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La leggenda di Massimo Testa
10 nov 2016
10 nov 2016
Abbiamo intervistato il presidente del Tor di Quinto, uno dei settori giovanili migliori d’Italia.
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Qualche settimana fa ho intervistato Massimo Testa, presidente del U.S.D. Tor di Quinto, per un articolo uscito su “la Repubblica” di lunedì 24 ottobre. L’intervista è andata per lunghe e molto è rimasto fuori da quanto pubblicato. La sua è una storia interessante e mi sembrava un peccato non venisse letta per come me l’ha raccontata lui. Questa è la versione integrale.

 

Alcune informazioni necessarie prima di leggere. Il Tor di Quinto è una delle squadre più importanti del panorama romano e laziale, la prima squadra che gioca in Promozione ma è conosciuta soprattutto per il suo settore giovanile. Nella sua storia ha vinto 5 titoli nazionali Juniores, oltre venti tra regionali e provinciali, e ogni anno cede giocatori alle società professionistiche: l’esempio più illustre è Marco Materazzi, un esempio più recente è Luca Antei.

 

Il Tor di Quinto è stato fondato nel 1946 da Vittorio Testa con l’aiuto di Palmiro Togliatti e del Partito Comunista. A Vittorio Testa è succeduto il figlio Massimo, e qualche tempo fa Massimo aveva abdicato al figlio Paolo. Alla scomparsa prematura di Paolo quattro anni fa, Massimo Testa ha ripreso le redini del Tor di Quinto. Ogni giorno siede alla sua scrivania ingombra di carte societarie, con un mazzo di napoletane e il telefono a portata di mano, tra le fotografie che lo ritraggono in compagnia di Arafat e Fidel Castro e una bandiera rossa appesa al muro.

 

A settantadue anni, Testa è una di quelle figure tipicamente romane al confine con la leggenda metropolitana, contraddittorio e elusivo, al di là del bene e del male nel senso che è impossibile farsene un’idea precisa mettendo insieme le cose che si dicono di lui. Né parlandoci in prima persona, se è per questo.

 

Diciamo che quest’intervista può piacere a chi ama i personaggi forti, oltre a chi, come me, è cresciuto sentendo storie con Massimo Testa come protagonista. Per comodità del lettore è divisa in quattro parti. Sentitevi liberi di leggerle in ordine sparso.

 

 



 

 



[reply]Io non sono uno speciale, io sono un uomo normale. È che la vita mi ha fatto trovare di fronte ad un sacco di cose particolari, ma mica le ho cercate. Non sono neanche ambizioso, non ho mai cercato niente…[/reply]

 



[reply]Quarantanove. Da quando è morto mio padre, dal 1994. Ma c’è stato anche mio figlio, che è morto a 42 anni. Mi aveva già sostituito, già era diventato la persona più importante del Tor di Quinto. Anche perché aveva capacità tecniche, come mio padre, cosa che io non avevo. Io non sono mai stato né un grande allenatore, né un grande giocatore.
[/reply]

 



[reply]Sì. Io ho giocato anche con la Roma, ma non ho mai avuto una carriera… perché avevo un caratteraccio. Poi il calcio è una cosa strana. Io non ho ci ho mai puntato, non avevo nemmeno questa grande passione.[/reply]

 



[reply]Alle riserve,

. Io penso che non mi hanno fatto giocare per motivi politici. Tutta la mia squadra ha giocato in Serie A, tranne me. Non penso perché ero più scarso, penso perché ero più rompipalle. E poi ero uno scomodo. In quell’epoca,

e Andreotti, ero un comunista militante, e penso che gli dava un po’ fastidio. Ma io sono stato bene uguale. Sono simpatizzante, tanto, voglio bene alla Roma.[/reply]

 



[reply]No, ho finito di giocare nel Banco Roma, quando siamo andati in C, e poi sono venuto al Tor di Quinto perché avevo promesso a mio padre che gli ultimi due anni l’avrei fatti qui. Ho giocato anche al Sora, poi a Castellammare…[/reply]

