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Calcio Fondamentali Alfredo Giacobbe e Dario Saltari 24 aprile 2015 7'

La finale a un passo

Napoli e Fiorentina gestiscono il buon risultato dell’andata e raggiungono delle semifinali storiche.

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Napoli – Wolfsburg
di Alfredo Giacobbe (@la_maledetta)

 

In una stagione piena di alti e bassi e di frenetiche oscillazioni di umore, una delle poche certezze sul Napoli di Rafa Benitez è che raramente fallisce i grandi appuntamenti: nella preparazione tattica della partita secca, l’allenatore spagnolo ha pochi eguali in Europa. Altro che “cameriere”, come lo insultavano gli inglesi. A Wolfsburg venti minuti di intensità e applicazione hanno garantito ai partenopei le semifinali di Europa League. La prima semifinale europea dopo ventisei anni.

 

Le prima mossa vincente: scacco a De Bruyne

Proprio dai primi minuti della partita di andata è sembrato chiaro che Benitez avesse individuato in Kevin De Bruyne l’uomo più pericoloso tra gli avversari. D’altra parte, il belga è uno dei soli cinque calciatori in Europa (gli altri sono CR7, Messi, Müller e Dybala) ad essere saliti in doppia cifra sia con i gol che con gli assist.

 

L’intera prestazione difensiva del Napoli è stata influenzata dal dispositivo studiato per limitare il trequartista centrale del Wolfsburg: la linea di difesa restava alta per negare spazio a De Bruyne, che si muoveva per andare a creare superiorità numerica sul lato dove il gioco veniva sviluppato. Tra due linee così strette il belga non è mai riuscito a ricevere palla e a girarsi per puntare la difesa e, ad un certo punto, quando ha provato a defilarsi sul lato debole per ricevere un eventuale cambio di gioco, è stato francobollato da Callejon o da Mertens, sempre molto stretti e attenti in marcatura.

 

Seconda mossa: tagliare fuori i mediani

La chiave tattica del match però è stata tagliare fuori dal gioco i due mediani, Luiz Gustavo e Guilavogui, sia in fase difensiva che in fase offensiva. Il Napoli c’è riuscito in maniera persino troppo semplice: Hamsik e Higuain chiudevano le linee di passaggio per vie centrali, costringendo i terzini a restare bassi per fornire un’alternativa di gioco quando i due centrali difensivi dovevano impostare. In questo modo venivano compromesse le catene di fascia del Wolfsburg, un danno non da poco per i tedeschi, che hanno sulle fasce i loro uomini di maggior caratura: Rodriguez e Schürrle a sinistra, Vieirinha e Caligiuri a destra.

 

L’effetto domino coinvolgeva anche la punta, perché così molti dei cross che sono arrivati nella zona di Bas Dost provenivano dalla trequarti, piuttosto che dal fondo. Il centravanti olandese, che ha vissuto un periodo magico dopo la sosta invernale (ha concentrato 13 dei suoi 15 gol tra il 30 gennaio e il primo marzo), avrebbe dovuto agire come punto di riferimento in attacco, ma la sua scarsa mobilità ha finito per aiutare Britos, che è sembrato ben al di sopra i suoi consueti standard.

 

Terza mossa: attacchi veloci

Quando il Wolfsburg riusciva a superare la prima linea avversaria, Luiz Gustavo e Guilavogui avanzavano per supportare le catene laterali ma nessuno dei due garantiva copertura all’altro. I due hanno lasciato praterie per le progressioni di Marek Hamsik, un maestro nel leggere lo spazio, e per gli scatti degli altri tre attaccanti del Napoli. Naldo e Knoche, mastodontici centrali difensivi, sono stati presi in velocità, persino su rilancio del portiere Andujar, con uno schema sicuramente preparato in allenamento. Mertens, Callejon, Hamsik e Higuain hanno giocato sempre molto vicini, scambiando le loro posizioni di continuo e sempre coi tempi giusti. Maggio e Ghoulam hanno fornito ampiezza alzandosi frequentemente e hanno permesso alle ali di stringere in mezzo.

