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Christopher Robert Holter
La lenta rinascita del Feyenoord
23 mag 2017
23 mag 2017
Storia di come Giovanni van Bronckhorst è riuscito a riportare il titolo a Rotterdam dopo 18 anni.
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Christopher Robert Holter
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Mancano sette minuti di gioco alla fine di Feyenoord-Heracles, poi l’arbitro Dennis Higler fischierà la fine della partita e potrà partire la festa. Dirk Kuyt sistema con cura il pallone sul dischetto, pronto a calciare il rigore procurato da Nicolai Jørgensen. La rincorsa è veloce, ferina, il pallone accarezza il palo e finisce in porta. Il goal è il terzo segnato in partita da Kuyt, il dodicesimo in una stagione che lo ha visto confezionare anche 6 assist, pur giocando in una posizione, quasi da interno di centrocampo, lontana da quelle in cui è diventato il giocatore che conosciamo. Kuyt è stato un giocatore esemplare, che con l’abnegazione totale è riuscito a rendersi indispensabile ovunque. Sembrava quello che più di tutti voleva una vittoria che avrebbe concluso in maniera epica la parabola della sua carriera.

 

Alle 16:21 il Feyenoord è Campione. La folla festosa che ha invaso il Coolsingel ha mostrato come Rotterdam avesse bisogno, 18 anni dopo l’ultimo campionato vinto, di tornare a sedersi sul tetto d’Olanda.

 

Non è bastata alla “Legioen" la Coppa d’Olanda vinta lo scorso anno ai danni dell’Utrecht. Il gap da colmare con Ajax e PSV risultava, fino allo scorso luglio, ancora troppo grande.

 

A inizio stagione, quello del Feyenoord sembrava essere un buon gruppo a cui però sembrava mancare ancora qualcosa. Sono state la costanza di rendimento e la grande motivazione dei suoi interpreti a colmare le lacune tecniche.

 

https://www.youtube.com/watch?v=fGUizLcROJo

 

L’ultimo successo risaliva al 1999. In panchina c’era Beenhakker mentre in attacco la coppia composta da Julio Ricardo Cruz e Jon-Dahl Tomasson. Era una squadra composta da giovani talenti ma anche da portatori d’acqua (come il capitano Jean-Paul van Gastel), giocava un calcio cinico, che non concedeva molto agli occhi. Sulla strada tracciata da Beenhakker, tre anni dopo il titolo di Campione d’Olanda, il Feyenoord ha vinto anche la Coppa UEFA, imponendosi in finale per 3 a 2 sul Borussia Dortmund. Ed è sempre su quella tradizione che oggi van Bronckhorst ha riportato il titolo al

(la squadra del popolo).

 

 



 

Il Feyenoord è rimasto al primo posto dalla prima all'ultima giornata di questo campionato. L’Ajax è riuscito ad avvicinarsi solo nelle ultime settimane, dopo che il Feyenoord sembrava avere un po’ di “braccino” nel chiudere la propria cavalcata.
Determinante è stata soprattutto la solidità tra le mura amiche e la striscia di 10 vittorie consecutive a cavallo della pausa invernale, una fase delicata per ogni squadra olandese, che spesso coincide con possibili crisi di risultati.

 

I “Rotterdammers” non hanno accusato nessuna flessione rilevante, a differenza di quanto accaduto nello scorso campionato, quando tra il dicembre 2015 e il febbraio 2016 sono stati raccolti appena due punti. La svolta quest’anno è stata netta, a partire dagli scontri diretti: due vittorie contro il PSV, un pareggio e una sconfitta, in fin dei conti indolore, nel “Klassieker” con l’Ajax.

 

Con 82 punti, la squadra biancorossa ha, per la prima volta nella sua storia, abbattuto il muro degli 80 punti. Solo nel campionato 1972/73 aveva fatto meglio, almeno sulla carta. Quell’anno il Feyenoord terminò secondo, alle spalle dell’Ajax schiacciasassi, pur vincendo 27 partite e pareggiandone 4. Usando il sistema dei 3 punti per vittoria, assente all’epoca, la squadra di Ernst Happel avrebbe raggiunto quota 85.

 

Van Bronckhorst, oltre a riconsegnare il titolo al Feyenoord dopo 18 anni, è diventato il tecnico più giovane a vincere un campionato con il club. A 42 anni ha scalzato dal gradino più alto del podio Thijs Libregts, che al termine della stagione 1983/84 si laureò Landskampioen a 43 anni.

 

L’inizio della sua carriera non era stato entusiasmante. Van Bronckhorst è sulla panchina del Feyenoord ormai dal 2011, sempre però con un ruolo di secondo piano, da assistente del manager, prima di Ronald Koeman e poi di Fred Rutten. Gio è arrivato all’alba del nuovo ciclo fondativo del Feyenoord, necessario dopo gli anni grigi culminati con la sconfitta contro il PSV per 10 a 0 nel 2010: la peggiore della sua storia.

