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Foto di Eric Lalmand / Getty
Sport Andrea Minciaroni 3 aprile 2017 6'

La folle fuga di Gilbert

Il ciclista belga ha attaccato il Giro delle Fiandre a 56 km dall’arrivo, realizzando una delle imprese più incredibili della storia delle classiche.

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Da anni si assiste alla stucchevole retorica nostalgica secondo cui la modernità, e il modo troppo meccanizzato di interpretare le gare da parte dei corridori hanno eliminato la bellezza di uno sport fondato su imprese epiche e coraggiose, con attacchi spregiudicati e poco razionali, il Giro delle Fiandre di quest’anno è da considerare come la rappresentazione più lampante che rovescia un paradigma simile.

 

Quello che è successo ieri al Giro delle Fiandre è una follia. Non ci sono altri termini per descrivere una cosa che ha pochi precedenti nel ciclismo professionistico. Una specie di vessillo da sbandierare ogni volta che qualcuno considera il ciclismo – e soprattutto questo ciclismo post anni novanta – uno sport vecchio e noioso.

 

Philippe Gilbert ha vinto il Giro delle Fiandre dopo 56 km di fuga solitaria, scalando sette muri senza l’aiuto di nessuno, con indosso la maglia di campione nazionale del Belgio. Qualcosa di più vicino alla sceneggiatura di un film che a una gara in bicicletta.

 

 

Ribaltamento

 

Nel pieno della stagione, con ancora diverse classiche da correre, l’attenzione mediatica di questi giorni si è concentrata ancora una volta sul personaggio più pop del ciclismo attuale: Peter Sagan. Dopo aver sfiorato la vittoria alla Milano-Sanremo, beffato sulla linea del traguardo da Michal Kwiatkowskyi, Sagan si è presentato ai nastri di partenza del Giro delle Fiandre col peso del favorito.

 

Lo scorso anno lo slovacco vinse davanti a Sep Vamarcke con un’azione instant cult, scattando in faccia all’avversario sull’ultimo muro di giornata, il Paterberg, con una progressione micidiale che gli ha consentito di conquistare la sua prima classica monumento.

 

Supportato da una grande condizione atletica, programmata alla perfezione per fare incetta di classiche, in pochi potevano immaginare una disfatta simile. Per dire, i bookmakers pagavano a 2.72 la sua vittoria, davanti a Van Avermaet quotato a 5 e Gilbert, eroe di giornata, staccato a 12.

 

Ma il Giro delle Fiandre è una corsa dura, con un chilometraggio elevato e numerosi muri e tratti in pavé da affrontare. Indicare dei favoriti può essere davvero rischioso. Non possiamo ovviamente parlare della vittoria di un vero outsider, il palmarès di Philippe Gilbert parla chiaro: tre Amstel Gold Race, una Freccia Vallone, una Liegi, due Lombardia, e un Campionato del mondo. Un corridore adatto a diversi tipi di classiche, duttile e con doti da scattista che gli consentono di anticipare sul tempo le mosse degli avversari.

 

Se non possiamo parlare di un outsider, però, possiamo quantomeno considerare la sua una vittoria imprevista, soprattutto nelle sue modalità.

 

Al minuto 1.05 un esempio di come si scatta in faccia agli avversari.

 

L’edizione numero 101 del Giro delle Fiandre misurava quest’anno 259 km totali, con partenza da Anversa e arrivo a Oudenarde. Diciotto muri da scalare, di cui undici in pavé, tra cui il solito Patenberg, Koppenberg e Grammont.

 

Ed è stato proprio il Grammont il palcoscenico del primo attacco della giornata. A oltre 100 km dall’arrivo, la Quick-Step – team di cui fanno parte Tom Boonen e Philippe Gilbert – ha avviato un’azione sorprendente.

 

La Quick-Step ha aperto il fuoco presto, l’obiettivo era isolare Sagan e Van Avermaet, i favoriti di giornata. Lo ha fatto grazie al commovente sacrificio di Tom Bonnen, che ha dato il via all’azione, e sfruttando l’alleanza del team Sky, interessata a far fuori due presenze ingombranti per il finale.

 

Da quel momento, nonostante un centinaio di km ancora da percorrere e numerosi muri da affrontare, il ritmo della gara si è alzato a livelli spaventosi. Mai un minuto per riprendere fiato, una tensione palpabile dall’inizio alla fine.

 

L’azione portata avanti da Boonen e soci, con un drappello di quattordici corridori di tutto rispetto – tra cui Kristoff, Chavanel, Vanmarcke e il gruppo degli italiani Modolo, Trentin, e Moscon – è riuscito a isolare i due corridori più temuti dal gruppo. Rimasti indietro, Sagan e Van Avermaet hanno dovuto rincorrere in apnea, sprecando energie che immaginavano di poter conservare per il finale.

 

Dopo aver recuperato a 67 km dall’arrivo la fuga di giornata, il gruppo Quick-Step ha poi rallentato il forcing, facendo scendere il divario su Sagan e Van Averamet da oltre un minuto a soli 35 secondi. Ma è a 56 km dall’arrivo che è accaduto l’impensabile.