 



[reply]Una carriera da “scarparo". Menavo tanto, ma tecnicamente non mi sono mai dato un voto. Non mi piace parlare di me, per quanto riguarda il pallone. Non sono stato un buon esempio: litigavo, ero uno cattivo. Di esempi cattivi ce ne stanno tanti, se uno ne può fare a meno… Parlo malvolentieri di me come giocatore. Poi è uno sport che non mi piace.[/reply]

 



[reply]No, non mi piace. Mi piace il pugilato, il rugby, non il calcio.[/reply]

 



[reply]Aggrega bassa cultura, aggrega figure che io combatto socialmente. Perché i procuratori sono i sensali, quelli che sceglievano chi portavano a lavorare.[/reply]

 



[reply]Lui non avrebbe mai accettato niente, però è stato chiamato dalla Roma, dalla Lazio. Aveva delle capacità che ha solo gente che è portata. Lui poi aveva questo carattere così mite, che lo rendeva ancora più credibile. Mai aggressivo, non diceva parolacce, una persona per bene, insomma. Forse questo sport ha bisogno di persone per bene, ce ne stanno poche. Lui era una persona per bene e ha ottenuto grandi risultati.[/reply]

 



[reply]Sì, io ormai facevo pochissimo. Tant’è che il mio problema, oltre al fatto di aver perso un figlio, era aver perso il collaboratore più stretto. Tante persone ci hanno abbandonato perché pensavano che io non ce l’avrei fatta a creare un’altra idea di Tor di Quinto, come quella di Paolo. Ma io sono una persona caparbia, un guerriero, un lottatore, ho fatto uno sforzo grosso e ho riportato tutto quanto come prima.[/reply]

 



[reply]Io penso questa predisposizione a stare in mezzo alla gente.[/reply]

 



[reply]Sono delicato perché dico quello che voglio e bisogna scrivere quello che dico.[/reply]

 



[reply]Tre quarti delle persone che mi conoscono sono dei nemici. Il mio limite è stato quello di non aver mai chiesto niente, per cui non mi puoi abbinare a nessuno.[/reply]

 



[reply]…è che menavo gli arbitri.[/reply]

 



[reply]Sì, ma c’era un motivo. Che poi è stato chiarito con la Federazione.[/reply]

 



[reply]La vigilia della finale del campionato del 1990 c’era la festa degli arbitri a Via Appia. Durante la festa un responsabile degli arbitri, il designatore regionale, girava per i tavoli salutando tutti, e dice a un arbitro: “Arbitri tu domani il Tor di Quinto? Mi raccomando fagli un culo così a quei comunisti”. E fanno passare questa cosa come una battuta. In mezzo a quel tavolo c’era un compagno, un ragazzino comunista arbitro di Ostia. E a mezzanotte meno un quarto mi ha chiamato e me l’ha raccontato.[/reply]

 



[reply]No, aspetta, è successo un macello. Lì è cominciata la faccenda di menare agli arbitri tutte le domeniche. Io sono stato radiato, menavo tutti gli arbitri.[/reply]

 



[reply]Ma pure il sabato. Ho menato a arbitri, dirigenti, disegnatori… ho menato a tutti. Eh, ma io ero uno che menava tanto.[/reply]

 



[reply]Il giorno dopo io chiamo il presidente del comitato, che capisce la gravità e cambiano l’arbitro. Però il fatto rimane, lo stato d’animo. Il giorno che andiamo al campo, arriva il nuovo arbitro, ma noi non lo sapevamo che l’avevano cambiato, e io lo prendo di petto. Quello si mette paura e se ne va, perché io l’avevo aggredito. E hanno chiamato un altro arbitro a caso a Ostia per fare la finale.[/reply]

 



[reply]Arriva un arbitro contrario? Io quando usciva, botte, lo gonfiavo. Alla fine gli arbitri si rifiutarono di venire qui.[/reply]

 



