro da tre sullo scarico allo scadere dei 24 mentre magari ora, dopo un’evoluzione tecnica, significa anche giocare il pick and roll per poi mettere in ritmo Silins per un tiro da tre punti. È un ruolo che in questa squadra mi piace e mi rende ancora una volta orgoglioso, perchè credo sia il frutto del lavoro quotidiano che abbiamo fatto insieme, che c’ha portato fin qui e che spero porti i suoi frutti in una finale Scudetto che non vedo l’ora di iniziare a giocare.

 

IL MIO WHAT A (BLANK)…

Il più strano compagno di squadra che abbia mai avuto è…

1

In Nazionale la canzone più ascoltata è….

2

In Nazionale il rituale più strano è….

3

Se tutta la mia squadra partecipasse a una Royal Rumble, l’ultimo a rimanere in piedi sarebbe…

4

La cosa più strana che un tifoso mi abbia mai urlato è…

5

Il miglior testo mai scritto per una canzone è…

6

Una canzone che non vorrei mai più sentire in un palazzetto è…

7

La statistica più insignificante nella pallacanestro è…

8

Il giocatore più intelligente che abbia mai incontrato è…

9

La cosa più strana che un coach mi abbia mai detto è…

10

L’ultima canzone che voglio ascoltare prima di scendere in campo è…

11

Lo schema per il tiro della vittoria è….

schema

 
 

PIETRO ARADORI / CONTRIBUTOR

Autografo

Tags : basket italianopietro aradorireggio emiliascudetto

Michele Pettene è veronese di nascita, iversoniano d'adozione e scrive ovunque ci sia spazio per almeno 20k battute. Dopo il suo primo libro nel 2015 "La Morte è certa, la Vita no - La storia di Klaudio Ndoja", nel 2019 ha pubblicato con l'editore Rizzoli il suo secondo libro "Basketball Journey - Viaggio on the road tra luoghi e leggende del basket USA"

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