 

Ritorno rilassato

Ieri sera al San Paolo le distanze tra i reparti non erano altrettanto irreprensibili e il Wolfsburg ha trovato spazi in modo differente, secondo le caratteristiche dei suoi calciatori. Sulla fascia destra, Caligiuri veniva incontro per stanare Ghoulam dalla sua posizione e poi si buttava nello spazio dettando il passaggio sulla sua corsa ai compagni; sulla sinistra Perisic preferiva ricevere palla sui piedi per poi provare a puntare e dribblare Mesto, cosa che spesso gli è riuscita.

 

Luiz Gustavo e Guilavogui hanno lavorato meglio che all’andata, tenendo le loro rispettive posizioni su piani sfalsati di qualche metro e migliorando la circolazione della palla ad inizio azione. A tratti il 4-2-3-1 disegnato da Hecking si trasformava in un 4-3-3, con Luiz Gustavo tra i centrali di difesa, questi ultimi che si allargavano permettendo ai terzini di spingere.

 

Nel primo tempo la linea difensiva del Napoli si è schiacciata all’indietro e i metri da coprire, riconquistata palla, per andare a creare pericoli alla porta avversaria erano davvero troppi. Per di più la qualità delle giocate non è stata all’altezza… per usare un eufemismo.

 

A condizionare la partita dei partenopei può essere stato un naturale senso di appagamento. Oltretutto Hecking ha tenuto a riposo gli acciaccati ex Chelsea De Bruyne e Schürrle, una scelta che sapeva di resa anticipata, e magari Benitez ne aveva avuto sentore, evitando per una volta di applicare il suo proverbiale turnover e mandando in campo i migliori a disposizione. Il Napoli finalmente ha deciso di entrare nella partita nella seconda frazione e sono bastati sei minuti per creare tre occasioni, venti per segnare due gol.

 

Chiudere le partite

Altrettanto velocemente, però, gli azzurri sono usciti dalla partita, permettendo al Wolfsburg di recuperare il doppio svantaggio. Quello della gestione del risultato sembra essere il vero tallone d’Achille di una squadra che, se alza il piede dall’acceleratore e cala d’intensità, soffre qualsiasi avversario.

 

Una squadra che domina e travolge la seconda forza del campionato tedesco non può non candidarsi alla vittoria finale. Il sorteggio è stato benevolo perché ha evitato al Napoli sia il derby italiano con la Fiorentina che i campioni in carica del Siviglia. Inoltre il Napoli conosce le insidie della trasferta in Ucraina: la squadra di Mazzarri perse dal Dnipro di Juande Ramos per 3-1. Nelle fila degli ucraini l’unica insidia sembra essere rappresentata da quel Yevhen Konoplyanka più volte accostato alle squadre italiane. Sarebbe fantastico rivedere una finale di Europa League tutta italiana (l’ultima è stata quella tra Inter e Lazio nel 1998); però sarebbe altrettanto affascinante una sfida tra due alfieri, per certi versi simili, della scuola spagnola come Emery e Benitez.

 
 

Fiorentina – Dinamo Kiev
di Dario Saltari (@dsaltari)

 

Nei due confronti tra Fiorentina e Dinamo Kiev c’è stata una sorpresa negativa: la qualità di gioco della squadra ucraina è apparsa nettamente al di sotto delle aspettative. Non si tratta di sminuire la vittoria della Fiorentina, che anzi ha dimostrato di essere all’altezza di una semifinale europea, ma la squadra guidata da Rebrov è apparsa nettamente inferiore sotto il profilo tecnico. Per la squadra che ha buttato fuori Tottenham e Roma non è stata un’impresa eliminare questa Dinamo Kiev, che pure aveva fatto fuori l’Everton.

 

Andata troppo prudente

Eppure all’andata Montella ha scelto di adottare un atteggiamento attendista e un baricentro eccessivamente basso. Una scelta che avrà avuto le sue motivazioni, ma che ha rischiato di compromettere l’intera qualificazione, facendo avvicinare alla porta difesa da Neto gli unici due giocatori degni di nota: Yarmolenko e Lens. Proprio su un tiro di quest’ultimo (seppur deviato) è nato il goal dell’incredibile vantaggio della squadra ucraina. Sul goal di Lens la squadra viola si è talmente schiacciata da portare otto giocatori nella propria area di rigore.

