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La disasterclass di Zverev nel 2025
28 mag 2025
Un giocatore involuto e sempre più nervoso, in cerca di riscatto a Parigi.
(articolo)
11 min
(copertina)
Foto IMAGO / HMB-Media
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«Il Big3 siamo io, Novak Djokovic e Daniil Medvedev», questo diceva Alexander Zverev a fine 2021, con le ATP Finals in tasca nella prima edizione di Torino e una sconfitta in semifinale contro Novak Djokovic al quinto set negli US Open. Passano quattro anni e ritroviamo Zverev nei quarti di finale di un Masters 1000, a Roma.

Non sono le Finals ma è un torneo che pesa, e di cui il tedesco è campione in carica. Perde in due set contro Lorenzo Musetti, un incontro che aveva in mano nel primo set e che nel secondo lo ha fatto sembrare semplicemente in balia dell'italiano che lo sballottolava per tutto il campo. Dopo la partita la musica è molto diversa dalla sinfonia dei Big3 di qualche anno prima: «Le palle erano troppo grandi e lente, mi hanno danneggiato [...] Musetti gioca sempre così, si difende e aspetta l’errore dell’avversario».

È andata anche peggio ad Amburgo, nel torneo di casa sua a cui è entrato con una wild card dopo aver detto che era una «follia giocare ad Amburgo una settimana prima del Roland Garros». E il problema di fatto non si è posto, con Zverev che ha fermato a 25 vittorie e 10 sconfitte le sue statistiche stagionali con la sconfitta al primo turno contro il francese Alexandre Muller, numero 39 del mondo. Una partita isterica e a cui ha seguito una conferenza stampa ancora più isterica: «Ho avuto 39.4 di febbre fino a stanotte e ho vomitato 37 volte durante la notte. Solo due giocatori al mondo sarebbero scesi in campo oggi, sono uno di loro e sono orgoglioso per questo». Non potendo toccare con mano il termometro (e la stanza) di Zverev non ci si può che fidare delle sue dichiarazioni, anche se vanno aggiunte a un lungo campionario di scuse post-sconfitta afferite a malattie varie, come quando all’Australian Open 2024 diede la colpa della rimonta subita da due set e minibreak avanti contro Daniil Medvedev a un non precisato malessere. Tutto questo però è l’aspetto forse più marginale di un fatto incontrovertibile: la stagione di Alexander Zverev è iniziata in maniera incredibilmente preoccupante.

E pensare che era partita con la terza finale Slam della carriera, arrivata in Australia grazie al ritiro in semifinale di Novak Djokovic. Il serbo, noto ammiratore del tedesco, lo aveva poi definito il “favorito” per la finale, un termine che ritroveremo molto in questo inizio di stagione, e gli aveva sostanzialmente augurato di vincere il torneo. Teoricamente in finale Zverev si è trovato contro un tennista molto meno esperto di lui ma più "vincente" come Jannik Sinner. Una differenza che suona sempre vaga, quella tra chi è "vincente" e chi non lo sarebbe, che però giocatori come Zverev rendono palese. Con Sinner, però, Zverev poteva far valere un ottimo bilancio negli scontri diretti e la sensazione che se la partita fosse diventata una battaglia fisica lui ne sarebbe uscito vincitore. Nemmeno a dirlo la finale è stata una dimostrazione di superiorità da parte del numero uno del mondo, con Sinner in controllo del match sin dalla prima pallina. Una sconfitta che ha ridotto il tedesco in lacrime nel post-partita, con tutte le dichiarazioni incentrate sulla grandissima spada di Damocle che pende su di lui: la concreta possibilità di chiudere la carriera senza Slam e senza aver mai raggiunto il numero uno del mondo.

Sul secondo punto arriva un colpo di scena che potrebbe finalmente far varcare quel “cancello” a Zverev, e perché no, magari aiutarlo a sbloccarsi anche per quanto riguarda gli Slam. Sinner viene squalificato fino a Roma e quindi Zverev, numero due del mondo con un discreto distacco di punti su Carlos Alcaraz, ha un compito relativamente facile per poter sfruttare l’assenza dell’italiano e prendersi la vetta. I primi scricchiolii arrivano già dalla gira sudamericana su terra, a cui Zverev probabilmente si iscrive pensando di fare pesca a strascico di punti, rispetto al più congeniale cemento indoor europeo dove però il livello medio è più alto, e ne esce con la rete vuota. A Buenos Aires esce con Francisco Cerundolo, a Rio, che ha un tabellone forse tra i peggiori del tennis recente per un 500, esce con l’argentino Francisco Comesana dopo aver vinto il primo set. Un passaggio che racconta abbastanza bene Zverev: spaventato dalla competizione, e punito per questo dalle divinità greche che governano il tennis.