[reply]Otto cani. L’arbitro l’ho chiuso dentro lo sgabuzzino. Il padre dell’arbitro aveva un ristorante in cui faceva mangiare tutti i dirigenti federali gratis per far fare carriera al figlio. I cani lo hanno circondato. Io gli ho dato l’Unità e gli ho detto: “Tieni, imparati l’Unità, fascistone”. Ho preso a calci i dirigenti, gli arbitri davanti alla gente. Alla fine non volevano più venire e dopo due anni di grandi botte mi dicono: “Guarda è un peccato, gli arbitri non vogliono più venire, siamo costretti a levarvi dai campionati. Dobbiamo fare un patto di non belligeranza”.[/reply]

 



[reply]Sono cambiato io. Poi gli arbitri piano piano… Adesso si allenano qui vicino, perciò, è nato un rapporto buono.[/reply]

 



[reply]No, gli allenatori miei sono tutti buoni, manco le parolacce dicono.[/reply]

 



[reply]Il passato mio era un atto dovuto, di difesa. Il Tor di Quinto non era una società che aveva altre difese. Noi oggi vinciamo le coppe disciplina, a tutti i livelli. Questo è un ambiente serenissimo. Qui devi vincere se sei forte, se non sei forte non è colpa di nessuno. Noi quella fase l’abbiamo superata.[/reply]

 







 

 



[reply]No, io facevo parte della sicurezza. Con Berlinguer. Non ero organico, ero quello che lo guardava.[/reply]

 



[reply]Organico vuol dire che ti individuano. Io ero uno di quelli nascosti.[/reply]

 



[reply]La squadra è nata col Partito, con Togliatti e mio padre Vittorio, subito dopo la guerra. Una delle poche cose che funziona a sinistra, il Tor di Quinto. È rimasta la matrice di sinistra, non è sparita mai. Adesso sono filo PD per cui…[/reply]

 



[reply]Il Tor di Quinto ha avuto il campo Lipartiti, poi il campo Berti, poi mio padre ha venduto tutto, quando io ho smesso di giocare, per non farmi impicciare nel calcio, perché secondo lui non ero idoneo. E io quattro anni dopo, nel 1984, l’ho rifatto qui.[/reply]

 



[reply]Ha venduto tutto il complesso. Abbiamo continuato solo con la prima squadra andando in giocare in un impianto in affitto. Quindi abbiamo passato quattro anni senza campo. Poi nell’84 ho fatto questo.[/reply]

 



[reply]Era del demanio. L’ho occupato. Sono venuto qua, ho messo un po’ di bandiere rosse e ho fatto il campo. Sessanta bandiere, con falce e martello. Non mi hanno detto niente e ventisei anni dopo mi hanno regolarizzato.[/reply]

 



[reply]Io ho occupato tutto, se ne avevo di più ne occupavo di più. C’era una rete, se no occupavo tutto. E in fondo c’era un fosso e allora lì mi sono fermato. Erano cinque ettari, quattro ettari e sei.[/reply]

 



[reply]E poi abbiamo cominciato subito. L’abbiamo spianato, abbiamo fatto il campo, tutti zitti sono stati. C’era tolleranza perché era intervenuto anche il segretario, Berlinguer.[/reply]

 



[reply]No, io non ho mai preso soldi pubblici. E nemmeno il partito mi ha mai dato soldi. Solo una volta Occhetto mandò due uffizi a pagare una rata dell’affitto abusivo del terreno.[/reply]

 



[reply]Ci hanno segnato come “occupanti abusivi”, però ci hanno registrato. E una volta ci hanno chiesto otto milioni di lire, nel 1995. Erano gli arretrati che dovevamo dargli per pagare il canone. E Occhetto mandò due uffizi e pagò. Gli unici soldi che qualcuno ha cacciato fuori, che il Tor di Quinto non ha prodotto.[/reply]

 



[reply]Sempre come abusivi, fino al 2006. Nel 2006 la sinistra ha vinto le elezioni regionali e ci hanno regolarizzato. Mi hanno chiamato dicendomi: “Mettiamo a posto questa situazione”. Mi hanno fatto il canone e sono andato avanti.[/reply]

