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La forza invisibile di Dembélé
06 mar 2018
06 mar 2018
Il centrocampista belga ha un gioco poco appariscente ma è uno dei giocatori più influenti nel Tottenham di Pochettino.
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Foto di Lars Baron / Getty Images
(foto) Foto di Lars Baron / Getty Images
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Era quasi un anno che Mousa Dembélé non giocava almeno sette partite consecutive da titolare in Premier League. In quest’ultima striscia di partite, ha affrontato anche il Manchester United (vittoria per 2-0), il Liverpool (2-2) e l’Arsenal (altra vittoria, 1-0) ed è stato tra i migliori in campo, se non il migliore, in ogni partita. Nel mezzo ha esordito in una sfida a eliminazione diretta in Champions League, l’ottavo di finale contro la Juventus. Ancora una volta ha dominato la scena con un lavoro oscuro ma sostanziale, senza intervenire in maniera diretta nella rimonta del Tottenham, confezionata dai gol di Kane ed Eriksen. Dembélé non ha ancora segnato né completato un assist, ma chiunque lo abbia visto giocare di recente non ha comunque potuto fare a meno di notare quanto sia importante per il gioco degli “Spurs”, non meno dei più celebrati e appariscenti Kane, Eriksen e Alli. Venire dalla strada Dembélé è cresciuto in Belgio giocando partite in strada che non prevedevano porte, e i gol si segnavano colpendo un palo della luce con il pallone. È in strada che ha forgiato la sua tecnica e il suo stile tutto incentrato sul mantenimento del possesso. Da professionista ha iniziato a giocare a centrocampo solo a 24 anni e, nonostante abbia speso poco meno della metà della sua carriera da attaccante, segna poco, non tira quasi mai in porta e non crea nemmeno molte occasioni da gol. Dembélé ha imparato a fare la differenza specializzandosi in poche cose, ma per certi versi è un giocatore universale, straordinario con la palla tra i piedi, ma anche quando deve recuperarla. A leggere le sue statistiche negli anni al Tottenham si penserebbe che sia un centrocampista difensivo, ma è soprattutto il suo contributo in fase di possesso a renderlo indispensabile. È alto e potente (1,85 m per 87,5 kg, secondo il sito del Tottenham), ma riesce comunque a muoversi con una leggerezza e un’agilità che sembrano innaturali per un corpo di quel tipo. Per Eric Dier, che spesso lo affianca nel centrocampo del Tottenham: «È un freak. Fisicamente è mostruoso, ma allo stesso tempo ha piedi da ballerina». Dembélé ha subito tantissimi infortuni in carriera, e non è un caso che si siano concentrati sulle caviglie e le anche. È il prezzo che il belga ha pagato a un compromesso all’apparenza impossibile: far danzare con rotazioni, finte e cambi di direzione un corpo così pesante. Dal suo arrivo al Tottenham nell’estate del 2012, Dembélé ha iniziato da titolare poco più della metà delle partite e, delle 228 presenze collezionate finora, ha giocato per tutti i 90 minuti solo in 78 occasioni. A maggio di un anno fa si è operato al piede e ha ammesso che non tornerà più al massimo della condizione fisica: «Credo che nessuno giochi davvero al 100%. Per tutta la carriera ho giocato con problemi fisici, ma quello al piede era troppo e ho dovuto fare qualcosa». Questo spiega la cura con cui Pochettino ne gestisce le forze e, in parte, anche una carriera rimasta probabilmente al di sotto delle sue possibilità. Les Ferdinand, ex attaccante e assistente al Tottenham prima che arrivasse Pochettino, ha detto: «Ha avuto qualche infortunio e non ha toccato le vette che pensavo avrebbe toccato. Pensavo davvero che sarebbe stato il prossimo giocatore a lasciare gli “Spurs” per il Real Madrid». Quella di Les Ferdinand non è una voce fuori dal coro. Per Graeme Souness, se si chiedesse ai giocatori del Tottenham chi è il più forte della squadra, la maggior parte risponderebbe Dembélé, che poi non è che un modo cervellotico e intricato per dire che è esattamente quello che pensa lui. Nonostante da fuori non sia naturale associarlo alle stelle più luminose degli “Spurs”, Eriksen, Kane e Alli, in realtà il belga gode di un’immensa considerazione non solo tra i tifosi del Tottenham, per i quali è un giocatore di culto, ma anche tra compagni, avversari e allenatori incrociati nel corso della carriera. ESPN ha raccolto una serie di dichiarazioni di cui mi limito a riportare quella di Jan Vertonghen, suo compagno al Tottenham e in Nazionale: «Non credo che la gente sappia quanto è forte Mousa. Anche parlando con ogni singolo giocatore della squadra non credo si riesca a descrivere con le parole quanto sia davvero forte. Puoi capirlo solo se ci giochi insieme o contro, lo vedi allenarsi per un paio di settimane e allora capisci. È un giocatore speciale e non credo ci sia nessun altro anche solo un po’ simile a lui. Per me, è tra i due o tre centrocampisti più forti del campionato».