Si poteva pensare a un incidente di percorso, una scelta di programmazione sbagliata. Anche perché dopo Rio Zverev torna subito a giocare sul cemento outdoor di Acapulco e per scavalcare Sinner gli “bastano solo” 2445 punti nei successivi sette tornei. Una cifra apparentemente alta ma in realtà bassa se si considera che ci sono quattro Masters 1000 e due 500. Non servirebbe nemmeno vincere un 1000 obbligatoriamente, quanto piazzarsi con continuità in tutti questi tornei. Proprio sul suolo americano si capisce che c’è qualcosa di più grave nel tennis di Zverev. Il tedesco non è mai stato un cuor di leone tennisticamente parlando, e sembra giocare ogni partita con la pressione autoimposta di una finale Slam. Ad Acapulco perde al secondo turno con Learner Tien e a Indian Wells colleziona una disasterclass alla prima partita, uscendo in una sfida di ciapanò con Tallon Griekspoor che al momento topico, preso dalla stessa ansia di vittoria di Zverev, aveva provato di tutto per farlo rientrare. Non va meglio a Miami, dove il suo Sunshine Double si conclude con una mesta rimonta subita da Arthur Fils, per cui il tedesco dà la colpa ad un brusco risveglio del suo collo. In conferenza comunque prova un'autoanalisi dai tratti amarissimi: «È successo che ho perso quattro game di fila o qualcosa del genere. A Indian Wells ho servito per vincere la partita, a Rio ero avanti 4-1 nel terzo, a Buenos Aires ero avanti di un set e un break. una posizione molto favorevole, vicino a chiuderle. Questo tipo di sconfitte sta diventando un problema, parlerò con le persone intorno a me per trovare una soluzione che al momento non ho».

Qui era di umore diverso.

Una trasferta americana che di fatto, nonostante anche Carlos Alcaraz fosse rimasto a debita distanza per un rendimento balbettante, conclude molte delle sue speranze di numero uno. Solo 160 punti raccattati in tre tornei che vorrebbero dire che al tedesco servirebbe il titolo a Montecarlo, Madrid e Monaco per sorpassare Sinner prima di Roma. Ironico che sia un altro italiano a negargli ufficialmente la possibilità, con Matteo Berrettini che a Montecarlo stende Zverev al primo turno in una partita in cui l’ex top10 ha reso meglio del tedesco sia sugli scambi lunghi che sul rovescio, anche questa una grossa ironia della sorte. E che la corsa per il numero uno pesasse lo aveva ammesso lui stesso prima del torneo - «non ho ancora superato la finale degli Australian Open» - e dopo la partita con Berrettini - «è il peggior periodo da quando mi sono fatto male alla caviglia». A Monaco arriva il primo torneo vinto in stagione, ma sulla terra rossa di Madrid su cui si è sempre espresso bene esce ai quarti contro Francisco Cerundolo. Prima di Roma (di cui è campione in carica) Zverev rialza il tono delle dichiarazioni: «credo di poter diventare numero uno del mondo» e tutto termina con la già citata sconfitta contro Lorenzo Musetti, arrivata dopo aver avuto tre set point sul servizio nel primo set. Musetti è uno di quegli avversari che gli dà particolare fastidio, perché ne scopre i tormenti psicologici e le fragilità tecniche.

Il tennis è uno sport in cui la componente mentale conta sicuramente tanto, ma davvero la crisi di Zverev è spiegabile soltanto con l'ossessione del numero uno del mondo? A Roma e a Madrid era già fuori dai giochi, e sul Centrale del Foro Italico si è fatto sballottare per tutti i lati del campo da un Musetti sicuramente in grandissima forma, ma con cui Zverev non può certo permettersi, per pedigree, una sconfitta del genere. I numeri però dipingono una realtà molto più semplice per spiegare una parte del calo di Zverev, con il suo servizio che non è più efficace come prima. Il tennista tedesco ha litigato per anni con la sua seconda di servizio e in generale con l’efficacia dello stesso. Zverev ha, da sempre, una prima di servizio violentissima, tra le migliori del circuito, ma tra il 2019 e il 2020 il numero tre del mondo non aveva superato il 45% di punti vinti con la seconda, un dato terrificante se rapportato alle sue capacità in battuta. Un problema visibile anche a occhio nudo, con Zverev che sotto pressione abbassa notevolmente la velocità di palla della seconda e diventa vulnerabile - oltre che soggetto ai doppi falli.

Il servizio di Zverev è migliorato con un lungo processo di trial and error, con il tedesco che per un periodo addirittura tirava direttamente due prime pur di non alleggerire la seconda. Finché dal 2021 il suo servizio si è stabilizzato come uno dei migliori del circuito, cardine principale della costruzione dei suoi punti. Il 2025 però ci presenta una regressione non da poco su questo fondamentale, con il tedesco che è sceso dal 71% di prime in campo del 2024 al 69% del 2025 e dal 77% di punti vinti con la prima al 74%. Una differenza apparentemente marginale, ma che lo diventa molto meno se si considera il peso specifico dell’efficacia con la prima nel gioco di Zverev, che contemporaneamente ha la peggiore percentuale di ace dal 2016, quando aveva 19 anni e si stava affacciando al circuito. Il tedesco è meno tranquillo al servizio e il suo gioco ne risente, perdendo così ulteriori sicurezze già minate da una condizione mentale traballante.