 



[reply]Una tantum, con un vaglia. Eravamo abusivi buoni perché gli mandavamo i soldi ogni tanto.[/reply]

 



[reply]Io! Quello che avevo. Avevo poco. Siamo gente abbastanza povera.[/reply]

 



[reply]Il calcio è politica, tutto è politica. Il calcio è sociale, la Serie A è una cosa effimera. Noi stiamo in mezzo a un guado. Noi mandiamo avanti uno sport che a livello governativo, per vari motivi, non è mai pesato. È tutto spirito di volontariato. E noi dal ’45 siamo stati bravi. Siamo bravi da 70 anni.[/reply]

 



[reply]Il ragazzino deve identificarsi in qualche cosa, e io riesco ad essere credibile. Io sto a sei chilometri dal primo palazzo di Tor di Quinto, mica sto a Tre Teste o al Prenestino. È una scelta di vita questa, già in partenza: chi viene qui accetta una filosofia, chi va al campo sotto casa accetta una comodità. Noi siamo la società che ha vinto più in Italia, tra titoli regionali, Scudetti… siamo anche la società che ha mandato più giocatori in Serie A. Anche campioni del mondo, come Materazzi. Io ho giocatori all’estero,

,

.[/reply]

 



[reply]I ragazzi lo sanno che io sono comunista…[/reply]

 



[reply]No, qui non c’entrano perché questo è un museo.[/reply]

 



[reply]No, l’abbiamo tolta. Perché è caduto il comunismo e pensavamo fosse finita la fase storica.[/reply]

 



[reply]Nel ’92. Un ragazzo di dodici, quattordici anni che entra dentro e ti vede con Fidel Castro potrebbe crearsi dei problemi. Io li faccio venire… Fidel Castro me lo tengo per me.[/reply]

 



[reply]Col comportamento. Io mi ritengo una persona normalissima, quando vedo le partite non strillo. Però quando strillo o dico una cosa, io dò un ordine. Sono ancora credibile a 72 anni, cosa che nel calcio è riuscita a pochi. Nel calcio ho visto passare tutti, tutti i ricchi scemi di Roma. Si sono mangiati le fortune, le aziende, hanno messo sul lastrico le famiglie. Questo è un gioco bello se tu hai un fine bello. Ma se lo abbini a qualche altra paraculata… questo è un paese di paraculi, ce ne stanno tanti. Altrimenti non si spiega come tante persone rispettabili si siano rovinate con questo gioco. Quando si può fare benissimo tranquillamente.[/reply]

 



 



 

 



[reply]Io sono comunista proprio, non per scherzo. Fin da piccolo, quando avevo cinque anni. Alla prima presentazione a scuola la maestra mi ha chiesto come mi chiamavo e io ho risposto: “Massimo Testa comunista”. La maestra ha chiamato mio padre e mia madre. Mia nonna ha chiesto: ma che dice? E che dice, sente parlare solo di quello e si penserà che è il nome suo.[/reply]

 



[reply]No. Mia nonna, mia madre e mia zia. Sono morti tutti, poi. Mio nonno è morto a Mauthausen, mia zia è morta a Via Guido Reni perché faceva la diffusione dell’unità clandestina a ventotto anni. La nostra è una famiglia che ha pagato. Abbiamo dato.[/reply]

 



[reply]Mio padre era calciatore. Poi, quando hanno sospeso i campionati è entrato in aeronautica, con l’aria si è salvato. Però non era un grande combattente che aveva il piacere di rischiare. Era un giocatore.[/reply]

 



[reply]Sì ma mio padre non è che si è messo a portare i fucili, le bombe. Si è messo a giocare con l’aria. Io mi ricordo Lazio-Bologna che aveva anche la mano tesa e salutava il Duce dalla tribuna. Perché mio padre ha giocato pure in prima squadra. Io il saluto fascista non l’avrei fatto manco se mi tagliavano un braccio.[/reply]

 



