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La follia del girone sudamericano minuto per minuto
11 ott 2017
11 ott 2017
Uno storify dell’ultimo giro di CONMEBOL, in cui si celebra la santificazione di Leo Messi da Rosario.
(articolo)
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I bicchieri della staffa mettono sempre un po’ a disagio: l’idea di doversi salutare infonde inquietudine, e allora ci si sforza di dire qualcosa di brillante, di lasciare il segno. A novanta minuti dall’epilogo delle qualificazioni CONMEBOL, Bolivia, Venezuela e Brasile non avevano molto da aggiungere ai loro percorsi, eppure potevano ancora mettere qualche puntino sulle “i”.

I venezuelani, di fronte all’ennesima mancata qualificazione, avrebbero benissimo potuto farsi da parte e spianare la strada a una clamorosa qualificazione del Paraguay, eppure avevano la faccia da salvare, quella di una Nazionale giovanissima, che rappresenta un paese in difficoltà e ha voglia di emergere. Il Brasile già qualificato da qualche mese, doveva dimostrare che la verdeamarela, in Russia, ci va da favorita assoluta. Eppure, abbassando la guardia contro il Cile, poteva mettere nei guai l’Argentina. Un limbo di dolce sadismo in cui dondolarsi leggeri.

La preoccupazione principale di Perù e Colombia, l’una di fronte all’altra, è sulla ricetta di alfajóres da scegliere. L’atmosfera inca trasuda ottimismo, anche e soprattutto per le strade. I fantasmi sono tutti dell’Albiceleste: a Viamonte 1366, Buenos Aires, intorno alla sede della AFA, si prendono le giuste precauzioni, che vallo a sapere che può succedere. L’Olímpico di Atahualpa, con le sue pozze acquitrinose, è già settato in modalità Epopea Mitica: l’aria rarefatta di Quito trasuda misticismo e trascendenza. Si cita Julio Cortázar, si segue l’inno a testa bassa.

Minuto 1

In tutta la sua storia calcistica, dal 1902 ad oggi, l’Argentina non aveva mai subito un gol nel primo minuto di gioco. La storia, se la si fa, la si deve fare per bene.

Romario Ibarra è nato il 24 Settembre del ‘94, una manciata di settimane dopo la vittoria del Brasile a USA ‘94: il suo nome è un tributo all’attaccante di quella verdeoro, sicuramente più evocativo del nome del fratello, che ha avuto la sfortuna di nascere tredici anni prima, quando i centravanti brasiliani si chiamavano Renato Portaluppi.

Trentottesimo secondo: su un lancio lungo Ordoñéz, detto la Tuka, centravanti del Delfín SC Manta, trentaduenne pachidermico all’esordio con La Tri, sovrasta Mascherano. La palla schizza verso Romario che chiama una triangolazione volante, tutta di testa, prima di chiudere in diagonale alle spalle di Romero.

A Montevideo, Bentancur, Valverde e de Arrascaeta non hanno ancora realizzato di essere in campo tutti e tre contemporaneamente nonostante l’allenatore della Celeste sia ancora Tabárez. Che l’allenatore, tradizionalmente legato ai suoi feticci ormai a fine ciclo, abbia finalmente deciso di darci una preview del centrocampo uruguay dei prossimi dieci anni?

L’Argentina, alle 4.30 del mattino, orario di Mosca, è eliminata dal Mondiale, e Romario lo sottolinea prolungando la propria esultanza di fronte alla panchina argentina.

Minuto 11

La differenza sostanziale tra Messi e Maradona in camiseta albiceleste, ad oggi, era nel diverso livello di accondiscendenza - portata all’estremo del servilismo - dei comprimari. Appurato che Di Maria non è Burruchaga, e che in generale ognuno è rappresentativo solo di se stesso, e che non si può pretendere dalla “Pulga” che dribbli tutti gli avversari e i timori di tutti (ma forse sì), allo scoccare del decimo minuto Leo controlla un pallone in transizione offensiva, tre contro tre.

Benedetto, con un movimento intelligente, disorienta il centrale che perde il passo. Messi chiama Di Maria ad assumersi le sue responsabilità, e il Fideo fa la cosa più intelligente che abbia fatto in tutto il 2017, almeno in Nazionale: abbandona l’ego e chiude la triangolazione con una palla un po’ strozzata, ma perfetta per l’accorrente Messi.