 

https://www.youtube.com/watch?v=F9AI3oWWdTM

 

 



 

Dopo gli anni di apprendistato, van Bronckhorst ha esordito come primo allenatore lo scorso anno, guidando la squadra a un onorevole terzo posto, sebbene le 21 lunghezze di distanza dal PSV prima - oltre alle 20 dall’Ajax secondo - rispecchiavano tutto il divario tecnico che sembrava esistere tra le squadre. In particolare non lasciava sperare il tracollo avuto a metà campionato di 7 sconfitte consecutive, che ha smorzato le ambizioni di titolo, vive fino all’inverno. Una delusione solo parzialmente addolcita dalla vittoria in Coppa d’Olanda in finale contro l’Utrecht.

 

https://www.youtube.com/watch?v=ykJaSfsxAR4

 

Van Bronckhorst è erede naturale della scuola di Ronald Koeman. Per capirci, non fa parte della tradizione olandese degli allenatori demiurgi (van Gaal, de Boer, Crujff), ma di quelli più pragmatici, attenti artigiani delle qualità tecniche, fisiche e mentali del proprio gruppo di giocatori (Hiddink, Koeman). Il 4-3-3 del Feyenoord rimane tale solo sulla carta e ha la flessibilità per adattarsi alle esigenze che ciascuna partita presenta. Senza palla uno degli esterni d’attacco - spesso Elia - tende ad abbassarsi per unirsi a un centrocampo che si distende in orizzontale: il Feyenoord ama difendere con un 4-4-2 con due linee strette, tendenzialmente basse, che gli concedono una costante superiorità in zona centrale. Uno stile difensivo più conservativo e reattivo rispetto a quelli di PSV e Ajax, ma che quest’anno ha pagato dividendi importanti.

 

Quest’anno il Feyenoord ha subito appena 26 gol: miglior dato dalla stagione 1991-92. Un’impresa maturata soprattutto all’interno del fortino di casa: nessuna squadra ha lasciato il De Kuip da vincitrice. Alla solidità della coppia centrale di quasi trentenni Botteghin-van der Heijden ha fatto da contraltare la coppia di giovani terzini Kongolo-Karsdorp, due tra i talenti più interessanti messi sul menù dal Feyenoord in questa stagione. Terence Kongolo ha 23 anni ma è già alla sua terza stagione da titolare: essendo un ex difensore centrale adattato a terzino è spesso rimasto più bloccato e stretto verso la coppia centrale, formando spesso quella che era di fatto una difesa a 3. In questo modo veniva liberato

, che a destra ha funzionato quasi da regista aggiunto. Il suo passato da trequartista si nota nella complessità delle sue letture: Karsdorp non è solo un terzino molto atletico bravo ad attaccare lo spazio. Van Bronckhorst lo ha usato anche per creare densità di uomini attorno al pallone e sfruttare le sue doti associative: con 55 tocchi per 90 minuti è il giocatore del Feyenoord a giocare più palloni dopo il centrale difensivo Botteghin. Karsdorp ha ormai responsabilità creative fondamentali per la squadra: da due stagioni ha una media costante di 1,5 key pass a partita e quest’anno ha messo insieme 4 assist.

 

https://www.youtube.com/watch?v=FwdZbn9xwrE

 

L’abbassamento di Dirk Kuyt sulla linea dei centrocampisti è stata la grade intuizione di van Bronckhorst quest’anno. Non solo il dinamismo, ma anche la grande intelligenza nei movimenti di Kuyt hanno permesso al Feyenoord di rendere più creativo e fluido un reparto risultato fin troppo rigido lo scorso anno, e che dava alla squadra un’interpretazione troppo conservativa e scolastica del gioco.

 

Quest’anno invece i centrocampisti si scambiavano di frequente posizione, preoccupandosi soprattutto di non dare punti di riferimento. Kuyt partiva a centrocampo solo in modo nominale, poi andava a occupare qualsiasi casella che il sistema liberava: ha giocato da ala, regista, trequartista e, il più delle volte, da mezzala creativa di possesso. A 37 anni, alla sua ultima stagione di calcio giocato, Kuyt si è reinventato come all-around-player: ha segnato in inserimento, cucito la prima costruzione, rifinito verso le punte. Le sue statistiche quest’anno sono commoventi: 14 gol, 4 assist, 2.7 tiri per partita, 1.4 key pass.

 



 

La visione di gioco non banale di Dirk Kuyt.