[reply]Perché io avevo mia nonna che era molto influente. Mia nonna era una grande resistente. Si chiamava Lucia, lei ha fatto proprio la Resistenza. Mio nonno è morto a Mauthausen, deportato politico, triangolo rosso. Abbiamo dato parecchio però era una scelta di vita, non ce l’abbiamo con nessuno.[/reply]

 



[reply]Il Partito è una passione mia. Io sono un acritico. Un po’ perché sono abituato a vedere un insieme di uomini e di donne. Io questo momento lo vivo male, pur capendo le esigenze politiche di tutti. Io voto sì perché è la linea del partito. E ti dirò: io ancora non l’ho letta la riforma costituzionale. Non l’ho letta apposta perché io intendo che un partito che viene da quella storia doveva avere qualcuno con un po’ più di tolleranza.[/reply]

 



[reply]Ma nel calcio sono io che devo dare una linea. Nel partito che la dò io la linea? La linea la devono dare quelli che oggi stanno litigando. Pensa che sofferenza uno a settantadue anni, che ha visto i comitati centrali con Togliatti, con Berlinguer, con Natta, subire una cosa del genere. Io ho visto ragazzino Walter, ho visto ragazzino Massimo D’Alema. Io me lo ricordo che correva a Botteghe Oscure che aveva vinto un concorso dell’ACI, che era un ragazzetto. E uno gli vuole bene, li vorrei più perfetti di come sono.[/reply]

 



[reply]Sono quelle fortune che ti capitano. Di andare con Arafat, ho anche portato

al funerale di Togliatti.[/reply]

 



[reply]Giocavo a pallone e avevo qualche soldo. I comunisti non avevano davvero i soldi e la macchina più bella del partito era la mia. Avevo

, arriva Gorbachov, e loro avevano tutti

. Era il 1964, avevo preso la patente da un anno. Dovevamo portare Brezhnev al funerale e allora i compagni mi hanno detto: “Portalo te”.[/reply]

 



[reply]Tutta la permanenza a Roma di Fidel Castro è stata organizzata da me. Dalle macchine all’albergo. Era il 1996. Vado io da Renucci a prenderlo in albergo, vado io da Mondo Auto a prendere quattro Maserati per fare il corteo.[/reply]

 



[reply]Perché ero più affidabile degli altri. Questo secondo la visione dei cubani. Per i cubani ero più affidabile di qualcun altro che non gli piaceva tanto.[/reply]

 



[reply]Di pallone. Aveva pure l’album Panini. Hai visto tutte le interviste con la tuta Tor di Quinto?[/reply]

 



[reply]Dodici.[/reply]

 



[reply]Sì. Ho visto pure

,

. Quando io vedo Ernesto Guevara, vedo una persona normalissima. Gli piaceva il pallone, mezzala destra. Il Che viene enfatizzato dal ’68 in poi. La prima sera che l’ho visto stava in un locale in Piazza della Rivoluzione, dove si ritrovavano tutti i cantanti cubani più famosi. Io stavo lì e ad un certo punto è arrivata la Jeep con Guevara e

. Ci ho giocato a calcio

. Il rapporto con Cuba è un rapporto complesso. L’addetto politico dell’ambasciata mi invita a casa sua. Le ambasciatrici vengono qui come si portano le referenze al governo, eh. C’è un rapporto buono. Cuba è nel cuore, è una cosa che esula. Cuba è una bella storia, di rivoluzione, di persone. L’unica cosa per cui devo ringraziare è che ho avuto tanto di più di quello che ho dato. Essere stato un uomo di sinistra, in Italia, mi ha dato opportunità, e le ha date pure al Tor di Quinto. Io mi ritengo gratificato in una maniera incredibile. E questo mi ha aiutato a superare delle fasi difficili della mia vita. A me è morto un figlio che aveva 42 anni, una moglie che ne aveva 49…[/reply]

 



[reply]Sono felice di stare in mezzo alla gente.[/reply]

 