Avrebbe potuto raccogliere di destro, aprire il tiro, mandare la palla sul palo come in fallo laterale: il tocco d’esterno sinistro, invece, ha la grazia calma dell’asceta che sta per spalancare le porte intime del Nirvana.

Minuto 19

L’Ecuador non ha niente da perdere, salvo la faccia. Intuito che il magma ribollente che ha sostituito il sangue nelle vene di Messi potrebbe risucchiare l’Olímpico di Atahualpa in un buco nero cosmico, difende a cinque. Il filtrante di Di Maria è sbagliato, ma dopo aver sbattuto sullo stinco del difensore, si trasforma in un assist perfetto per Messi, che addomestica il pallone con la suola del destro e con la postura austera dei Re vendicativi e impietosi, se l’aggiusta e la piazza sotto la traversa.

È la decima marcatura multipla di Messi in Albiceleste: l’ultima in gara ufficiale era la doppietta con cui aveva demolito la Nigeria nel girone di Brasile 2014.

A questo punto il Cile è ai play-off, mentre il Perù - nonostante la cavalcata trionfale delle ultime dieci partite - sarebbe eliminato.

Minuto 24

L’Uruguay segna, ma nella porta sbagliata. Così, giusto per l’emozione di provare a vedere se si può fare un po’ di casino nei calcoli, se ci si può complicare la vita. Gastón Silva, però, si rifarà servendo a Cáceres prima, e a Cavani poi, due assist per ribaltare la partita.

Minuto 53

Già dalla fine del primo tempo, con l’Uruguay che ha riportato sui binari della normalità la sua partita, al Cile era venuto il dubbio che qualcosa di tremendo stesso per succedere.

La Roja è sicuramente stata la maggiore fonte di soddisfazione di Alexis Sánchez negli ultimi anni. E il Brasile il principale spauracchio di ogni sgretolamento delle certezze più profonde degli attaccanti cileni. L’alchimia peggiore che si potesse realizzare nella combine tra i due elementi è esattamente quella che si materializza: il vantaggio della verdeamarela sugli sviluppi di una punizione causata da Alexis, che peraltro si becca un giallo che, per via della diffida accumulata, si tradurrebbe in una sua assenza nella gara di andata dei Play-off.

Il fatto che a segnare sia Paulinho, e cioè il più trollato dei brasiliani nell’ultimo scorcio di stagione, ci restituisce un bel po’ la misura di quanto la Giustizia Cosmica, certe volte, vada a prendersi un mate a casa di Pachamama.

Minuto 55

Tra i top player mondiali che sarebbero potuti implodere in questo rush finale di qualificazioni mondiali non ci saremmo mai immaginati di dover mettere (anche) Alexis.

Il pallone che perde è sanguinoso, e innesca una transizione che porta Gabriel Jesus al gol del 2-0. Per la differenza reti, a questo punto, il Cile sarebbe fuori dai Mondiali, e ai Play-off andrebbe il Perù.

Minuto 59

Anzi, no, scusate, visto che James porta in vantaggio la Colombia, ai Play-off facciamo che ci va il Cile. È proprio vero, come scriveva T.S. Eliot, che «c’è spazio in un minuto per decisioni e revisioni che un minuto capovolgerà».

Minuto 61

Delle due l’una: o nel 2017 non esistono connessioni wi-fi così efficienti da farti realizzare che forse innescare una caccia all’uomo a Neymar non è la più intelligente delle mosse, con un Play-off alle porte, oppure semplicemente il Cile voleva decimare la verdeoro.

Neymar, in ogni caso, si sta anche un po’ divertendo.

Minuto 62

È evidente che a questo punto della serata nessuno si chiede più cosa stia succedendo a Quito. Ed è un peccato, perché sta andando in scena la divinizzazione di Lionel Messi, e in molti se la sono persa.

Il terzo gol di Messi è la dimostrazione più lampante - e pace per chi troverà quest’immagine retorica - di come Leo sappia distorcere la linea degli eventi a suo piacimento e trasformare ciò che per qualsiasi altro giocatore sarebbe un innalzamento del livello di difficoltà in un’occasione per dimostrarsi padrone degli elementi.