Dembélé che passeggia tra i centrocampisti della Premier League.

Forse nulla rende l’idea del rispetto di cui gode Dembélé più dell’ammirazione del suo stesso allenatore. Pochettino, per lui, ha speso parole talmente dolci da risultare quasi sorprendenti: «È tra i giocatori geniali che ho avuto la fortuna di incontrare. Uno era Maradona, poi Ronaldinho, Okocha e de la Peña. Gli dico sempre che se lo avessimo preso a 18 o 19 anni sarebbe diventato uno dei migliori giocatori al mondo. Mi sarebbe piaciuto allenarlo a 18 anni». Dopo un pareggio per 1-1 col Liverpool ad agosto del 2016, in cui il belga era squalificato, Pochettino è arrivato a dichiarare che la sua squadra «non esiste senza Dembélé». Ovviamente si trattava una battuta, ma si collega a un’altra dichiarazione, più seria, di Martin Jol dopo la sua cessione al Tottenham. Jol, che aveva allenato Dembélé al Fulham e per primo aveva avuto l’intuizione di abbassarlo a centrocampo, spiegò di aver perso il miglior giocatore palla al piede che avesse mai visto e che avrebbe dovuto cercare una nuova identità per la sua squadra. L’influenza di Dembélé nel gioco del Fulham era così pervasiva che era addirittura difficile pensare a come sostituirlo senza dover cambiare sistema. Per Pochettino, vale la stessa cosa con il Tottenham. L’influenza di Dembélé sul Tottenham Non si fatica a vedere il talento di Dembélé, ma comprendere il motivo per cui è così rispettato e riesce ad avere un impatto così profondo nelle squadre in cui gioca è invece qualcosa di più sottile e inafferrabile. Le sue partite si possono ridurre a poche cose fatte in una fascia ristretta del campo, nella terra di mezzo in cui si prepara la manovra avanzata e si impediscono sul nascere le ripartenze avversarie, anche se da spettatori tendiamo a concentrarci su altre zone di campo. Sulle due trequarti, ad esempio, dove si materializzano i gol o i recuperi difensivi più spettacolari. Dembélé tira poco, non segna quasi mai e non è nemmeno troppo creativo, soprattutto in rapporto alla base tecnica e alla visione di gioco di cui dispone. Ma nella fascia di campo in cui si svolge la sua partita è un vero dominatore. Adesso, però, la sua qualità è visibile a tutti, forse perché è solo adesso che ha avuto la visibilità che meritava. Dopo aver brillato contro Manchester United, Liverpool e Arsenal, ha attirato un’ammirazione vasta e unanime per la sua prestazione contro la Juventus. Eppure, a 30 anni, quella era la sua prima partita in una sfida a eliminazione diretta di Champions. A Torino Dembélé ha toccato più palloni di tutti (117), quasi tutti nella fascia tra la linea di centrocampo e la trequarti della Juve, ha completato 94 passaggi, 27 dei quali verso l’ultimo terzo di campo, 6 dribbling e 4 contrasti: in tutte queste statistiche è stato il migliore in campo.