[reply]Io non avrei mai immaginato di diventare un bravo dirigente di calcio. Io pensavo di diventare bravo come Fidel Castro, a fare il rivoluzionario. Ma l’opportunità di fare la rivoluzione come Fidel Castro al Tor di Quinto non me l’hanno data. Perché non l’abbiamo fatta la Repubblica libera di Tor di Quinto. Sono rimasto alla sezione, alla battaglia del quartiere per il giardinetto, queste cose qui. Però rivoluzionari ci si nasce, e io ci sono nato. Mi ritengo fortunatissimo ad aver avuto queste occasioni di stare a contatto con questa gente, di un’altra categoria. Uno se ne rende conto solo quando gli sta vicino. Una volta stavamo andando in Bulgaria, cioè in Russia,

e l’aereo ha preso un vuoto d’aria. Andava giù e lui stava tutto tranquillo. Alla fine, quando si è ripreso, mi sono un po’ allineato a lui e ho fatto finta di non avere paura. Lui ha fatto una battuta incredibile: “Mica è un autobus che alla fermata scendi”. Lo spirito di questa gente che si è fatta 17-18 anni di carcere per delle idee, come Pajetta… ti rendi conto di aver avuto a che fare con gente speciale. Io sto pure in una foto bella con Sartre alla Sorbona. Lì purtroppo ho imparato a fumare. Non avevo mai fumato fino al ’68. Se non fumavi dove c’erano le riunioni di Sartre, morivi di cancro uguale perché era un batuffolo di fumo. Poi c’erano le ragazze francesi, io mi sentivo pure carino, ero pure un po’ stronzo. Allora fumavamo, facevo finta.[/reply]

 



[reply]Di politica, di politica illuminata. Di tutto ciò che è successo 30 anni dopo. Ma scusa giovanotto, questo è il partito che ha caratterizzato un secolo. Io sono cresciuto e la cosa più bella che m’è potuta capitare è che ho incontrato il Partito Comunista. Per me è così. Poi quando muoio, facciamo i conti: chi è stato meglio e chi ha fatto meglio.[/reply]

 



 





 



[reply]Se tu in ogni azione metti gente competente, i risultati alla fine sono buoni. Poi c’è la passione. Io non tanta, però c’era chi ne aveva.[/reply]

 



[reply]No, solo io ce l’avevo. A mio padre non piacevano, lui faceva la prima squadra.[/reply]

 



[reply]Sì, mio padre non voleva e ha iniziato a mollare, si è interessato di meno.[/reply]

 



[reply]Mio padre era una persona mite, meno aggressiva di me, non gli andava di affrontare quattrocento persone al giorno come i cubani a Guantanamo, con i fucili puntati.[/reply]

 



[reply]Tutta gente montata, che vive chissà quale sogno irrealizzabile. Che poi basterebbe venire qui e domandare, uno ti dice: “Guarda, fallo stare sereno perché giocatore non ci diventa”. Ma non ci viene nessuno a domandarmelo. E coltivano questo sogno da scemi, quando invece potrebbero divertirsi e basta. Qui è diventato campione d’Italia uno che portava l’aereo della Finanza.[/reply]

 



[reply]Un ragazzo che è diventato generale, e che guidava gli aerei d’intercettazione della Finanza. Io penso si sia divertito a giocare, sia stato bene. Un ragazzo realizzato… era giocatore ed è diventato generale. Il Tor di Quinto è una scuola di vita. Sono ragazzi importantissimi per la Nazione. Abbiamo anche magistrati. Erano forti a giocare, ma hanno scelto di studiare. È una cosa molto più complessa, che guarda più ai rapporti sociali che non ai rapporti calcistici.[/reply]

 