E se il rovescio è ancora al top, anche se meno scintillante, il calo più vistoso è arrivato al dritto, da sempre il colpo-termometro del tennis di Zverev. Pur non essendo mai diventato un colpo eccezionale il suo dritto era diventato meno falloso dal 2021 in poi, e in generale era riuscito a trovare un buon equilibrio per quanto riguarda il carico offensivo da quel lato. In questo inizio stagione il dritto di Zverev è stato semplicemente disastroso, tornato ai livelli pre-COVID in cui lo usava solo in difesa e andava in rottura prolungata per lunghi tratti. Durante la partita con Musetti il confronto è stato piuttosto impietoso, specialmente se si considera che l’italiano ha litigato per lungo tempo con il suo dritto macchinoso e che invece è migliorato molto negli ultimi due anni. E la circostanza che fa più specie è che nel 2021 chiunque sarebbe stato preso per pazzo se avesse pronosticato che quattro anni dopo il dritto migliore tra Musetti e Zverev ce lo avrebbe avuto proprio Musetti.

Federer era stato forse (facile?) profeta con Zverev: «quando lo guardo giocare vedo un tennista troppo passivo, troppo difensivo nei momenti decisivi». E l’opinione viene da una figura che è stata a lungo un padre putativo per Zverev. Nelle ultime quattro, positive, stagioni, il tedesco aveva un po’ limato questo difetto al di fuori dei turni decisivi negli Slam, e molti si erano anche fatti un po’ ingannare dall’infortunio alla caviglia subito contro Nadal. Per tanti se non si fosse rotto avrebbe vinto, ma quella stessa partita è un manifesto delle debolezze di Zverev, arrivato al top come un contrattaccante in grado di servire fortissimo, più che come un grande attaccante in grado di prendersi la partita. Al netto del punteggio, comunque favorevole a Nadal, Zverev era stato troppo passivo contro il campione spagnolo in evidente difficoltà fisica per l’umidità e su una terra lentissima, facendosi rimontare sostanzialmente ogni volta in cui era andato sopra.

Anche con Alcaraz nella finale 2024 del Roland Garros si era trovato davanti, per poi semplicemente sembrare inadeguato quando la pallina è arrivata a scottare davvero. In finale contro Sinner ancora peggio, con il tedesco che sembrava accontentarsi di provare ad allungare lo scambio ma senza avere particolari idee su come farlo. I risultati migliori di Zverev dal 2021 in poi sono arrivati senza un miglioramento vero? È difficile dirlo. Sicuramente ci sono stati miglioramenti marginali sul dritto e sulla solidità in generale, ma l’unico progresso di alto livello è stato sul servizio ed è stato quello a fare veramente la differenza nelle ultime ottime stagioni. Un tennista che rispetto ai suoi scintillanti inizi sembra aver semplicemente spostato le levette dei suoi attributi, come fosse un videogioco, privilegiandone alcuni al posto di altri piuttosto che migliorare come tennista in assoluto. E ora che la testa lo sta portando più giù stanno emergendo dei difetti che erano stati messi sotto al tappeto per un po’ di tempo, anche quando sembrava aver trovato serenità, quantomeno non nelle finali Slam.

Al Roland Garros il tennista tedesco si è presentato come il terzo favorito dietro ai soliti due, Alcaraz e Sinner, ma mai come quest’anno sembra estremamente vulnerabile, con una finale Slam da difendere. Appena arrivato ha proseguito con le dichiarazioni fantozziane: «Il mio aereo è stato colpito da un fulmine. (...) Alla fine sono arrivato qui alle tre del mattino». Sta già mettendo le mani avanti? La sua regressione sembra preoccupante, e alla soglia dei ventinove anni e con due tennisti che sembrano destinati a segnare il futuro prossimo (e con altri in arrivo) sembra che le chance di Slam siano sempre meno. Chi si ricorda del primo Zverev, più falloso ma anche più aggressivo e “sperimentale” rispetto a quello attuale, non può che avere la sensazione che quella attuale non sia che una delle versioni più deludenti dei suoi futuri possibili. Magari un cambio allenatore, da sempre mal recepito da Zverev, potrebbe portare a dei successi futuri, oppure uno Slam potrebbe aprirsi davanti a lui come sarebbe successo nel 2020. In ogni caso la sensazione è sempre la stessa, questa ricerca continua di scuse è il sintomo di come il tennis di Alexander Zverev non sia nel posto dove vorrebbe o dovrebbe essere. Ma quanto è in grado di rendersene conto prima di convincersi lui stesso che, in questo modo, resterà sempre un incompiuto? Al Roland Garros e al tennis tocca l’ardua risposta.

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