Questi numeri non bastano comunque a restituire in pieno la dimensione della sua partita. Si potrebbe pensare che la precisione dei suoi passaggi (95%) sia dovuta più che altro a scelte conservative e anche il dato sulle occasioni create (solo 2, di cui una rappresentata da un tiro da 30 metri di Eriksen dopo uno scambio veloce successivo a un calcio di punizione) potrebbe portarci a considerarlo un giocatore che si prende pochi rischi. Per cogliere l’essenza del suo gioco e capire perché sia così importante bisogna piuttosto guardare al ruolo avuto nell’imporre anche alla Juve il contesto preferito dal Tottenham, quello in cui schiaccia l’avversario nella sua metà campo palleggiando e recuperando presto la palla. Anche a causa della strategia difensiva della Juve, che lasciava consolidare la prima costruzione e puntava piuttosto a ostruire la risalita palleggiata del campo, Dembélé si è occupato del compito probabilmente più delicato: trasmettere la palla sulla trequarti. La pulizia di quella trasmissione è stata fondamentale per schiacciare la Juve all’indietro e controllare la partita palleggiando nella metà campo bianconera. Buona parte della qualità tecnica di Dembélé è rappresentata proprio dalla pulizia con cui fa arrivare il pallone sulla trequarti. Oltre a essere un passatore eccezionale, è in grado di danzare tra gli avversari superandoli senza sforzo apparente. In Premier ci riesce in circa 8 occasioni su 10 (la precisione dei suoi dribbling è dell’84%): un dato straordinario, considerato che i suoi dribbling si concentrano al centro del campo, la zona più affollata. L’eccezionalità del suo modo di giocare sta tutta nel modo con cui apre e manipola lo schieramento avversario, passando o dribblando a seconda della situazione. Uno stile che descrive così: «Mi piace tenere la palla finché posso, dribblare, ma anche passare. Dipende dalla partita e da come giochiamo, adatto il mio stile come penso facciano tutti. A volte c’è più spazio ed è meglio dribblare, altre volte non c’è spazio e devi giocare semplice e utilizzare una tattica diversa per tagliare le linee. Credo di essere un giocatore intuitivo, reagisco in base al momento». Quando è sostenuto dalla brillantezza fisica, Dembélé è un quesito irrisolvibile, perché è letteralmente impossibile togliergli la palla o forzarlo a sbagliare un passaggio. Sembra scontato che la qualificazione della Juve ai quarti passi da una partita diversa rispetto a quella d’andata, più aggressiva e con maggiore qualità in fase di possesso. E questo significa soprattutto trovare un modo per arginare Dembélé. Il dominio tecnico e fisico Nella sfida d’andata Allegri aveva previsto un’uscita dedicata su Dier, con Douglas Costa che si alzava dalla sua posizione sul centro-sinistra di fianco a Pjanic, e aveva preferito lasciare libero Dembélé. Probabilmente aveva individuato in Dier il centrocampista più portato all’errore sotto pressione e aveva scelto di limitare Dembélé coprendo le linee di passaggio verso la trequarti con Pjanic e Khedira. In questo modo, però, aveva contribuito a creare le condizioni ideali per giocare la partita voluta dal belga, che utilizzando il margine di manovra concesso e il suo talento nell’aprire lo schieramento avversario, aveva spostato la partita nella metà campo della Juve.

Douglas Costa si orienta su Dier, Dembélé riceve senza pressioni perché Pjanic e Khedira si preoccupano di coprire Alli ed Eriksen alle loro spalle. Il belga avanza, salta Douglas Costa e Pjanic e da solo fa arrivare il Tottenham nella trequarti della Juve.

L’accoppiamento con Khedira si era rivelato particolarmente infelice, non solo per la propensione del tedesco a farsi attrarre fuori posizione, ma anche per la difficoltà fisica ad affrontare le finte e i cambi di direzione di Dembélé. Allegri era corso ai ripari nel secondo tempo, spostando sia Douglas Costa che Pjanic sul lato del belga, che aveva però trovato il modo di sfidare di nuovo Khedira e lo aveva costretto a uscire dal campo dopo essersi infortunato nel tentativo di contrastare l’ennesimo dribbling. Pensando a una strategia che limiti Dembélé meglio di quanto fatto a Torino, non basterà quindi accoppiarlo con un giocatore diverso da Khedira. Anche perché, come ogni scelta, avrebbe dei lati negativi, primo tra tutti la rinuncia agli inserimenti del tedesco alle spalle del centrocampista del Tottenham, che potrebbero risultare decisivi se la Juve riuscisse a essere più brillante in fase offensiva. Al contrario di quanto successo nella gara d’andata, si potrebbe pensare a una marcatura a uomo. Una scelta che avrebbe più che altro il vantaggio indiretto di spingere i compagni di Dembélé a escluderlo dalla circolazione della palla, ma che alla lunga renderebbe più semplice per il belga manipolare lo schieramento bianconero. Per come protegge la palla, il controllo sotto pressione e la facilità con cui dribbla, Dembélé non è limitabile con una marcatura dedicata, e accettare di sporcare lo schieramento per seguirlo con un giocatore significherebbe aprire spazi che il Tottenham non avrebbe problemi a sfruttare. Tra l’altro la Juve ha già provato quanto sia rischioso seguire a uomo Dembélé. Al minuto 70 della partita di Torino, Bentancur è uscito in ritardo su Dembélé, non è riuscito a contrastarlo e l’ha seguito fin sulla fascia, dove si era allargato anche Pjanic, a sua volta impegnato da Dier. Portandosi dietro Bentancur, il belga aveva aperto la linea di passaggio da Dier verso Eriksen, smarcatosi nel vuoto lasciato in mezzo al campo dalla Juve. La successiva combinazione in verticale da Eriksen a Lamela e infine ad Alli aveva quindi portato alla punizione con cui il danese ha segnato il 2-2.

