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Foto di Frederick Breedon / Getty
NBA Dario Ronzulli 28 aprile 2017 4'

La legge del più forte

Dopo aver sofferto, alla fine i San Antonio Spurs si sono imposti in gara-6 su Memphis.

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È stata una battaglia, più di quanto fosse possibile preventivare a inizio serie. Alla fine ha avuto la meglio San Antonio, ma è doveroso un applauso per una Memphis capace di annullare le differenze – in alcuni casi enormi – di talento, portando la serie su terreni a lei più congeniali: lotta furibonda su ogni pallone, fisicità sotto canestro, appoggio quasi perpetuo su Zach Randolph e Marc Gasol. Per i San Antonio Spurs, accettare queste modalità e regolarsi di conseguenza è stata una necessità – e già questa è una vittoria per i Grizzlies.

 

Nel recap delle prime partite playoff ci chiedevamo se il supporting cast di Kawhi Leonard fosse all’altezza dell’enorme talento del robot progettato in California. Dopo gara-6 la risposta non è ancora pienamente esaustiva, ma per Popovich i segnali arrivati sono molto incoraggianti. Specialmente quelli arrivati dal suo playmaker titolare, tenuto a zero punti non più tardi di gara-3 ma in grado di trovare, in un modo o nell’altro, un modo per essere efficace.

 

Partita vintage per TP9

 

Tony Parker ha chiuso a quota 27 punti con 11 su 14 al tiro, mai così preciso in una partita playoff nella sua carriera – non una cosa da poco, per uno che è già nella top-10 dei realizzatori ogni epoca ai playoff. Sin da subito molto aggressivo nell’attaccare il ferro, il francese è entrato presto in ritmo togliendo pressione a Leonard e costringendo i Grizzlies a fare delle scelte più articolate rispetto alle altre gare della serie giocate in Tennessee: per Memphis cambiare, raddoppiare e in generale dare più attenzione sui pick and roll tra Parker e LaMarcus Aldridge o tra Parker e David Lee è diventata, soprattutto nella prima metà del quarto iniziale, una questione di sopravvivenza prima ancora che una scelta difensiva. Quando poi si è trattato di segnare i canestri decisivi nel finale il numero 9 si è fatto trovare pronto e con grande fiducia in sé.

 

 

Leonard penetra e ne ha, ovviamente, quattro attorno. C’è Aldridge libero in angolo, ma Parker è in serata “troppo giusta” (cit.) per non servirlo: Mike Conley cerca disperatamente di recuperare ma è tardi. Nell’azione successiva ancora Leonard in penetrazione, ancora la difesa che collassa su di lui ma questa volta Conley è più reattivo nel recupero; Parker allora attacca in palleggio, si arresta per evitare l’aiuto di Gasol e crea separazione con l’avversario.

 

Oltre alla partita di Parker, quello che ha sparigliato le carte è stato il dominio Spurs a rimbalzo: 46 palloni catturati – di cui 16 in attacco che hanno prodotto 17 punti da seconde occasioni – a 28, un’enormità di possessi in più che in una gara con punteggio sostanzialmente sempre in equilibrio hanno pesato sulla bilancia.

 

Ah vabbè: poi c’è stato anche LUI.

 

#Kawhighlights.

 

L’intera serie di Kawhi Leonard è stata semplicemente incredibile. Limitiamoci ai freddi numeri che poi tanto freddi non sono: 31.2 punti, 61.5% reale dal campo, 6 rimbalzi, 3.8 assist, 2 recuperi, 122.4 di Offensive Rating, +16.3 di Net Rating con lui in campo e -13.3 senza (il secondo peggiore, Mills, è a +2.7, per renderci conto della distanza). Non si è risparmiato mai, dando sempre il massimo in attacco e in difesa: d’altronde lo ha fatto in regular season, figuriamoci se si volesse tirare indietro ora. Se non è il miglior giocatore della lega, come lo ha definito Popovich, quantomeno gli assomiglia parecchio. Al secondo turno San Antonio sfiderà Houston e Leonard sfiderà James Harden: sarà interessante capire quanto D’Antoni vorrà portare il suo miglior giocatore sulla Kawhisland e quanto gli altri Spurs sapranno sfruttare gli spazi che i Rockets concedono molto più facilmente dei Grizzlies.

 

Memphis archivia la stagione con un bilancio tutto sommato positivo. L’arrivo di coach Fizdale ha portato delle varianti al Grit&Grind – soprattutto a livello di comunicazione – che i suoi predecessori, Lionel Hollins e Dave Joerger, avevano eletto a filosofia di vita ancor prima che come sistema di gioco. La differenza più sostanziale ha riguardato Mike Conley, molto più coinvolto in attacco in prima persona e nei primi secondi dell’azione. Gli effetti si sono visti nella serie contro gli Spurs nella quale il prodotto di Ohio State ha giocato con enorme fiducia, chiudendo 5 volte su 6 oltre quota 24 punti e mantenendo il suo Offensive Rating a 108.6 nonostante l’aver affrontato la miglior difesa NBA. Non bisogna poi dimenticare che a Fizdale sono mancati due elementi del quintetto base come Tony Allen e Chandler Parsons, che probabilmente non avrebbero modificato il destino della serie ma certamente avrebbero dato opzioni in più nelle due metà campo e avrebbero permesso di chiedere meno alla panchina, comunque eccellente nel suo lavoro di sacrificio e di dedizione alla causa.

 

 

Poi c’è Vinsanity, che di andare in pensione e guardare i cantieri non vuole saperne

 

Quello che non è cambiato con l’arrivo dell’ex assistente dei Miami Heat è lo spirito dei Grizzlies: quello che già due anni fa definivamo come “Non saranno loro a perdere una partita, ma piuttosto gli altri a doverla vincere: sudando, battagliando e combattendo su ogni possesso” è rimasto un concetto vivissimo e resterà tale finché nel roster ci saranno due giocatori condizionanti come Gasol e soprattutto Zibo Randolph. Non basterà affatto per vincere un titolo e neanche per arrivare a giocarselo, ma a complicare la vita dell’avversario di turno sì. Ed è già più di quello che moltissime altre squadre NBA possono sperare di fare una volta arrivate ai playoff.

 

 

Tags : memphis grizzliessan antonio spurs

Dario Ronzulli è nato a Foggia nel 1982 e da bambino sognava di fare il giornalista sportivo. Ora che è cresciuto lo fa davvero: anni di preziosissima gavetta in radio locali, poi cinque anni a Radio Sportiva e due a Radio Montecarlo Sport. Ora collabora con la redazione basket di Tuttosport e bazzica l'etere bolognese.

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