[reply]Certo, abbiamo fatto giocatori di Serie A: Sini, Frascatore, Antei, Materazzi. Una cosa è certa, e la dico oggi che non devo fare nessuna carriera: io sono forte. Io ancora oggi vado in giro per i campi e sento scemi in tribuna che dicono del Tor di Quinto: “Questi stanno ancora col libero staccato”. Ma il libero staccato è quello che di meglio possiamo fare noi per far crescere i ragazzini. Per giocare a calcio devi marcare a uomo. Ci siamo battuti 50 anni per mantenere questa cosa, a sentirci deficienti perché non facevamo melina. Ma puoi fare melina con la gente con i bozzi sui piedi? Oggi hanno tutti la “cantera", sono tutte “academy"… Accademie tenute da certi allenatori che se ti faccio i nomi c’è da vergognarsi. Il Tor di Quinto non è niente: il Tor di Quinto è un’unione sportiva di persone che cercano di capirci qualcosa, se ci riescono. Tieni conto che noi non abbiamo nessun rimborso, né i giocatori di prima squadra, né gli allenatori.[/reply]

 



[reply]Nemmeno 100 lire. L’ultimo intervento sulla promozione sono state le salsicce e le bistecche che hanno portato loro l’altra sera. Dopo i 22 anni, se vuoi giocare, devi fare l’amatore.[/reply]

 



[reply]Io non mi prendo nessun vanto. Io porto avanti il mio modo di vivere e di pensare, paragoni non ne faccio. A chi dà soldi ai giocatori io dico: “Sono contento, bravo”. La nostra continuità sta in questo: non si possono distrarre somme da altre attività lavorative, senza intaccare la solidità dell’azienda. Non si può fare, il calcio è una piovra. Poi quando hai due lire, nel calcio, si sparge la voce e diventi come il miele per le api. Arrivano quelli che non hanno un cazzo da fare e girano per rimediare due, tre cento euro. Diventando tutti consulenti, procuratori, portano giocatori. Poi se paghi una cena sei finito, è meglio che apri un ristorante e li fai mangiare col ticket: ti conviene.[/reply]

 



[reply]Sì, io non lavoro con nessuno, non faccio distinzioni. Poi non facciamo prove, non partecipiamo a niente, siamo un po’ gelosi. I giocatori nostri di seconda o terza fascia se ne vanno, magari vanno per dispetto a una concorrente. Ma io, se sei giocatore, ti vendo. Se non ti ho venduto è perché non sei giocatore. Guarda che pacco di richieste di giocatori dalla Serie A che ho. E queste sono solo quelle di questi primi mesi.[/reply]

 



[reply]Non è piccola, è grande rispetto al totale. Di solito la proporzione qual è? Uno a mille? Qui è uno a trenta. Il Tor di Quinto è una società grossa, importante, che ha conoscenze. C’è gente che ci crede.[/reply]

 



[reply]Io penso che se una società si basa sui preparatori, l’appartenenza, l’impianto sportivo a disposizione…[/reply]

 



[reply]Nell’87 abbiamo venduto un sacco di gente all’Atalanta.[/reply]

 



[reply]Subito. Ma io sono il più forte di tutti.[/reply]

 



[reply]No, è la gente che ha scelto noi. E chi ci ha scelto sapeva che metteva i figli in buone mani.[/reply]

 



[reply]Per una tradizione come quella di mio padre. La gente si affida a me, o a mio figlio… perché siamo bravi. Artigiani: c’è quello che sta fermo e quello che si sa muovere. Noi siamo stati artigiani bravi. Io credo che il fascino discreto fa muovere cose… Credo anche che c’è gente, però, che non viene perché ha paura a venire.[/reply]

 



[reply]Hanno paura. Qui affronti una realtà dura. Uno che ti dice: “Ma chi mi hai portato? Porta via ‘sto capoccione”. Una volta una signora mi porta un cicciottello, e io le ho detto: “Signora, ma questo come fa a giocare a pallone?”. E lo sai che m’ha risposto? “Ma come, a noi ci corrono appresso tutti per farci iscrivere a scuola calcio e voi ci cacciate?”. E io gli ho detto: “A noi i soldi non ci servono, noi siamo poveri, a noi servono i giocatori”. Noi vorremmo diventare autosufficienti lavorando e vendendo il prodotto. Ci siamo riusciti, ci ha detto bene. Siamo stati fortunati. C’è la componente umana che è importante… non lo so, io non sono una persona comoda.[/reply]

 

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