Dembélé ha appena scaricato la palla a Dier dopo aver portato fuori posizione Bentancur. Pjanic aveva lasciato in precedenza il centro del campo, che è così svuotato di giocatori della Juve. Da qui il Tottenham arriverà alla punizione decisiva per il 2-2.

Contro un giocatore così bravo ad aprire gli spazi, è fondamentale mantenere uno schieramento ordinato. Al tempo stesso non si può rinunciare a metterlo sotto pressione, più di quanto fatto all’andata. Due obiettivi opposti, uno che privilegia la stabilità delle posizioni e la copertura centrale, l’altro che prevede un atteggiamento dinamico e aggressivo, che dovranno essere sintetizzati in una strategia più efficace di quella vista a Torino. Da una parte sembra inevitabile preparare un’uscita dedicata su Dembélé, che punti i compagni a escluderlo dall’impostazione della manovra e, più che sfidarlo direttamente, impedisca al belga di giocare la palla in avanti quando ne è in possesso, dall’altra è necessario coprire il centro e tagliare le connessioni con i vari giocatori del Tottenham che si muovono tra le linee se la prima ostruzione viene saltata. Per risolvere questo enigma sembra preferibile un centrocampo a tre, proprio per conciliare il controllo individuale di un giocatore e una sufficiente copertura della zona centrale del campo fornita dagli altri due.

Uno dei rari passaggi sbagliati. Dembélé ha appena saltato Khedira, che uscirà poco dopo per un leggero infortunio dovuto a quel dribbling, ma il ripiegamento di Douglas Costa è fondamentale per coprire la linea di passaggio verso Alli.

Ovviamente lo studio di un modo per evitare che Dembélé domini il possesso fa parte di una strategia più complessa, e la buona riuscita del piano juventino dipenderà da molti altri aspetti. Ribaltando la prospettiva, ad esempio, sarà determinante capire come Allegri deciderà di attaccare i punti deboli di Dembélé. In fase difensiva, infatti, la tendenza a guardare in avanti e a uscire in contrasto può essere manipolata da un giocatore abile a sfruttare gli spazi che si aprono alle sue spalle: l’ideale sarebbe Dybala, ma andranno prima valutate le condizioni di Higuaín per capire tra quali soluzioni offensive potrà scegliere Allegri. Quando difende, Dembélé tende a concentrarsi più sull’avversario di riferimento e non si preoccupa troppo di quello che succede attorno a lui o alle sue spalle. Oltretutto, quando viene saltato fatica a recuperare. In questo modo allunga le distanze dalla difesa e regala uno spazio prezioso tra le linee. Per una parte del secondo tempo nella sfida di Torino, Allegri aveva provato ad approfittarne piazzando in verticale Pjanic e Douglas Costa dal suo lato, ma è chiaro che potrebbe avere maggiori vantaggi schierando dietro il belga un giocatore più abituato a muoversi tra le linee come Dybala. In più, Dembélé ha uno stile difensivo molto incentrato sulla fisicità e spesso scivola nell’irruenza: capita che chi lo affronta sbatta contro un muro, ma la sua aggressività è sempre al limite del regolamento. Nella gara d’andata ha commesso lui il fallo che ha generato la punizione dell’1-0 di Higuaín. Non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che la prestazione di Dembélé sarà tra le più determinanti per l’esito della qualificazione ai quarti di finale. Per il Tottenham, il dominio del possesso e dei ritmi della partita passa inevitabilmente dal talento così particolare del belga. Circoscrivere la sua influenza sulla partita è tra le priorità a cui dovrà pensare Allegri per risolvere i problemi mostrati nella sfida d’andata e riuscire a giocare in un contesto meno favorevole per la squadra di Pochettino.

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