 

 

L’attacco folle

 

A 56 km dall’arrivo Philippe Gilbert inizia un’azione difficile da razionalizzare. Anche i telecronisti della Rai – Silvio Martinello e Francesco Pancani – quando hanno visto attaccare Gilbert si sono ritrovati in difficoltà nel descrivere l’azione secondo dei criteri logici. Alla fine hanno definito l’azione semplicemente “pazza”, insinuando anche il dubbio che l’attacco sia stato frutto del caso. Un’accelerazione improvvisa che ha spinto Gilbert allo scoperto e, una volta accortosi di essere rimasto solo e aver guadagnato diversi metri sugli avversari, la decisione di continuare e spingersi oltre ogni limite.

 

Con un’azione spaventosa, tatticamente priva di qualsiasi logica, Philippe Gilbert ha staccato l’intero gruppo sul Kwaremont, altro storico muro del Giro delle Fiandre. Con sette muri da scalare, senza l’aiuto di nessuno, e con un gruppo di inseguitori composto dai più grandi corridori del mondo, Gilbert ha attaccato senza indugi.

 

Sfruttando l’indecisione del gruppo, probabilmente sorpreso dalla spavalderia, il campione belga ha accelerato fino a guadagnare un vantaggio di oltre un minuto. Vantaggio che è riuscito a mantenere inalterato per numerosi chilometri, pagando lo sforzo solo nel finale dove comunque è riuscito a rimanere in testa alla corsa.

 

Mentre Tom Boonen è stato costretto alla resa per colpa di una foratura – oltre che dell’errore nel cambio bici dell’ammiraglia, Gilbert non si è mai voltato indietro e con una pedalata fluida e costante ha mantenuto il vantaggio sugli inseguitori. E poi, a 16 km dall’arrivo, il secondo episodio folle che ha definitivamente cambiato volto allo corsa: la caduta di Sagan.

 

 

Il colpo di scena

 

Durante i tratti in pavé i corridori spesso cercano di risparmiare energie con traiettorie spericolate. Pur di evitare le file di pietre sconnesse, che li fanno sobbalzare in aria costringendoli a uno sforzo enorme nel mantenere l’equilibrio in sella, i corridori si spingono ai lati della strada per cercare tratti di marciapiede senza pietre.

 

Un’abitudine su cui si è espresso, risentito, Didier Simon, capo commissario UCI: «Se vedrò un corridore che ha l’intenzione di guadagnare anche un solo metro di vantaggio sarà squalificato dalla gara. Questo avverrà sia che si tratti di un corridore più importante o di seconda fascia, e qualunque sia l’esito della Ronde».

 

Evidentemente Peter Sagan non ha ascoltato le parole di Didier Simon, dato che la sua caduta nasce per colpa di un grossolano errore di posizionamento nel tentativo di evitare un tratto in pavé e pedalare sul bordo della strada.

 

 

A 16 km dall’arrivo, al terzo passaggio sul Kwaremont, Sagan ha attaccato per riprendere Gilbert. Per imprimere maggiore forza alla sua azione, ha evitato il pavé e si è avvicinato troppo ai lati della strada accanto alle transenne che circondano il pubblico. Anche un corridore esperto come lui, uno dei migliori nell’evitare qualsiasi imprevisto con azioni funamboliche (come quella alla Tirreno Adriatico), si è ritrovato improvvisamente a terra. Una caduta banale, causata da una cattiva valutazione di spazio e posizionamento.

 

Avvicinandosi troppo alla transenne, Sagan ha toccato una persona del pubblico perdendo l’equilibrio e finendo a terra. Un errore che ha poi spiegato così: «In parte è stata anche colpa mia. Ero vicino alle transenne ma potevo controllare quello spazio. Poi ho colpito un maglione o qualcos’altro e ho scartato verso le transenne. Non sono caduto subito, ma ho avuto questo problema, gli altri mi hanno colpito da dietro e non ero più in grado di continuare».

 

La caduta, che ha coinvolto anche Van Avermaet e Naesen, ha lasciato libero Gilbert di involarsi verso il traguardo finale. Difficile dire come sarebbe andata a finire se Sagan non fosse caduto a terra e non avesse coinvolto nelle caduta anche gli altri corridori. Probabilmente Gilbert avrebbe vinto lo stesso, ma una cosa è certa: in quel momento esatto, prima della caduta, la gara era ancora aperta.

 

Forse. Fatto sta che nulla toglie alla vittoria di Gilbert, stavolta non ci troviamo di fronte ad un episodio discutibile in cui effettivamente una caduta compromette o diminuisce lo spessore della vittoria di un avversario. Del resto la caduta di Sagan non è casuale ma nasce da un errore di valutazione di spazio e posizionamento.

 

L’azione di Gilbert merita un tributo speciale. Vedere un corridore che ha il coraggio e la spavalderia di attaccare a 56 km dall’arrivo, con sette muri da scalare con pendenze che superano il 20%, senza supporto dei compagni, prendendo vento in faccia, rischiando di saltare, sprecare energie, e buttare al vento un’occasione per il finale. Al termine della gara Gilbert ha dichiarato: «Vincere questa corsa ha sempre un fascino speciale. Farlo però indossando la maglia di campione del Belgio vale ancora di più, ha qualcosa di magico. Sono stato davanti tutto il giorno, e per tutta la corsa sono stato sostenuto da un tifo incredibile. Ringrazio tutte le persone che mi hanno spinto nei momenti più difficili con il loro entusiasmo. Oggi ho realizzato un sogno; è da quando sono passato professionista che sognavo di vincere alle Fiandre».

 

 

Tags : ciclismofiandre

Andrea Minciaroni vive a Roma, dove gira con vecchie biciclette usate sfidando le buche e il famoso traffico della capitale.

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