All’altezza della trequarti, di fronte a due difensori ecuadoriani testimoni inermi della santità che discende, come i centurioni sotto al Cristo in croce, Messi cambia repentinamente direzione, affondando sulla sinistra. Il pallone ha un rimbalzo strano, che potrebbe fargli perdere il tempo, o la coordinazione: invece è come se fosse un assist invisibile e trascendente, che lo mette nelle condizioni di superare il portiere avversario con un pallonetto leggiadro.

È il quarantanovesimo gol in quarantanove partite nel 2017 per Messi; dal novembre scorso nessun calciatore che non sia Messi ha segnato per l’Albiceleste.

Non è la prima tripletta di Leo, ma sicuramente la più importante: in carriera, con la camiseta della Nazionale, ne ha segnate 5, tre in amichevole (con Brasile, Svizzera e Guatemala) e solo un’altra, esclusa questa con l’Ecuador, in una gara ufficiale. Era l’esordio di Copa América Centenario, contro Panama: era entrato al quarto d’ora della ripresa, ne aveva messi dentro tre in mezz’ora. Al termine di quella partita gli mancava un solo gol per diventare il massimo goleador nella storia dell’Albiceleste.

Minuto 78

Inaspettato tra le nomination per il Best Unsung Hero 2017 spunta fuori come un fiore nel deserto di Atacama il nome polveroso e protonostalgico del “Depredador” Guerrero, che segna su punizione l’1 a 1 alla Colombia. Ovvio che se qualcuno avesse dovuto segnare un gol storico per il Perù, non sarebbe potuto essere che lui.

Facciamo il punto, quindi: Argentina e Colombia promosse direttamente, Perù ai Play-off. E il Cile? Il Cile davanti alla TV. Le partite del mondiale andranno in diretta verso l’ora di pranzo, a Santiago.

Minuto 83

Ma in tutto questo il Paraguay? Siamo negli ultimi dieci minuti, cioè in piena Zona Cardozo, e un gol dei Guaranì, a questo punto, taglierebbe via in un colpo solo Perù e Cile, condannando la Colombia ai Play-off e portando la Albirroja a una delle qualificazioni più inattese, soprattutto per il low-profile tenuto durante tutto il percorso.

Certo, sarebbe stupendo, se solo Yangel Herrera non scegliesse come palcoscenico internazionale per l’inaugurazione del suo personalissimo Eurostar dell’Hype l’Estadio Defensores del Chaco.

Yangel diventa, in un colpo solo:

1) il primo calciatore venezuelano ad aver segnato con tutte le Selezioni, dalle giovanili alla maggiore;

2) l’autore del gol della prima vittoria esterna del Venezuela nelle qualificazioni mondiali di questa edizione;

3) sinonimo guaranì di disgrazia, come nella frase: «è caduto lo zucchero a terra, che yangelherrera!».

Minuto 90

Gli ultimi minuti di gioco, fino al fischio finale, sono uno scivolamento lento nella resa ai verdetti, per qualcuno all’amarezza dell’oblio. Falcao trova la lucidità e le risorse mentali per disegnare nell’aria di Lima un arabesco numerico con il quale spiegare agli avversari che farsi del male, davvero, non ha senso.

Farsi del male, davvero, non ha mai senso, lo sanno anche i telecronisti argentini ormai: solo tre giorni fa si scagliavano contro Leo, sottolineavano quanto i risultati con la palla tra i piedi a Barcellona, e a Buenos Aires, fossero diversi. «A Barcellona la metti dentro e qua no, ma perché!?!». Perché gli pesa la maglia, dicevano. Perché gli faceva perdere la salute, dicevano.

Arrabbiarsi serve soltanto a preparare il terreno per la Storia, in un certo senso. A farcene apprezzare maggiormente i risvolti drammatici. Come diceva Primo Brown dei Cor Veleno, «vedi che m’incazzo? È il mio modo per tenermi vivo».

Per la Storia, vincitori e vinti non lo sono mai in maniera assoluta: spazio per le recriminazioni, per le prese di coscienza, per pensare ai Bei Tempi Andati e per cominciare un nuovo ciclo, ci sarà. Dopotutto è il destino della caducità dell’uomo.

«Se cadrai ti rialzerò», recita un’altra frase abbastanza famosa di Cortázar, che credo il social media manager dell’account twitter della Selección avesse già pronto in bozza, «oppure mi sdraierò al tuo fianco». Ed è anche il destino dei leader, e delle moltitudini di uomini che gli si aggregano intorno, che costituiscono una comunità, partecipando, in qualche modo, al suo mito.

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