 

Accanto a lui - partito titolare per 27 partite su 31 giocate - si sono alternati due tra Karim El Ahmadi, recuperato dopo la fallita avventura con la maglia dell’Aston Villa, Tonny Vilhena e Jens Toornstra. Se El Ahmadi e Vilhena tendevano a rimanere più bloccati nella loro posizione, Kuyt e Toornstra avevano una grande libertà di movimento, che li portava anche a scambiarsi di posizione con le ali. Da una parte Toornstra, ottimi piedi e grande senso dei movimenti senza palla, ha messo insieme 14 gol e 9 assist stagionali, arrivando a un livello di gioco che in pochi si sarebbero immaginati; dall’altra le ali - Elia e Berghuis (spesso sostituito da Toornstra o Kuyt) erano costrette a un lavoro difensivo costante, ben rappresentato dai loro numeri difensivi. Entrambe viaggiano su una media di 2 tackle e 1 intercetto per 90 minuti.

 



 

L’intensità dell’ormai trentenne Eljero Elia in fase di non possesso.


 

Tra questi, il primo indiziato a lasciare il club è Tonny Trindade de Vilhena, vero e proprio motore del centrocampo del Feyenoord, già in passato accostato ad alcune squadre italiane. Dopo un lungo periodo di indecisione, il ventiduenne di Maasluis aveva scelto di rimanere a Rotterdam, vicino alla madre malata, rifiutando le offerte arrivate dall’estero. Una scelta di cuore, concisa con la suo migliore stagione da professionista e decisamente apprezzata dalla tifoseria di casa, che gli ha tributato una commovente coreografia poco dopo la scomparsa della

.

 

In avanti, a dare la profondità come riferimento avanzato, Nicolai Jorgensen: capocannoniere e senz’altro uno dei migliori giocatori della Eredivisie di quest’anno. L’attaccante danese, dopo una sfortunata parentesi in Bundesliga con la maglia del Bayer Leverkusen, è stato acquistato dal Copenaghen. All’inizio pareva destinato al dualismo con Kramer, ma in poco tempo ha tolto ogni incertezza sul suo valore. Non solo ha segnato 21 gol e fornito 11 assist, ma ha prodotto un volume offensivo - fatto di gioco a muro, sponde aeree e costante presenza in area - in grado di dare senso compiuto a tutto il lavoro della squadra.Il possente centravanti danese, però, ci ha messo poco a conquistare il ruolo di terminale offensivo del Feyenoord, chiudendo la stagione con l’eccezionale bottino di 25 goal e 17 assist tra Eredivisie, Europa League e Coppa d’Olanda.

 

 



 

Il grande exploit di Jorgensen, un ventiseienne fatto e formato su cui aleggiavano dubbi sul suo reale valore, rappresenta bene la vittoria di una squadra partita a fari spenti e che ha finito per vincere la Eredivisie senza troppo clamore. Il prossimo anno il Feyenoord sarà messo di fronte all’impegno europeo, oltre che alla necessità di sostituire un paio di pezzi pregiati in partenza (probabilmente Vilhena e Karsdorp). Van Bronckhorst è chiamato a una riconferma complicata, ma che potrà beneficiare senz’altro di nuova linfa. Sia quella proveniente dal Varkenoord, l’accademia, che quella dei giocatori che quest’anno hanno giocato meno (Van Beek, a lungo infortunato, Tapia, Vejinovic e Basacikoglu per citarne alcuni). Senza contare quelli che quest’anno erano in prestito a farsi le ossa: Schuurman al Willem II e Verdonk al PEC Zwolle.

 

Un progetto, insomma, attento e pragmatico, molto meno celebrato di quello dell’Ajax, che schierando la formazione più giovane della storia delle competizioni europee è riuscita a conquistare una finale che mancava da 21 anni. Se da una parte l’Ajax ha presentato un progetto tattico coraggioso, sostenuto da un gruppo di giovani diventato oggetto del desiderio delle squadre europee; dall’altra il Feyenoord ha costruito la propria vittoria soprattutto volando basso, plasmando con la realpolitik un gruppo di poche promesse, giocatori formati e veterani di sicuro affidamento.

 

Nel momento di enorme difficoltà attraversato dal movimento calcistico olandese, con la nazionale in uno dei picchi più bassi della sua storia e con le squadre che, generalmente, faticano enormemente a competere con avversari meno blasonati e, sulla carta, tecnicamente inferiori, la storia del Feyenoord campione e dell’Ajax rappresentano senz’altro un barlume di speranza. Due esempi, opposti ma complementari, di come si è da sempre fatto calcio in Olanda: affidandosi a giovani talenti da plasmare, senza rompere mai però il filo della tradizione che li lega alle generazioni passate.

 

Il ritorno in patria di Dirk Kurt è stato ben lontano dall’essere stato quello di un calciatore venuto a svernare in un campionato si seconda fascia. Il suo esempio può spianare la strada ad altri senatori oranje: se qualcuno tra i vari Sneijder, Van Persie, Huntelaar, Lens tornasse in Olanda, l’intero movimento, incluse le gemme messe in luce dalle squadre ogni anno, non potrà che beneficiarne, ritessendo il filo di ciò che ha reso l’Olanda una delle fucine di idee calcistiche.

 

 

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