 

Dopo aver subito il gol, l’atteggiamento della Fiorentina aveva permesso alla Dinamo di fare esattamente la partita che voleva fare e cioè giocare esclusivamente di ripartenza allungando la squadra avversaria per lanciare negli spazi proprio i dribblomani Yarmolenko e Lens. Eppure, i viola erano stati padroni del campo, registrando addirittura 20 tiri verso la porta, compreso un colpo di testa di Borja Valero (ottimo inserimento), finito sul palo. Nonostante la splendida partita di Salah (ben 9 dribbling riusciti, impressionante), che aveva persino costretto il terzino portoghese Antunes a chiedere il cambio, la Fiorentina stava per mettere in pericolo la qualificazione: ci ha pensato Babacar a ottenere un pareggio ampiamente meritato.

 

Ritorno aggressivo

Al ritorno Montella sembra aver fatto tesoro della lezione appresa a Kiev (oltre che del regalo di Babacar) impostando una partita aggressiva basata su un pressing intenso (anche se a volte non proprio organizzato) a partire dalla trequarti avversaria. La pressione dei viola ha mostrato tutti i limiti della Dinamo (disastrosi i due centrali di difesa Khacheridi e Vida e il portiere Shovkovskiy): la squadra ucraina ha terminato la partita con un modesto 76% di accuratezza dei passaggi, arrivando al tiro solo tre volte (di cui solo una nello specchio della porta di Neto).

 

Nonostante ciò, la partita è rimasta in bilico fino al goal di Vargas (parliamo del minuto 93) e la Dinamo, con un pizzico di fortuna in più, avrebbe comunque potuto segnare su alcuni calci piazzati pericolosi proprio nei minuti finali. La squadra viola non è riuscita a chiudere una partita dominata in campo, e questo è un problema che si può pagare caro a un livello così alto: tra andata e ritorno la Fiorentina ha sbagliato troppe occasioni da goal.

 

La partita preferita

In semifinale c’è il Siviglia, forse il sorteggio peggiore per la Fiorentina. È vero, la squadra di Emery è molto aggressiva (è prima nella Liga per cartellini gialli e numero di tackle) e viaggia su ritmi decisamente più elevati rispetto a quelli della Fiorentina. Ma è anche vero che la Fiorentina potrà fare la partita che preferisce. Il Siviglia infatti è una squadra prettamente verticale, che rifugge il controllo del pallone (le sue statistiche nella Liga relative a possesso palla e accuratezza dei passaggi sono anonime: rispettivamente 51% e 77%), l’esatto contrario della squadra di Montella.

 

L’allenatore viola dovrà quindi preservare fisicamente i propri giocatori per reggere i ritmi del Siviglia, avendo il coraggio e la fiducia di imporre il proprio gioco sulla squadra spagnola. L’importante sarà far avvicinare il meno possibile il Siviglia alla propria porta (il reparto offensivo è di grande qualità: quarto attacco della Liga, nonostante sia solo settima per occasioni create), con un pressing alto e organizzato che forzi gli errori avversari (la squadra di Emery sbaglia piuttosto facilmente: nella Liga è seconda per errori difensivi).

 

In poche parole Montella dovrà evitare il primo tempo di Kiev e adottare lo stile della partita vista ieri al Franchi. Ma il Siviglia è chiaramente un avversario di un altro livello. Per arrivare in finale la Fiorentina dovrà avere una freddezza sotto porta che in Europa League non ha ancora dimostrato di avere (è terza per occasioni create, ma ha solo il settimo attacco della competizione).

 

Nel commentare il goal di Mario Gomez, Montella nel post-partita ha dichiarato che «essere ottimisti è una qualità». La Fiorentina ha tutti i mezzi per giocarsela alla pari, ma sacrificare il campionato per una competizione ancora difficile potrebbe mettere una pressione eccessiva sui giocatori e lasciare Montella a fine stagione con un pugno di mosche.

 
 

Tags : dinamo kievdniproeuropa leaguefiorentinanapolisivigliawolfsburg

Alfredo Giacobbe è nato a Napoli, dove vive e lavora. Ingegnere come Manuel Pellegrini, ha dipinto l’area tecnica attorno al suo divano.

Dario Saltari è uno degli scrittori che curano L'Ultimo Uomo e Fenomeno. Sulla carta, ha scritto di sport per Einaudi e Baldini+Castoldi.

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